sabato 2 luglio 2011

Telesantoro, ecco il progetto. - di Giorgio Meletti


Il nuovo network si poggerà su una concessionaria di pubblicità che reperirà le risorse economiche e il segnale sarà trasmesso in multipiattaforma: da Internet, al satellite, fino a una rete di televisioni locali.


Michele Santoro l’ha detto chiaro ieri nell’intervista al Fatto: “Sto lavorando perché un programma comeAnnozero vada in onda dall’autunno ogni settimana, come sempre: alla Rai, a La7 o su una multipiattaforma fra satellite, streaming in rete enetwork di tv locali sul digitale”. Non è una battuta. L’idea della tv indipendente multipiattaforma è al centro di fitti colloqui che vedono protagonista soprattutto Sandro Parenzo, patron diTelelombardia e leader di una pattuglia di grosse tv regionali pronte a giocarsi la partita per reagire al declino imposto alle realtà locali dalle politiche del digitale terrestre del governo Berlusconi.

“È una strada per tentare un vero pluralismo, e per reagire all’attacco durissimo alle tv regionali che il governo sta conducendo ormai da anni”, spiega Boris Mugnai di Rtv38, tv leader in Toscana.

Alla base del progetto c’è una concessionaria di pubblicità televisiva poco conosciuta, Publishare, che da qualche tempo ha consorziato 18 tv regionali e raccoglie per loro la pubblicità nazionale. I numeri sono ancora piccoli, ma i 10-12 milioni di pubblicità raccolta da Publishare oggi rappresentano una boccata d’ossigeno importante per realtà gloriose dell’emittenza locale come Telenorba in Puglia, Primocanale in Liguria, Umbria tv o le stesse Telelombardia e Rtv38.

Secondo Parenzo un’operazione incardinata sul marchio Santoro può consentire la raccolta di quei 20-30 milioni di euro di pubblicità che servirebbero a finanziare il nuovo canale televisivo.

In campo ci sono due ipotesi. La prima è quella più classica: una società di produzione televisiva che distribuisca alle tv regionali del circuito il contenuto televisivo già vestito della sua pubblicità per inserirlo ad arricchimento dei loro palinsesti. L’esperimento di “Tutti in piedi”, andato in onda lo scorso 17 giugno da Bologna, con Santoro e la sorpresa Roberto Benigni, ha dato risultati incoraggianti. La raccolta pubblicitaria è stata dieci volte superiore a quella di “Rai per una notte” dell’anno scorso, nonostante un preavviso molto inferiore. Per i sostenitori del progetto questo è il segno che il mercato pubblicitario sta cambiando, e già da un anno all’altro è maturata una maggiore disponibilità degli inserzionisti per l’innovazione. Anche il risultato di pubblico è stato ottimo: le tv generaliste hanno perso quella sera 9 punti di share, e alcune tv regionali hanno toccato e superato il 10 per cento.

Parenzo e Santoro lavorano però su un obiettivo più ambizioso, un canale nuovo di zecca.

Le tv regionali coinvolte metterebbero a disposizione una delle nuove frequenze liberate dalla tecnologia digitale, e costituirebbero così il nuovo network nazionale di Telesantoro. Per loro il ritorno sarebbe costituito, oltre che dall’affitto della frequenza, da una parte dei proventi pubblicitari e dalla fornitura di prodotto di informazione locale al network. La Publishare raccoglierebbe la pubblicità nazionale, con l’obiettivo di 20-30 milioni per partire, cifra non proibitiva se confrontata con i 2,5 miliardi di euro raccolti da Mediaset. L’idea del canale/cantiere, come lo definisce Parenzo, con un palinsesto tutto di informazione, anche locale, può risultare più attraente per il pubblico e per gli investitori pubblicitari, del semplice intarsio di Annozero o simile nei tradizionali palinsesti delle tv locali, tra una vendita di materassi e l’altra.

Il punto più critico è se bastano i 20-30 milioni per tenere in piedi un canale nazionale all news. Anche perché la pubblicità televisiva è considerato l’unico polmeno finanziario ipotizzabile. La distribuzione del segnale televisivo online, che ha dato ottimi risultati con “Rai per una notte” e “Tutti in piedi”, procura un grande pubblico, valutabile in centinaia di migliaia di persone, ma un ricavo pubblicitario praticamente trascurabile. “Ma la rete è fondamentale”, insiste Parenzo, “perché crea attorno all’impresa televisiva la comunità, che diventa un punto di forza decisivo”.

Per adesso siamo allo stadio delle chiacchiere e delle ipotesi. Per sapere se l’impresa ha qualche seria possibilità di partire bisogna aspettare almeno la fine di luglio
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Le vere ragioni della fumata nera della trattativa Santoro-La7.


Nel giorno del gran rifiuto della "terza rete" all'ex conduttore di Annozero, scompare dalla manovra economica una norma sulla rete telefonica che avrebbe pesantemente penalizzato Telecom, proprietaria della rete

La metafora di Giovanni Stella, confezionata un mese fa per il Fatto, annunciava la discesa in campo (televisivo) di Telecom: io aspetto paziente sotto il banano-Rai che ne scendano i macachi-conduttori. L’amministratore delegato di Telecom Italia Mediarompeva il bipolarismo di Rai e Mediaset: ecco, diceva, La7 è disposta a prendersi il gruppo di giornalisti che il servizio pubblico e il Biscione, per motivi diversi ma di uguale matrice (il Cavaliere), non vogliono e non possono permettersi. Stava nascendo una televisione all’apparenza poco controllabile per il Silvio Berlusconi imprenditore e politico, ma estremamente influenzabile per la sua versione di capo del governo. La trattativa con Michele Santoro era chiusa, mancava un tratto di penna: la firma (alle prime voci, il titolo di La7 crebbe in un giorno del 20%; l’altroieri, al niet, ha perso il 4 e ieri il 3).

Martedì scorso, l’ultimo incontro tra l’inventore di Annozero e il dirigente di La7 conosciuto con il soprannome di “canaro” per i suoi modi spicci ed efficaci fino al sadismo. E che succede martedì, proprio quel giorno? Il governo scrive e riscrive e infine diffonde la bozza di manovra economica: tagli, pensioni, tasse e finte rivoluzioni liberali e liberiste. In un articolo del provvedimento, a sorpresa, si materializza il conflitto d’interessi che Santoro ha denunciato ieri nell’intervista al Fatto.

Il governo, se vuole, può fare male a Telecom, la multinazionale proprietaria di La7. E con una norma, infilata di soppiatto, Palazzo Chigi ha dimostrato come può farle male. La bozza prevedeva un progetto del ministero per lo Sviluppo economico di Paolo Romani: “Un piano di interesse nazionale per il diritto di accesso a Internet”. E come? “Mediante la razionalizzazione, la modernizzazione e l’ammodernamento delle strutture esistenti”. Parole astruse e verbi incrociati per sottrarre a Telecom l’ultimo bene invidiato da tutti i concorrenti: la rete fisica, quella che porta il cavo telefonico in tutte le case e gli uffici, eredità del monopolio pubblico. Il governo pensava di aprire il mercato e le connessioni veloci imponendo “obblighi di servizio universale”.

Tradotto: Telecom investe per migliorare la sua struttura e poi deve metterla a disposizione dei concorrenti. Il governo di lievi e dure sforbiciate, che spinge all’infinito una correzione nel bilancio statale da 47 miliardi di euro, sentiva l’urgenza di ricorrere ai soldi della Cassa depositi e prestiti per “finanziare il piano nazionale su Internet”. Poche righe nascondevano un possibile esproprio del tesoro più sensibile per i vertici di Telecom. L’ipotesi dura due giorni, esattamente 48 ore, fin quando ieri accadono due fatti all’apparenza distanti ma forse strettamente legati: La7 annuncia la fine di qualsiasi negoziato con Santoro, azzoppando così l’ipotesi terzo polo televisivo; e, in contemporanea, il governo cambia la norma, stravolge il suo “piano di interesse nazionale per il diritto di accesso a Internet” e cancella dal testo della manovra quei passaggi – “la razionalizzazione, l’obbligo di diritto universale” – che minavano la stabilità patrimoniale di Telecom e preoccupavano i suoi azionisti (anche stranieri). Anche se il numero uno di Telecom Italia Franco Bernabè giura che tra i due fatti non c’è alcun nesso, e ribalta su Santoro l’accusa di aver cercato pretesti per far saltare la trattativa con La7, i casi sono due: o le idee del ministro Romani e del governo sono talmente labili da evaporare nel breve volgere di 48 ore, oppure la rivoluzione telematica di Berlusconi era un atto di forza, un segnale per intimorire La7.

Per capire dov’è intrappolata la ragione è utile ricordare che la Rai di centrodestra, in trincea contro i giornalisti sgraditi dal Cavaliere, adesso comincia a riflettere: forse è meglio trattenere Santoro, forse Vieni via con me era davvero importante, forse Report è un prezioso settimanale d’inchiesta, forse Lucia Annunziata è una figura professionale irrinunciabile per il servizio pubblico. Togliendo i forse, resta l’ordine di servizio di Berlusconi, il più recente: è più facile controllare il servizio pubblico, senza indebolirlo troppo, per giocare di sponda con Mediaset, che combattere un terzo polo televisivo. Nella peggiore delle ipotesi, un colossale ricatto. Nella migliore, l’ultima trasfigurazione del conflitto d’interessi.

di Giorgio Meletti e Carlo Tecce


Santoro: “Con La7 era fatta Poi sono cominciati i pretesti sul nulla”.


Il conduttore racconta le trattative con la La7 e la loro rottura. Sull'autonomia giornalistica e le garanzie sembrava esserci l'accordo. Il giornalista: "C'è stato un intervento esterno, colpa del conflitto d'interessi". Ma rassicura gli spettatori: "Un programma ci sarà".



“Una cosa è certa: o alla Rai, o a La7 o da qualche altra parte, noi in autunno saremo in onda. Continuare a esistere, magari su una multipiattaforma internet-digitale-satellite, anche ‘senza il permesso de li superiori’, sarebbe il coronamento della mia carriera”. Domani Michele Santorocompie 60 anni. Ma, diversamente da Vasco Rossi, non si dimette da nulla. Anzi rilancia. La rottura con La7 non la vive come una sconfitta, ma come una nuova opportunità. L’ha detto lui stesso nel suo comunicato: “Tutto cambia”. E lo spiega in questa intervista al Fatto.

Cominciamo dall’inizio. Pentito di aver lasciato la Rai?
Non credo di aver commesso errori né subìto sconfitte. Alla Rai mi sentivo assediato: regole, regolette, codicilli, pseudogaranti, partiti dappertutto. Ormai questo sistematico abuso di potere costruito da interessi estranei e confliggenti con quelli della Rai emerge da tutte le inchieste: P4, Trani, Hdc… Ero costretto a difendere l’esistente, e sempre più a fatica. Annozero arricchiva la Rai, che però ci trattava come criminali, indesiderati, imposti dai giudici. E mi sono ribellato a quella gabbia: c’è la possibilità di lavorare liberamente altrove?

Dopo la transazione, s’è fatta avanti La7.
Mi ha contattato l’amministratore Giovanni Stella. Ho subito messo le carte in tavola: “Siete davvero convinti di potervi permettere un programma come Annozero?”. Risposta: “Sì”. “Bene, lo sa come si fa Annozero? Rispettando l’autonomia dei giornalisti”. So bene che Mentana, Lerner, Gruber, Telese,Costamagna, D’Amico sono liberi. Ma, quando uno va a contrattualizzare la sua posizione con un nuovo editore, mette nero su bianco le garanzie d’indipendenza.

Problemi di soldi?
Per sgomberare subito il campo da questioni del genere, ho accettato la ‘formula La7’: contratto-base basso, meno della metà dello stipendio Rai (630 mila euro lordi dal 1999, ndr), con incentivi legati agli ascolti. Per andare in pari, avrei dovuto ottenere risultati straordinari. Ma non era questo il problema: ho subito accettato le loro condizioni.

Siete arrivati a un contratto?
Sì, Stella mi ha inviato, con la sua firma, una proposta subordinata all’accettazione di un contratto standard come quelli che ormai si fanno firmare a chiunque fa tv in Italia. Autonomia zero: l’editore si riserva di leggere preventivamente scalette, argomenti, ospiti e di porre il veto. Per questo Celentanoda anni non mette più piede in tv. Gli editori pretendono totale soggezione, per poter fare di te ciò che vogliono, in barba all’autonomia dei giornalisti. È un recinto, figlio della mancanza di concorrenza.

E tu che hai risposto?
Ho tirato fuori il contratto che mi fece Mediaset nel ‘96: “Firmate questo”. In ogni caso, penso che alla fine ci saremmo intesi con una stretta di mano: nei successivi incontri c’è stato un lavoro di reciproca conoscenza. Anche perchè Stella dava ancora l’impressione di volerlo fare davvero, il programma. L’ho rassicurato: non siamo avventurieri, in trent’anni non abbiamo mai perso una causa, mica siamo gente che spara ai bambini. Ferma restando la mia autonomia di giornalista, non ho problemi a informare l’editore di ciò che va in onda.

Tutte rose e fiori. Poi?
La fase costruttiva s’è chiusa con l’annuncio di Mentana, in diretta, che l’accordo con noi era cosa fatta. E in effetti, a parte qualche dettaglio… Poi hanno cominciato a cercare pretesti. Si sono attaccati a una mia dichiarazione. Cioè che, per il suo potenziale umano e professionale e per le attese che suscita, La7 potrebbe svolgere meglio il ruolo di terzo polo competitivo se riducesse la dipendenza da Telecom. Un’ovvietà: una concessionaria dello Stato, in un paese in cui il premier possiede tv, è inevitabilmente esposta a ritorsioni governative. Non mi sembra un’offesa sanguinosa al presidente Telecom, Franco Bernabè. E l’aveva detto proprio Stella, al Fatto, che entro fine anno Telecom avrebbe ceduto il 40% di La7. Quindi dov’è il problema? Era un pretesto.

A quel punto che è accaduto?
All’improvviso sono ricomparsi i vincoli e le diffidenze iniziali, che avevamo già dissipato. Stella domanda: “Chi si accolla le spese legali?”. Io mi dico: ecco, gli stessi problemi che la Rai sta creando alla Gabanelli. È un altro pretesto per nascondere qualcosa che mi sfugge. E rimuovo anche quello: ok, ci accolliamo anche i rischi legali. Ma allora – rilancio – se siamo responsabili di tutto, il programma lo autoproduciamo. Più responsabilità, più libertà e nessun veto. Inventano un altro pretesto: la responsabilità penale. Obietto che le denunce penali non le fanno quasi più, in ogni caso non all’editore. Ma qui Mentana si offre come ‘direttore responsabile’ del nostro programma, accogliendoci sotto la testata del tg. A quel punto però una cosa l’aggiungo.

Quale?
Domando a Stella: “Ma voi lo volete fare questo programma o no? Perchè su tutto il resto, la quadra si trova”. È come nei matrimoni: se sposi Santoro, o Celentano, ti sarai almeno informato su chi sono e come sono fatti. Mica puoi sposarti con la riserva mentale. Stella continuava a dire che voleva Annozero su La7, ma non mi convinceva più.

Forse Stella voleva sposarti, ma Bernabè non poteva dare l’assenso. Si è molto discettato sulla loro divaricazione.
Qualcuno ha ipotizzato questo dualismo, ma io ho esplicitamente chiesto a Stella di avere l’ok di Bernabè prima di iniziare qualunque trattativa. E l’ok c’era. Ora non c’è più? Non posso immaginare che improvvisamente abbiano scoperto che io lavoro in autonomia. Lo sanno pure i sassi che mi sono scontrato con Masi perchè pretendeva schede-programma e scalette sette giorni prima.

E allora come si spiega la retromarcia di La7? In fondo, si erano fatti avanti loro.
Evidentemente c’è stato un intervento esterno per bloccare un’acquisto importante per realizzare un terzo polo televisivo che poteva diventare dirompente per il duopolio Rai-Mediaset. Se Sky e La7 raccogliessero insieme la pubblicità, sarebbe un terremoto. Perché Rai e Mediaset sono due aziende in profonda crisi che si tengono in piedi l’una sulle debolezze dell’altra. Quando i partiti, diversamente dalla Prima Repubblica, non rappresentano che i propri gruppi dirigenti senza un progetto culturale, le tv sottostanti ne risentono: dirigenti sempre più mediocri e incompetenti, nessuno sa cosa sia il prodotto, nessuno progetta né pensa né innova. Così si finisce per appaltare tutto agli impresari delle star e ai venditori di format. Gestiscono budget e personaggi, se vuoi una star devi prenderti tutto il pacchetto pieno di patacche. Risultato: il palinsesto si svuota, la programmazione finisce non più a luglio-agosto, ma fra un po’ si esaurirà poco dopo il Festival di Sanremo, ad aprile.

Questo “intervento esterno” su La7 ha un nome?
Un nome e un cognome: conflitto d’interessi. Politico e industriale insieme. Un’azienda, Mediaset, occupa il governo, il Parlamento, le Autorità, la Rai e piega tutto al proprio tornaconto. Con i numeri che facciamo, dovremmo avere una fila di editori: invece c’è la fuga. La miglior prova della debolezza organica delle classi dirigenti e del capitalismo, incapace di tradurre in progetti e prodotti le idee migliori e di portarle al pubblico. Non è un regime, ma un paese semilibero sì.

Davvero basta Santoro su La7 per stendere i due colossi?
Non sono così presuntuoso. Ma un tempo i programmi ‘diversi’ erano importanti ma non determinanti nella programmazione. Ancora nel 2002 eliminare Biagi, Santoro e Luttazzi fu un colpo per l’immagine, ma non significò svuotare la Rai. Ora i programmi scomodi sono diventati il core business, il top del palinsesto: senza Vieni via con me, Report e Annozero, la Rai si dimezza. È la grande novità degli ultimi anni, imposta dal pubblico che, stufo della ripetitività dei reality, va a cercarsi la realtà là dove sopravvive. Disposto persino a ciucciarsi Avetrana, dove qualcosa di reale comunque c’è, pur di non cadere nei Grandi Fratelli e nelle Talpe. Specie dopo che lo scandalo del bunga bunga ne ha svelato il retroscena, il reality del reality: le selezioni nell’alcova di Arcore.

Lerner e Mentana invitano La7 a ripensarci.
Li ringrazio. La battuta d’arresto delle rete nei nostri confronti è un pessimo segnale di stop anche per chi resta dentro.

Parliamo del futuro. Tu ora sei un ex dipendente Rai…
No, sono ancora dipendente fino al 31 luglio. Se il Cda rivuole Annozero lo dica, io straccio la transazione e resto qui. Oppure torno da esterno, purchè smettano di vedermi come un’imposizione da malsopportare e mi vogliano con la necessaria autonomia. Il servizio pubblico resta sempre la mia prima scelta.

Pia illusione.
E vabbè, se non mi vogliono alla Rai né a La7, devo provare a farne a meno. Siamo usciti dalla serata “Tutti in piedi” a Bologna, come l’anno scorso da “Raiperunanotte”, con una grande carica: c’è un enorme pubblico, soprattutto giovane, che ci chiede di rompere gli schemi, anche quelli in cui abbiamo lavorato finora, per parlare liberamente e uscire da un campo da gioco sempre più ristretto e asfittico. Una rottura come quella del Fatto nell’editoria. C’è un grande pubblico disposto a finanziarci con contributi individuali, a cercarci in rete, sul digitale, sul satellite. La ragazza precaria, sul palco di Bologna davanti a 30 mila persone, spaccava lo schermo. L’ho rivista in tv, seduta in un talk: non era la stessa cosa. Ecco, io ora cerco questo: una tv che rimetta al centro la realtà. “Scassando tutto”, come dice De Magistris: spazzando via l’equilibrio perverso che tiene insieme cattiva politica, cattiva economia e cattiva tv.

Molti si domandano: in autunno rivedremo Santoro e la sua squadra?
Certo che sì. È il momento della chiarezza, siamo alla scelta finale: se Rai e La7 non ci vogliono, dobbiamo essere noi a dire “rivogliamo la Rai” e a riprenderci il servizio pubblico privatizzato dai partiti, di destra e di sinistra, che lo considerano terreno di conquista. Per questo mi sono candidato a direttore generale: della Rai: una provocazione per affermare la necessità di competenze. E poi ci vogliono regole veramente liberali e un garante unico della comunicazione.

E Annozero?
Sto lavorando perché un programma come Annozero vada in onda dall’autunno ogni settimana, come sempre: alla Rai, a La7 o su una multipiattaforma fra satellite, streaming in rete e network di tv locali sul digitale.

Può funzionare anche in versione “feriale” o solo in quella “festiva” dei grandi eventi?
È una sfida entusiasmante. Ma possiamo vincerla solo se si mettono in gioco centinaia di migliaia di persone. Le interpelleremo presto perchè ci diano la forza necessaria. Riuscire in questa impresa sarebbe il coronamento della mia carriera.

di Marco Travaglio e Silvia Truzzi



Luca Telese @ Fratelli e sorelle d'Italia (La7) - 01/07/2011




Il Guardasigilli ostenta la svolta "Voglio un partito degli onesti".

Una battuta di Rotondi inquadra il neosegretario: "E' un "Forlanitecnologico" Angelino rassicura i suoi: "Vedrete, il Cavaliere sarà candidato anche nel 2013"
FABIO MARTINI

ROMA
Prima che le telecamere si spengano sul «set» del Pdl, le ultime parole di Silvio Berlusconi sono rivolte ad Angelino Alfano e sono parole semplici: «Buona fortuna...». Un modo di dire? Oppure, dopo 17 anni di autocrazia berlusconiana, siamo a un passaggio di consegne sostanzioso, una roba vera? Le tv a circuito chiuso ad uso dei giornalisti si spengono e a quel punto sul palco dell’Auditorium della Conciliazione si consuma una scena che vedono soltanto i mille quadri del Pdl, una sequenza che aiuta a capire il senso delle parole augurali pronunciate poco prima dal capo. A sorpresa, dalla regia non partono i soliti jingle e neppure inni dionisiaci del tipo «meno male che Silvio c’è...». Un epilogo silenzioso e impersonale: in 17 anni non era mai capitato. Ma c’è di più: Berlusconi, con un viso meno trionfante del solito, scende dal palco e lassù lascia soltanto il neoeletto segretario del Pdl, Angelino Alfano. Completo grigio ferro alleggerito da una cravatta viola e da una camicia bianca (senza sinistrorsi button down), alto, asciutto, stempiato, Angelino distribuisce sorrisi, strette di mano. Solo sul palco, a godersi i riflettori. Tutti per lui.

Nell’Auditorium che un tempo ospitava i concerti di Herbert von Karajan e che ormai è diventato il teatro del Pdl (un anno fa qui si consumò il famoso «Mi cacci?» di Fini) la cerimonia dell’incoronazione di Angelino Alfano è durata poco più di un’ora e alla fine quasi tutti i presenti sciamavano convinti di aver assistito a un evento a suo modo epocale: «Quello tra Berlusconi e Alfano è stato un vero passaggio di consegne» chiosa Giorgio Stracquadanio, berlusconiano tra i più «grintosi» e attenti alle novità. Certo, la trasmissione di poteri riguarda il partito e (per ora) solo il partito. Ci vorrà tempo per capire se sarà mantenuta l’impegnativa promessa che Berlusconi avrebbe confidato al suo pupillo: «Faremo delle primarie, con tanti concorrenti e vincerai tu».

Intanto, da ieri, il Pdl lo comanda Angelino, il quarantenne siciliano che dà del «lei» a Berlusconi, che suona sviolinate al capo ma senza esagerare e che parla con un lessico soft, senza spine, diversissimo dallo slang aggressivo, col coltello in bocca di tutta la classe dirigente Pdl. E il nuovo vicecapo Alfano - grossa novità ha una storia personale opposta a quella dell’imprenditore che gli ha «ceduto» il partito: figlio di un democristiano fanfaniano di Agrigento, Alfano è un uomo che in vita sua ha fatto soltanto politica, un professionista del ramo, che non dirà mai di «aver dovuto bere l’amaro calice», come fece il suo mentore Berlusconi. Per dirla con una deliziosa battuta del ministro Gianfranco Rotondi all’uscita dall’Auditorium: «Alfano? Un Forlani tecnologico».

Un segretario politico che per il momento non si «impiccia» di questioni di governo. La Lega? Ignorata. La manovra economica? Mai menzionata. Giulio Tremonti e Umberto Bossi? Rimossi. Ma di partito, Alfano parla eccome e lo fa con un piglio revanchista che piace tantissimo ai mille della nomenclatura pidiellina. Il tutti contro tutti che vige nel Pdl? «Servono regole, regole e sanzioni!». Boato e seconda battuta: «Non è possibile che chi non gradisce il Pdl si faccia la sua lista CocaCola». La moralità del partito? «Lei, presidente, è stato perseguitato dalla giustizia», «ma lo dico chiaro: noi dobbiamo lavorare a un partito degli onesti». Battuta che fa tanto «titolo», buona per un giorno, tanto è vero che è applaudita dai tanti imputati eccellenti presenti in sala. E infatti piacciono assai di più le battute pensate per i notabili di territorio. Come questa: «Deve vincere chi ha i voti, non chi ha i soldi». Ironia sui «figli di papà» e battute dedicate ai due, tre cardinali che fanno politica. Come questa: «Tutti credono che il nucleo essenziale sia la famiglia composta da uomo e donna».

Abile nel dosare sostantivi, citazioni ed elogi, Alfano si è «perso» una volta sola. Quando si è addentrato sul terreno scivoloso dell’eredità del Cavaliere, ha usato un lessico crudo («il testamento politico» di Berlusconi), anche se poi, intuita la gaffe, si è corretto: «Noi non abbiamo bisogno di eredità o di lasciti: abbiamo bisogno del sorriso, dell’entusiasmo del presidente: lei vincerà ancora una volta le elezioni del 2013». Già da qualche anno Alfano era diventato il «cocco» di Berlusconi. Nel 2001 aveva ottenuto un ufficio a palazzo Grazioli accanto a quello del capo, che aveva imparato ad apprezzare quel mix di sapienza democristiana e di decisionismo che una volta hanno fatto dire a Berlusconi: «Angelino? Il più talentuoso di tutti». Mai indagato, privo di un passato ex missino, Alfano non è soltanto un personaggio senza zavorre: dopo averci messo la faccia col famoso lodo, Alfano è stato un Guardasigilli che ha polemizzato costantemente con l’Anm, ma senza mai attaccare frontalmente i giudici e neppure la Corte Costituzionale. Ricevendo in cambio lo stesso trattamento.


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/409676/

Siamo una manica di coglioni.


Dunque …
Reminiscenze di sintassi mi portano a scrivere che non si dovrebbe mai cominciare una frase con un avverbio; reminiscenze di geografia, di tanto in tanto, riportano alla mente, per esempio, che la capitale della Mongolia è Ulan Bator, mentre quelle di matematica mi ricordano che per il concetto di limite, pur tendendo a zero, la X ne sarà comunque sempre separata da un valore Epsilon sufficientemente grande da impedirne l’uguaglianza. Ricordo poi che in latino fero fers tuli latum ferre (portare) è il paradigma di un verbo irregolare e che nella madre lingua la cavallina storna era quella che portava colui che non ritorna proprio il contrario di quanto diceva G.B. Vico, filosofo illustre, che predicava dei corsi e ricorsi della storia: insomma la mente umana non finisce mai di stupire per quanta capacità ha di immagazzinare cose per poi ricordarle quando magari non servono. Allo stesso modo la stessa mente ha una capacità di ottundimento in espansione geometrica quando decide di non voler vedere ciò che invece sarebbe una lama di fuoco negli occhi di chiunque.
Negli ultimi diciassette anni abbiamo assistito ad una esaltazione dell’OSSIMORO, figura retorica che racchiude assieme due termini in assoluta antitesi tra loro ( oh viva morte …!), e dell’ASSURDO BIOLOGICO, qualcosa di inesistente in natura, mostrarsi in tutte le loro applicazioni possibili oltre quelle grammaticali e fantascientifiche, di conseguenza abbiamo potuto sapere di presidenti di volta in volta operai o minatori o contadini; abbiamo avuto la fortuna di vedere assurgere a ruoli di assoluto rispetto nani, ballerine, entreneuse (dal francese, intrattenitrici, honny soit qui male y pense); abbiamo avuto la certezza che persone chiamate ad incarichi di rilievo quali possono essere quelli di deputato o senatore, essere dei beoti e creduloni incredibili quando hanno mostrato di credere una puttana essere la nipotina verginea ed imberbe di un capo di stato; abbiamo visto un partito dell’amore essere in realtà il partito della maldicenza, del turpiloquio e dell’odio; abbiamo visto spacciare per interesse generale quello che era interesse particolarissimo di una sola persona; abbiamo visto definire “cancro mortale” quella categoria che per antonomasia è l’antibiotico essenziale per una società sana; corriamo il rischio di diventare tutti ciechi, muti e sordi, in nome di una privacy di persone che hanno fatto del loro privato una questione di trivio; abbiamo visto ricchi lamentarsi e poveri tirare dignitosamente la carretta fino alla consunzione e resa; abbiamo visto firmare cose per evitare di doverlo fare per forza … . Abbiamo guardato a tutte queste cose e, pur vedendole ben chiare e distinte, “Cristalline” diceva un personaggio di un film, non abbiamo voluto prenderne coscienza dividendoci tra quelli emuli delle tre scimmiette, non vedo non parlo non sento, e quelli che urlano alla luna per far sentire il loro abbaiare ma che non mordono per conservare lo smalto dei denti.
DUNQUE ecco l’ultima: IL PDL DIVENTI IL PARTITO DEGLI ONESTI!. Certo la speranza è sempre l’ultima a morire esattamente così come è vero che i cimiteri sono pieni delle tombe dei buoni propositi, per cui lasciate ai posteri queste due ulteriori banalità la successiva domanda che sgorga come acqua di fonte dalle altissime purissime limpidissime cime di meissneriana memoria è:
“ Questi ci prendono per il culo perché sono troppo bravi loro o perché SIAMO NOI AD ESSERE EFFETTIVAMENTE UNA MANICA DI COGLIONI?
A VOI LA SCELTA …!.





venerdì 1 luglio 2011

Cetrioli Verdi Fritti alla fermata di Pontida e il concorso del Misfatto.



Il Misfatto, in un’orgia di creatività scoppiettante, lancia “I trailer del giovane Matteo”. Se non vi piacciono prendetevela direttamente con lui, noi abbiamo tentato soltanto di favorire un giovane, in questo paese di satirici anziani. Se pensate di essere più bravi, poi, parlate meno e spedite i vostri superbi parti creativi a liberiebelli@ilmisfatto.it intanto ecco l’ultima perla del nostro virgulto:

Italia, anno 2011 : la politica italiana, il governo e il Parlamento sono in ostaggio di un orda di post-visigoti dalle camicie verdi che hanno deciso di chiamarsi Padani in ossequio a una formidabile cazzata storico/geografica che s’è inventato il loro Leader, l’unico al mondo su cui l’ictus non ha lasciato segni riconoscibili perché da come parlava sembrava che ce l’avesse pure prima. Da anni, novelli Robin Hood che rubano allo Stato per dare a sé stessi, ma solo ai residenti fino alla via Emilia, promettono di combattere l’arricchimento dei politici che governano a Roma, e per portare a compimento la missione vengono a governare a Roma. Nel Paese, però, c’è ancora chi abbocca e li prende sul serio ed ogni settimana crede ai continui, seriali, ossessivi, a volte anche creativi ultimatum che i post-visigoti lanciano a Berlusconi. “Cetrioli Verdi Fritti alla Fermata di Pontida”, prossimamente nei peggiori Parlamenti, tipo, cioè, quello italiano.