La missiva fu inviata e ricevuta, ma non ottenne risposta. Per trent'anni un'unica copia di quel documento è rimasta sepolta nell'archivio del figlio di Sindona, Nino.
Oggi Nino Sindona, che era stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli da parte di un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano e poi assolto, vive in Brasile, dove si è sposato e ha avuto un figlio. Gestisce una catena di ristoranti italiani, ma ha tagliato ogni ponte con il suo Paese d'origine. E' stato lui a decidere, dopo decenni di silenzio, di consegnarci una copia della "Lettera al Presidente". E' una lunga arringa difensiva: l'ultimo grido d'aiuto del potentissimo banchiere piduista, uno dei grandi vecchi della Prima Repubblica.
Ecco il contenuto della lettera, che si può vedere nella gallery sopra. Domani, sempre su GQ.com, altri dettagli sulla lettera.
7 settembre 1981
Al Presidente degli Stati Uniti
Casa Bianca
Washington, D.C. 20500
Signor Presidente:
Il mio nome è Michele Sindona. Sono un cittadino italiano e ho 61 anni. Sono un detenuto delle prigioni federali degli Stati Uniti d'America dal 7 febbraio 1980.
Attualmente sono nel Centro Medico della prigione federale di Springfield, Missouri. Il mio numero di matricola è 00450-054. Sono stato condannato due volte a 25 anni di carcere per bancarotta fraudolenta.
Io mi sono sempre sentito un amico degli Stati Uniti d'America. Sono stato perseguitato dalla Sinistra italiana soltanto perché mi sono battuto con tutte le mie forze per il rispetto delle istituzioni italiane e l'elezione di un governo veramente democratico che potesse onorare le alleanze con i Paesi occidentali, in primo luogo con gli Stati Uniti.
(…) Ho comprato un giornale italiano in lingua inglese per evitare che cadesse nelle mani della sinistra (…) Ho studiato il modo per evitare che la sinistra italiana prendesse il controllo della stampa e della televisione. Per questi miei tentativi la sinistra italiana ha fatto di me un bersaglio e ho rischiato la vita in più di una occasione.
(…) Il Consiglio superiore della magistratura, di cui fanno parte in maggioranza rappresentanti della sinistra, ha cacciato il presidente della Corte di Cassazione che aveva sottoposto un affidavit nel quale si affermava che i giudici italiani avevano illegalmente dichiarato che le mie banche fossero in bancarotta.
(…) Ho descritto solo una parte delle incredibili torture morali, psicologiche e talora perfino fisiche che ho dovuto subire. Ora mi rivolgo a Lei, signor presidente, con la speranza di ottenere protezione e serenità per la mia famiglia. Gli Stati Uniti hanno duramente criticato le dittature che perseguitano le famiglie di coloro i quali considerano criminali. Io mi sono soltanto battuto per la democrazia e la giustizia, e a causa di questo sono stato perseguitato dai comunisti italiani. Sono ancora convinto che gli Stati Uniti siano il solo Paese capace di salvare la mia patria e l'intero mondo libero dalla minaccia comunista. L'Italia ha bisogno di recuperare tre valori: lavoro, famiglia e fede. La propaganda di sinistra ha distrutto questi valori, così come ha distrutto la democrazia e il tessuto stesso dello Stato. Nessuno vuole più lavorare perché confida nell'assistenza sociale. La ricca famiglia italiana di un tempo è ora soltanto un ricordo. Quanto alla fede, un tempo valore stabilizzante, è stata perduta dagli italiani. (…) Io resto nella tempesta e da qui le grido: "E' questo quel che accade a un amico degli Stati Uniti?"
Rispettosamente suo,
Michele Sindona