domenica 1 maggio 2011

Toni Negri strizza l'occhio a B. - di Marco Travaglio



L'ideologo dell'Autonomia considera 'persecuzioni giudiziarie' sia le inchieste sul terrorismo negli anni Settanta sia le indagini che vedono coinvolto il premier.

Gli psichiatri la chiamano "proiezione": il paziente attribuisce agli altri quel che sta facendo e pensando lui. Silvio Berlusconi ne è un caso di scuola. Soprattutto quando accusa i magistrati (non tutti, si capisce: solo quelli che indagano su di lui e sui suoi amici) di "brigatismo giudiziario". e quando telefona la sua affettuosa solidarietà al candidato milanese Roberto Lassini, strapazzato dal presidente Napolitano e dal sindaco Moratti per i manifesti "via le Br dalla procura", scaricato per forza e scandidato per finta dal pdl lombardo. In realtà furono proprio i terroristi i primi a non riconoscere la "giustizia borghese" dei tribunali della repubblica e a difendersi non nei processi, ma dai processi.

Lui si limita a copiarli, anche se lo fa non da un covo clandestino, ma dalla presidenza del Consiglio, e non con volantini ciclostilati, ma con comunicati ufficiali targati Palazzo Chigi e in comizi assortiti. Della prodigiosa analogia si era accorta per tempo una delle teste più fini dell'eversione rossa: Toni Negri, già leader dell'Autonomia a Padova, poi latitante in Francia, poi condannato per partecipazione a banda armata, poi finalmente rientrato in Italia e arrestato.

Il 3 maggio 2003, mentre il premier faceva il diavolo a quattro per sfuggire al processo Sme con leggi Cirami e lodi Schifani, Negri rilasciò illuminanti dichiarazioni a "L'Infedele" di Gad Lerner, riprese due giorni dopo da Alessandro Trocino sul "Corriere della sera". Anzitutto elogiò la buonanima di San Bettino perché «ero a Parigi e Craxi, allora presidente del Consiglio, mi fece sapere che i servizi stavano architettando qualcosa su di me, consigliandomi di essere cauto. Per questo ancora gli sono grato» (quel "qualcosa" che i servizi architettavano era il tentativo di assicurarlo alla giustizia italiana, a cui era sfuggito grazie all'elezione in Parlamento gentilmente offerta da Pannella).


Poi l'ex leader di Autonomia operaia tributò tutta la sua amorevole solidarietà al Cavaliere perseguitato dai giudici in processi per corruzione giudiziaria: «Pur essendo Berlusconi un mio avversario politico, io sono solidale con lui e con chiunque venga condannato ad anni di carcere da una magistratura come quella italiana che si è di volta in volta alleata con la destra e con la sinistra. Le operazioni giudiziarie, condotte contro di me e contro l'Autonomia negli anni Settanta con la complicità della sinistra, sono state una premessa alle successive cospirazioni giudiziarie contro i socialisti ieri e contro i berlusconiani oggi». Solidarietà non solo a Berlusconi, ma anche al compagno Cesare Previti, «perché io non auguro la galera a nessuno».

Sempre sul "Corriere", lo scrittore Claudio Magris commentò quelle tutt'altro che stupefacenti convergenze e invitò il premier a respingere al mittente quell'imbarazzante solidarietà: «Secondo Negri, leader di Autonomia operaia e condannato per partecipazione a banda armata, vi sarebbe una voluta e pianificata continuità tra le persecuzioni inflitte dalla magistratura italiana ai terroristi negli anni di piombo e le persecuzioni inflitte ora da essa a Berlusconi, al quale Negri ha espresso pubblicamente solidarietà e che evidentemente egli considera "vittima della giustizia borghese" come i condannati per la lotta armata, lotta che ha visto cadere assassinati tanti galantuomini. E' strano che un capo di governo non si senta offeso da tale accostamento e non senta il bisogno di respingerlo».

Ma, perfetto allievo del cattivo maestro, Berlusconi non raccolse l'invito di Magris.

Del resto, nemmeno nell'estate del 2009 provò alcun imbarazzo quando Negri tornò a solidarizzare con lui per lo scandalo D'Addario, la escort pugliese che dopo due notti a Palazzo Grazioli si era ritrovata candidata alle elezioni comunali di Bari in una lista fiancheggiatrice del Pdl sponsorizzata dal ministro Fitto. «Mi spiace per Berlusconi. Le persone che si dichiarano perseguitate mi sono simpatiche», disse Negri al "Riformista" il 27 luglio 2009. E anche quella volta il premier, tutt'altro che imbarazzato, incassò (poi, qualche mese dopo, finse di indignarsi perché il governo del Brasile non ci riconsegnava il pluriomicida latitante Cesare Battisti). Dio li fa poi li accoppia.



Quante divisioni ha Grillo?



A Bologna la sua lista è data al 10 per cento. A Milano i suoi voti possono essere decisivi tra Pisapia e Moratti. A Torino sono già sopra l'Udc. E il Pd si divide tra chi non vuole averci a che fare e chi vorrebbe ascoltare le ragioni del suo movimento.

Un anno fa, alle elezioni regionali del 2010, il loro exploit colse di sorpresa tutti i sondaggisti e in qualche caso fu decisivo: in Piemonte, per esempio, costò la poltrona di presidente della Regione all'uscente Mercedes Bresso del Pd. Ora tutti i ricercatori si sono fatti prudenti: sulle liste del Movimento a Cinque Stelle, benedette da Beppe Grillo, circolano rilevazioni molto positive, alcune addirittura clamorose. Il candidato sindaco di Milano, il giovane Mattia Calise, appena 20 anni, riccioli neri e una certa sfrontatezza di esposizione, si presenta come un semplice studente di Scienze politiche, ma nelle (rare) apparizioni televisive ha sfoderato la faccia tosta del veterano.

All'"Infedele" di Gad Lerner ha fatto infuriare il senatore berlusconiano Giampiero Cantoni con i dati del World Economic Forum sull'inefficienza del governo e si è rifiutato di rivelare per chi voterebbe al ballottaggio, sgusciando come un andreottiano dei bei tempi. Funziona, però: i sondaggi lo collocano tra il 4 e 5 per cento, sarebbe determinante nel caso di un secondo turno Moratti-Pisapia, così come il Nuovo Polo di Manfredi Palmeri, che è all'attenzione di tutta la politica nazionale. E non sarebbe neppure una novità: alle regionali di un anno fa a Milano città l'ignoto candidato dei grillini Claudio Crimi prese più voti di un combattente di mille battaglie come Savino Pezzotta, ex segretario della Cisl e deputato dell'Udc: 3,4 contro 3,1. Più o meno come a Torino, dove i grillini presero un punto in più dei centristi di Casini, che anche in quel caso si credevano decisivi e furono irrilevanti.

Percentuali positive ma ancora lontane da quelle toccate nella vera roccaforte del grillismo, l'ex capitale rossa Bologna. Un anno fa Giovanni Favia arrivò in città a 18 mila voti, il 9 per cento, terza lista dopo Pd e Pdl, più della Lega e di Idv, Sinistra e libertà, Rifondazione ecc. Ora i Cinque Stelle ci riprovano con il fotografo Massimo Bugani, caricato a molla dal comico-leader: "Con te non c'è speranza per gli avversari".

Qualche sondaggio lo dà addirittura intorno al 10 per cento: se fosse così si avvicinerebbe il ballottaggio per il candidato del Pd Virginio Merola, contro lo sfidante della Lega. E a quel punto, altro che aperture al centro, per il Pd la sfida diventerebbe acchiappare i voti di Grillo. Difficile. Perché un movimento che si definisce anti-casta non controlla pacchetti di voti, non è in grado di trasferire il consenso su altri. Con candidati giovani, che sventolano programmi carichi di richiami all'innovazione, alla difesa ambientale, al risparmio energetico, più simili ai Verdi tedeschi che alla logora sinistra radicale italiana. Se corteggiarli è inutile, sarebbe più vantaggioso provare a capire cosa vogliono gli elettori grillini, l'ha proposto nel Pd il consigliere regionale Giuseppe Civati. Per ora abbastanza isolato.



La Chiesa approvò Guantanamo. - di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi



I cablo di WikiLeaks rivelano che, ai tempi di Wojtyla, in Vaticano si discusse dei trattamenti disumani inflitti nel campo di prigionia illegale: e alla fine fu deciso di appoggiare comunque la mano dura degli Usa.

Guantanamo? La Santa Sede sta con gli americani. Lo assicura monsignor Mariano Montemayor nel gennaio 2002, pochi mesi dopo l'inizio della guerra al terrorismo. L'alto prelato in quei giorni era responsabile vaticano per Pakistan ed Afghanistan mentre oggi è stato promosso nunzio in Senegal. E sembra fare di tutto per aiutare gli Stati Uniti: li informa delle manovre russe e del dibattito interno a San Pietro, con uno zelo che sorprende anche gli interlocutori statunitensi. Perché? "Figlio di un alto ufficiale della Marina argentina, Montemayor ha detto che in passato lui e la sua famiglia hanno vissuto sotto scorta della polizia per le minacce. Il suo background argentino appare essenziale nel feroce giudizio sul terrorismo di al Qaeda".

E' uno dei documenti più impressionanti dell'ultima ondata di cablo diffusi da WikiLeaks, che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, sul campo di concentramento costruito per custodire e interrogare i presunti combattenti fondamentalisti. In questo cablo inedito, l'ambasciatore Jim Nicholson, l'ex colonnello dei berretti verdi mandato da Bush in Vaticano, riporta i commenti del monsignore, descritto come una sorta di nostalgico della dittatura di Buenos Aires: "Come argentino, Montemayor si trova in acque familiari, legalmente ed eticamente, nello sviluppo del suo approccio a Guantanamo. E si è chiesto se i tribunali militari argentini del passato potranno presto trovare i loro equivalenti americani".

Erano le settimane in cui talebani e terroristi venivano catturati a centinaia in Afghanistan. E il mondo si interrogava sul loro destino. "La questione del trattamento dei prigionieri potrebbe diventare importante all'interno del Vaticano, dove un dibattito interno teso si è chiuso con un solido sostegno - con qualche riserva - alla campagna guidata dagli Stati Uniti.

Montemayor ha ripetuto i commenti iniziali secondo i quali alcune voci vaticane, temendo un disastro umanitario per i raid in Afghanistan, hanno spinto per una posizione della Santa Sede meno disponibile verso gli Usa. Ma ha notato con soddisfazione che, contrariamente alle previsioni dei soliti pessimisti, l'intervento statunitense ha chiaramente migliorato le condizioni umanitarie in Afghanistan".

Il prelato inoltre mette in allerta gli americani sui progetti segreti di Mosca per sfruttare la vicenda di Guantanamo: "Montemayor ci ha parlato più volte di conversazioni con un diplomatico russo ritenuto un elemento dell'intelligence, Dmitry Shtodin. Ha spiegato che la Federazione russa sta studiando con attenzione il trattamento inflitto dagli Stati Uniti ai detenuti in cerca di un precedente che giustifichi il modo in cui trattano i prigionieri ceceni". Dmitry Shtodin è ancora primo consigliere dell'ambasciata russa a Roma, spesso impegnato in iniziative benefiche come il restauro di chiese e monumenti danneggiati dal terremoto in Abruzzo.








Monica Rizzi, la saga dell’assessore leghista continua: dalla maga ai dossier. - di Gianni Barbacetto.



Nuovo capitolo della saga di Monica Rizzi, la leghista della Valcamonica già levatrice elettorale di Renzo Bossi poi diventata assessore regionale lombardo allo Sport, e della sua maga di fiducia,Adriana Sossi. Capitolo perfino più inquietante delle puntate precedenti, raccontate sulle pagine di questo giornale già dall’aprile dell’anno scorso: ora compaiono sulla scena accuse di dossieraggio ai danni degli avversari politici interni alla Lega.

Protagonista, un sottufficiale della Guardia di finanza in forza al Comando provinciale di Brescia, il maresciallo Francesco Cerniglia, in contatto con l’assessora e la sua maga. Avrebbe creato dossier illegali su esponenti del Carroccio considerati “traditori” della Lega o comunque concorrenti o avversari personali di Monica Rizzi. Tra le vittime del dossieraggio ci sarebbero l’ex consigliere regionale Ennio Moretti, il vicesindaco di Salò, un dirigente dalla Asl di Mantova e due giornalisti, Marco Marsili, ex addetto stampa di Monica Rizzi, e Leonardo Piccini, collaboratore del “Fatto Quotidiano”. Sono gli ultimi due a sostenere che il maresciallo avrebbe redatto dossier illegali, anche attingendo informazioni da banche dati delle forze di polizia.

Accuse gravi. Sarà ora la Procura di Brescia, a cui i due giornalisti si sono rivolti, a verificare se le loro denunce sono fondate. Una prima conferma la dà Giulio Arrighini, ex parlamentare del Carroccio poi uscito dal partito e oggi segretario nazionale della Lega Padana. Racconta di aver ricevuto la visita di un misterioso personaggio che non si è presentato, ma gli ha fatto vedere un faldone pieno di cartelline con notizie sulla vita privata di esponenti della Lega. Arrighini ha annusato odor di vendette interne al partito e ha detto di non essere interessato alla merce. Non ha alcuna certezza, naturalmente, che si trattasse di Cerniglia o di materiale riconducibile a lui. Secondo i due giornalisti che hanno presentato la denuncia, però, il maresciallo collabora, nel tempo libero, con la Cagliostro

Investigazioni, un’agenzia privata di Brescia che fa capo proprio ad Adriana Sossi, la maga di Monica Rizzi nonché autrice dell’imperdibile libro “La mia vita con gli spiriti”: Adriana è in contatto, beata lei, con “un extraterrestre della galassia di Oron”, ma è anche beneficiaria di una collaborazione remunerata (4 mila euro) con la Regione di Roberto Formigoni. Ottenuta naturalmente grazie a Monica Rizzi, che già da mesi deve affrontare cattiva stampa a causa di alcune sue mosse false. La prima è l’esibizione di un titolo di “psicologa e psicoterapeuta infantile”, specializzata nel “recupero dei minori abusati”, senza ahimè essere iscritta all’Albo degli psicologi, né avere uno straccio di laurea. La seconda è una letteraccia, rivelata dal “Fatto Quotidiano” il 10 marzo, inviata all’assessore al lavoro della Provincia di Brescia per protestare contro una funzionaria dell’ispettorato provinciale del lavoro colpevole di aver fatto i controlli di legge in aziende in cui è coinvolto il suo fidanzato, l’imprenditore Alessandro Uggeri. Ora arriva la storia dei dossieraggi. L’assessora della Valcamonica nega tutto: “Smentisco in maniera categorica le illazioni, totalmente prive di fondamento, circa fantasiosi dossier”. E promette querele.

Da Il Fatto Quotidiano del 28 aprile 2011

Libia, ambasciata italiana in fiamme La Farnesina: “Noi andiamo avanti”.


Sotto assedio anche le sedi dell'Onu nella capitale libica. In nottata è arrivata la notizia della morte del figlio più giovane del Colonnello. I ribelli hanno festeggiato con grida di giubilo. Preoccupazione da parte del nostro ministro dell'Interno dopo la dichiarazione di guerra all'Italia da parte del Raìs.


Prima la morte (presunta) del figlio più giovane del Raìs, ora un incendio all’ambasciata italiana a Tripoli confermato poco fa dalla Farnesina. La notizia inquieta e non poco alla luce delle parole pronunciate ieri da Gheddafi: “Porteremo la guerra in Italia”. Frasi considerate preoccupanti dal ministro Maroni. ”Gli attacchi contro gli edifici della nostra ambasciata – si legge, invece, in una nota del ministero degli Esteri – non indeboliranno la determinazione dell’Italia a continuare la propria azione, insieme agli altri partner, a difesa della popolazione civile libica in ottemperanza alla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite”. La situazione, però, preoccupa e non poco. Oltre alla nostra ambasciata, infatti, sono state attaccate le sedi dell’Onu. Da qui l’annuncio delle Nazioni Unite di ritirare tutto il proprio personale internazionale dalla capitale libica. La Gran Bretagna, intanto, ha deciso l’espulsione dell’ambasciatore di Libia, “in seguito ad attacchi contro le missioni diplomatiche a Tripoli”, fra cui “l’ambasciata britannica”. Lo ha annunciato oggi il ministro degli esteri William Hague.

La morte del figlio del Raìs sembra aver rinforzato la controffensiva lealista. L’artiglieria del Colonnello ha di nuovo sparato contro la città tunisina di Dehiba, al confine con la Libia. Nei giorni scorsi, nell’area c’erano stati scontri con i ribelli per la conquista di una postazione alla frontiera tra i due Paesi. Nel frattempo i ribelli fanno sapere che l’esercito sta tentando di avanzare su Zenten, città a sud ovest della capitale.

La situazione si complica. E non solo sullo scacchiere libico. Decisivo, a questo punto, è il voto di martedì prossimo sulle tre mozioni presentate da Pd, Idv e Lega. Tema sul quale è intervenuto proprio oggi Umberto Bossi annunciando, senza tanti giri di parole, che se il Pdl “non voterà la nostra mozione, il governo cade”. Eppure uno dei paletti del Carroccio, la data della fine del conflitto, sembra lo scoglio maggiore. “Fissare una data certa è complesso”. Questa la posizione del ministro Frattini.

Il figlio di Gheddafi ucciso e le critiche russe.

Nella notte i raid della Nato hanno ucciso Saif al-Arab Gheddafi, ultimogenito del leader libico. Nell’attacco, secondo quanto racconta un portavoce del governo di Tripoli, hanno perso la vita anche tre nipoti del colonnello. Il leader libico Muammar Gheddafi si trovava nell’edificio colpito da un raid della Nato, ma è rimasto illeso. L’attacco dell’alleanza atlantica ha sollevato dure critiche da parte del governo russo, per il quale, è stato fatto un uso sproporzionato della forze, andando così oltre la risoluzione dell’Onu. E mentre monta la polemica internazionale, sempre oggi il ministro dell’Interno Bobo Maroni è tornato sulla dichiarazione di guerra del Colonnello all’Italia. “Le parole di Gheddafi – ha detto il capo del Viminale – confermano che la situazione è da tenere sotto controllo, lo stiamo facendo e abbiamo intensificato azioni di verifica sul territorio nazionale”. In più la notizia della morte di Saif al-Arab Gheddafi “farà arrabbiare Gheddafi ancora di più”. Da quando è scoppiata la crisi libica comunque “noi abbiamo intensificato le attività di controllo per evitare che succeda qualcosa”.

La notizia della morte del figlio del Raìs è giunta nella notte. I ribelli di Bengasi hanno accolto l’uccisione dell’ultimo figlio di Gheddafi, con urla di giubilo e continue salve di mitra sparate in aria. “Sono così contenti che Gheddafi abbia perso suo figlio che stanno sparando in aria per celebrare (l’evento)”, ha dichiarato il colonnello Ahmed Omar Bani, portavoce militare del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi.

Saif al-Arab Gheddafi era il sesto ed ultimo genito del leader libico. Nato nel 1982, è il figlio di Safia Farkash, la seconda moglie di Gheddafi. Saif al-Arab era anche il figlio più gaudente e meno coinvolto nella gestione dello Stato. Dal 2006 ha studiato a Monaco di Baviera alla Tecnische Universitat. Qui è rimasto coinvolto in una rissa con una guardia del corpo di un night club per difendere la fidanzata che era stata allontanata dal locale. La polizia tedesca nel 2008 gli sequestrò la potente Ferrari 430 per l’eccessivo rumore del motore che si divertiva a mandare fuori giri di notte. Lo stesso anno fu sospettato di contrabbandare armi da Monaco a Parigi in un’automobile con targa diplomatica. Il caso però fu lasciato cadere dalla procura del capoluogo bavarese.

Era Muammar Gheddafi il vero obbiettivo del raid della Nato. Lo ha detto il portavoce del governo di Tripoli, Mussa Ibrahim, in una conferenza stampa. “L’operazione mirava ad assassinare direttamente il leader di questo paese”, ha detto Ibrahim ai giornalisti. “La Guida (Gheddafi) è in buona salute, non è rimasto ferito, sua moglie è anche lei in buona salute e non è rimasta ferita ma altre persone sono state colpite”, ha detto Ibrahim. “L’attacco ha provocato il martirio del fratello Saif al-Arab e quella di tre nipotini della Guida”, ha aggiunto il portavoce. Saif, ha poi detto, aveva 29 anni. In precedenza il portavoce aveva accompagnato i giornalisti stranieri a vedere un edificio bombardato a Tripoli. Visti i danni, molti dei giornalisti hanno dato per scontato che non ci fossero sopravvissuti.

Muammar Gheddafi per la seconda volta sopravvive a un bombardamento aereo. La prima volta perse la figlia, anche se adottiva. Era il 15 aprile 1986 i caccia-bombardieri F111 Usa su ordine dell’allora presidente Ronald Reagan effettuariono un bombardamento su Tripoli ma anche quella volta il Colonnello se la cavò.



Il Trota a Gheddafi: “Non siamo colonizzatori”.



“Nessun governo colonizzatore”. È questa la risposta di Renzo Bossi al colonnello Gheddafi, che nelle ultime ore ha rincarato le accuse contro l’Italia, definendo il governo di Berlusconi “fascista e colonizzatore”. Il figlio del Senatùr non raccoglie le provocazioni, e sull’intervento in Libia, causa dello scontro tra premier e Carroccio, guarda avanti: “In ogni caso l’impegno dovrà essere breve – spiega – per riportare a casa i nostri il più in fretta possibile”. Soltanto ieri sera il leader della Lega Umberto Bossi aveva assicurato che “sulla Libia non si tratta”. Ma l’alleanza con Berlusconi non è in discussione: “Con i voti del Pdl stiamo portando a casa il federalismo”, ricorda ancora Renzo Bossi, che chiarisce: “La Libia è una cosa, il governo un’altra”. Video di Franz Baraggino.



Da Bossi ultimatum a Berlusconi "Se non vota la mozione salta il governo".


Il leader del Carroccio riaccende lo scontro sulla missione militare mentre Maroni parla degli immigrati: "La mia previsione di 50 mila profughi in arrivo temo si avvererà". Polemica con la Ue: "L'Europa non reagisce, non dà risposte, pone solo limiti"

ROMA - Nella doccia scozzese sul caso Libia alla quale la Lega sta sottoponendo da giorni Silvio Berlusconi oggi è la volta dell'acqua gelata. "Se non la vota vuol dire che vuol far saltare il governo", ha tagliato corto stamane Umberto Bossi in riferimento alla mozione presentata dal Carroccio 1 per fissare una data precisa alla fine dell'intervento italiano nella missione Nato. Bossi, che sta partecipando alla 'Batelada', una passeggiata organizzata dal Sindacato Padano sul battello al lago di Como, ha quindi ribadito il suo no all'intervento contro il regime di Gheddafi: "Non serve a niente bombardare ammazzi solo la gente. Poveracci, poi scappano".

Prima di Bossi a riaccendere lo scontro sulla vicenda libica tra alleati della maggioranza era stato il ministro dell'Interno Roberto Maroni. "Le parole di Gheddafi 2 - aveva avvisato - confermano che la situazione è da tenere sotto controllo, lo stiamo facendo e abbiamo intensificato azioni di verifica sul territorio nazionale". Intervenendo a margine dell'inaugurazione di una sede della Lega Nord, il titolare del Viminale ha parlato anche del problema degli immigrati. "In un giorno - ha sostenuto Maroni - sono arrivati 3 mila profughi dalla Libia. Spero non accadrà, ma se continua così la mia previsione di 50 mila arrivi purtroppo si realizzerà".

Maroni ha tenuto a sottolineare che trattandosi di rifugiati in fuga da una guerra "non possono essere rimandati indietro finché c'è la guerra in Libia e la regola europea è che se i rifugiati arrivano in un Paese devono rimanere li". Poi il ministro leghista rinfocola la polemica con l'Unione europea. "Ho fatto l'accordo con la Tunisia, che sta funzionando - spiega - ma sto ancora aspettando che l'Europa mi dia una risposta se vuole collaborare: Se non ci muovevamo noi eravamo ancora all'inizio". A giudizio di Maroni "l'Europa non reagisce, non dà risposte, pone solo limiti". Detto questo, il ministro dell'Interno ha precisato di non voler passare per quello che si lamenta e basta. "Noi non ci lamentiamo - ha continuato -, chiediamo all'Unione Europea, a cui diamo 14 miliardi di euro all'anno, di darci una mano quando ci sono problemi gravi".

Quanto allo scontro con il premier Maroni ricorre all'ironia. "Berlusconi - ha detto - è una persona che adoro perché è il presidente del Milan ma nonostante ciò abbiamo polemizzato con lui sulla questione della Libia. E' una polemica giusta perché abbiamo ragione noi".

Malgrado il rialzarsi dei toni, l'opposizione resta però scettica sulle reali intenzioni di Bossi. "Come previsto la Lega torna a seguire il Carroccio dell'imperatore e getta fumo negli occhi per far star buoni i suoi elettori - si legge in una nota diffusa dall'ufficio stampa del Pd - Ancora una volta Bossi, pur di avere le prebende a Roma, abbassa lo spadone nel Nord. Possono dire quello che vogliono e mettere tutte le scuse del mondo, ma la sostanza è che, come avevamo previsto, la Lega grida al nord solo per fare propaganda. La realtà è che sostiene Berlusconi, tutte le sue leggi e tutti i suoi affari". Analisi simile arriva dall'Udc. "Al di là delle dichiarazioni minacciose la Lega - afferma il deputato e responsabile enti locali dell'Udc, Mauro Libè - non ha nessuna intenzione di opporsi realmente all'intervento in Libia. Tutte le polemiche e i ricatti più o meno velati di questi giorni, infatti, hanno il solo obiettivo di rafforzare la posizione del Carroccio all'interno della bellicosa e variegata coalizione di maggioranza dopo l'ingresso dei responsabili, forti del merito acquisito negli ultimi voti di fiducia". "Bossi - prosegue l'esponente centrista - ha ben chiaro che per ottenere qualcosa da Berlusconi non serve un progetto politico, ma si deve far intravedere al Cavaliere una possibile crisi di governo. Alla fine, dunque, tutto si risolverà nel recupero di Brigandì come sottosegretario".