sabato 9 luglio 2011

Expo e ‘ndrangheta, la sicurezza il vero affare “Qui minimo minimo ci vogliono 500 uomini”. - di Davide Milosa



Il particolare emerge dalla requisitoria del pm Alessandra Dolci che ieri ha chiesto mille anni di condanne per 118 imputati nel processo Infinito sull'infiltrazione delle cosche in Lombardia. Dalle pieghe dell informative emerge così il nuovo progetto dei clan per spartirsi la torta dell'Esposizione universale

Ma quale edilizia. Per Expo 2015 la ‘ndrangheta punta sul comparto della sicurezza. Cinquecento uomini come minimo. Con appalti da frazionare. Cinque euro al giorno. “Sai quanto soldi sono”. La frase sta in calce al mai abortito progetto della mafia più potente del mondo di aggiudicarsi una fetta della torta più golosa che la Lombardia abbia mai visto.

Il dato, ad oggi rimasto tra le pieghe delle informative, emerge dalla requisitoria del pm Alessandro Dolci nel processo con rito abbreviato che vede imputati 119 presunti affiliati alle cosche calabresi. Proprio ieri il magistrato della Direzione distrettuale antimafia ha chiuso il suo intervento snocciolando richieste di condanna per mille anni di carcere. Tutto come da programma. Tranne per l’assoluzione (chiesta dall’accusa e sulla quale dovrà decidere il gup Roberto Arnaldi) a favore di Antonio Oliverio, ex assessore nella giunta provinciale di Filippo Penati e definito dal gip Giuseppe Gennari“il capitale sociale dei clan”.

La definizione, mutata dalla sociologia, è stato più volte ripreso dallo stesso magistrato, che nella seconda tranche della sua requisitoria, andata in scena il 28 giugno scorso nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi a Ponte Lambro, ha compulsato le migliaia di pagine dell’inchiesta. “Cinquecento faldoni – ha esordito – per un procedimento obbiettivamente gigantesco”. Uno tsunami di carte dove “è difficile per me riuscire a raccapezzarmi e devo dire, giudice, che sinceramente non invidio il suo compito”.

Dopodiché ha tenuto la barra fissa sul cosiddetto “capitale sociale” dei clan. “Noi – ha spiegato la Dolci – dobbiamo vedere la ‘ndrangheta come una organizazione che ha una forte coesione interna, ma che vive anche di una rete relazionale verso l’esterno”. Eccolo qua, allora, il capitale sociale costituito da politici, faccendieri, imprenditori. Tradotto: la zona grgia che da sempre anima i rapporti tra la mafia e le istituzioni. E dunque “solo cogliendo questo aspetto noi riusciamo a capire cos’è la ‘ndrangheta piuttosto che Cosa nostra”.

Esempi? Il magistrato cita il nome di Pietro Pilello “noto commercialista, presidente del Collegio sindacale di varie società a partecipazione pubblica tra cui l’Ente Fiera”. Cosa fa dunque questo Piello che non risulterà però indagato? “Invita Cosimo Barranca (capo della locale di Milano) a una manifestazione elettorale”. Ma c’è anche la vicenda Bertè. “Vogliamo renderci conto – dice il pm – che c’è qualcosa di veramente singolare nel caso di un direttore sanitario di una casa di reclusione (…) che va da persona a lui nota come mafiosa perché si vuole buttare in politica”. Il boss in questione è Rocco Cristello, ucciso a Verano Brianza il 27 marzo 2008.

Per non parlare di Giuseppe Romeo, colonnello dei carabinieri, all’epoca dei fatti in servizio presso il Comando provinciale di Vicenza. Sintetizza il pm: “Si incontra più volte con Strangio“. Perché? “Strangio ha un problema: i camion della Perego lungo la statale valtellinese vengono fermati troppo spesso dalla Stradale”. E favore per favore, Romeo confessa al boss una sua aspirazione: “Candidarsi alle elezioni europee del 2009″. Immediata la risposta: “Non ti preoccupare ti faccio conoscere una persona”. Di chi parla? “Di Massimo Ponzoni, all’epoca assessore regionale all’Ambiente”. Prosegue l’accusa: “Strangio e Romeo entrano negli uffici del Pirellone”.

E’, dunque, in questo quadro che emerge la nuova questione sugli affari di Expo 2015. E non solo. Si tratta di alcune intercettazioni contenute nell’inchiesta Bad Boys che nel 2009 ha dato scacco alle cosche di Cirò Marina, per anni egemoni nel Varesotto. Il 4 luglio scorso il tribunale di Busto Arsizio ha condannato 17 persone. Undici anni sono andati al boss Vincenzo Rispoli, coinvolto anche nell’indagine Infinito.

L’intercettazione, letta dal pm, è attribuita a Emanuele De Castro che per conto della ‘ndrine gestisce la cosiddetta bacinella. “Siamo interessati alla sicurezza – dice il luogotenente del boss – . Poco poco ci vorranno minimo 500 persone. Cinquecento uomini di sicurezza”. Risponde Rispoli: “Se tu su un appalto di questo ci guadagni 5 euro l’uno al giorno, vedi che cifre che si fanno”. Dopodiché discutono sul come ottenere appalti. “Un appalto diretto è impossibile che ce lo danno a noi. E quindi abbiamo bisogno di una serie di ditte tra virgolette pulite”. Nel discorso entra anche il nome di un industriale che ha promesso dei lavori alla ‘ndrangheta. “Qualche ditta grossa ce l’ha pure lui – dice Belcastro – . Questo addirittura ha detto che ci fa parlare con Ligresti“.

Insomma, i boss sanno perfettamente di non poter vincere direttamente i maxi-appalti di Expo. Ecco, allora, la sponda del capitale sociale. Un grande investimento. Tanto più che i politici si accontentano di molto poco. Diecimila euro di matite per la campagna elettorale bastano e avanzano. Il gioco è semplice. E lo è ancora di più per le società partecipate. Qui, addirittura, i boss fanno assumere propri uomini. “Questo fa sì – dice il pm – che una serie di commesse siano dirottate alle imprese legate alla ‘ndrangheta”. E’ il caso del boss di Bollate Vincenzo Mandalari e della Ianomi. Lo stesso boss, legato alla potente cosca di Guardavalle, arriverà addirittura a costruire una sua lista politica per condizionare le elezioni comunali del 2010. Un progetto che viene rubricato in un capo d’accusa: ostacolo del libero esercizio del diritto di voto. Reato non confermnato dal gip. Lo stesso progetto di Bollate lo ritroviamo a Seregno, quando il boss locale Pio Candeloro apparecchia la candidatura diEduardo Sgrò. Entrambi sono imputati nel processo Infinito. Nel marzo 2010, però, Candeloro si occupa di stretegie politiche. “Quando sono le elezioni fammi parlare a me”, spiega in un italiano improbabile. “Perché lui deve sfondare e deve essere lui a dirigere”. Poi precisa e svela: “Dobbiamo essere noi a dire chi va a fare cosa”. Quindi rassicura: “Parolo io con Mazzacuva (presidente del Consiglio comunale), parlo io con Pon…”.

Politica e ‘ndrangheta, dunque. In vista di Expo. Ma non solo. Lo scenario inquieta e le parole del pm aggiungono particolari decisivi a un quadro già in parte delineato dalle carte dell’inchiesta del 13 luglio scorso. Oggi, però, a un anno di distanza da quel blitz clamoroso, dentro a 500 faldoni, ritroviamo nuove spigolature. Sulle quali pesa la richiesta di archiviazione per uno dei tanti politici citati nelle informative della polizia giudiziaria. Una scelta inspiegabile alla luce soprattutto dell’ordinanza firmata dal gip. E, dunque, delle due l’una: o si tratta di una resa della magistratura davanti alla sentenza Mannino che ha svuotato quasi totalmente il reato di concorso esterno, oppure siamo davanti a una strategia in vista di possibili nuove inchieste.




E' solo un truffatore condannato.




Qui non si tratta di politica, ma di una sentenza per truffa.
La sentenza della seconda corte d'appello civile di Milano che ha condannato Fininvest a risarcire Cir per 560 milioni di euro è chiara e non ha bisogno di nessuna interpretazione.
Nessuno cada nel trabocchetto: Berlusconi non è una vittima perché in questa vicenda c’entrano solo gli atti giudiziari, lui è solo un truffatore condannato.
Adesso si leveranno le voci dei suoi avvocati e degli uomini che lui ha fatto eleggere in Parlamento che ripeteranno un copione già visto: che lui è vittima dei giudici comunisti, la solita storiella di sempre insomma.
Milano dovrebbe insegnare: abbiamo già visto alle ultime amministrative come gli italiani siano stufi delle commedie di Berlusconi, il Paese vuole giustizia. E oggi, giustizia è fatta.
Piuttosto dobbiamo riflettere sulla “Tangentopoli 2” che stiamo vivendo in questi mesi perché siamo in un periodo peggiore dei tempi dell’inchiesta Mani Pulite, quando scoprimmo un verminaio usato dalla politica per farsi gli affari propri.
Oggi è peggio. Perché addirittura si usano schermi formalmente legali per coprire le malefatte.
Questa Tangentopoli 2 è la copia riveduta di Tangentopoli 1 e riguarda trasversalmente tutti quanti. Tutti possono capitarci se non c’è una reale volontà di rilancio della questione morale. Si tratta, quindi, di stabilire delle regole precise: i rinviati a giudizio non possono assumere incarichi di governo né locale, né centrale e i condannati non devono essere nemmeno candidati.
Per tornare alla sentenza di oggi, è necessario rispettare quanto sancito dai giudici e che vengano risarciti i danni. E se e' vero, com'e' vero, che Berlusconi e' stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso.
Ripeto: è inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi.



Roberto Benigni L' Inno Del Corpo Sciolto live '83.




Esposto in procura: “A Villa La Certosa il ‘Tempio di Salomone’ e animali esotici”


Il fotoreporter Antonello Zappadu ha presentato una denuncia al tribunale di Tempio Pausania. Decine di foto, arrivate al fotografo in via anonima via mail, ci sarebbero le prove di abusi edilizi e del reato di importazione di animali esotici. Le immagini proverebbero l'esistenza di una struttura ispirata alla simbologia massonica.


Uno dei celebri scatti di Antonello Zappadu a Villa La Certosa

Un esposto denuncia, corredato da decine di foto, è stato presentato questa mattina alla Procura presso il tribunale di Tempio Pausania dal fotoreporterAntonello Zappadu, accompagnato dal suo legaleAngelo Merlini. Nella denuncia, suffragata da testimonianze fotografiche, vengono configurate le ipotesi di rilevanti abusi edilizi e il reato di importazione di animali esotici, probabilmente mai regolarmente denunciati. Secondo quanto affermato dall’avvocato Merlini si tratta di un corredo fotografico selezionato tra circa 700 immagini riguardanti alcuni interni di un immobile presuntamente edificato nel parco di Villa Certosa con sale di riunione, spazi di ritrovo e di relax, camere da letto, arredi, quadri, statue in bronzo, altre sequenze riguardanti il famoso tunnel sottomarino con un fondale subacqueo composto da un mosaico raffigurante il dio Nettuno.

Le foto non sono state scattate direttamente dal famoso fotografo sardo, ma ricevute in 54 spedizioni via email nel 2009 da un anonimo mittente quando Zappadu risiedeva in Colombia. Presumibilmente gli scatti daterebbero gli anni tra il 2008 ed il 2009. Da quel che è dato sapere, tra le immagini consegnate alla Procura di Tempio, sarebbero di sicura rilevanza “giuridica” quelle che riprendono il sempre ipotizzato e mai certificato “Tempio di Salomone” ed altre esterne che ritraggono la passeggiata di tre grandi testuggini esotiche su cui si richiede un accertamento in ordine alla regolare importazione in Italia.


Fondi sospetti, blitz della Digos in una residenza del premier. - di Marco Lillo


Gli investigatori, arrivati davanti al cancello della storica residenza, sono stati respinti perché la villa è sede della presidenza del Consiglio. I finanzieri sono stati inviati dai pm di Napoli che vogliono capire chi si cela dietro la Fondazione della libertà destinatiria di un finanziamento di 165 mila euro.

La Digos ha bussato a casa di Silvio Berlusconi. I poliziotti che indagano su 11 bonifici sospetti pagati da un’impresa sospettata di corrompere Marco Milanese, il deputato del Popolo della libertà in attesa di autorizzazione all’arresto, si sono presentati con un mandato di perquisizione davanti alla prima magione della storia di amore clandestino tra Veronica Lario e il giovane imprenditore di Milano 2. Gli agenti si sono dovuti fermare davanti al cancello che in passato era stato protagonista di un pezzo di storia del rapporto mafia-politica. Proprio quel glorioso portone di ferro che in passato i mafiosi avevano fatto saltare in aria con un chilo di polvere esplosiva (suscitando la celeberrima risata diSilvio Berlusconi intercettata mentre parlava con Dell’Utri di Vittorio Mangano) ha fermato i finanzieri spediti da Napoli a Milano dal pm Vincenzo Piscitelli. Gli investigatori volevano capire chi si nascondesse dietro la Fondazione delle libertà e la sorpresa è stata grande quando hanno scoperto che la Fondazione sospettata ha sede in questa villa coperta dalle guarentigie parlamentari del presidente del consiglio.

Per spiegare perché la Digos sta indagando a via Rovani bisogna partire da un appunto del consulente del pm Vincenzo Piscitelli. Scrive il dottor Luigi Evelino Mancini “Sul conto Eurotec risultano disposti n. 11 bonifici, il primo in data 4 dicembre 2008 l’ultimo il 21 maggio 2010 per importi unitari di 15.000 ( complessivi euro 165.000 ) in favore della fondazione Casa della Libertà sul conto di cui quest’ultima è titolare presso la Cassa di Risparmio di Rieti con sede a Roma, piazza Montecitorio”. La Eurotec non è una società qualsiasi. E’ al centro dell’inchiesta su Marco Milanese della Procura di Napoli e anche della seconda indagine del pm Paolo Ielo a Roma. Ieri il pm Ielo ha fatto arrestare Tommaso Di Lernia e Massimo De Cesare per un’indagine per finanziamento illecito ai partiti che vede indagato anche Milanese. Il deputato del Pdl è accusato di essersi fatto comprare proprio dalla Eurotec una barca per 1,9 milioni di euro in cambio della nomina di un uomo che interessava alla cricca degli appalti Enav: il presidente di Tecnosky, Fabrizio Testa. Il pm Piscitelli sottolinea che nello stesso periodo in cui Eurotec pagava in natura Milanese con l’acquisto gonfiato della barca, effettuava i bonifici alla Fondazione Casa dele Libertà. Proprio quella che ha sede a casa Berlusconi.

La Fondazione Casa delle Libertà è presieduta da Sandro Trevisanato, un uomo fondamentale nel sistema di potere di Giulio Tremonti. Questo avvocato veneziano 73enne è stato eletto nel 1994, sottosegretario alle finanze con ministro Tremonti nel primo governo Berlusconi.

Secondo gli accertamenti degli investigatori la Fondazione che incassa i soldi della Eurotec ha tre indirizzi, tutti e tre finiti ieri nel mirino delle perquisizioni di ieri. Il primo è a Venezia in via Miranese 3, dove ha sede anche una società di Trevisanato. Il secondo in via Uffici del Vicario a Roma ma è stato abbandonato da poco probabilmente per un ufficio in via dell’Umiltà dove si trovano anche uffici dei politici del Pdl dai quali gli agenti si sono tenuti alla larga ieri. Infine c’è il terzo indirizzo, quello più delicato: Milano, via Rovani 2. Al Fatto Quotidiano risulta poi che il dominio internet della Fondazione sarebbe stato recentemente registrato (nonostante la Fondazione abbia sede in Veneto dal 2000) a Milano a casa Berlusconi e che a seguire la pratica è stata Clotilde Strada, la collaboratrice che raccoglieva al telefono le confidenze di Nicole Minetti sul “culo flaccido” del premier. Per capire l’importanza di questa pista però bisogna partire dalla casa di via Campomarzio 24 a Roma, pagata da Marco Milanese e abbandonata nottetempo dal ministro Giulio Tremonti.

Il pm Vincenzo Piscitelli ha convocato a testimoniare il segretario generale dell’ente proprietario: il Pio Sodalizio dei Piceni. Milanese, il signor Alfredo Lorenzoni che ha raccontato. “Il contratto è stato stipulato il l febbraio 2009 ed ha per oggetto un appartamento di 200 metri situato in via Campo Marzio 24 molto più grande quindi e con un salone affrescato. Il canone di locazione per questo immobile è stato stabilito in 8.500 euro mensili”.

La casa, prosegue Lorenzoni, aveva bisogno di una ristrutturazione. “Quindi concordammo contrattualmente con il Milanese l’esecuzione a suo carico di lavori per una cifra complessiva di 200 mila euro (conteggiati secondo il nostro prezzario ) dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone di locazione fino al raggiungimento di quell’ importo. I lavori sono stati effettivamente eseguiti dalla ditta esecutrice EDIL ARS di Roma, società facente capo a Angelo Proietti ed Achille Scaramucci, quest’ultimo anche sodale del Pio Sodalizio. La locazione fu stipulata per uso ufficio e foresteria e l’immobile mi risulta frequentato abitualmente dal Ministro Giulio Tremonti. In sostanza si tratta della casa del Ministro”.

A questo punto i pm hanno verificato che, per effetto dello scomputo dei lavori, i pagamenti sono iniziati solo nel luglio del 2010, per un totale dei pagamenti, fino al mese di giugno scorso, di 108 mila euro. Pagati fino all’ultimo euro da Marco Milanese e non da Giulio Tremonti.

Gli investigatori hanno cominciato a studiare bene il giro di affari della Edil Ars, scoprendo che questa società vantava un imponente giro di affari con la società informatica pubblica, controllata dal Ministero dell’economia, Sogei, un feudo di Marco Milanese che – secondo il capo di Gabinetto di Tremonti, Vincenzo Fortunato, ha pilotato le nomine di questa come di tante altre società pubbliche per conto del ministro. Sul rapporto tra la società di Angelo Proietti e la Sogei il senatore dell’Italia dei Valori Elio Lannutti aveva presentato un interpellanza: “per quanto risulta all’interrogante”, scriveva Lannutti, “in particolare, nell’anno 2010, sarebbero stati affidati all’Edil Ars lavori di manutenzione ed impiantistici per circa 6,2 milioni di euro, di cui circa 5,3 milioni a trattativa diretta (86,6 per cento). Fra questi circa 2,5 milioni di euro sono stati assegnati con procedura secretata”. In più Lannutti sottolineava che la figlia di Angelo Proietti era stata assunta dalla Sogei. E indovinate chi è il presidente della Sogei? Sandro Trevianato, proprio il presidente della Fondazione Casa della Libertà. Nominato da Tremonti a presiedere la Sogei nel secondo Governo Berlusconi 2001-2006 e tornato su quella poltrona nel 2008 con il ritorno del duo Milanese-Tremonti a via XX Settembre.



Lodo Mondadori con sconto Berlusconi pagherà 560 milioni.


La sentenza dei giudici civili abbassa esattamente di un quarto la cifra che il Cavaliere dovrà versare alla Cir di Carlo De Benedetti. In primo grado era stato fissato un risarcimento di 750 milioni di euro

Sentenza con maxi-sconto. Poco meno di 200 milioni. Di tanto è stato abbassato il conto (comunque salatissimo) che Silvio Berlusconi dovrà pagare al suo storico avversario Carlo De Benedetti. La sentenza d’Appello, le cui motivazioni sono state depositate questa mattina, è immediatamente esecutiva. Si conclude così la vicenda del cosiddetto lodo Mondadori. In primo grado la Fininvest del Cavaliere era stato condannata a pagare 750 milioni di risarcimento. L’intera vicenda in sede civile prende spunto dall’iter penale che ha visto le condanne di Previti, Metta, Pacificio e Acampora per corruzione dello stesso giudice Metta che, fu provato dall’accusa, ricevette denaro per modellare a favore del Cavaliere la disputa con Formenton prima e con la Cir di De Benedetti poi per la conquista della maggiore casa editrice italiana.

“La sentenza Metta fu ingiusta”. Questo scrivono oggi i giudici. Per i quali “con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato”. Il riferimento è alla decisione del 24 gennaio del 1981 della Corte d’Appello di Roma che stabili’ invece nulli gli accordi intervenuti in precedenza tra la famiglia Formenton e la stessa Cir riconsegnando così la Mondadori a Berlusconi. Inoltre, nelle 300 pagine del documento si sostiene che la Cir subì un danno immediato e diretto dalla sentenza Metta. Si tratta di una tesi diversa da quella prospettata dal giudice di primo grado, Raimondo Mesiano, il quale invece parlò di “perdita di chance”, nel senso che la sentenza frutto della corruzione indebolì la posizione negoziale di Cir nei confronti di Fininvest.

L’inchiesta penale è iniziata nel 1996 dopo le dichiarazioni di Stefania Ariosto. Il processo, arrivato in Cassazione nel 2007, ha stabilito che Cesare Previti fece arrivare a Metta 400 milioni di lire. Un bel tesoretto veicolato grazie alla collaborazione degli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Il pagamento, ricostruiscono i giudici, è servito a pagare il verdetto con il quale lo stesso Metta annullò il lodo Mondadori di allora. In primo grado, infatti, la contesa per la casa editrice, inizialmente nelle mani della famiglia Formenton, era andata a De Benedetti. E solo in secondo grado, e grazie alla corruzione, la partita è girata a favore del presidente del Consiglio. Che, trovatosi in una posizione di forza, ha potuto condurre la mediazione con Cir. E lo ha fatto grazie all’intervento dell’allora andreottiano e oggi deputato Pdl Giuseppe Ciarrapico. La spartizione conclusiva ha visto il Cavaliere incassare il gruppo editoriale con i libri, il settimanale Panorama e 365 miliardi in contanti. A De Bendetti invece sono andati l’Espresso, Repubblica e i quotidiani locali Finegil.

La somma fissata oggi dai magistrati prevede il risarcimento in 540 milioni. Quindi gli interessi legali pari al 2,5% e contabilizzati a partire dall’emissione della sentenza di primo grado, vale a dire dall’ottobre 2009. Quindi le spese legali fissata a 8 milioni. Alla base, poi, del maxi-sconto ci sono le conclusioni della consulenza tecnica. Obiettivo capire “se fra giugno 1990 e aprile 1991 siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti”. Risultato: i periti hanno calcolato una riduzione del 18,8%.

La questione ora è capire quali saranno i tempi del risarcimento. Nella giustizia civile le sentenze diventano subito esecutive. In questo caso, però, le due parti, il giorno dopo la sentenza di primo grado, raggiunsero un accordo per congelare il pagamento in cambio di una fidejussione da 800 milioni prestati da quattro banche alla Fininvest in favore della Cir. Ottenuto questo, la corte si impegnò a concludere l’Appello (iniziato nel febbraio 2010) in tempi brevi. A questo punto, ancora pochi giorni utili a ritirare la sentenza e la Cir di De Bendetti potrà andare all’incasso dei 560 milioni di euro. Ed è proprio questo passaggio che il Cavaliere voleva evitare. E per farlo ha infilato un codicillo (poi ritirato) nella manovra per bloccare il pagamento in attesa del giudizio della Cassazione.

Mafia, il gip nega l'archiviazione: Romano verso il rinvio a giudizio.




La procura aveva chiesto l'archiviazione per l'attuale ministro delle Politiche Agricole, Ma il gip Giuliano Castiglia ha rigettato la richiesta, ordinando l' imputazione coatta. Adesso i pm hanno dieci giorni per scrivere la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa. "Questo procedimento mi ha visto indagato per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007".

Il giudice per le indagini preliminari di Palermo Giuliano Castiglia ha rigettato la richiesta di archiviazione dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche Agricole Saverio Romano: Castiglia ha avanzato richiesta di imputazione coatta. I pm, che avevano chiesto nei mesi scorsi l'archiviazione, hanno dieci giorni per scrivere la richiesta di rinvio a giudizio. Romano è sospettato di collusioni con elementi appartenenti a Cosa Nostra, descritte dai collaboratori di giustizia Angelo Siino e Francesco Campanella. Quest'ultimo raccontò come nel 2001 in una trattoria di Campo de' Fiori a Roma, Romano, che era candidato alla Camera, lo apostrofò dicendo "Francesco vota per me perchè siamo della stessa famiglia. Scinni a Villabate e t'informi!".

Non si è fatto tardare il commento di Saverio Romano sulla decisione del gip.

"Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007 - ha dichiarato -

Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni".

Proprio due giorni fa la Procura di Palermo ha depositato anche le intercettazioni di Romano con Lapis e Vizzini, inerenti all'affare della Gas spa. Indagine in cui l'ex presidente dell'Ircac è indagato per corruzione aggravata dall'avere favorito Cosa nostra.

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Depositate le intercettazioni tra Romano, Vizzini e Lapis