”Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un Sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo. Qui serve una vasta e decisa azione preventiva”. Maurizio Gasparri ha le idee chiare, ma la memoria corta. Il sette aprile del 1979 (e non del 1978, come afferma il capogruppo al Senato del Pdl) fu il giorno dell’arresto dei “cattivi maestri” di Potere Operaio e Autonomia Operaia. Toni Negri, Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Luciano Ferrari Bravo, Franco Piperno. Sono gli intellettuali più in vista della sinistra extra-parlamentare di quegli anni. Provengono dalle università, hanno un seguito negli studenti. Tutti sono accusati di associazione sovversiva e insurrezione armata contro lo Stato. Aldo Moro è morto da un anno, il 9 aprile del 1978, il suo corpo riverso nella Renault 4 rossa, e gli arrestati vengono coinvolti – salvo poi essere completamente scagionati nel 1980 – anche in quell’evento, apice e inizio del declino della stagione terroristica che finirà con il sangue di Vittorio Bachelet, ucciso il 12 febbraio del 1980.
Dal teorema Calogero – dal nome di Pietro Calogero, il magistrato che ordinò gli arresti – al teorema Gasparri sono passati 31 anni. Nel frattempo le ideologie che ispirarono quella stagione sono morte o divenute residuali, eppure l’ex ministro identifica con chiarezza i mandanti: “Si sa – dice Gasparri – chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie. Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l’area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l’Italia”.
Sono dichiarazioni che fanno il paio con quelle del ministro dell’Interno Maroni, che ancora ieri era tornato a chiedere di estendere l’applicazione del Daspo, il divieto di partecipazione, dagli eventi sportivi alle manifestazioni di piazza. Come se in un corteo di centinaia di migliaia di persone fosse possibile mettere un biglietto e dei tornelli. E infatti le parole di Gasparri sono accolte da un coro di repliche indignate. Dall’Idv, che consiglia all’ex-ministro un po’ “di ripetizioni di storia”, al segretario di Sel, Nichi Vendola, che ne denuncia l’attitudine “fascista”. Persino La Russa, dopo le intemperanze di pochi giorni fa, stempera le parole dell’ex camerata missino dicendo: “Penso che Gasparri voglia dire che se ci sono delle responsabilità penali, non bisogna avere tolleranza per nessuno. Non credo proprio che invochi leggi speciali, lo conosco bene a Gasparri”.
Come che sia, davvero i toni di questo 2010 sono i toni della stagione 1978-1979? Davvero il terrorismo rosso è tornato a bussare alla cronaca di questi anni? Davvero i centri sociali sono in grado di portare 100mila persone in piazza e trasformarle in pericolosi rivoluzionari? Anche solo a guardare i numeri verrebbe da dire di no. Solo nel 1977, ad esempio, furono contati 2178 atti terroristici, tra attentati, molotov, scontri di piazza, sequestri, sparatorie, gambizzamenti. Quanti nel 2010?
Questo non significa sottovalutare la violenza, ma isolare la propaganda dai dati di fatto. Uno su tutti: la protesta nata contro il disegno di legge Gelmini e sfociata nelle manifestazioni di Roma di martedì scorso è figlia del distacco e dell’esclusione dalla politica molto più che della partecipazione, è rivolta e non rivoluzione. Come ha scritto Barbara Spinelli su questo giornale: “Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani”. Di più, portare tutto il peso sull’ordine pubblico, significa “non voler risolvere i problemi”, ma evitare “solo che la vetrina sia rotta. Questo non è governare – aggiunge Spinelli – è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza”.
Nella logica di nascondere i sintomi piuttosto che curare la malattia, insomma, i Gasparri e i La Russa impegnati nell’identificazione dei colpevoli insieme ai Maroni e gli Alfano che chiedono punizioni esemplari, contribuiscono al “muro contro muro” di matrice elettorale molto più di quanto scongiurano nuovi scontri. Per dirla ancora con Spinelli: “Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”.
Del resto, che la protesta non abbia una voce, ma nemmeno una guida e una regia è stato evidente anche nel suo svolgimento proprio martedì. Prendiamo l’esempio di Cristiano, il ragazzo di 15 anni che si è trovato una frattura al setto nasale, un ematoma e un trauma cranico per avere lanciato una mela all’indirizzo degli agenti, colpito al volto dal casco di un altro manifestante. Paragoniamo questa scena ai cortei della Fiom e della Cgil – ecco la politica in piazza – con i suoi servizi d’ordine interni, organizzati ed efficienti. Oppure i fotogrammi di un manifestante armato di un bastone che si scaglia da solo contro un agente. Uno o due colpi dà, cento ne prende, prima di essere sopraffatto da una decina di agenti che lo manganellano a terra. Non è un eroe e certamente va “condannato”, ma di sicuro le sue azioni somigliano più alla rabbia cieca di un disperato senza futuro che alla logica dell’agguato delle Br. Con buona pace del teorema Gasparri.
Dal teorema Calogero – dal nome di Pietro Calogero, il magistrato che ordinò gli arresti – al teorema Gasparri sono passati 31 anni. Nel frattempo le ideologie che ispirarono quella stagione sono morte o divenute residuali, eppure l’ex ministro identifica con chiarezza i mandanti: “Si sa – dice Gasparri – chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie. Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l’area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l’Italia”.
Sono dichiarazioni che fanno il paio con quelle del ministro dell’Interno Maroni, che ancora ieri era tornato a chiedere di estendere l’applicazione del Daspo, il divieto di partecipazione, dagli eventi sportivi alle manifestazioni di piazza. Come se in un corteo di centinaia di migliaia di persone fosse possibile mettere un biglietto e dei tornelli. E infatti le parole di Gasparri sono accolte da un coro di repliche indignate. Dall’Idv, che consiglia all’ex-ministro un po’ “di ripetizioni di storia”, al segretario di Sel, Nichi Vendola, che ne denuncia l’attitudine “fascista”. Persino La Russa, dopo le intemperanze di pochi giorni fa, stempera le parole dell’ex camerata missino dicendo: “Penso che Gasparri voglia dire che se ci sono delle responsabilità penali, non bisogna avere tolleranza per nessuno. Non credo proprio che invochi leggi speciali, lo conosco bene a Gasparri”.
Come che sia, davvero i toni di questo 2010 sono i toni della stagione 1978-1979? Davvero il terrorismo rosso è tornato a bussare alla cronaca di questi anni? Davvero i centri sociali sono in grado di portare 100mila persone in piazza e trasformarle in pericolosi rivoluzionari? Anche solo a guardare i numeri verrebbe da dire di no. Solo nel 1977, ad esempio, furono contati 2178 atti terroristici, tra attentati, molotov, scontri di piazza, sequestri, sparatorie, gambizzamenti. Quanti nel 2010?
Questo non significa sottovalutare la violenza, ma isolare la propaganda dai dati di fatto. Uno su tutti: la protesta nata contro il disegno di legge Gelmini e sfociata nelle manifestazioni di Roma di martedì scorso è figlia del distacco e dell’esclusione dalla politica molto più che della partecipazione, è rivolta e non rivoluzione. Come ha scritto Barbara Spinelli su questo giornale: “Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani”. Di più, portare tutto il peso sull’ordine pubblico, significa “non voler risolvere i problemi”, ma evitare “solo che la vetrina sia rotta. Questo non è governare – aggiunge Spinelli – è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza”.
Nella logica di nascondere i sintomi piuttosto che curare la malattia, insomma, i Gasparri e i La Russa impegnati nell’identificazione dei colpevoli insieme ai Maroni e gli Alfano che chiedono punizioni esemplari, contribuiscono al “muro contro muro” di matrice elettorale molto più di quanto scongiurano nuovi scontri. Per dirla ancora con Spinelli: “Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”.
Del resto, che la protesta non abbia una voce, ma nemmeno una guida e una regia è stato evidente anche nel suo svolgimento proprio martedì. Prendiamo l’esempio di Cristiano, il ragazzo di 15 anni che si è trovato una frattura al setto nasale, un ematoma e un trauma cranico per avere lanciato una mela all’indirizzo degli agenti, colpito al volto dal casco di un altro manifestante. Paragoniamo questa scena ai cortei della Fiom e della Cgil – ecco la politica in piazza – con i suoi servizi d’ordine interni, organizzati ed efficienti. Oppure i fotogrammi di un manifestante armato di un bastone che si scaglia da solo contro un agente. Uno o due colpi dà, cento ne prende, prima di essere sopraffatto da una decina di agenti che lo manganellano a terra. Non è un eroe e certamente va “condannato”, ma di sicuro le sue azioni somigliano più alla rabbia cieca di un disperato senza futuro che alla logica dell’agguato delle Br. Con buona pace del teorema Gasparri.
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