domenica 5 giugno 2011

Soffia il vento del popolo sovrano. - di EUGENIO SCALFARI



Venticinquemila persone hanno formato una lunghissima fila a Milano per poter stringere la mano al neo sindaco Giuliano Pisapia nel giorno del suo insediamento a Palazzo Marino. Un fatto simile non era mai accaduto né a Milano né altrove anche perché una fila lunga chilometri non somiglia ad una piazza affollata e urlante di passione e di insiemità. La fila invece è silenziosa e ciascuno sta con se stesso e con i propri pensieri tra i quali domina la decisione di testimoniare che un cambiamento è avvenuto e che il testimone l'ha vissuto con civica partecipazione.

Segnalo questo episodio per rispondere a coloro che subito dopo i ballottaggi del 30 maggio si sono posti la domanda su chi abbia perduto e su chi abbia vinto le elezioni amministrative. La loro sentenza ha avvistato come perdente Silvio Berlusconi e la coalizione da lui guidata, ma non ha trovato alcun vincitore. O meglio, un vincitore secondo loro c'è stato ed è il popolo delle astensioni, schifato dalla politica e dalla casta che accomuna in un unico disprezzo la destra, il centro e la sinistra. Il vincitore sarebbe stato insomma Beppe Grillo e chi la pensa come lui.

Coloro che hanno emesso questo responso non si sono forse accorti che il suddetto comico, subito dopo avere appreso i risultati elettorali, è esploso in una rabbiosa invettiva contro i vincitori manifestando la sua delusione. Dunque il vincitore non era lui.

La verità è che ha vinto lo spirito civico contro chi finora aveva manipolato le istituzioni e le coscienze. Ha vinto a Milano,
a Torino, a Napoli, a Bologna, a Cagliari, a Trieste, a Vicenza, a Novara, a Mantova, a Crotone, a Macerata e in tanti altri luoghi e con esso hanno vinto le forze politiche che si sono identificate con quel risveglio delle coscienze e del civismo, hanno lavorato per farlo emergere, si sono offerti come sostegni, strutture organizzative, punti di riferimento politici.

Non è l'antipolitica grillina ad aver vinto ma la Politica una volta tanto con la P maiuscola. Capisco che a molti Soloni da strapazzo questa lettura oggettiva dei fatti non piaccia; capisco che il rabbioso sfogo di Grillo li imbarazzi e ancor più il fatto della presenza di molti grillini che hanno inneggiato a Pisapia in piazza del Duomo, a Fassino in piazza San Carlo e a de Magistris in piazza Plebiscito; ma così sono andate le cose e a questa vittoria della politica dovete rassegnarvi.

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Il primo riscontro di quella vittoria c'è stato appena due giorni dopo nei giardini del Quirinale, all'assemblea della Banca d'Italia, durante la sfilata del 2 giugno ai Fori e poi nella cena di Giorgio Napolitano con i capi di Stato venuti da tutto il mondo per celebrare a Roma i 150 anni dalla nascita dello Stato unitario italiano.

Napolitano non gradisce che lo si descriva come il contraltare politico di Berlusconi e sottolinea la diversa natura della presidenza della Repubblica rispetto alla presidenza del Consiglio. Sono due istituzioni che si muovono su piani diversi, l'inquilino di Palazzo Chigi è uno dei giocatori nel campo della politica mentre l'inquilino del Quirinale ha il compito di far rispettare le regole della partita che si svolge sotto la sua sorveglianza arbitrale.

Accade tuttavia che i due piani confliggano con frequenza crescente per la semplice ragione che Berlusconi ha una concezione autoritaria della democrazia profondamente diversa da quella configurata nella nostra Costituzione. Ma sarebbe tuttavia sbagliato trasformare il Quirinale in un soggetto politico deformandone con ciò la natura e il ruolo.

Resta il fatto che quel ruolo è cresciuto d'importanza e riscuote consenso e fiducia sempre maggiori in proporzione inversa a quanto sta accadendo per il governo e per chi lo guida. Questa non è un'opinione ma una notizia e con le notizie è inutile polemizzare.

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La sconfitta del centrodestra alle elezioni amministrative ha fatto emergere la crisi che da tempo covava all'interno del Pdl ed ha seriamente indebolito il rapporto di alleanza con la Lega.

I referendum del 12 e 13 giugno possono infliggere - a distanza di due settimane - un secondo colpo ancor più micidiale al centrodestra provocandone la definitiva implosione. Siamo ora in attesa della decisione che la Corte costituzionale prenderà martedì prossimo sul quesito che riguarda il referendum sull'energia nucleare dopo la pronuncia della Cassazione che ha giudicato tuttora in piedi la richiesta referendaria confermando la consultazione del 12 giugno prossimo.

Se la pronuncia della Consulta sarà conforme a quella della Cassazione, se i referendum raggiungeranno il quorum "del 50 per cento più uno" e se i "sì" avranno la meglio sui "no" verrebbero cancellati tre aspetti fondamentali della politica di centrodestra attinenti all'energia, all'ecologia e alla giustizia.

Il governo aveva tentato nei giorni scorsi di de-politicizzare l'appuntamento referendario, ma venerdì ha deciso di cambiare rotta opponendosi con un ricorso alla Corte costituzionale alla consultazione referendaria. Ha in tal modo imboccato la stessa strada e ripetuto lo stesso errore che aveva compiuto nelle elezioni amministrative politicizzando al massimo anche quella referendaria.

Esiste tuttavia una profonda differenza tra quei due appuntamenti. In quello amministrativo sono andati alle urne circa 7 milioni di elettori su 13 milioni di aventi diritto. Se i referendum del 12 giugno raggiungeranno il "quorum" saranno nell'ipotesi minima 25 milioni e mezzo di elettori a deporre la loro scheda nelle urne. Si esprimerà cioè il popolo sovrano direttamente, senza dover passare per il filtro dei partiti e delle liste. Il popolo sovrano e il cittadino diretto portatore della sovranità diffusa esprimeranno la loro volontà anzitutto con la partecipazione e poi nel merito con un "sì" o con un "no".

Se questo avverrà, sarà molto difficile per il Pdl continuare ad appellarsi all'autorità che gli deriva da un popolo che gli ha dato torto per la seconda volta nell'arco di un mese. Vorrà dire che il vento è veramente cambiato e che la sola strada da percorrere sarebbe quella d'un governo nuovo di zecca che gestisca gli ultimi due anni di questa legislatura oppure - se quell'ipotesi non si verificasse - lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni.

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Si pone a questo punto la domanda: che cosa accadrebbe se Berlusconi e il suo governo rifiutassero di passare la mano e continuassero pervicacemente a restare appoggiati alle poltrone? Possono farlo?

Teoricamente sì, possono farlo: un governo, a norma della Costituzione, deve dimettersi quando il Parlamento gli vota la sfiducia. Senza questo passaggio rimane in carica. Per fare che cosa? Per governare.

È quello che gli si chiede invano da tre anni. Finora l'ha chiesto l'opposizione ed una parte consistente dell'opinione pubblica, ma ora glielo chiedono anche gli italiani che fin qui l'hanno sostenuto con un consenso che sta smottando ogni giorno di più. Lo chiedono addirittura i suoi più fedeli sostenitori che si sono auto-battezzati "servi liberi e forti". Una definizione singolare e non facile da interpretare, forgiata dal Foglio che fa della libera servitù una sorta di nuova divisa fondata sul paradosso.

Che cosa vogliono questi "pasionari" che hanno liberamente accettato di servire il Cavaliere? Lo scrive per tutti loro Giuliano Ferrara: vogliono che Berlusconi torni ad essere quello che fu nel '94, rinverdisca la sua grinta e il programma di allora, si ripresenti in questa nuova foggia e si riprenda il suo popolo che gli è sfuggito di mano.

Sembra una richiesta difficile quella di rimettere le lancette del tempo indietro di 17 anni per poter riprendere lena e saltare in avanti. Perciò siamo andati a rivisitare con la memoria e la documentazione come era 17 anni fa l'uomo Berlusconi e il suo programma.

Ebbene, i "servi liberi e forti" non chiedono assolutamente niente: il Cavaliere era allora quello che è oggi (a parte la pancia che allora non aveva e i capelli che invece gli ornavano il cranio). Lui era sbruffone, bugiardo e megalomane tal quale è tuttora. Il programma era meno tasse, meno Stato, crescita economica, maggiore reddito, più lavoro, più sicurezza. Ed è ancora quello per la semplice ragione che quel programma non è mai stato attuato.

Cari servi liberi, la vostra richiesta è la più eloquente testimonianza che 17 anni sono stati dissipati. La vostra libera servitù ha soltanto contribuito a creare una palude piena di miasmi nella quale avete impantanato un Paese che ora finalmente ha deciso di alzarsi e camminare senza di voi.



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