Tutto ha inizio con il colpo di mano del governo che ha abrogato le norme che consentono la produzione e l'installazione di centrali nucleari, rendendo inutile il referendum. La Corte di Cassazione ha risposto la scorsa settimana precisando che, è vero, le norme sul nucleare sono state abrogate, ma hanno introdotto due norme totalmente diverse in materia di strategia energetica. E, dunque, il quesito va riscritto e comunque posto agli elettori nella nuova formula, in cui si parla di strategia energetica e non di centrali nucleari. Tutt'altra cosa, insomma, rispetto a quanto proposto dai comitati referendari e su cui si sono raccolte le firme.
Fa nulla, hanno avvertito i sostenitori del referendum, bisogna andare a votare lo stesso. A questo punto gran parte di quelli che andranno a votare penseranno di esprimere con il loro sì, il no alle nuove centrali nucleari. In realtà si parlerà di altro. Ma se dovesse arrivare una valanga di sì tutti interpreterebbero comunque la scelta come un chiaro segnale di stop agli impianti anche se nel quesito non ce n'è traccia. Geniale, no?
Il governo, invece, ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale attraverso una richiesta di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, mentre il Pd ha presentato un’istanza di rigetto. La sentenza è attesa per domani, quando mancheranno cinque giorni all’apertura delle urne.
In caso di sentenza favorevole alla riscrittura del quesito i sostenitori del Sì esulterebbero perché vorrebbe dire poter esprimere la propria opinione sul nucleare in Italia, a dispetto dei tentativi del governo di far scomparire la domanda. Ma un istante dopo, lo sanno bene, inizierebbero i problemi.
In cinque giorni vanno ristampate e spedite di nuovo 50 milioni e oltre di schede. Finché si tratta di mandarle ai seggi italiani si tratta di un’impresa difficile e costosa ma non impossibile. Il problema vero si pone quando si considera che all’interno dei 50 milioni ve ne sono 3 che votano all’estero, e per estero si intende il mondo intero. E’ il nodo irrisolvibile legato alla sentenza della Corte Costituzionale, un dilemma che può diventare decisivo anche ai fini dell’esito del referendum.
Sono tre milioni e oltre di voti, possono rivelarsi determinanti per il raggiungimento del quorum. Ma che cosa succederebbe se si chiedesse loro di votare di nuovo? Lo deciderà la Corte Costituzionale chiamata oggi a nominare il suo nuovo presidente.
Antonio Di Pietro lo scrive a chiare lettere sul suo blog e comunque domani sarà insieme ad una delegazione dell’Idv alla Corte Costituzionale come Comitato promotore a chiedere che il quesito venga ammesso: «C’è un problema nei referendum: il quorum. Bisogna raggiungerlo sapendo che non è del 50 ma del 60%. Questa volta, infatti, ci troviamo in una situazione delicatissima provocata da questo governo. Ci sono tre milioni e mezzo di italiani all’estero che hanno già votato sull’altro quesito referendario, quello modificato dalla Corte di Cassazione. Il risultato è che noi, per stare tranquilli, dobbiamo superare abbondantemente il 50%, perché altrimenti son pronto a scommettere che il ministero degli Interni farà il possibile per non conteggiare i voti degli italiani all’estero».
I parlamentari dell’opposizione in una lettera al governo hanno prospettato due soluzioni: «considerare valido per l’estero il vecchio quesito o, nel peggiore dei casi, non considerare il voto all’estero ai fini del conteggio del quorum». Soluzione che fa andare su tutte le furie i comitati di italiani all’estero. Una lettera ufficiale è partita dalla Svizzera, altre dovrebbero arrivare.
Anche studenti Erasmus e cooperanti delle Onlus non potranno partecipare al voto. Lo denuncia Franco Narducci, deputato del Pd: «La norma li esclude e il decreto è arrivato in aula con un ritardo tale da tendere impossibile un aggiustamento». Chi vuole può tornare in Italia a votare. Il biglietto verrà rimborsato, facendo crescere ancora il costo del referendum per le casse dello Stato.