venerdì 10 giugno 2011

Solo fumo. - di Alessandro De Angelis


Disinformazia. Berlusconi nega l’evidenza: «Nessun contrasto con Tremonti e Bossi. Riforma del fisco entro l’estate». Ma l’accordo su manovra e aliquote non c’è.

«Con Bossi e Tremonti siamo d’accordo: il governo varerà la legge delega sulla riforma del fisco prima dell’estate». Silvio Berlusconi, al termine del consiglio dei ministri, piomba in sala stampa per annunciare che la quadratura sul fisco è stata trovata, che non ci sono contrasti con «Giulio».
È colpa della solita stampa se si parla di duelli epici all’interno del governo: «I giornali - ringhia il premier - fanno disinformazione. Io nemmeno li leggo più».
L’obiettivo è alzare una cortina fumogena sullo scontro durissimo tra palazzo Chigi e Tesoro. E l’obiettivo, neanche tanto dissimulato, è far vedere che almeno in apparenza le resistenze di Tremonti sulla riforma fiscale sono state piegate. Ecco l’annuncio sulla legge delega. Ecco che il Cavaliere, in versione rassicurante, quasi minimizza sulla manovra di lacrime e sangue da varare entro qualche mese: «Prima dell’estate interverremo con un’opera di manutenzione del bilancio, che sarà di qualche miliardo, probabilmente intorno ai 3 miliardi». Dall’emergenza alla manutenzione. Miele anche per il futuro: «Negli anni a venire, provvederemo sempre con gli stessi interventi già prodotti negli anni passati». Snocciola numeri, il Cavaliere, per dimostrare che non c’è ragione di dipingere quadri a tinte fosche: «Non si tratta di nulla di preoccupante, state tranquilli». Un quadro che renderebbe possibile una legge delega che impegna il governo a riformare il fisco, entro la fine della legislatura. Il che rappresenta un segnale a quel mondo che ha scelto di punire nelle urne il governo. Ma anche un modo per mostrare che il governo ha una missione da compiere, al di là della necessaria e banale sopravvivenza.
Un fiume di dichiarazioni ottimistiche. Per confondere, prendere tempo, superare le varie nottate che si annunciano già affollate di incubi. Come il referendum, visto che secondo gli ultimi sondaggi il quorum è davvero a un soffio. Come la verifica, visto che ogni giorno porta guai. L’ultimo, l’annuncio di Miccichè: formerà gruppi autonomi, in funzione anti-Lega. E non è un caso che il premier si è limitato a tirarsi fuori dalla prima tenzone («Io non andrò a votare»). E ha mostrato una calma olimpica sul passaggio parlamentare: «Non crediamo ci sarà il voto di fiducia. Napolitano nella sua lettera parlava solo di verifica ma nel caso ci fosse il voto di fiducia non abbiamo timore di nulla. Andremo avanti fino al 2013». I due appuntamenti potrebbero trasformarsi in due scosse fatali. Tali da far saltare la convergenza degli equivoci che si è stabilita ieri con Tremonti.
Già, una convergenza degli equivoci. Perché Berlusconi, con l’annuncio sul fisco, ha buttato la palla avanti, poi si vedrà. Il superministro invece ha incassato l’impegno sulla linea del rigore. E c’è un motivo se i duellanti, rientrati nei rispettivi quartier generali dopo il consiglio dei ministri hanno commentato con le stesse parole l’esito della giornata. Queste: «Ho vinto io». L’accordo non c’è, l’equivoco sì. E la distanza tra i due si è manifestata, per l’ennesima volta, nel faccia a faccia che ha preceduto la riunione di governo. Teso, come nei giorni scorsi. Pure sull’operazione risanamento. Berlusconi pensa a uno schema in due tempi, prima una manovrina per il 2011, e il resto spalmato con una manovrona. Il titolare del Tesoro vuole, da subito, un segnale forte per Europa e mercati: una manovrona senza se e senza ma.
Su queste premesse, il capitolo fisco è carico di incognite: «La legge delega - dice un ministro azzurro - va ancora scritta, Tremonti non ci ha fatto vedere un solo numero, non ci crede né ci ha messo la testa. Ammesso poi che si faccia ci sono due anni per i decreti attuativi. Se ne parlerà seriamente dopo la fiducia». Epperò il Cavaliere è convinto che l’assedio è iniziato e che prima o poi «Giulio» sarà costretto a mollare. È vero: è un cavallo di razza, l’unico che riesce davvero a resistere. I suoi mondi che contano, poi, si sono messi in movimento. E pure i suoi estimatori parlamentari se il Terzo polo ha fatto ben capire, fiutata l’aria in vista della verifica, che un governo Tremonti lo sosterrebbe da subito. Insomma costringerlo alle dimissioni come nel 2004 è impossibile. Per piegarlo Berlusconi confida nella tenaglia di Bossi. Sta pensando a come stringerla. I ben informati a palazzo Chigi raccontano che nelle pieghe dei bilanci, il premier ha a disposizione un tesoretto di una decina di miliardi. Per spenderli non serve l’esame del Tesoro. Ebbene l’idea è di usarli per consentire a Bossi di fare un annuncio, a Pontida, di una qualche misura a favore delle imprese, che parli a una base sul punto della rivolta.


La crisi, Tremonti e il Cavaliere


Tutti i giornali, anche quelli che sostengono Berlusconi e il suo governo, raccontano lo sfaldamento politico della maggioranza. Alcuni notabili berlusconiani giurano che nei voti di fiducia i numeri ci sono...

Tutti i giornali, anche quelli che sostengono Berlusconi e il suo governo, raccontano lo sfaldamento politico della maggioranza. Alcuni notabili berlusconiani giurano che nei voti di fiducia i numeri ci sono e non cambiano. Può darsi che sia così, ma i numeri non possono coprire lo sfaldamento politico. Di questo si tratta. Nel Pdl la balcanizzazione è raccontata nelle cronache quotidiane. Il prestigio e il carisma politico del Cavaliere sono in caduta libera.
La Lega perde voti e non ha più un gruppo dirigente coeso: Maroni dice che voterà i referendum e Bossi annuncia che diserterà le urne. La storia dei ministeri al Nord si va a concludere con una farsa: il ministro Calderoli, che come tutti i parlamentari può presentare proposte di legge, ha annunciato una iniziativa legislativa popolare che la Costituzione riserva ai cittadini non parlamentari. L’accozzaglia dei “responsabili” radunata in un gruppo parlamentare non regge: tutti vogliono un ministero o un sottosegretario. Ma, se guardiamo oltre i confini, non è difficile capire che il ruolo dell’Italia nella Comunità internazionale è ridotto a qualche comparsata del presidente del Consiglio in riunioni in cui è accolto come il nonno a cui tutto è perdonato, anche se tocca il culo alle cameriere. In questo quadro il conflitto tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’economia Tremonti ha assunto caratteri e dimensioni senza precedenti. Io non so se è vero, come leggo sui giornali, che il presidente del Consiglio faccia pedinare il suo ministro, del quale pare che registri le comunicazioni che avvengono tra loro due. L’accusa rivolta a Tremonti di non allargare i cordoni della borsa per finanziare le richieste clientelari dei parlamentari è il segno dello sfaldamento di cui parliamo. Insomma, si vuole porre rimedio alla crisi con mance di denaro pubblico.
Tutto questo mentre la Ue ci ricorda il rapporto squilibrato tra debito pubblico e PIL che richiede un controllo rigoroso dei conti pubblici. E si parla di una manovra di 40 miliardi di euro. Tuttavia, penso che il tema del fisco nel nostro paese sia aperto non per le ragioni per cui gridano i corifei del Cavaliere, che vogliono solo allargare i cordoni della borsa e, al tempo stesso, pretendono tregue e attenuazioni alla lotta all’evasione fiscale. L’annuncio del Cavaliere di una legge delega sul fisco è un diversivo, un’autentica presa in giro. Ritengo che occorra intensificare l’impegno volto a colpire l’evasione e utilizzare il ricavato per la detassazione dei redditi dei giovani lavoratori e dei vecchi pensionati. Fatte queste considerazioni, una domanda si impone: può questo paese restare nel caos governativo sino al 2013? Una risposta occorre darla, anche perché la legge elettorale vigente è una vergogna e non è più nemmeno funzionale a un sistema di alleanze, in crisi nella maggioranza e incerto nell’opposizione. È questo il tema dell’oggi, su cui sarebbe utile e necessario un confronto onesto tra governo e opposizione, per decidere quando e come interpellare il popolo con le elezioni.



Sul quorum regna ancora l'incertezza. - di Marcello Sorgi



Il tardivo appello di Confindustria a votare «no» al referendum sulla privatizzazione dei servizi di distribuzione dell’acqua aggiunge certo probabilità all'eventuale raggiungimento del quorum per la consultazione di domenica e lunedì, ma rivela il clima di incertezza in cui si dibattono fino all'ultimo partiti e organizzazioni di categoria. Viene da pensare che la Marcegaglia disponga di sondaggi che non possono ovviamente essere resi noti, ma che assegnano buone percentuali a chi punta alla riuscita dei referendum. E che ovviamente la presidente degli industriali, mettendo in conto questa possibilità, non voglia ritrovarsi tra gli sconfitti, al fianco del presidente del consiglio e del governo che hanno puntato sull’astensione.

Anche il segretario del Pd Bersani, che fino a due giorni fa puntava deciso sulla vittoria dei «sì» e della partecipazione al voto, ieri ha aggiustato il tiro, suggerendo agli elettori più convinti di andare ai seggi prima delle dieci, in modo da dare un segnale fin dalla prima rilevazione del Viminale, che avverrà appunto a metà mattinata, e incoraggiare così gli altri elettori più pigri a muoversi per tempo. Ci si potrà aspettare con una certa tranquillità che il quorum sia raggiunto, se domenica sera avrà votato attorno al quaranta per cento degli aventi diritto; sotto il trenta, invece, il rischio dell’invalidità resterà molto forte, e solo una partecipazione eccezionale nella mezza giornata di lunedì potrebbe scongiurarlo.

Al di là dei «sì» e dei «no» che saranno segnati sulle schede (i «sì» abrogazionisti sono dati in vantaggio sia sul nucleare che su acqua e legittimo impedimento), la vera partita è questa. Non a caso, completata ormai la serie di dichiarazioni di voto dei partiti, i due fronti - partecipazionista e astensionista - riproducono grosso modo gli schieramenti delle recenti amministrative, con Berlusconi e Bossi (quest’ultimo pronunciatosi per tramite di Reguzzoni) che tentano di prendersi la rivincita su Terzo polo e centrosinistra, o almeno di dimostrare che la sconfitta di due settimane fa sia stata solo un episodio. E l’opposizione, al contrario, che in caso di superamento del quorum sarebbe pronta a dire che ormai il Cavaliere non ha più la maggioranza nel Paese. Nell’un caso o nell’altro non conterà se chi ha vinto ce l’ha fatta solo per una manciata di voti trovati o mancanti. La caratteristica dei referendum infatti è che, finito lo spoglio, chi vince, anche con un solo voto in più dell’avversario, prende tutto il piatto.



Lui, Lei, Rai - di Marco Travaglio.


Chiuso Annozero e in via di liquidazione Rai3, Il Fatto Quotidiano è in grado di anticipare i nuovi palinsesti del servizio pubblico.

RAIUNO

Il Tg1 è troppo squilibrato: in ossequio al contraddittorio, si alterneranno alla direzione Minzolini, Feltri, Belpietro, Ferrara e Sechi, quest'ultimo solo a notte fonda perché troppo scapigliato. Il Meteo viene sottratto all'Aeronautica e affidato ai sondaggi di Alessandra Ghisleri, essendo indisponibile il più noto Crespi causa bancarotta fraudolenta. Grandi novità alla Domenica Sportiva: si chiamerà Forza Milan e sarà condotta da un osservatore super partes, Galliani. Rimane Porta a Porta, anche se le ultime birichinate di Vespa (alcune domande) non sono piaciute al premier, che ha imposto la doppia conduzione alternata: un po' Bruno, un po' la moglie Augusta. Riparte Qui Radio Londra di Ferrara, ma in abbinamento con la Latteria Italia. E tornano i programmi di servizio pubblico del bel tempo che fu. Riecco a grande richiesta Non è mai troppo tardi: l'avv. Ghedini spiega ad Alfano il codice penale con appositi disegnini. Poi Chissà chi lo sa sul misterioso mondo dei conti pubblici, con Tremonti. Nella rubrica Bon ton, Carlo Rossella spiega ai cassintegrati di Termini Imerese come si stappa il Moet & Chandon e risponde all'interrogativo che angoscia ogni precario che si rispetti: nello spalmare il caviale sulla tartina, il burro va prima o dopo? In luogo degli Sguardi sul mondo di padre Mariano, prematuramente scomparso, gli Sguardi sul soldo di don Verzé. E poi la tv dei ragazzi, ribattezzata La tv delle minorenni, con Ruby, Noemi e tante altre amiche a sorpresa di Emilio e Lele.

RAIDUE

Al posto di Annozero, torna la fortunata serie Rintintin (vista però con sospetto dal premier, che le preferirebbe i più educativi Dallas e Dinasty, anche perché i diritti li ha Mediaset). Al posto di X-Factor, nuovo talent show autoprodotto ad Arcore: X-Corruptor, con una delle coppie più collaudate del settore, Cesare & Renato. Chiusa l'Isola dei Famosi, ecco il nuovo reality che piace ai giovani, l'Isola dei Mafiosi, a cura di Marcello & Totò: a ogni nomination, si spara. Per l'angolo della moda, Formigoni sfila in esclusiva per Rai2 con le sue ultime camicie, ricavate dalle federe di uno chalet tirolese e dalla tenda della doccia di sua zia. Grandi novità a Miss Italia, versione federale. Anzitutto le 75 serate di Miss Padania. Poi, solo per la Brianza, Miss Arcore: premiazione all'Olgettina brevi manu dal rag. Spinelli, giuria formata da un solo membro, il solito, ci siamo capiti. Per il resto del Paese, Miss Terronia. Per gli immigrati, la rassegna Che fai, Ruby?. In arrivo dagli States l'avventurosa vita di Bossi nella serie western padano-americana Rinco.

RAITRE

Via la Gabanelli, Report diventa Riport: programma monografico sull'avvincente vita di Schifani. Aria nuova anche a Per un pugno di libri, non più condotto da Neri Marcorè, ma da un promettente anchorman inglese: David Mills, molto esperto di libri contabili. Dopo il Tg3, diretto da Flavio Briatore se non fa troppo il comunista, ecco l'erede naturale di Blob: Burp, a cura di Borghezio e Calderoli. Cancellata Linea notte, arriva Linea botte, con il manganello di Sallusti che condurrà anche il nuovo Infedele su La7, programma monografico su quella fedifraga di Veronica. Grande spazio alla medicina: oltre a Elisir, tolto a Mirabella e affidato a Scapagnini, partono Igiene dentale con Nicole Minetti e Il meraviglioso mondo della prostata col dottor Zangrillo, medico personale di Lui. Al posto di Ballarò, la nuova fiction Un pasto al sole, con Ferrara tutto sudato che fa la gara del supplì. Che tempo che fa passa dallo scalmanato Fabio Fazio al più pacato Vittorio Sgarbi, con un lieve restyling nel titolo: Che tempo fa sono cazzi miei, fanculo a te figlio di troia e a quella bagascia di tua sorella.

Editoriale di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano 10 giugno

http://www.nuovasocieta.it/editoriali/27372-lui-lei-rai-.html


Economist: Berlusconi ha fregato l’Italia (una delle traduzioni o interpretazioni dell'articolo)



Economist: Berlusconi ha fregato l’Italia

Silvio Berlusconi, si sa, è personaggio iperbolico. Successi ed eccessi nella sua storia di uomo politico e imprenditore sono sempre andati di pari passo. E, d’altra parte, il Cavaliere non ha mai fatto nulla per minimizzarli.

Si dice che durante le mitologiche serate del bunga bunga – per cui attualmente è imputato a Milano con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione minorile – il premier amasse intrattenere le sue ospiti snocciolando i propri record. È il primo ministro rimasto più a lungo in carica dagli ingloriosi tempi di Benito Mussolini. Il politico più vincente di sempre. Il più ricco e lungimirante imprenditore del Paese. Senza menzionare il passato di chansonnier, l’abilità di barzellettiere, l’adulazione delle donne, la velocità con cui i capelli gli ricrescono.

I motivi per sorridere, insomma, al Cavaliere non mancano. Eppure, alle sue gioie private da quasi un ventennio fanno da contraltare le sventure di un’Italia sempre sull’orlo del baratro.

Il premier non si è accorto del disastro economico italiano

Non sono tanto gli scandali sessuali del primo ministro ad avere indebolito l’Italia: anche perché hanno imbarazzato più i cittadini di lui. E nemmeno i suoi guai giudiziari, da cui è riuscito a uscire indenne spesso solo grazie al rifacimento ad hoc delle leggi che lo interessavano. Il vero disastro di Berlusconi, ha ricordato il settimanale britannico Economist sul numero in uscita giovedì 9 giugno, è stata però la sua assoluta incapacità di intervenire sull’economia della nazione.

IL LEADER SBAGLIATO.

Un’inettitudine tale da confermare il giudizio già espresso dieci anni fa, quando prima delle elezioni politiche la rivista titolò Perché questo uomo non è idoneo a guidare l’Italia. Adesso, quell’idea è rafforzata da nuove accuse: «Si tratta di un fallimento disastroso, forse persino maligno», ha scritto l’Economist. «In nove anni da presidente del Consiglio Berlusconi non solo non è stato in grado di rimediare ai problemi economici del Paese, ma non si è forse nemmeno accolto della gravità della situazione, magari perché è stato troppo distratto dai suoi guai personali». Ecco perché i britannici hanno titolato: L’uomo che ha fregato l’Italia.

Il fallimento dell’uomo che aveva fatto sognare l’impresa

Non che le occasioni di imprimere un cambiamento al Cavaliere siano mancate. Alla sua discesa in campo con Forza Italia, quasi tutti i poteri forti erano con lui. Imprenditori e uomini d’affari credevano che solamente il suo stile spiccio e senza fronzoli avrebbe dato all’Italia la spinta decisiva a cambiare dinamiche produttive, sistemi corporativi ingessati e la carenza di risorse per i settori strategici. Sembra, però, che tutti siano stati delusi. Perché i dati raccontano che è andata ben diversamente.

COME LO ZIMBAWE.

«La malattia dell’Italia non è in una fase acuta, ma è un disagio cronico che ha tolto ogni vitalità», ha ricordato l’Economist. «Quando le economie europee si contraggono, quella italiana si contrae di più. Quando crescono, quella italiana cresce di meno. Solo a Haiti e nello Zimbawe nel decennio 2000-2010 l’aumento del Prodotto interno lordo pro capite è stato minore di quello italiano», ha continuato il settimanale.

La stagnazione dell’economia ha fatto sì che il debito pubblico raggiungesse il 120% del Pil, il terzo valore più alto al mondo. E questo nonostante gli sforzi del ministro dell’economia Giulio Tremonti – la cui ultima puntata va in onda in questi giorni sulla fantomatica riforma fiscale – per mantenere stretti i cordoni della borsa.

Le riforme sono possibili, ma Berlusconi non le fa

Intervenire per invertire la rotta sarebbe però possibile: l’Italia non è condannata al declino. In una situazione congiunturale simile, i governi di Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi riuscirono negli Anni ’90 a imprimere un radicale cambiamento al sistema Paese. E l’Italia riuscì a entrare – e persino a trainare, in un secondo momento – il club dell’euro.

Per ripetere quel miracolo, auspicato anche dal governatore di Bankitalia Mario Draghi nella sua accorata relazione del 2011 prima di lasciare l’incarico per approdare alla Bce, bisognerebbe intervenire con riforme strutturali.

ZERO COMPETITIVITÀ.

A partire da quella del mercato del lavoro. «Un quarto dei giovani italiani sono disoccupati», ha riassunto l’Economist, «e il lavoro femminile è solo del 46%, la percentuale più bassa in Europa». Non solo: «Negli ultimi dieci anni la competitività in Italia si è ridotta del 5% e il Paese è all’80esimo posto nella classifica di quelli dove è più facile fare affari, dietro Bielorussia e Mongolia», ha concluso.

Per tirare le fila non serve molto altro. O a Roma qualcuno decide di prendersi cura di queste cose, oppure l’Italia diventerà rapidamente la seconda i dell’acronimo Pigs – maiali – con il quale a Francoforte ironizzano sui Paesi meditteranei deboli e spendaccioni. In un caso o nell’altro, ha chiosato il settimanale britannico, per il Cavaliere cambierà poco: «Lui continuerà a sorridere».


https://www.facebook.com/notes/sari-katariina-riippi/economist-berlusconi-ha-fregato-litalia-una-delle-traduzioni-o-interpretazioni-d/10150280010499187



Lavoratore a progetto sfruttato? oggi arriva il risarcimento


La storia non è nuova: un lavoratore, a tutti gli effetti dipendente, viene inquadrato dalla sua azienda (un call center) con un contratto a progetto, anche se il suo rapporto è invece chiaramente di lavoro subordinato. La novità però c’è e sta nel fatto che il giudice del lavoro di Reggio Calabria ha condannato l’azienda, operante nel settore delle telefonate outbound, a convertire il ‘falso’ contratto a progetto in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e a riconoscere al lavoratore un risarcimento della bellezza di 46.961 euro.

“Questa sentenza dimostra che vincere si può”, afferma Stefania Radici, responsabile del Sol (sportello orientamento lavoro) della Cgil di Messina che ha diffuso la notizia attraverso Facebook. “Troppo spesso – afferma la sindacalista siciliana – le imprese abusano delle tipologie contrattuali non standard e a scadenza, come contratti a progetto o contratti occasionali, per alleggerire il costo del lavoro e dotarsi di lavoratori con meno diritti e più remissivi. In realtà con questi contratti si mascherano veri e propri rapporti di lavoro subordinato”.

“E non di rado – continua Radici – un lavoratore ‘a progetto’ non ha un progetto da realizzare, non ha un programma di lavoro né autonomia nella gestione del tempo. Anzi, spesso, ha dei turni di lavoro molto rigidi ed una persona che ne controlla il rispetto. Ebbene, tale contratto è illegittimo ed un giudice del lavoro può ordinare la trasformazione dello stesso in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ma affinché ciò accada, è necessario che il lavoratore impugni il contratto e introduca il ricorso davanti ad un giudice”.

Ora però le cose si complicano per chi vuol far valere i propri diritti. Infatti se fino a poco tempo fa, il lavoratore aveva un ampio margine di tempo per contestare l’illegittimità del suo contratto di lavoro, con l’entrata in vigore della Legge 183/2010, meglio nota come “collegato lavoro”, sono stati drasticamente ridotti i tempi di prescrizione: “Ora – spiega Radici - i lavoratori precari hanno solo 60 giorni dalla scadenza naturale del contratto o dal recesso da parte del committente per poter contestare la legittimità della cessazione del rapporto di lavoro (per i contratti già scaduti, 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, ossia da giorno 24 novembre 2010 fino a giorno 23 gennaio 2011). Un tempo così breve che, se non utilizzato, si tradurrà in una sanatoria di massa di abusi e licenziamenti illegittimi”.

Proprio per evitare questo la Cgil di Messina, in occasione dell’entrata in vigore del collegato lavoro, ha deciso di lanciare lo sportello “Sos Precari”: “Uno sportello – spiega ancora la sindacalista siciliana – aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 18.00, per fornire informazioni, assistenza e consulenza legale. E’ uno strumento che la Cgil vuole mettere a disposizione dei precari affinché possano difendersi da una legge che lo stesso sindacato ritiene ingiusta e iniqua, una legge che non riduce solo i tempi di prescrizione, ma introduce anche elementi di dubbia costituzionalità come la clausola compromissoria, l’arbitrato secondo equità e il nuovo regime della certificazione”.

“In ogni caso – conclude Radici – la sentenza di Reggio Calabria dimostra che è possibile contrastare abusi e soprusi delle imprese e gli effetti di leggi che vogliono smantellare il diritto del lavoro”.

http://www.ilpuntodivistaonline.it/?p=1324

Francia, “la siccità minaccia gli impianti nucleari. Manca l’acqua per il raffreddamento”. - di Andrea Bertaglio


Il livello di aridità spinge a prelevare acqua dai fiumi, ma le portate sono allo stremo. Un dossier del gruppo ambientalista "Osservatorio nucleare francese" lancia l'allarme: "Aumentano i rischi di incidente". La situazione è drammatica anche per l’agricoltura. La strategia è quella di risparmiare acqua, con restrizioni attive già in metà del Paese. Oppure razionare l'energia, soprattutto ora che non ci si può più appellare alla vicina Germania.


Una grave siccità minaccia la Francia da diverse settimane. Sono già 30 i dipartimenti in stato di emergenza e 44 gli impianti nucleari che, a prescindere dalla loro “generazione”, vedono la possibilità di dover razionare l’elettricità prodotta.Secondo un dossier dell’Osservatorio nucleare francese, un “organismo indipendente di controllo dell’industria atomica”, in 22 di questi l’acqua che serve a raffreddare gli impianti è già ora appena sufficiente: “La Loira è completamente a secco e il raffreddamento dei reattori delle centrali di Belleville, Dampierre, Saint-Laurent e Chinon potrebbe essere compromesso”, afferma Stephane Lhomme, ambientalista e presidente dell’associazione: “Si potrebbe verificare una fusione del nocciolo come a Fukushima”. La strategia è quella di risparmiare acqua, con restrizioni attive già in metà del Paese. Oppure razionare l’energia, soprattutto ora che non ci si può più appellare alla vicina Germania. La situazione è drammatica anche per l’agricoltura: molti i raccolti a rischio. Tanto da far presagire al governo francese un aumento dei prezzi mondiali di grano e frumento.

Questa primavera è stata “una delle più calde dagli inizi del XX secolo e la più secca degli ultimi 50 anni”, ha riferito Météo France sulla base di un bilancio provvisorio. Ai primi di giugno, infatti, si è già quasi ai livelli di allarme della canicola dell’estate del 2003. La minaccia è quella di un possibile black-out elettrico. Eric Besson, ministro per l’Energia del governo di Parigi, interpellato sulla questione ha affermato: “Non dobbiamo allarmarci, ma dobbiamo vigilare”. Secondo Stephane Lhomme, che sarà anche candidato per i Verdi d’oltralpe nelle elezioni presidenziali del 2012, quella attuale è invece “una situazione che purtroppo fa aumentare il rischio di incidente”. “Quando si ferma un reattore – ricorda Lhomme – bisogna comunque proseguire l’attività di raffreddamento, dunque l’acqua è indispensabile”.

Quasi un terzo dei dipartimenti francesi sta fronteggiando l’emergenza siccità, ma ciò che maggiormente preoccupa è infatti che, se la scarsità idrica continuerà, 44 dei 58 reattori situati lungo i fiumi d’oltralpe potrebbero dover interrompere la loro attività. Le norme nazionali impongono infatti di rispettare standard che non alterino gli ecosistemi fluviali. Un esempio su tutti? Quello della Loira: la sua portata media, assai irregolare, è di 931 metri cubi al secondo (m³/s) alla foce. Tuttavia, se in caso di piene essa aumenta fino ad alcune migliaia di m³/s, durante l’estate si può ridurre in certi punti fino a poche decine di metri cubi al secondo. Quando scende sotto i 60 m³/s, i quattro impianti che attingono dalle sue acque tra i 3 e i 10 metri cubi al secondo devono diminuire i loro prelievi, in modo da mantenere un livello dell’acqua accettabile. Fondamentale anche la questione delle temperature dell’acqua rigettata nei fiumi dopo aver raffreddato gli impianti: le centrali sono obbligate a non superare i 28 gradi. Se questa temperatura viene raggiunta, infatti, la centrale deve ridurre o addirittura arrestare la sua attività.

La possibilità di un drastico taglio nella produzione di energia è un’ipotesi che persino Electricité de France (Edf) non può più escludere. Soprattutto ora che non è più possibile attingere energia dal vicino tedesco, a differenza di quanto fatto negli scorsi anni in situazioni simili o nei periodi di manutenzione dei reattori francesi, quando il governo parigino acquistava elettricità nucleare dalla Germania. Che, dopo il disastro di Fukushima, ha già ridotto del 5 per cento il suo output energetico, intaccando di conseguenza le forniture messe a bilancio per l’approvvigionamento francese. Un fatto che rende evidente la causa delle recenti polemiche e delle “bacchettate” di Parigi ad Angela Merkel.

La dipendenza dalla Germania per far fronte ai picchi di richiesta non è più un segreto. Nonostante la leggenda voglia la Francia come esportatrice di elettricità in tutta Europa, infatti, l’Osservatorio nucleare ha rivelato sempre nel suo rapporto che “è la Francia ad essere importatrice netta di elettricità dalla Germania”. Un fenomeno che continua ininterrottamente dal 2004, ma che ora non potrà più verificarsi. La scelta di Berlino di abbandonare l’atomo, infatti, sia adesso che durante il prossimo inverno (durante il quale si verificheranno i soliti picchi di consumo dovuti alla “politica assurda del riscaldamento elettrico”), per l’associazione di Stephane Lhomme non potrà più portare la Germania a “salvare la Francia nucleare”.