lunedì 6 giugno 2011

Allarme NUCLEARE altro che GIAPPONE Lannes



http://informarexresistere.fr/category/lotte-resistenze/gianni-lannes-lotte-r...
IL giornalista Gianni Lannes è stato a Caorso, nella più importante centrale nucleare e qui ha scoperto entrando di nascosto, senza autorizzazione, che il governo Berlusconi ha affidato lo smantellamento delle centrali nucleari alla ndrangheta, che sta dietro una società che si chiama Ecoge che ha sede a Genova. Questa società carica i rifiuti nucleari in dei container che da Caorso vanno a Genova e poi a La Spezia, in attesa di navi su cui caricarli e verranno affondate.

La Stampa ha impedito a Lannes di pubblicare l'inchiesta e nessun altro giornale l'ha voluta questa inchiesta.

Guarda anche la video-inchiesta:

http://www.youtube.com/watch?v=xATSW_xDI80

Per saperne di più:
http://www.giornalettismo.com/archives/51594/nave-veleni-lannes/2/

Tutte le inchieste censurate di Gianni Lannes
http://congiannilannes.blogspot.com/

Articoli di Gianni Lannes
http://informarexresistere.fr/category/lotte-resistenze/gianni-lannes-lotte-r...


Gruppo du Facebook ufficiale:
http://www.facebook.com/pages/ItaliaTerraNostra-II/203013339718910



Il sorpasso. - di Tommaso Labate



Azzurri in allarme. In un foglietto sulla scrivania del Cav. c’è scritto che, se si votasse domani, per lui sarebbe la fine. L’era Alfano inquieta Tremonti.

L’allarme rosso ha la forma di un foglietto di carta, che venerdì è passato da Palazzo Grazioli allo stanzone del Pdl che attende il neo-segretario Alfano. Sul foglietto c’è scritto: Pd 29,2 per cento, Pdl 27,5 per cento.
Fossero veri i dati in possesso dei vertici berlusconiani (Ipsos), per la prima volta il Partito democratico avrebbe sorpassato il Popolo delle libertà. E le “sorprese” contenute nella rilevazione demoscopica non sono finite. Basta guardare il capitolo sulla popolarità dei leader. Crolla quella di Silvio Berlusconi (l’asticella è ferma al 26,9 per cento), cresce quella del leader democratico Pier Luigi Bersani (45 per cento).
Sull’asse che unisce la war room del presidente del Consiglio e il sancta sanctorum pidiellino di via dell’Umiltà, il morale è sotto i tacchi. E al dramma dei numeri si aggiunge la paura per quello che potrebbe succedere la settimana prossima se, come gli sherpa del Cavaliere cominciano a sospettare, la percentuale degli italiani che si recherà alle urne «sarà tale da superare il quorum», che a quel punto determinerebbe la validità della consultazione referendaria.
Chi ha avuto occasione di confrontarsi col «Capo» nelle ultime quaratott’ore giura che «Berlusconi è disperato». I numeri dei sondaggi, che hanno orientato tutte le sue mosse dal 1994, stavolta lo stanno spingendo verso un cul de sac.
C’è un esempio che vale più di molti altri. Come spiega un ministro a lui vicino, «durante la sua ormai lunga carriera da presidente del Consiglio, in ogni momento di grave difficoltà il Presidente ha minacciato il ricorso alle elezioni anticipate». Stavolta, invece, «della minaccia di “provocare” lo scioglimento anticipato della legislatura non c’è traccia da nessuna parte». Niente. La solita arma fine-di-mondo, che Berlusconi usava puntualmente per mettere paura all’opposizione, è scomparsa da tempo da qualsiasi radar.
Il perché sta nel «foglietto di carta» di cui sopra, nel capitoletto dedicato al «testa a testa» tra centrosinistra e centrodestra. La forbice tra le due coalizioni vede lo schieramento trainato dal Pd in vantaggio di 9 punti rispetto a quello “capitanato” dal Pdl. Un vantaggio che, nel caso in cui il «Terzo Polo» si schierasse col Nuovo Ulivo (Pd, Sel, Idv), salirebbe addirittura a 17 punti percentuale.
E non è tutto. Il primo «sondaggio riservato» del dopo-amministrative fa paura al Cavaliere anche perché alle difficoltà di un Pdl al 27,5 per cento si accompagna una sostanziale “tenuta” del Carroccio. La Lega, infatti, rimane comunque ancorata alla doppia cifra (poco più del 10%). Uno score, spiegano da via Bellerio, che ovviamente «crescerebbe a dismisura qualora la nostra strada si separasse da quella di Berlusconi».
Alla débâcle post-elettorale dei berluscones si accompagna un centrosinistra trainato dall’effetto-amministrative. Pd al 29.2, Sinistra e libertà al 9, Italia dei valori al 6, Udc al 5.5. E, al di là delle cifre attribuite ai singoli partiti, nel sondaggio in questione si annota che la percentuale degli italiani convinti che «sarà il centrosinistra a vincere le prossime elezioni» (42%) è superiore a quella degli elettori che scommettono su una riconferma dell’attuale maggioranza berlusconiana (solo il 31,9% degli interpellati è convinto che, se si votasse domani, il centrodestra rivincerebbe le elezioni).
Tolta la nomina di Alfano a segretario, nel Pdl le contromosse sembrano toppe peggiori del buco. Intervistato da Repubblica, Claudio Scajola ha invitato a «buttare via» la creatura politica del Cavaliere. «Serve una casa dei moderati che ci riunifichi all’Udc», è l’opinione dell’ex ministro. Non quella di Fabrizio Cicchitto, però. «Il Pdl va rinnovato, non smontato», ha messo a verbale il capogruppo a Montecitorio.
La proposta di Scajola, tra l’altro, è stata respinta al mittente dal Terzo Polo. Con un coro di niet che ha raggiunto la vetta massima con un caustico commento che Enzo Carra ha pubblicato sul suo blog. «In case pagate da ignoti, noi dell’Udc non vogliamo abitarci», ha scritto il deputato centristra evocando lo scandalo di Affittopoli che l’anno scorso costrinse Scajola a dimettersi dal governo.
Intanto Alfano ha affidato a un’intervista al Corriere della sera il suo manifesto sulla forma-partito del Pdl. Primarie e congressi sì, «e subito». Correnti «no». Sembra di rivivere, anche nell’utilizzo dei termini, lo stesso calvario attraversato dal Pd fino all’anno scorso. Con una differenza. Nell’eterogeneo mondo del berlusconismo, ci sono big che ancora non hanno mostrato le loro carte. Uno su tutti, Giulio Tremonti.
Il ministro dell’Economia, che nei desiderata del Cavaliere dovrebbe “accontentarsi” di un posto da vicepremier (insieme a Roberto Calderoli) e in cambio sotterrare l’ascia di guerra, ha liquidato i cronisti che gli chiedevano di Alfano facendo ricorso al «cuius regio, eius religio». Significa che il suddito deve conformarsi alla religione del principe dello Stato in cui vive. Ma nel gruppetto (bipartisan) di parlamentari con cui si confronta spesso, c’è chi giura che l’ultimo successore di Quintino Sella ha timore di finire risucchiato dentro «una nuova Democrazia cristiana», come si configurerebbe quel partito «che ha Alfano alla segreteria». Da qui i rumors, che si faranno sempre più insistenti, sulla possibilità che «Giuletto» abbandoni il Pdl con un gesto plateale. Magari all’indomani dei referendum.




Il referendum dei pasticci. - di Flavia Amabile


Esclusi dal voto gli studenti Erasmus e i cooperanti. Sugli italiani all'estero ancora confusione.

Un pasticcio così non si vedeva da un po'. Solo in Italia si poteva creare una situazione così equivoca in nome della libertà di scelta e in queste ore i comitati di italiani all’estero sono sul piede di guerra mentre si scopre che anche i cooperanti all’estero e gli studenti dell’Erasmus non potranno votare a meno di rientrare in patria.

Tutto ha inizio con il colpo di mano del governo che ha abrogato le norme che consentono la produzione e l'installazione di centrali nucleari, rendendo inutile il referendum. La Corte di Cassazione ha risposto la scorsa settimana precisando che, è vero, le norme sul nucleare sono state abrogate, ma hanno introdotto due norme totalmente diverse in materia di strategia energetica. E, dunque, il quesito va riscritto e comunque posto agli elettori nella nuova formula, in cui si parla di strategia energetica e non di centrali nucleari. Tutt'altra cosa, insomma, rispetto a quanto proposto dai comitati referendari e su cui si sono raccolte le firme.

Fa nulla, hanno avvertito i sostenitori del referendum, bisogna andare a votare lo stesso. A questo punto gran parte di quelli che andranno a votare penseranno di esprimere con il loro sì, il no alle nuove centrali nucleari. In realtà si parlerà di altro. Ma se dovesse arrivare una valanga di sì tutti interpreterebbero comunque la scelta come un chiaro segnale di stop agli impianti anche se nel quesito non ce n'è traccia. Geniale, no?

Il governo, invece, ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale attraverso una richiesta di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, mentre il Pd ha presentato un’istanza di rigetto. La sentenza è attesa per domani, quando mancheranno cinque giorni all’apertura delle urne.

In caso di sentenza favorevole alla riscrittura del quesito i sostenitori del Sì esulterebbero perché vorrebbe dire poter esprimere la propria opinione sul nucleare in Italia, a dispetto dei tentativi del governo di far scomparire la domanda. Ma un istante dopo, lo sanno bene, inizierebbero i problemi.

In cinque giorni vanno ristampate e spedite di nuovo 50 milioni e oltre di schede. Finché si tratta di mandarle ai seggi italiani si tratta di un’impresa difficile e costosa ma non impossibile. Il problema vero si pone quando si considera che all’interno dei 50 milioni ve ne sono 3 che votano all’estero, e per estero si intende il mondo intero. E’ il nodo irrisolvibile legato alla sentenza della Corte Costituzionale, un dilemma che può diventare decisivo anche ai fini dell’esito del referendum.

Sono tre milioni e oltre di voti, possono rivelarsi determinanti per il raggiungimento del quorum. Ma che cosa succederebbe se si chiedesse loro di votare di nuovo? Lo deciderà la Corte Costituzionale chiamata oggi a nominare il suo nuovo presidente.

Antonio Di Pietro lo scrive a chiare lettere sul suo blog e comunque domani sarà insieme ad una delegazione dell’Idv alla Corte Costituzionale come Comitato promotore a chiedere che il quesito venga ammesso: «C’è un problema nei referendum: il quorum. Bisogna raggiungerlo sapendo che non è del 50 ma del 60%. Questa volta, infatti, ci troviamo in una situazione delicatissima provocata da questo governo. Ci sono tre milioni e mezzo di italiani all’estero che hanno già votato sull’altro quesito referendario, quello modificato dalla Corte di Cassazione. Il risultato è che noi, per stare tranquilli, dobbiamo superare abbondantemente il 50%, perché altrimenti son pronto a scommettere che il ministero degli Interni farà il possibile per non conteggiare i voti degli italiani all’estero».

I parlamentari dell’opposizione in una lettera al governo hanno prospettato due soluzioni: «considerare valido per l’estero il vecchio quesito o, nel peggiore dei casi, non considerare il voto all’estero ai fini del conteggio del quorum». Soluzione che fa andare su tutte le furie i comitati di italiani all’estero. Una lettera ufficiale è partita dalla Svizzera, altre dovrebbero arrivare.

Anche studenti Erasmus e cooperanti delle Onlus non potranno partecipare al voto. Lo denuncia Franco Narducci, deputato del Pd: «La norma li esclude e il decreto è arrivato in aula con un ritardo tale da tendere impossibile un aggiustamento». Chi vuole può tornare in Italia a votare. Il biglietto verrà rimborsato, facendo crescere ancora il costo del referendum per le casse dello Stato.




Consulta, Quaranta nuovo presidente «Referendum? Non penso a nostro alt».

E' stato eletto con dieci voti favorevoli e tre schede bianche. E' il 35esimo della storia.

Alfonso Quaranta (Ansa)
Alfonso Quaranta (Ansa)
ROMA - Alfonso Quaranta, magistrato del Consiglio di Stato, giudice costituzionale dal 27 gennaio 2004, è il nuovo presidente della Corte Costituzionale. La camera di consiglio lo ha eletto questa mattina con dieci voti favorevoli e tre schede bianche. Erano presenti 13 giudici, a fronte di un plenum di 15, perché il Parlamento non ha ancora eletto il successore di Ugo De Siervo e perché il giudice Maria Rita Saulle è assente per malattia.

«REFERENDUM? NON CREDO NOSTRO ALT» - Il neo-presidente ha subito fatto sentire la propria voce pubblicamente. E ha scelto un tema particolarmente caldo in questi giorni, quello del referendum sul nucleare. «Personalmente ritengo che non sia nei poteri della Corte bloccare il referendum» ha detto incontrando i giornalisti dopo la sua elezione. «Per la decisione - ha aggiunto - occorre attendere martedì. La Corte deciderà con rapidità». La Consulta è stata chiamata infatti ad esprimersi sul quesito relativo al nucleare, dopo che la Cassazione lo ha di fatto riscritto rendendolo ammissibile nonostante la moratoria prevista dal governo nel decreto Omnibus. Un escamotage, quello adottato dall'esecutivo, che si proponeva esplicitamente (era stato lo stesso Berlusconi a confermarlo) di evitare che gli italiani tornassero ad esprimersi sul futuro del nucleare con ancora nella mente le immagini del reattore nucleare di Fukushima, in Giappone, andato distrutto dopo lo tsunami di marzo con conseguente perdita di radiazioni.

IL NUMERO 35 - Quaranta è il 35esimo presidente della storia di Palazzo della Consulta. Succede a Ugo de Siervo, il cui mandato è scaduto lo scorso 29 aprile. Npn sarà però il giudice più anziano in carica, come vorrebbe una consuetudine che tuttavia già in passato ha conosciuto le sue eccezioni: Paolo Maddalena, che in quest'ultimo mese ha temporaneamente esercitato la funzione di presidente in attesa della nomina parlamentare del giudice che andrà al posto di De Siervo, ha infatti rinunciato alla corsa per lo scranno più alto della Corte e ha pertanto spianato la strada all'altro candidato forte, Alfonso Quaranta, più gradito al centrodestra, che già lo scorso dicembre aveva fatto traballare per un voto l'elezione di De Siervo. Maddalena sarà però vice di Quaranta, assieme ad Alfio Finocchiaro.

http://www.corriere.it/politica/11_giugno_06/corte-costituzionale-quaranta-nuovo-presidente_abd87dbe-901d-11e0-bd7e-24c232303fed.shtml


VOTARE SI AI REFERENDUM , NON HA PREZZO ..wmv




Napolitano, i migranti e l'indifferenza «Reagire moralmente e politicamente»


Il capo dello Stato risponde all'intervento di Magris sul«Corriere» di sabato: no all'inerzia di fronte al crimine.

MILANO - Di fronte alla tragedia dei tanti migranti inghiottiti dal mare, l'indifferenza è un «rischio da scongiurare» e per questo occorre reagire «moralmente e politicamente». Lo scrive il capo dello Stato Giorgio Napolitano in una lettera inviata a Claudio Magris pubblicata oggi sul Corriere della Sera.

«NO ALL'ASSUEFAZIONE» - Nell'intervento pubblicato sabato, dopo il naufragio al largo della Tunisia del peschereccio partito dalla Libia, Magris aveva sottolineato come «le tragedie odierne dei profughi in cerca di salvezza o di una sopravvivenza meno miserabile che periscono, spesso anonimi e ignoti, in mare non sono meno dolorose, ma non sono più un'eccezione sia pur frequente, bensì una regola», rappresentano una «cronaca consueta» che «non desta più emozioni collettive», provocando «assuefazione che conduce all'indifferenza».

Per il Capo dello Stato l'indifferenza è proprio «la soglia che non può e non deve essere varcata». Scrive il Presidente a Magris: «Lei ha spiegato con crudezza come miseria della condizione umana l’acconciarsi a convivere con quella che diviene orribile “cronaca consueta”. Ma se in qualche modo è istintiva l’assuefazione, è fatale anche che essa induca all’indifferenza? A me pare sia questa la soglia che non può e non deve essere varcata. Se è vero, come lei dice, che la democrazia è tale in quanto sappia “mettersi nella pelle degli altri, pure in quella di quei naufraghi in fondo al mare”, occorre allora scongiurare il rischio di ogni scivolamento nell’indifferenza, occorre reagire con forza – moralmente e politicamente – all’indifferenza: oggi, e in concreto, rispetto all’odissea dei profughi africani in Libia, o di quella parte di essi che cerca di raggiungere le coste siciliane come porta della ricca – e accogliente? – Europa».

IL DOVERE DELL'ACCOGLIENZA - Per il presidente della Repubblica, chi quotidianamente organizza la partenza dalla Libia, «su vecchie imbarcazioni ad alto rischio di naufragio, di folle disperate di uomini, donne, bambini» compie un «crimine» di fronte al quale «la comunità internazionale e innanzitutto l'Unione Europea, non possono restare inerti». Stroncare questo «traffico» di esseri umani, prevenire nuove, continue partenze per viaggi della morte (ben più che «viaggi della speranza») e aprirsi – regolandola – all’accoglienza: è questo – per Napolitano – «il dovere delle nazioni civili e della comunità europea e internazionale, è questo il dovere della democrazia».

http://www.corriere.it/politica/11_giugno_05/migranti-lettera-napolitano_c214d45c-8f81-11e0-a515-0265176cef92.shtml


domenica 5 giugno 2011

Soffia il vento del popolo sovrano. - di EUGENIO SCALFARI



Venticinquemila persone hanno formato una lunghissima fila a Milano per poter stringere la mano al neo sindaco Giuliano Pisapia nel giorno del suo insediamento a Palazzo Marino. Un fatto simile non era mai accaduto né a Milano né altrove anche perché una fila lunga chilometri non somiglia ad una piazza affollata e urlante di passione e di insiemità. La fila invece è silenziosa e ciascuno sta con se stesso e con i propri pensieri tra i quali domina la decisione di testimoniare che un cambiamento è avvenuto e che il testimone l'ha vissuto con civica partecipazione.

Segnalo questo episodio per rispondere a coloro che subito dopo i ballottaggi del 30 maggio si sono posti la domanda su chi abbia perduto e su chi abbia vinto le elezioni amministrative. La loro sentenza ha avvistato come perdente Silvio Berlusconi e la coalizione da lui guidata, ma non ha trovato alcun vincitore. O meglio, un vincitore secondo loro c'è stato ed è il popolo delle astensioni, schifato dalla politica e dalla casta che accomuna in un unico disprezzo la destra, il centro e la sinistra. Il vincitore sarebbe stato insomma Beppe Grillo e chi la pensa come lui.

Coloro che hanno emesso questo responso non si sono forse accorti che il suddetto comico, subito dopo avere appreso i risultati elettorali, è esploso in una rabbiosa invettiva contro i vincitori manifestando la sua delusione. Dunque il vincitore non era lui.

La verità è che ha vinto lo spirito civico contro chi finora aveva manipolato le istituzioni e le coscienze. Ha vinto a Milano,
a Torino, a Napoli, a Bologna, a Cagliari, a Trieste, a Vicenza, a Novara, a Mantova, a Crotone, a Macerata e in tanti altri luoghi e con esso hanno vinto le forze politiche che si sono identificate con quel risveglio delle coscienze e del civismo, hanno lavorato per farlo emergere, si sono offerti come sostegni, strutture organizzative, punti di riferimento politici.

Non è l'antipolitica grillina ad aver vinto ma la Politica una volta tanto con la P maiuscola. Capisco che a molti Soloni da strapazzo questa lettura oggettiva dei fatti non piaccia; capisco che il rabbioso sfogo di Grillo li imbarazzi e ancor più il fatto della presenza di molti grillini che hanno inneggiato a Pisapia in piazza del Duomo, a Fassino in piazza San Carlo e a de Magistris in piazza Plebiscito; ma così sono andate le cose e a questa vittoria della politica dovete rassegnarvi.

* * *

Il primo riscontro di quella vittoria c'è stato appena due giorni dopo nei giardini del Quirinale, all'assemblea della Banca d'Italia, durante la sfilata del 2 giugno ai Fori e poi nella cena di Giorgio Napolitano con i capi di Stato venuti da tutto il mondo per celebrare a Roma i 150 anni dalla nascita dello Stato unitario italiano.

Napolitano non gradisce che lo si descriva come il contraltare politico di Berlusconi e sottolinea la diversa natura della presidenza della Repubblica rispetto alla presidenza del Consiglio. Sono due istituzioni che si muovono su piani diversi, l'inquilino di Palazzo Chigi è uno dei giocatori nel campo della politica mentre l'inquilino del Quirinale ha il compito di far rispettare le regole della partita che si svolge sotto la sua sorveglianza arbitrale.

Accade tuttavia che i due piani confliggano con frequenza crescente per la semplice ragione che Berlusconi ha una concezione autoritaria della democrazia profondamente diversa da quella configurata nella nostra Costituzione. Ma sarebbe tuttavia sbagliato trasformare il Quirinale in un soggetto politico deformandone con ciò la natura e il ruolo.

Resta il fatto che quel ruolo è cresciuto d'importanza e riscuote consenso e fiducia sempre maggiori in proporzione inversa a quanto sta accadendo per il governo e per chi lo guida. Questa non è un'opinione ma una notizia e con le notizie è inutile polemizzare.

* * *

La sconfitta del centrodestra alle elezioni amministrative ha fatto emergere la crisi che da tempo covava all'interno del Pdl ed ha seriamente indebolito il rapporto di alleanza con la Lega.

I referendum del 12 e 13 giugno possono infliggere - a distanza di due settimane - un secondo colpo ancor più micidiale al centrodestra provocandone la definitiva implosione. Siamo ora in attesa della decisione che la Corte costituzionale prenderà martedì prossimo sul quesito che riguarda il referendum sull'energia nucleare dopo la pronuncia della Cassazione che ha giudicato tuttora in piedi la richiesta referendaria confermando la consultazione del 12 giugno prossimo.

Se la pronuncia della Consulta sarà conforme a quella della Cassazione, se i referendum raggiungeranno il quorum "del 50 per cento più uno" e se i "sì" avranno la meglio sui "no" verrebbero cancellati tre aspetti fondamentali della politica di centrodestra attinenti all'energia, all'ecologia e alla giustizia.

Il governo aveva tentato nei giorni scorsi di de-politicizzare l'appuntamento referendario, ma venerdì ha deciso di cambiare rotta opponendosi con un ricorso alla Corte costituzionale alla consultazione referendaria. Ha in tal modo imboccato la stessa strada e ripetuto lo stesso errore che aveva compiuto nelle elezioni amministrative politicizzando al massimo anche quella referendaria.

Esiste tuttavia una profonda differenza tra quei due appuntamenti. In quello amministrativo sono andati alle urne circa 7 milioni di elettori su 13 milioni di aventi diritto. Se i referendum del 12 giugno raggiungeranno il "quorum" saranno nell'ipotesi minima 25 milioni e mezzo di elettori a deporre la loro scheda nelle urne. Si esprimerà cioè il popolo sovrano direttamente, senza dover passare per il filtro dei partiti e delle liste. Il popolo sovrano e il cittadino diretto portatore della sovranità diffusa esprimeranno la loro volontà anzitutto con la partecipazione e poi nel merito con un "sì" o con un "no".

Se questo avverrà, sarà molto difficile per il Pdl continuare ad appellarsi all'autorità che gli deriva da un popolo che gli ha dato torto per la seconda volta nell'arco di un mese. Vorrà dire che il vento è veramente cambiato e che la sola strada da percorrere sarebbe quella d'un governo nuovo di zecca che gestisca gli ultimi due anni di questa legislatura oppure - se quell'ipotesi non si verificasse - lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni.

* * *

Si pone a questo punto la domanda: che cosa accadrebbe se Berlusconi e il suo governo rifiutassero di passare la mano e continuassero pervicacemente a restare appoggiati alle poltrone? Possono farlo?

Teoricamente sì, possono farlo: un governo, a norma della Costituzione, deve dimettersi quando il Parlamento gli vota la sfiducia. Senza questo passaggio rimane in carica. Per fare che cosa? Per governare.

È quello che gli si chiede invano da tre anni. Finora l'ha chiesto l'opposizione ed una parte consistente dell'opinione pubblica, ma ora glielo chiedono anche gli italiani che fin qui l'hanno sostenuto con un consenso che sta smottando ogni giorno di più. Lo chiedono addirittura i suoi più fedeli sostenitori che si sono auto-battezzati "servi liberi e forti". Una definizione singolare e non facile da interpretare, forgiata dal Foglio che fa della libera servitù una sorta di nuova divisa fondata sul paradosso.

Che cosa vogliono questi "pasionari" che hanno liberamente accettato di servire il Cavaliere? Lo scrive per tutti loro Giuliano Ferrara: vogliono che Berlusconi torni ad essere quello che fu nel '94, rinverdisca la sua grinta e il programma di allora, si ripresenti in questa nuova foggia e si riprenda il suo popolo che gli è sfuggito di mano.

Sembra una richiesta difficile quella di rimettere le lancette del tempo indietro di 17 anni per poter riprendere lena e saltare in avanti. Perciò siamo andati a rivisitare con la memoria e la documentazione come era 17 anni fa l'uomo Berlusconi e il suo programma.

Ebbene, i "servi liberi e forti" non chiedono assolutamente niente: il Cavaliere era allora quello che è oggi (a parte la pancia che allora non aveva e i capelli che invece gli ornavano il cranio). Lui era sbruffone, bugiardo e megalomane tal quale è tuttora. Il programma era meno tasse, meno Stato, crescita economica, maggiore reddito, più lavoro, più sicurezza. Ed è ancora quello per la semplice ragione che quel programma non è mai stato attuato.

Cari servi liberi, la vostra richiesta è la più eloquente testimonianza che 17 anni sono stati dissipati. La vostra libera servitù ha soltanto contribuito a creare una palude piena di miasmi nella quale avete impantanato un Paese che ora finalmente ha deciso di alzarsi e camminare senza di voi.