giovedì 23 dicembre 2010

GENERAZIONE RABBIA.





DI MAURIZIO MAGGIANI
ilsecoloxix.it

Ho manifestato i miei sdegni e i miei aneliti per le strade d’Italia dal 1968 al 1977. Ho smesso di farlo a Bologna, una bella mattina di fine estate quando, arrivato in ritardo al corteo delle “mitiche” giornate contro la repressione, lo lasciai sfilare da cima a fondo senza trovare dove inserirmi, senza riconoscermi in nessuno dei gruppi, delle facce, degli slogan, degli abbigliamenti. Ero diventato troppo vecchio per quella roba, o troppo prudente, o troppo saggio, o troppo codardo; non so, ma ero davvero e definitivamente da un’altra parte.

Un quarto di secolo dopo mi sono trovato a Genova, residente della Zona Rossa con cartellino, inutile, di giornalista accreditato appeso al collo. Ho assistito a tutte le manifestazioni a cui mi è stato possibile, cercando di vedere e capire, e ho partecipato a quella del sabato, la grande manifestazione pacifica finita nei grandi pestaggi; ho salvato dalle manganellate due signore che portavano una maglietta con su scritto “un unico Padre, cinque miliardi di fratelli”, e sono io stesso stato salvato da una giovane famiglia che mi ha aperto la porta di casa.

Tornando al Secolo XIX, quella sera vidi all’Acquasola giovani togliersi le loro tute nere e rimettersi a modino sotto lo sguardo spensierato di un gruppo di poliziotti. Quella notte i “fatti” della Diaz, ed ebbi la certezza che il movimento pacifista internazionale era stato distrutto, intenzionalmente annientato. A parte l’affermazione di un principio di imperio – «l’abbiamo fatta finita con quei rompicoglioni!» fu l’articolata analisi che ascoltai dalla bocca di un alto dirigente del governo di allora – a parte la quasi fantascientifica supposizione che si volesse limitare con salda brutalità i limiti spaziali e di principio della partecipazione democratica, ancora oggi mi sfugge la lungimiranza di quell’opera demolitoria.
v Sono passati dieci anni e assisto, non più di persona ma attraverso i canali di informazione internazionali ufficiali e no, ad altre manifestazioni; ad Atene, a Parigi, a Londra, a Roma. Forse dovrei essere lì, e vedere e toccare con mano per capire davvero, ma se posso azzardare un giudizio su una realtà che percepisco solo virtualmente, allora mi sento di dire che quello che i giovani manifestanti, i loro volti e le loro azioni, le loro parole, io non le conosco, e men che meno le riconosco. Sideralmente lontani da quell’ultima mia manifestazione di Bologna e da quel sabato di Genova.

Giovani, e ancor più che giovani, ragazzi. Non sono marziani, sono i miei figli, sono la nuova generazione. Non parlano lingue sconosciute, ma la mia. Non chiedono cose a me ignote, ma cose che posso comprendere bene. Solo che dicono e fanno ogni cosa in modo diverso, nuovo. E la novità, la grande novità, è la rabbia. Non che io non conoscessi questo sentimento, ma la loro e una rabbia, un profondo, interiore, assoluto scontento, e un’energia nel manifestarlo, una forza che io non ho avuto, né visto, da ragazzo, giovane uomo, adulto. E con quella loro rabbia, che gli vedi insorgente come un geyser, intrattenibile nelle parole, hanno cominciato a rompere, a spaccare.

Vedendo i filmati dalle stupefatte capitali d’Europa, non è così difficile riconoscere i professionisti, quelli che lavorano con metodo a sfasciare e picchiare, quelli che da secoli fanno il lavoretto sporco degli infiltrati, ma è facile vedere che non ci sono solo loro, che il gesto di violenza è diffuso. Credo che lo sarà sempre di più. Perché è nella natura delle cose che sia così, irreparabilmente intrinseco allo stato delle nazioni. E lo sappiamo bene, non c’è nessuna analisi speciale da fare, nessun dibattito che non sia una ipocrita pappina consolatoria.

Non si può spedire un’intera generazione nel vuoto pneumatico pensando che non cerchi di tornare sulla terra, non la si può comprimere all’infinito nel nulla cosmico senza sapere che prima o poi esploderà. Questa generazione non ha niente di quello che hanno avuto i loro padri e che si sono ingegnati a dissipare, il pensiero per primo e la previdenza sociale per ultima. I loro padri che si sono mangiati il modo intero e ora li prendono anche in giro andandogli a spiegare che la festa è finita. Questa generazione non ha parole perché è da quando andava all’asilo che non trova un cane che la stia a sentire, che le dica qualcosa che valga la pena di essere ascoltato, buono o cattivo maestro che sia.

Questa generazione è frutto del ventre nostro, una pancia gonfia di supponenza e inverosimile egotismo. È come se non fossero mai nati quei ragazzi, tenuti nello stato inoffensivo di feti, ad avvizzire nella vita. E vorremmo che fossero ragionevoli. Portatori di una ragione tollerabile agli occhi di padri che si titillano nel sogno perverso di durare in eterno da eterni adolescenti, impotenti innamorati del potere. Ne abbiamo allevato qualcuno perché ci facesse da ventriloquo con toni più convincenti delle nostre voci screditate, ma non funzionerà, non ha mai funzionato.

Non sono tanti, al momento, quelli che ci stanno preoccupando; possiamo ancora illuderci che i più possiamo ancora tenerli a bada continuando a rifornirli di gadget e snack moderatamente aggiunti di anfetamine e narcotici. Ma se non fossimo dimentichi della storia, compresa la nostra, ricorderemmo che bastano pochi a renderci la vita scomoda, a tenerci in angosciante sgomento e paura per tutti i giorni che Iddio manda in terra, e alla fine sono i pochi quelli che fanno saltare in aria tutta la baracca.

Maurizio Maggiani
Fonte: http://www.ilsecoloxix.it/
19.12.2010

via http://www.libreidee.org

3 commenti:

  1. Ho circa la sua età. Abitavo e abito ancora a Bologna e sono cose che ho vissuto tutte. Allora ero artigiano e non avevo troppo tempo per far altro che non fosse mantenere moglie e figli che avevo a casa. Ma quelle cose le ricordo, con rabbia. Quante energie sprecate. Parlavano cani e porci e tutti, dico tutti, pretendevano di dire la cosa giusta. Tante erano le frange sulla piazza ed ognuna diceva cose diverse dalle altre, anche se l'alveo era quello per tutte. In realtà, e lo abbiamo verificato nel proseguio degli anni, tutta questa gente sono diventati giudici, giornalisti, notai, professori ecc. Tutta gente che se hanno voluto, sono diventati baby pensionati e li stiamo mantenendo ancora oggi taluni da più di 30 anni. Non ne conosco uno che in nome della classe operaia della quale tutti parlavano sia andato a lavorare in fabbrica o abbia messo su bottega confrontandosi con il produrre il "grano", quello vero che si spende.
    A mio parere già da allora, dopo poco più di ventanni dalla liberazione, un sacco di giovani del baby boom aveva voglia di guerra. Non mi spiego altrimenti la fregola di scontrarsi con le forze dell'ordine a tutti i costi, il cercare il nemico ovunque e sempre a tutti i costi.
    Interessante il concetto di vuoto pneumatico del pezzo in neretto. Non vuole uscire dalla terra, vuole restarci e fare il meno possibile. Non importa quanti extracomunitari debbano pagare per il loro rimanerci, sulla terra, quelli anche se muoiono fa lostesso. Non mi pare di essermi mangiato chissachè, se guardo indietro ricordo solo lavoro ed il piacere di farlo bene. E fin che la festa è durata, i primi a goderne sono stati i nostri figli che abbiamo potuto mandarli a studiare chissadove sceglievano e poi quando tornavano li mantenevamo a fare un cazzo in quanto con la loro laurea dovevano fare un lavoro adeguato e no si accettava nulla di meno. Grassa, grassissima. E loro parlano e ci raccontano come sono sfortunati fondamentalmente perché non riescono, alla fine questo risulta, fare almeno 2 viaggi l'anno.
    Solo che si finirono i maroni a Lazzaro e abbiamo dovuto costatare che la ricreazione è finita. Anche l'albanese, ora, vuole la previdenza sociale, come il rumeno ed il magrebino. Tutta gente che spinge il nostro contesto sociale e vuole partecipare al banchetto nostro occupando tutti quei poti di lavoro che i nostri figli nemmeno guardano. Per non parlare dell'estremo oriente che anche loro vogliono mangiare una zuppa calda.
    Concludendo: non è mai stato facile, se non per brevi tratti (10 anni o che), vivere senza problemi. Come disse qualcuno: nulla di nuovo sotto il sole... ma rimane l'impressione che sia troppo tempo che non scoppia una guerra.
    Cordialmente Bassi Marco

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  2. Il problema sta nel fatto che parte di ciò che sta avvenendo è anche colpa nostra, perchè abbiamo lasciato che "altri" decidessero per noi, senza curarcene abbastanza. Noi abbiamo il dovere civico di partecipare alla vita politica, non dobbiamo più commettere gli errori del passato.

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  3. Chiedo scusa: capitato sul sito per caso, pensavo fosse lei l'autrice del pezzo... ovvero che Cetta fosse pseudonimo di Maggiani (o viceversa).
    Comunque buona giornata. Marco Bassi

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