giovedì 23 dicembre 2010

Fatti un regalo, adotta un Droide Doll. - di Andrea Scanzi


Natale, tempo di regali (bell’inizio: sembra un attacco di Moccia prima dell’editing). Voi comunisti snobbate questa festa, ritenendola consumista e tutto sommato destrorsa. Una trovata della Chiesa. La verità è che siete pallosi. Pallosi dentro. Con una mano rifuggite lo sfavillio della modernità, con l’altra vi riducete all’ultimo momento a regalare un paio di mutande beige dell’Upim al vostro fidanzato sovversivo (e probabile omosessuale represso).

Io invece amo il Natale. Mi piace la neve, mi piacciono i moonboot, mi piacciono gli ingorghi di due giorni sulla A1. E mi piacciono pure i Babbo Natale che calano dalle finestre: quando li vedo, lancio molotov in segno di affetto e misericordia.
Proprio per questo mio amore natalizio, la settimana scorsa mi sono trasferito sull’isola di Guam (almeno credo sia un’isola) e ho aperto un e-store, che non so cosa sia ma di solito se metti la e- davanti vuol dire che hai a che fare con l’elettronica, Internet, eccetera. Ho aperto un negozio di giocattoli, l’ho chiamato Babbo Natale esiste e si chiama Luigi Amicone. Dentro ci trovate solo bambole. Scala uno a cinque. Costruite in pura ghisa ignifuga a compartimenti stagni.
La mia serie preferita, di cui gli abitanti di Guam (guammiti) son golosi e ghiotti, è la Droide Doll - I Trudini del Potere. Una collezione di dieci bambolotti ghiso-formi, verniciati con uranio impoverito e solfiti incendiabili, che riproducono in tutto e per tutto gli statisti italiani contemporanei più rappresentativi.
Sono regali simpatici, scherzosi e avvincenti. Il prezzo è conveniente, 768 euro l’uno detraibili nel 740 e pagabili in comode 768 rate mensili da un euro l’una. I Droidi Doll regaleranno gioie e sorrisi a grandi e piccini, fascisti e comunisti, uomini e finocchi. Piaceranno perfino a voi sovversivi, che fino a un minuto fa scagliavate mele all’indirizzo delle forze d’ordine per il puro gusto di farvi intervistare dal Fatto e recitare la parte dei martiri solo perché uno vi ha disgraziatamente frantumato mascella e scatola cranica con un casco in kevlar. Pallosi: siete proprio pallosi.
Ecco la collezione completa, disegnata in tiratura limitata da quella sagoma di Santo Versace.

Lady Blackvettopicture. Una simpatica Barbie di media piacenza, vestita con sobrietà vedovile e caratterizzata da un manto crinoso di colore biondastro. Sotto il (la?) glottide ha un pulsante: se lo premerai, Lady Blackvetto emetterà un trillo paragonabile alla ricezione di un sms. A quel punto la bambolotta ghiso-forma farà “no” con la manina e ripeterà 87 volte il mantra “Non è un telefonino è un Blackberry”. La bambolina è indicata anche per l’apprendimento delle sillabe, dacché (?) si caratterizza per la curiosa pronuncia allungata di vocali (“aaaaaaaa”, “eeeeeee”). Era un difetto della prima serie Blackvetto, ma i consumatori hanno così apprezzato questa particolarità da spingere i produttori – e lo stesso Santo Versace – a rendere custom tale requisito. Lady Blackvetto è un’ottima compagna di gioco, essendo dotata di una memory card limitata e per questo non invasiva. Se le parli, non capisce. Se parla lei, non capisci tu. Dei Droidi Doll, è la meno impegnativa. Alcune versioni tradiscono una lieve inflessione sarda: per tarare gli altoparlanti, posizionati tra il deltoide e l’ulna, basterà digitare la parola “C-r-o-z-z-a” sulla consolle in dotazione. Lady Blackvetto indosserà allora uno sguardo fieramente corrucciato, esalerà tre frasi senza senso (la più frequente è “Mgrghr beeeeeeee”) e si chiuderà in un rassegnato silenzio.

Ciccio Scilipoti

governo-scilipoti-sar-a-voto-fiducia-anche-con-di-febbre-1Il bambolotto ideale per le famiglie. Opulento, massiccio, pittoresco. Santo Versace si è qui ispirato a un ardito morfing tra il vintage Cicciobello e Boss Hogg di Hazzard. Pesa leggermente più dei Droidi Doll, 89 chili invece di 85 (la ghisa è stata riempita di piombi azionabili come petardi per Capodanno). La caratteristica di Ciccio Scilipoti è la sbarazzina incoerenza. Nato per soddisfare l’ego innocente dei bambini, è in grado di dire sì a chiunque si trovi davanti. Se sarà il bambino Giorgio a chiedergli chi sia il bimbo più bello del mondo, lui risponderà: Giorgio.Se sarà Paolo, risponderà: Paolo. Se sarà Lucio, risponderà: Lucio. Per non scontentare nessuno. Se poi il bambino che lo interpella si chiamerà Silvio, Ciccio Scilipoti si agiterà tutto, shakererà la pingue figura, marcerà con le gambette (vestite alla marinara) fino agli studi di Un giorno da pecora di RadioDue e lancerà buffi strali contro il suo acerrimo nemico, Skeletor Santoro (della ditta concorrenziale Travagli Preziosi). Ciccio Scilipoti ha una garanzia di tre giorni, durante i quali avrà cambiato almeno mille volte idea. Sempre per il bene del consumatore e mai per interessi personali.

Big La Rissa

Il Droide più incazzoso, utile per destare nel bambino i basilari istinti di sopravvivenza, affinché non vadano sopiti o peggio corrotti
la-russada una educazione melliflua e non sufficiemente virile. E’ quindi perfetto se non volete che vostro figlio diventi frocio. Big la Rissa insulta a caso, a prescindere dalla frase che gli viene rivolta. E’ venduto in tre versioni: Big La Rissa Fascio Remix, con vestigia littorie e la colonna sonora di Giovinezza riletta da Dj Molella; Big La Rissa Ricino, con un pistolino retrattile da cui sgorga il suddetto olio atto a punire i bambini più effeminati e vigliacchi: e l’imperdibile Big la Rissa Geronimo, in cui Santo Versace ha sapientemente unito i tratti migliori di Big La Rissa e Mini-Big Gery, vale a dire suo figlio. La caratteristica di Big La Rissa Geronimo è quella di essere leggerissimo, snello come un manganello e sulfureo come un peto di Bontempo persosi in una scena tagliata di Pierino e la maestra Gelmini.

Vulvia Santanché

stor_12726049_53030Tuo figlio tradisce istinti sadomaso? I tuoi gemelli sognano di essere calpestati da Bocchino in ciabatte? Tua figlia si diverte frustando la bambola gonfiabile di Barbacetto, spengendogli le sigarette sul prepuzio bolscevico? Regala loro Vulvia Santanché, l’unica Droide Doll in tacco 12 con meccanismo azionabile per distibuire allegri calci negli zebedei a tutti quegli eunuchi che non hanno un albero genealogico attestanti la presenza di almeno 37 Balilla e 41 cugini repubblichini di primo grado. Vulvia Santanché, in puro lattice di ghisa, è adatta anche per gli adulti. Rallegra le serate, diversifica il rapporto di coppia e trasuda l’erotismo dei glicini malati di psoriasi. Un prodotto di cui Santo Versace si vanta molto, nonostante il lieve difetto di fabbricazione prognatico-mascellare, che fa sì che alla bambola piova spesso e non volentieri in bocca.

Gasparrin Burrasca

Gasparri-Maurizio1Il più tenero dei Droidi Doll. Sguardo fieramente bovino, espressività non pervenuta, cipiglio delle triglie reazionarie: non puoi non amare Gasparrin Burrasca. E’ tenero come un Fassino. Dotato di una personalità tutta sua, si caratterizza per l’assoluta mancanza di logica e raziocinio in ogni cosa che fa. Premi il pulsante “cammina”, e lui si siede. Premi “parla”, e lui rutta. Premi “saluta”, e lui tende il braccio destro. Premi “arresto preventivo”, e dà una testata sullo stipite della porta in alabastro. Premi “democrazia”, e ti lancia una granata in bocca. Ma solo per simpatia.

Pippi Brambilla Calzelunghe

L’unica bambola in autoreggenti. Un vero e proprio prodotto da collezione. Ne esistono solo pochi esemplari. Non ha caratteristiche particolari, se non una predisposizione a compiacere il bambino più ricco e a lui più congeniale. Ideale per quelle bambine che vogliono farsi una carriera poggiante su solide basi di gossip e blando sentito dire. Esiste una versione più casta, Pippi Brambilla Leggings, in cui la ghisa è stata riempita da calze ascellari in puro acrilico color pelle 50 denari.

Donna Benitandra

santanche_mussolini01gUna bambola d’altri tempi, sempre sopra le righe, sboccata e di vedute antiche. Utile nei casi in cui non si abbia certezza sulla sanità sessuale della propria prole. Temete che vostro figlio sia culattone e vostra figlia addirittura lesbica? Nascondete un agile plotone di Donna Benitandra in camera. Scoveranno ogni segreto ed estrarranno il Maligno dalle loro menti perverse con la sola imposizione dell’ignoranza. Donna Benitandra è un prodotto altamente tecnologico, va a pile ariane e ha un debole per suo nonno, Big Jim Benito, tornato in catalogo stante il grande affetto del pubblico. Santo Versace ha poi pensato a una versione a tiratura limitata, Benitandra Geisha, in infradito e vestaglia di fustagno. Umile e servizievole, si eccita visibilmente se la chiami Donna Rachele.

Il Piccolo Bondi

L’allegro bambolotto poeta. Liscio come un’anguilla, tondo come un uovo e satollo di crasso scibile, Il Piccolo Bondi è un simpatico compagno di giochi. Dotato di un sistema alfanumerico denominato Rimeadminchiam 2.0, Il Piccolo Bondi riesce a poetare partendo da qualsiasi parola: dici amore, e lui sillaba “c-u-o-r-e”. Dici palla, e lui sillaba “g-a-l-l-a”. Dici coglioni, e lui sillaba “V-e-l-t-r-o-n-i”. Un fastidiosotrojan horse, denominato Di Pietris, lo manda a volte in corto circuito. E’ allora che Il Piccolo Bondi fa rime apparentemente errate. Nelle ultime prove, effettuate agliAmicone Studios di Manhattan, Il Piccolo Bondi ha tradito errori in concomitanza con le parole “vergogna”, che per il bambolotto glabro fa rima con “comunisti”, e “Dio”, che per il Droide Doll coincide con la parola “Silvio” (da lui pronunciata con incipiente trasporto ascetico). A causa della forte connotazione intellettuale, se ne consiglia l’acquisto a un pubblico mediamente smaliziato. Santo Versace, nella confezione, lo raccomanda per questo a bambini dai 6 ai 12 mesi. Prima dell’uso, agitare la capoccia e colpire Il Piccolo Bondi all’altezza dei piccoli zebedei a forma di fagiolo zolfino. E’ una maniera empirica non tanto per migliorare il funzionamento del bambolotto, quanto per stare meglio con se stessi.

Mahatma Marra

Manuela_Arcuri-libro_Alfonso_Luigi_MarraUn pezzo da collezione, inserito a sorpresa da Santo Versace nella decina dei Droidi Doll (sono usciti all’ultimo momento Mastro Cicchitto, Arsenio Lupi, Cinderella Carfagna eMinchiapezzone). Mahatma Marra è un bambolotto-sufi. Si caratterizza per la bizzarra inclinazione a scrivere tomi del tutto privi di legami con la più elementare sintassi. Dotato di multi-funzioni, nella modalità Strategismo Sentimentale On lampeggia e profferisce frasi pregne di significato, ricordando al consumatore d’esser vittima – come l’umanità tutta – dellacultura degli orifizi e delle strullate. Lo fa per il nostro bene: per elevarci. Test in laboratorio – sempre agli Amicone Studios – hanno dimostrato come una dose giornaliera di Mahatma Marra agevoli il naturale cammino della civiltà. Nella confezione Manuela Extended, Mahatma Marra è venduto con Arcurina, Barbie priva di espressività e sfumature vocali, teneramente convinta d’essere attrice, impagabile come soprammobile o centrotavola inanimato.

Bunga Bunga Il Sultano

berlusconi-bunga-bungaSchiacci il tasto ed esce lo sfaccimm (cit): così recita lo slogan pubblicitario, anch’esso del grande Santo Versace. Bunga Bunga Il Sultano è un bambolotto pelato, brutto, basso, erotomane, volgare, narciso, rissoso, prevaricante e megalomane. E’ quindi ideale come compagno di giochi di tuo figlio, meglio ancora di tua figlia, a cui insegnerà sin dalla tenera età le più inenarrabili posizioni del sesso gheddafico. Nella confezione Duomo RuleZ, Bunga Bunga Il Sultano si presenta con una ferita posticcia al volto. Tale versione, cristologica, ne agevola la parabola messianica, facendo sì che il simpatico giocattolino possa ultimare la propria trascendenza: da ometto insignificante a ometto insignificante. Nel mezzo, però, come minimo sarà diventato ricco e avrà costruito Milano 2 e Bahamas 3. Bunga Bunga Il Sultano si diverte a distruggere camere, aprire società off shore e collezionare calciatori desueti, ma la Garanzia Ghedini-Lerch allegata al prodotto vi premunirà da qualsiasi danno morale e materiale. L’unico difetto è l’attitudine ciclica del prodotto, ammessa dallo stesso Versace, a mostrare a tutti le diapositive dei suoi viaggi in Russia. E lì, dopo un po’, uno si rompe i coglioni. Basta però sostituire alle Batterie Feltri le meno ingombranti Stilo AA Fini: il bambolotto alopecico cesserà di arrecare fastidio e, al massimo, vi ricorderà con media sicumera come lui abbia sconfitto terremoti e monnezza, malattie e ordalie, guerre e catastrofi. Riuscendo perfino, da solo, a demolire dalle fondamenta una nazione.
Terminato l’utilizzo, si può riporre il simpatico giocattolo nel lettone - in scala 1/1 - compreso nella scatola.

Cosa aspetti? Acquista anche tu un Droide Doll. Apri il gruppo Facebook “Vogliamo anche noi Gasparrin Burrasca”. Posta i tuoi fotomontaggi dei bambolotti: Paolo Flores D’Arcais li pubblicherà personalmente in questa pagina. Regala un sogno ai tuoi figli e ai tuoi cari. Il Natale ti sorriderà e la vita ti sembrerà ancora più meritevole d’essere vissuta.

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/12/22/fatti-un-regalo-adotta-un-droide-doll/


GENERAZIONE RABBIA.





DI MAURIZIO MAGGIANI
ilsecoloxix.it

Ho manifestato i miei sdegni e i miei aneliti per le strade d’Italia dal 1968 al 1977. Ho smesso di farlo a Bologna, una bella mattina di fine estate quando, arrivato in ritardo al corteo delle “mitiche” giornate contro la repressione, lo lasciai sfilare da cima a fondo senza trovare dove inserirmi, senza riconoscermi in nessuno dei gruppi, delle facce, degli slogan, degli abbigliamenti. Ero diventato troppo vecchio per quella roba, o troppo prudente, o troppo saggio, o troppo codardo; non so, ma ero davvero e definitivamente da un’altra parte.

Un quarto di secolo dopo mi sono trovato a Genova, residente della Zona Rossa con cartellino, inutile, di giornalista accreditato appeso al collo. Ho assistito a tutte le manifestazioni a cui mi è stato possibile, cercando di vedere e capire, e ho partecipato a quella del sabato, la grande manifestazione pacifica finita nei grandi pestaggi; ho salvato dalle manganellate due signore che portavano una maglietta con su scritto “un unico Padre, cinque miliardi di fratelli”, e sono io stesso stato salvato da una giovane famiglia che mi ha aperto la porta di casa.

Tornando al Secolo XIX, quella sera vidi all’Acquasola giovani togliersi le loro tute nere e rimettersi a modino sotto lo sguardo spensierato di un gruppo di poliziotti. Quella notte i “fatti” della Diaz, ed ebbi la certezza che il movimento pacifista internazionale era stato distrutto, intenzionalmente annientato. A parte l’affermazione di un principio di imperio – «l’abbiamo fatta finita con quei rompicoglioni!» fu l’articolata analisi che ascoltai dalla bocca di un alto dirigente del governo di allora – a parte la quasi fantascientifica supposizione che si volesse limitare con salda brutalità i limiti spaziali e di principio della partecipazione democratica, ancora oggi mi sfugge la lungimiranza di quell’opera demolitoria.
v Sono passati dieci anni e assisto, non più di persona ma attraverso i canali di informazione internazionali ufficiali e no, ad altre manifestazioni; ad Atene, a Parigi, a Londra, a Roma. Forse dovrei essere lì, e vedere e toccare con mano per capire davvero, ma se posso azzardare un giudizio su una realtà che percepisco solo virtualmente, allora mi sento di dire che quello che i giovani manifestanti, i loro volti e le loro azioni, le loro parole, io non le conosco, e men che meno le riconosco. Sideralmente lontani da quell’ultima mia manifestazione di Bologna e da quel sabato di Genova.

Giovani, e ancor più che giovani, ragazzi. Non sono marziani, sono i miei figli, sono la nuova generazione. Non parlano lingue sconosciute, ma la mia. Non chiedono cose a me ignote, ma cose che posso comprendere bene. Solo che dicono e fanno ogni cosa in modo diverso, nuovo. E la novità, la grande novità, è la rabbia. Non che io non conoscessi questo sentimento, ma la loro e una rabbia, un profondo, interiore, assoluto scontento, e un’energia nel manifestarlo, una forza che io non ho avuto, né visto, da ragazzo, giovane uomo, adulto. E con quella loro rabbia, che gli vedi insorgente come un geyser, intrattenibile nelle parole, hanno cominciato a rompere, a spaccare.

Vedendo i filmati dalle stupefatte capitali d’Europa, non è così difficile riconoscere i professionisti, quelli che lavorano con metodo a sfasciare e picchiare, quelli che da secoli fanno il lavoretto sporco degli infiltrati, ma è facile vedere che non ci sono solo loro, che il gesto di violenza è diffuso. Credo che lo sarà sempre di più. Perché è nella natura delle cose che sia così, irreparabilmente intrinseco allo stato delle nazioni. E lo sappiamo bene, non c’è nessuna analisi speciale da fare, nessun dibattito che non sia una ipocrita pappina consolatoria.

Non si può spedire un’intera generazione nel vuoto pneumatico pensando che non cerchi di tornare sulla terra, non la si può comprimere all’infinito nel nulla cosmico senza sapere che prima o poi esploderà. Questa generazione non ha niente di quello che hanno avuto i loro padri e che si sono ingegnati a dissipare, il pensiero per primo e la previdenza sociale per ultima. I loro padri che si sono mangiati il modo intero e ora li prendono anche in giro andandogli a spiegare che la festa è finita. Questa generazione non ha parole perché è da quando andava all’asilo che non trova un cane che la stia a sentire, che le dica qualcosa che valga la pena di essere ascoltato, buono o cattivo maestro che sia.

Questa generazione è frutto del ventre nostro, una pancia gonfia di supponenza e inverosimile egotismo. È come se non fossero mai nati quei ragazzi, tenuti nello stato inoffensivo di feti, ad avvizzire nella vita. E vorremmo che fossero ragionevoli. Portatori di una ragione tollerabile agli occhi di padri che si titillano nel sogno perverso di durare in eterno da eterni adolescenti, impotenti innamorati del potere. Ne abbiamo allevato qualcuno perché ci facesse da ventriloquo con toni più convincenti delle nostre voci screditate, ma non funzionerà, non ha mai funzionato.

Non sono tanti, al momento, quelli che ci stanno preoccupando; possiamo ancora illuderci che i più possiamo ancora tenerli a bada continuando a rifornirli di gadget e snack moderatamente aggiunti di anfetamine e narcotici. Ma se non fossimo dimentichi della storia, compresa la nostra, ricorderemmo che bastano pochi a renderci la vita scomoda, a tenerci in angosciante sgomento e paura per tutti i giorni che Iddio manda in terra, e alla fine sono i pochi quelli che fanno saltare in aria tutta la baracca.

Maurizio Maggiani
Fonte: http://www.ilsecoloxix.it/
19.12.2010

via http://www.libreidee.org

mercoledì 22 dicembre 2010

Una firma per far restituire ai corrotti ciò che hanno rubato.


"Corrotti per il bene comune, i corrotti restituiscano ciò che hanno rubato", questo il motivo conduttore della grande campagna di raccolta di firme avviata da Libera, l'associazione contro le mafie presieduta da Don Luigi Ciotti, e da Avviso pubblico. L'iniziativa è dedicata alle ragazze e ai ragazzi morti nel crollo della casa dello studente dell'Aquila, simbolo della corruzione più nera, degli affari realizzati nel modo più cinico e spregiudicato.

L'obiettivo è quello di raccogliere oltre un milione di firme sotto le cartoline che saranno spedite al presidente Napolitano per chiedere che l'Italia recepisca integralmente le norme della convenzione di Strasburgo in materia di confisca e di riutilizzo dei beni confiscati ai corrotti e che il governo si decida ad applicare le medesime norme già votate nella finanziaria del 2007.

Utopia? Lo stesso giudizio sprezzante fu usato da molti commentatori quando 15 anni fa Don Ciotti e Libera decisero di promuovere una raccolta di firme per chiedere il riutilizzo dei beni sequestrati ai mafiosi. Certo le difficoltà non sono mancate e non mancano, ma oggi non pochi edifici e beni sequestrati sono gestiti da associazioni e da cooperative che hanno fatto rifiorire la legalità, laddove trionfava l'illecito, la violenza, il disprezzo più assoluto per la legge.

Adesso Libera e Avviso pubblico hanno deciso di chiedere che lo stesso principio sia applicato anche ai corrotti, a colore che usano il bene pubblico a fini personali, a quelli che raccattano mazzette, a quelli che depredano il patrimonio pubblico e truffano il prossimo.

Perché non riutilizzare il maltolto? Perché non restituire alla comunità i beni truffati? Pensate quante attività di pubblico interesse sarebbe stato possibile promuovere con i beni del signor Callisto Tanzi che ha ridotto alla fame migliaia di piccoli risparmiatori.

Le cifre della corruzione e della concussione sono spaventose. Per ogni euro recuperato dallo stato, si calcola che ce ne siano 5 sottratti alla comunità. Il 17% degli italiani, secondo una recente statistica, si sarebbe sentita chiedere una qualche forma di tangente o di mazzetta. Come se non bastasse l'Italia berlusconiana e dell'indifferentismo etico ha ormai abbassato la guardia. Negli anno 1992-93, nel solo distretto giudiziario di Milano, vi furono 2000 denunce per corruzione e concussione, l'anno scorso siamo scesi sino a quota 120. E' del tutto evidente che il cittadino non se la sente più di denunciare gli estorsori e i corrotti, preferisce tacere, avverte un clima di impunità e di omertà incoraggiati e protetti dall'alto, respira consenso ai comportamenti illeciti, al disprezzo delle norme.

Per queste ragioni ci sembra giusto appoggiare l'iniziativa promossa da Libera e da Avviso pubblico e sostenuto da decine di associazioni che raccoglieranno le firme in 3000 punti in tutta Italia. Chi avesse problemi a rintracciare i banchetti potrà dare la sua adesione anche on line sul sito di Libera.

Mercoledì prossimo alle ore 18, nelle sale della provincia di Roma, a Palazzo Valentini, sarà consegnato anche a Libera e a Don Ciotti, il tradizionale riconoscimento che articolo 21 dedica a coloro che si battono per la libertà di informazione in Italia e nel mondo. Ci è sembrato giusto consegnare un riconoscimento a chi da anni si batte per la libertà, per la legalità e per la dignità individuale e collettiva, valori senza i quali non può esistere neppure una libera informazione.

Giuseppe Giulietti



Ricette per uscire dalla crisi




Molti Paesi stanno varando misure di austerity che rallenteranno il ritmo della ripresa. Eppure rilanciare lo sviluppo contenendo il debito è possibile: ecco come.

di Joseph Stiglitz, La Repubblica Affari & Finanza, 13 dicembre 2010

Nel periodo immediatamente successivo alla Grande Recessione, i Paesi si sono ritrovati con deficit senza precedenti in tempi di pace e sempre più forti ansie per il loro indebitamento pubblico in costante aumento. In molti Paesi tutto ciò ha portato a varare nuove misure di austerity, provvedimenti che quasi di sicuro comporteranno una maggiore debolezza per le economie nazionali e globali.Questi provvedimenti porteranno anche ad un cospicuo rallentamento del ritmo della ripresa. Coloro che così facendo auspicano significative riduzioni del deficit rimarranno amaramente delusi, dal momento che la recessione economica ridurrà considerevolmente il gettito fiscale e aumenterà le richieste di sussidi di disoccupazione e altri benefit sociali.

Il tentativo di frenare la crescita del debito servirà a concentrarsi meglio: obbligherà infatti i Paesi a focalizzarsi sulle priorità e a dare giusto valore alle cose. È poco plausibile che gli Stati Uniti nel breve periodo varino consistenti tagli al budget, seguendo l’esempio del Regno Unito. Ma la previsione a lungo termine – resa particolarmente disastrosa dall’incapacità della riforma dell’assistenza sanitaria di incidere più di tanto nelle spese mediche in costante aumento – è sufficientemente spenta da far sì che sia giunta l’ora di fare qualcosa in modo bipartisan. Il presidente Barack Obama ha nominato una commissione bipartisan incaricata di lavorare sulla riduzione del deficit, i cui presidenti di recente hanno anticipato alcuni dati, fornendo qualche indizio su come potrebbe risultare il loro rapporto conclusivo.

Da un punto di vista esclusivamente tecnico, ridurre il deficit è una faccenda assai semplice: si tratta infatti di tagliare le spese oppure di aumentare il prelievo fiscale. È evidente, tuttavia, che l’agenda della riduzione del deficit, quanto meno negli Stati Uniti, si spinge ben oltre: è un tentativo di indebolire le coperture sociali, ridurre la gradualità del sistema fiscale, ridimensionare il ruolo e l’azione del governo, lasciando al contempo intatti e colpiti meno possibile gli interessi ormai consolidati, come quelli del comparto industriale militare.

Negli Stati Uniti – come pure in qualche altro Paese industriale avanzato – qualsiasi programma di riduzione del deficit deve essere contestualizzato in rapporto a ciò che è accaduto nel corso dell’ultimo decennio:
1) Un consistente aumento delle spese per la Difesa, alimentate da due guerre inutili, ma che sono andate ben oltre le aspettative;
2) Disparità in forte crescita: l’uno per cento della popolazione guadagna più del 20 per cento del reddito complessivo del Paese. A ciò si accompagna un consistente indebolimento della classe media: il reddito della famiglia media negli Stati Uniti è sceso nell’ultimo decennio di oltre il cinque per cento, ed era in calo già prima che subentrasse la recessione;
3) Scarsi investimenti nel settore pubblico, compreso nelle infrastrutture, messi platealmente in luce dal cedimento degli argini di New Orleans;
4) Un aumento del corporate welfare, dai salvataggi in extremis delle banche ai sussidi per l’etanolo, alla proroga dei sussidi agli agricoltori, addirittura dopo che proprio tali sussidi sono stati definiti illegali dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.

In conseguenza di tutto ciò, è facile formulare un pacchetto di riduzione del deficit che migliori l’efficienza, rafforzi la crescita e riduca le disparità. Si rendono necessari cinque elementi basilari. Primo: la spesa per investimenti pubblici molto redditizi dovrebbe essere aumentata. Anche se ciò sul breve periodo inevitabilmente aumenta il deficit, a lungo termine porterà a una riduzione dell’indebitamento della nazione. Quale azienda non sarebbe disposta a lanciarsi e a investire in opportunità in grado di garantire utili superiori al dieci per cento, se solo potesse prendere in prestito capitali – come può fare il governo degli Stati Uniti – con un tasso di interesse inferiore al tre per cento?

Secondo: è indispensabile tagliare le spese militari, non solo i finanziamenti per le guerre inutili, ma anche i finanziamenti per armi che non funzionano contro nemici che non esistono. Noi abbiamo continuato a investire in questa direzione come se la Guerra Fredda non fosse mai giunta a termine, spendendo per la Difesa quanto spende il resto del mondo considerato nel suo complesso.

Da ciò si arriva al terzo punto, la necessità di eliminare il corporate welfare. Se da un lato l’America ha rimosso ogni rete di protezione per la popolazione, dall’altro ha rafforzato quella per le aziende come hanno platealmente attestato durante la Grande Recessione i salvataggi in extremis di AIG, Goldman Sachs e di altre banche. Al programma di assistenza alle imprese va circa la metà delle entrate complessive in alcune aree del comparto agricolo degli Stati Uniti. Per esempio pochi ricchi coltivatori ricevono miliardi di dollari di sussidi per il cotone, nel momento stesso in cui si registrano prezzi in calo e povertà in aumento tra i concorrenti del mondo in via di sviluppo.

Una forma del tutto particolare di sovvenzione offerta alle aziende è quella concessa alle società farmaceutiche. Anche se il governo è l’acquirente principale dei loro prodotti, non gli è consentito trattare sul prezzo, e di conseguenza così si alimenta un aumento degli utili del settore e di spese per il governo – quantificabili in mille miliardi di dollari nell’arco di dieci anni.
Altro esempio di questo fenomeno è la straordinaria abbondanza di benefit particolari concessi al settore energetico, specialmente petrolifero e del gas, circostanza che a uno stesso tempo depriva il Tesoro, dirotta l’allocazione delle risorse e distrugge l’ambiente. Seguono da vicino quelle che paiono offerte smisurate delle risorse nazionali, dalla banda di frequenza gratuita concessa alle emittenti, alle basse royalty esatte dalle società minerarie, ai sussidi per le aziende del legname.

Si rende pertanto necessario creare un sistema fiscale più equo e più efficiente, eliminando ogni trattamento speciale dei capital gain e dei dividendi. Perché mai coloro che lavorano per mantenersi dovrebbero essere soggetti a un prelievo fiscale maggiore di coloro che rovinano la loro vita speculando sulla loro pelle, e spesso a spese altrui? Infine, giacché oltre il 20 per cento del reddito complessivo va a finire nelle tasche del più fortunato uno per cento della popolazione, un leggero aumento – diciamo del cinque per cento – del prelievo fiscale effettivamente riscosso porterebbe nel giro di un decennio a incassare oltre mille miliardi di dollari. Un pacchetto di misure miranti alla riduzione del deficit strutturato secondo queste linee orientative risponderebbe più che mai alle richieste più esigenti dei falchi del deficit. Incrementerebbe l’efficienza, promuoverebbe la crescita, migliorerebbe l’ambiente e offrirebbe vantaggi ai lavoratori e alla classe media.

L’unico vero problema è che non arrecherebbe vantaggi a coloro che sono al vertice della piramide sociale, né alle imprese, né ad altri interessi speciali che sono ormai arrivati a dominare la politica americana. La sua logica così convincente è per l’appunto il motivo stesso per il quale ci sono davvero scarse possibilità che una proposta così ragionevole possa essere adottata.




lunedì 20 dicembre 2010

Chiesa e politica, tutte le menzogne del cardinal Bagnasco. - di Paolo Farinella, prete.


Il cardinale Angelo Bagnasco ha rilasciato una intervista aRepubblica, raccolta da Marco Ansaldo e pubblicata domenica 19-12-2010 a p. 13. Una valutazione globale: povertà di argomenti, triti e ritriti e incapacità del giornalista di porre le domande circostanziate con fatti e dichiarazioni, esattamente contrarie alle dichiarazioni del cardinale. In alcuni momenti si ha la sensazione che il giornalista sia accondiscendente oltre misura perché afferma di riportare «la completezza con cui [il cardinale] risponde, nell’intervista concessa a Repubblica, a tutte le domande. Senza sottrarsi a quelle più scomode». Non ho letto domande scomode, semmai banali. Viene il sospetto che l’intervista non sia stata concessa dal vivo, ma per scritto: il cardinale ha risposto a tavolino alle domande inviate preventivamente dal giornalista.

Sin dal titolo («La Chiesa non fa politica ma sui valori dei cattolici non si tratta») cadono le braccia e si ha la certezza che i porporato e i suoi pari vivano sulla luna o siano soliti sniffare incenso che gli annebbia la vista e la logica. Se il continuo interventismo cardinalizio e papale non è politica – e dei bassifondi, per giunta – mi chiedo come si possa ragionare con questa gente che nega anche l’evidenza. Mi chiedo se le cattive frequentazioni di uomini perversi e bugiardi che fondano la loro azione sulla falsità strutturata come sistema e metodo politico, non abbiano influenzato sua eminenza fino al punto da fargli assimilare lo stravolgimento non solo della verità, ma dei fatti crudi e nudi da non rendersene conto. Occorre una lunga terapia disintossicante perché il virus del berlusconismo ha avuto il sopravvento sull’aspersorio.

Dice il cardinale con candore inverosimile: «la Chiesa non è un’agenzia politica chiamata a prendere parte alla battaglia dei partiti. Il suo compito è quello di annunciare la salvezza di Cristo e quindi di elevare la coscienza morale e spirituale della società, rendendo Dio presente nello spazio pubblico». In due frasi di 23 parole (senza contare articoli, preposizioni e congiunzioni) si trovano cinque affermazioni anche erronee se non false. L’errore di fondo (vero peccato originale) è l’attribuzione alla sola Gerarchia della valenza teologica di «Chiesa»: è una attribuzione indebita ed errata in termini puramente teologici. Direi che è una usurpazione. Se un teologo del primo anno agli esami facesse una simile affermazione verrebbe bocciato e rimandato a casa perché inadatto al ministero pastorale. Secondo, se la «Chiesa» non è un’agenzia politica, può spiegare sua eminenza cosa ci faceva Berlusconi e Letta a colazione con Ruini, manovrando le elezioni politiche della Regione Lazio?

Può dire in nome di quale «principio non negoziabile» il Segretario di Stato Bertone decide di andare a cena con Berlusconi Letta, Casini, Geronzi, Draghi di notte e quasi di nascosto a casa di Bruno Vespa, noto maggiordomo a libro paga, per convincere Casini ad entrare nel governo Berlusconi? Può dire sua eminenza, di grazia, se era politico o no, il pranzo innaturale che Berlusconi e Letta (più mezzo governo di complemento, tra cui spiccano, Giustizia, Scuola/Università e Economia) offrono ai nuovi cardinali sfornati freschi e a cui partecipa il Segretario di Stato, ma non il presidente della Cei?

Se sono cardinali italiani, che c’entra il Segretario di Stato? A meno che le fusa tra B&B (Bertone&Berlusconi) non fossero l’obiettivo principe di quel convivio debosciato. Il delinquente Berlusconi che giura coram cardinalibus che «mai nulla contro il Vaticano» e il suo compare Bertone che risponde: «il governo ha operato bene a favore della Chiesa». S’ode a destra uno squillo di tromba, a super-destra uno squillo risponde. Il cardinale arriva a compromettersi perché dichiara che «compito della “Chiesa” è quello di annunciare la salvezza di Cristo». Agli occhi della maggior parte degli osservatori, anche dei lattanti non ancora svezzati, non appare affatto questo compito, per cui si dovrebbe dire il cardinale «aspirerebbe» ad un compito che è lontano mille miglia dalle sue azioni concrete che mirano a raggiungere obiettivi terreni e materialissimi. Lo stesso vale per l’altro compito: «elevare la coscienza morale e spirituale della società».

Che bello! Con quale morale, se è lecito! Con quella di Berlusconi come individuo e come uomo pubblico? Con quella dell’economia a favore solo dei ricchi? Con la morale dello scudo fiscale che premia i corrotti, le mafie, gli evasori, i puttanieri e i riciclatori di proventi da droga e omicidi e furti ed evasione fiscale? Con quale morale? Con quella «bene comune» – che il cardinale pone in testa alla sua etica – calpestato impunemente da 39 leggi individuali volute dall’uomo che ha scardinato l’unità del Paese e il senso della legalità per mettere al sicuro tutte le sue immoralità etiche ed economiche? Si vede che un muro di incenso impedisce al cardinale di vedere oltre perché ha gli occhiali appannati.

Se è vero che «l’anima della nostra gente, che nasce dal Vangelo, è stata “terremotata” dal relativismo e dal consumismo», può, per piacere, il signor cardinale chiamare «per nome» il terremoto? Non è forse la politica ammaliatrice e degenere di Berlusconi e del suo governo, composto da ricercati, indagati, corrotti come lui, che ha diffuso il relativismo e il consumismo in cui il berlusconismo ha piombato il nostro Paese? Questi fenomeni li ha portati la cicogna, che non ha usato il preservativo, o sono il frutto dell’uso spregiudicato e puramente commerciale e politico delle tv private e pubbliche che sono di un solo uomo, cioè il signor presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, uomo corrotto e corruttore e bugiardo, «a planta pedis usque da verticem capitis»? E’ sicuro sua eminenza di essere sano di mente mentre parla di morale e nel frattempo elogia la governabilità del governo Berlusconi? Non dovrebbe forse andare a confessarsi per la palese peccaminosità delle sue asserzioni che o sono blasfeme o sono false?

Il cardinale poi fa l’elenco dei «principi non negoziabili» che sono sempre gli stessi e sempre nello stesso ordine: «la vita, la famiglia, la libertà di educazione e ancor prima quella religiosa». Quattro valori per i quali vale pena vendersi l’anima anche al demonio che abita Berlusconi? Questi «principi» dovrebbero essere garantiti dall’unto del Signore che ha posto la tenda ad Arcore e i pascoli in Italia a spese degli Italiani. O il cardinale è un illuso, o è un trafficone trafficante. Decida lui. Sicuramente non si nutre di illusioni.

La vita. Mi auguro che il cardinale non si riferisca a quella dei immigrati venduti alla Libia perché muoiano ammazzati, letteralmente ammazzati, nel deserto lontani da occhi indiscreti europei. La famiglia, mi auguro che non si riferisca alla doppia di Berlusconi e tanto meno all’abituale commercio di minorenni e prostitute a cui l’uomo è aduso e per giunta orgoglioso: «Gli Italiani mi vogliono così». Poveri, si sacrifica sempre! Libertà di educazione. Si spera che il cardinale non si riferisca alla distruzione dell’educazione scolastica pubblica che ha portato il mondo giovanile e studentesco in piazza contro una ministra imbelle che si trova in parlamento per meriti non certo culturali e per competenza. Sarebbe bello che il cardinale chiedesse alla cattolica ministra: «Signora, mi può dire come mai il presidente ha tanto affetto per lei tanto da farla ministra, pur non avendone né le caratteristiche né la competenza»?

Riguardo all’accenno dell’8xmille che il cardinale chiede a credenti e non credenti in nome della provvisorietà della Chiesa, è sufficiente che sua eminenza compulsi il ministero dell’economia e si faccia dire qual è il trend degli ultimi anni, scoprirebbe che c’è un calo abissale e una diminuzione costante delle offerte deducibili. La causa prima e «princeps» è il comportamento della gerarchia cattolica che, tramite Berlusconi, ha messo le mani sul parlamento, imponendo le leggi conformi alla sua morale ed esautorando lo Stato italiano dalla sua sovranità. E’ finito il potere temporale come possesso materiale di territorio fisico, si è decuplicato il possesso immateriale dello Stato, estendendo il potere temporale, più raffinato e demagogico, sulle leggi e sulla convivenza civile. L’Italia non è una repubblica autonoma, ma l’orto di servizio dello stato estero, la Città del Vaticano con cui un corrotto presidente del Consiglio ha stipulato un contratto di mutua assistenza, vendendo la dignità di un popolo al prezzo immorale del sostegno al suo potere.

E’ deprimente che il cardinale accanto ai «principi non negoziabili» di suo interesse non abbia sentito il pudore di aggiungere altri «principi civili non negoziabili» come il principio della democrazia contro cui è stata varata la legge elettorale, il principio dell’autonomia del parlamento conculcato e vilipeso dal possesso ingordo del governo, il principio dell’onestà e del decoro di chi governa che il presidente de Consiglio e i suoi giannizzeri offendono ogni giorno 24 su 24 ore, il principio dell’unità d’Italia maciullato dall’insano connubio Berlusconi/Bossi che a tutto mirano tranne che ad un qualche valore, il principio della sacralità del giudizio davanti al proprio giudice naturale che Berlusconi violenta facendosi leggi su misura pur di fuggire lontano da un‘aula di tribunale, il principio del rispetto delle opposizioni e delle minoranze, garanzie di democrazia costituzionale e sostanziale/materiale, il principio del lavoro come diritto innato e naturale contro la politica economica di Berlusconi/Tremonti che creano precariato per dominare le coscienze e infine il principio che il potere non è dominio, ma servizio libero e gratuito, mentre Berlusconi e i suoi lanzichenecchi stanno devastando il devastabile e in più si sono appropriati del futuro delle prossime generazioni, che non avranno lacrime per piangere e tanto meno per vivere da persone libere.

Se tutto questo non è fare politica, allora vuol dire che è solo complicità consapevole con il male che il cardinale non vede o non vuole vedere.



I sindacati di polizia manifestano ad Arcore “Gasparri pericoloso, la piazza è un diritto”.




Le sigle sindacali unite scendono in piazza per protestare contro i tagli al settore imposti dalla finanziaria. E sulle affermazioni del capogruppo Pdl attaccano: "Responsabilità sua se ci fossero nuovi scontri" “Cosa c’entrano il Daspo e gli arresti preventivi invocati da Gasparri? Manifestare è un diritto. Poi se noi scopriamo che qualcuno si è macchiato di qualche reato lo perseguiamo, punto”. Parola dei poliziotti che stamane sono tornati ad Arcore, davanti alla villa di Silvio Berlusconi, per protestare contro i tagli del governo al loro settore.

La rabbia è tanta, e questa volta sono i poliziotti a scendere in piazza. La quasi totalità delle sigle sindacali di polizia si è riunita davanti a villa San Martino, per protestare contro la manovra finanziaria e le promesse “mai mantenute” di questo governo. “Per il prossimo triennio i nostri salari non potranno superare quelli percepiti nel 2010”. E’ Alessandro Pisaniello del Siulp a chiarire quanto sia critica la situazione: “A fronte di una riduzione del personale da 106 a 96 mila unità, ogni poliziotto avrà più lavoro, ma una volta raggiunto il tetto del 2010 – spiega Pisaniello – straordinari, notti e missioni non verranno più remunerati”. E conclude: “Come se non bastasse, ai passaggi di qualifica non corrisponderà un equivalente adeguamento dello stipendio”.

Il contratto degli operatori di polizia per gli anni 2008 e 2009 è stato firmato lo scorso settembre, e nell’accordo era previsto anche il pagamento degli arretrati entro il mese di novembre. “Sono riusciti a non rispettare la loro stessa firma – attacca Maccari del Coisp – nonostante le parole di Maroni e l’emendamento col quale avevano promesso di difendere le nostre buste paga”. L’emendamento, fanno notare, è durato meno di un giorno, e altrettanto in fretta è stato cancellato. “E’ l’ennesimo volta faccia di un governo che non onora gli impegni – accusa Claudio Giardullo del Silp, che assicura: “Se non si mette mano alla finanziaria con norme specifiche, la nostra operatività sarà compromessa, e non potremo più garantire la sicurezza dei cittadini”.

Ma la manifestazione è anche l’occasione giusta per provare a capire cosa pensino i rappresentanti delle forze dell’ordine delle dichiarazioni incendiarie rilasciate da numerosi esponenti di Pdl e Lega a partire da martedì 14 dicembre, giorno dei disordini a Roma.

Il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano ha chiesto di estendere il Daspo, il provvedimento che tiene i tifosi violenti alla larga dagli stadi, anche ai manifestanti e Roberto Maroni, titolare del Viminale, ha giudicato la proposta così interessante da poter essere inserita nel pacchetto Sicurezza. Ma l’esponente che ha dato più fuoco alle polveri è sicuramente Maurizio Gasparri, il capogruppo del Pdl al Senato ha infatti invocato “arresti preventivi” e retate sullo stile di ciò che accadeva negli anni Settanta.

Per fortuna dai rappresentanti delle forze dell’ordine si è sollevato un coro di “no” e un invito ad abbassare i toni per non esacerbare gli animi, sia dei manifestanti sia degli stessi poliziotti che si trovano a fronteggiarli.

“La politica si deve rendere conto che il momento è molto delicato e va gestito con calma– dice Roberto Traverso, segretario Silp Cgil Genova – e ha l’obbligo di parlare alla testa della gente, non alla pancia”.

Anche l’idea di utilizzare i metodi per controllare le tifoserie e di applicarle alla piazza lascia molto perplessi gli agenti. Valentino Tosoni, segretario del Coisp Lombardia, da una vita si occupa di ordine pubblico. Ha iniziato a fronteggiare i manifestanti proprio in quel periodo in cui le parole di Gasparri vorrebbero farci tornare, gli anni Settanta. E solo nel 2010, fra stadi e manifestazioni politiche, ha fatto fra i 70 e gli 80 “interventi di Op”, come si dice in gergo. “Sappiamo bene che alle partite spesso e volentieri ci sono frange di tifosi che vogliono solo agitarsi e creare problemi, ma le manifestazioni di dissenso sono completamente un’altra cosa. Capita che al loro interno possano nascondersi anche dei violenti. Ma quelli sono solo dei delinquenti che non hanno niente a che vedere con chi protesta e vuole fare sentire la propria voce. Che è un diritto sancito dalla nostra Costituzione”. Insomma, anche per un vecchio lupo della piazza il Daspo e gli arresti preventivi non servono a niente.

L’opinione più diffusa fra gli agenti è che la politica stia strumentalmente scaricando sulle spalle delle forze di pubblica sicurezza una situazione incendiaria che lei stessa ha contribuito a creare. “Non vogliamo diventare l’obiettivo dei manifestanti più facinorosi solo perché alcuni politici soffiano sul fuoco”, dice Roberto Traverso, segretario Silp Cgil Genova. Continua Tosoni: “Noi prima che poliziotti siamo cittadini che vivono gli stessi disagi di chi manifesta e per giunta siamo costretti ad andare in piazza contro queste persone”.

Quello che bisogna fare ora è abbassare i toni, dicono all’unisono tutte le sigle sindacali, e l’unica “prevenzione” che spetta alla politica è risolvere i problemi: dall’occupazione per i più giovani ai rimedi per chi paga la crisi economica. “E invece cosa fa il governo? – chiede Daniele Tissone, segretario nazionale Silp Cgil – Pensa di poter risolvere le questioni con la polizia ma in realtà svia solo il problema”. In altre parole il Palazzo pensa di poter fronteggiare l’allarme sociale con un po’ più di ordine pubblico.

Nei prossimi giorni sono previste altre manifestazioni a Roma e nella altre principali città italiane e la parola d’ordine che gira, almeno fra gli agenti, è quella di stare tranquilli. “Dobbiamo renderci conto che la violenza è sempre una cosa orribile – continua Tissone – sia per chi la subisce e anche per chi la esercita, che siano celerini o manifestanti”.

“Al Signor Gasparri, che evoca provvedimenti della ex Legge reale in vigore negli anni Settanta chiediamo che la prossima volta venga a chiedere a noi quelli che sono gli strumenti da adottare per garantire la sicurezza nelle piazze”, dice Rocco Disogra segretario nazionale del Coisp. Ma quale sarebbe la maniera migliore di stare in piazza per le forze dell’ordine? Tissone non ha dubbi: “Il metodo Firenze. Ordine pubblico presente ma poco visibile. Si all’incontro e no allo scontro”. Il segretario fa riferimento al novembre 2001, quando, pochi mesi dopo le drammatiche giornate del G8 di Genova, i lavori del Social forum europeo nel capoluogo toscano furono accompagnati da una manifestazione oceanica. Allora il questore della città era Giuseppe De Donno che decise di fare tutto il contrario di ciò che le forze dell’ordine avevano fatto poco tempo prima a Genova. E la giornata del corteo, carica di tensione (era la prima volta che il “popolo di Genova” tornava in piazza dopo i fatti del G si trasformò in un’enorme festa. Nessun incidente, nessuna vetrina rotta o auto bruciata. Nonostante anche allora una certa politica irresponsabile soffiasse sul fuoco. Per dirla con le parole di Franco Maccari del Coisp: “Fin da ora ritengo l’onorevole Gasparri responsabile di qualunque incidente”. A dimostrazione di posizioni ben più concilianti rispetto a quelle della maggioranza di centro destra, è stato annunciato per il pomeriggio, a Roma, un incontro proposto dal Partito Democratico tra sindacati di polizia e studenti. “Quelli pacifici – precisa Maccari – perché manifestare è un diritto e la battaglia non deve essere tra studenti e forze dell’ordine. Due cose non servono: i black bloc e i Gasparri”.

di Lorenzo Galeazzi e Franz Baraggino



VIDEO SHOCK DELLE FORZE DELL'ORDINE DURANTE LE MANIFESTAZIONI A ROMA