sabato 9 luglio 2011

LODO MONDADORI: STORIA DI UNA GUERRA GIUDIZIARIA LUNGA 20 ANNI (IL PUNTO).


(ASCA) - Milano, 9 lug - La sentenza d'appello della causa civile sulLodo Mondadori e' solo l'ultimo tassello di una guerra giudiziaria cominciata piu' di 20 anni fa. E' la storia di uno scontro economico-giudiziario che Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti hanno combattutto prima a suon di carte bollate in quella passata alla storia come 'battaglia di Segrate'' per il controllo della Mondadori, poi in un processo penale e, soltanto negli ultimi 4 anni, in un processo civile.

Una storia che comincia nel 1987, con la morte di Mario Formenton, marito di Cristina Mondadori e presidente dell'omonimo gruppo editoriale. I suoi eredi, che inizialmente firmano un contratto con De benedetti per vendere il loro pacchetto azioniario alla Cir, si rendono poi protagonisti di un improvviso voltafaccia e cedono le loro azioni alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Per dirimere la questione, viene cosi' organizzato un lodo arbitrale che nel 1990 da ragione De Benedetti: le azioni Mondadori ex Formenton passate alla Finivest devono ora tornare alla Cir.

Berlusconi pero' non si arrende e impugna il lodo arbitrale davanti alla Corte di Appello di Roma. Giudice relatore e' Vittorio Metta. La sentenza definitiva, che arriva nel gennaio 1991, ribalta il verdetto precedente e consegna nuovamente le azioni della Mondadori in mano alla Fininvest.

Quando tutto sembra ormai finito, nel 1995 la Procura di Milano avvia un'inchiesta sulla base delle rivelazioni di Stefania Ariosto, passata alla storia come teste Omega, su un giro di maxi-tangenti che coinvolge tutta una serie di personaggi eccellenti: Silvio Berlusconi, diversi avvocati di Finivest tra cui Cesare Previti e il giudice Metta. Il pool di magistrati di Milano si mette a indagare e scopre uno complesso giro di bonifici, tutti estero su estero, che partono da Fininvest, transitano sul conto Mercier aperto a Lugano da Previti per poi arrivare, attraverso Giovanni Acampora e Attilio Pacifico (altri avvocati di Fininvest) a un misterioso destinatario: secondo l'ipotesi accusatoria formualta dal pm Ilda Boccassini, e' il giudice Metta, corrotto per emettere una sentenza favorevole al Biscione.

Berlusconi e' salvo prima dell'inizio del processo: l'accusa per lui e' di corruzione semplice, e grazie alle attenuanti generiche concesse dal gup Rosario Lupo in sede di udienza preliminare, nel 2001 il reato risulta ormai prescritto. Vani i tentativi dei suoi legali di trasformare la prescrizione in assoluzione con formula piena. Previti, Metta e altri personaggi vanno invece a processo. La sentenza di primo grado arriva ad aprile 2003, e le condanne sono pesantissime: 11 anni per Previti, 13 per il giudice Metta.

Tutti accusati di corruzione in atti giudiziari, chi per aver pagato, chi per aver intascato tangenti in cambio di una sentenza ''aggiustata'' grazie a 400 milioni di vecchie lire provenienti da conti esteri riconducibili alla Finivest. Un impianto accusatorio via via confermato in tutti i gradi di giudizio fino al verdetto definitivo che arriva nel 2007 dalla Cassazione.

La logica conseguenza e' l'avvio di un causa civile sul danno economico arrecato alla Cir da un lodo arbitrale viziato - come stabilito da tre diversi Tribunali in tre diversi gradi di giudizio - da un giro di corruzione e tangenti. E' l'ottobre 2009 quando esce il verdetto di primo grado: la sentenza del 1991 della Corte d'appello di Roma che ha assegnato alla Fininvest il controllo della Mondadori, scrive il giudice Raimondo Mesiano, e' stata una sentenza ''ingiusta'' e percio' il Biscione deve risarcire 749,9 milioni di euro la Cir di De Benedetti. Tutto confermato anche in appello, ad eccezione del quantum che scende 560 milioni.


Ghedini: “Nessuna perquisizione in via Rovani”. La replica: “Confermiamo tutto”.


L’avvocato del premier e deputato Niccolò Ghedini ha diffuso questa mattina alle agenzie una nota in cui smentisce la notizia data dal Fatto Quotidiano di una richiesta di perquisizione negli uffici della Fondazione della Libertà a Milano.

Pubblichiamo il testo integrale diffuso dall’onorevole Ghedini e la replica diffusa dalla direzione del giornale.

“La notizia apparsa su Il Fatto Quotidiano che la Polizia si sarebbe recata in un’abitazione in Via Rovani a Milano del Presidente Berlusconi per eseguire una perquisizione che non sarebbe stata attuata, trattandosi del domicilio di un parlamentare, è palesemente falsa. Mai nessuno si è recato in Via Rovani né tantomeno ci sono stati tentativi di accesso”.

“La Fondazione che vi avrebbe avuto sede in realtà si trova a Mestre (Venezia). Tale Fondazione era stata creata nel 2000 con la presidenza dell’avvocato Trevisanato nell’ambito del centrodestra per contribuire alla preparazione del progetto di Governo 2001-2006 ed è stata gratuitamente ospitata per alcune riunioni anche in Via Rovani fino al 2003. Nella carta intestata utilizzata all’inizio dell’operatività della Fondazione si indicava appunto Via Rovani come sede secondaria unitamente ad altro ufficio in Roma. Successivamente sia l’ufficio di Roma sia la sede di Via Rovani non venivano più utilizzate”. Quindi – aggiunge – “dal 2003 non vi è stata più alcuna disponibilità degli ambienti in Via Rovani e non vi è alcun collegamento fra tale Fondazione e il Presidente Berlusconi”. Da informazione assunta – conclude- “risulta altresì che il decreto di perquisizione presso la sede di Mestre riportava l’indicazione anche di Via Rovani. Ma risulta che i verbalizzanti recatisi presso la sede principale hanno immediatamente accertato l’insussistenza di qualsiasi collegamento con il sito di Via Rovani e non hanno ritenuto necessario nessun ulteriore accertamento”.

La replica del Fatto Quotidiano.

Il Fatto Quotidiano conferma che ieri la Procura di Napoli ha ordinato alla polizia giudiziaria di perquisire le tre sedi della Fondazione Casa delle Libertà indicate nel nostro articolo compresa quella di via Rovani, 2 a Milano oltre a quella di via Miranese, 3 a Venezia e a quella di Roma.

La Polizia non ha eseguito l’atto nella villa milanese perché l’indirizzo risulta tra le residenze del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che come afferma l’avvocato Ghedini ha ospitato la sede della Fondazione oggi oggetto di investigazione.




Polignano, Sgarbi e il pubblico di "drogati spacciatori"



Il critico Vittorio Sgarbi interviene al festival di Polignano a mare. Tutto va bene finché Sgarbi non si mette ad accostare energia eolica e mafia. A quel punto il pubblico comincia a rumoreggiare. E lui ad insultarli a suon di "drogato", "spacciatore" e altro ancora. di Roberto Rotunno.




Expo e ‘ndrangheta, la sicurezza il vero affare “Qui minimo minimo ci vogliono 500 uomini”. - di Davide Milosa



Il particolare emerge dalla requisitoria del pm Alessandra Dolci che ieri ha chiesto mille anni di condanne per 118 imputati nel processo Infinito sull'infiltrazione delle cosche in Lombardia. Dalle pieghe dell informative emerge così il nuovo progetto dei clan per spartirsi la torta dell'Esposizione universale

Ma quale edilizia. Per Expo 2015 la ‘ndrangheta punta sul comparto della sicurezza. Cinquecento uomini come minimo. Con appalti da frazionare. Cinque euro al giorno. “Sai quanto soldi sono”. La frase sta in calce al mai abortito progetto della mafia più potente del mondo di aggiudicarsi una fetta della torta più golosa che la Lombardia abbia mai visto.

Il dato, ad oggi rimasto tra le pieghe delle informative, emerge dalla requisitoria del pm Alessandro Dolci nel processo con rito abbreviato che vede imputati 119 presunti affiliati alle cosche calabresi. Proprio ieri il magistrato della Direzione distrettuale antimafia ha chiuso il suo intervento snocciolando richieste di condanna per mille anni di carcere. Tutto come da programma. Tranne per l’assoluzione (chiesta dall’accusa e sulla quale dovrà decidere il gup Roberto Arnaldi) a favore di Antonio Oliverio, ex assessore nella giunta provinciale di Filippo Penati e definito dal gip Giuseppe Gennari“il capitale sociale dei clan”.

La definizione, mutata dalla sociologia, è stato più volte ripreso dallo stesso magistrato, che nella seconda tranche della sua requisitoria, andata in scena il 28 giugno scorso nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi a Ponte Lambro, ha compulsato le migliaia di pagine dell’inchiesta. “Cinquecento faldoni – ha esordito – per un procedimento obbiettivamente gigantesco”. Uno tsunami di carte dove “è difficile per me riuscire a raccapezzarmi e devo dire, giudice, che sinceramente non invidio il suo compito”.

Dopodiché ha tenuto la barra fissa sul cosiddetto “capitale sociale” dei clan. “Noi – ha spiegato la Dolci – dobbiamo vedere la ‘ndrangheta come una organizazione che ha una forte coesione interna, ma che vive anche di una rete relazionale verso l’esterno”. Eccolo qua, allora, il capitale sociale costituito da politici, faccendieri, imprenditori. Tradotto: la zona grgia che da sempre anima i rapporti tra la mafia e le istituzioni. E dunque “solo cogliendo questo aspetto noi riusciamo a capire cos’è la ‘ndrangheta piuttosto che Cosa nostra”.

Esempi? Il magistrato cita il nome di Pietro Pilello “noto commercialista, presidente del Collegio sindacale di varie società a partecipazione pubblica tra cui l’Ente Fiera”. Cosa fa dunque questo Piello che non risulterà però indagato? “Invita Cosimo Barranca (capo della locale di Milano) a una manifestazione elettorale”. Ma c’è anche la vicenda Bertè. “Vogliamo renderci conto – dice il pm – che c’è qualcosa di veramente singolare nel caso di un direttore sanitario di una casa di reclusione (…) che va da persona a lui nota come mafiosa perché si vuole buttare in politica”. Il boss in questione è Rocco Cristello, ucciso a Verano Brianza il 27 marzo 2008.

Per non parlare di Giuseppe Romeo, colonnello dei carabinieri, all’epoca dei fatti in servizio presso il Comando provinciale di Vicenza. Sintetizza il pm: “Si incontra più volte con Strangio“. Perché? “Strangio ha un problema: i camion della Perego lungo la statale valtellinese vengono fermati troppo spesso dalla Stradale”. E favore per favore, Romeo confessa al boss una sua aspirazione: “Candidarsi alle elezioni europee del 2009″. Immediata la risposta: “Non ti preoccupare ti faccio conoscere una persona”. Di chi parla? “Di Massimo Ponzoni, all’epoca assessore regionale all’Ambiente”. Prosegue l’accusa: “Strangio e Romeo entrano negli uffici del Pirellone”.

E’, dunque, in questo quadro che emerge la nuova questione sugli affari di Expo 2015. E non solo. Si tratta di alcune intercettazioni contenute nell’inchiesta Bad Boys che nel 2009 ha dato scacco alle cosche di Cirò Marina, per anni egemoni nel Varesotto. Il 4 luglio scorso il tribunale di Busto Arsizio ha condannato 17 persone. Undici anni sono andati al boss Vincenzo Rispoli, coinvolto anche nell’indagine Infinito.

L’intercettazione, letta dal pm, è attribuita a Emanuele De Castro che per conto della ‘ndrine gestisce la cosiddetta bacinella. “Siamo interessati alla sicurezza – dice il luogotenente del boss – . Poco poco ci vorranno minimo 500 persone. Cinquecento uomini di sicurezza”. Risponde Rispoli: “Se tu su un appalto di questo ci guadagni 5 euro l’uno al giorno, vedi che cifre che si fanno”. Dopodiché discutono sul come ottenere appalti. “Un appalto diretto è impossibile che ce lo danno a noi. E quindi abbiamo bisogno di una serie di ditte tra virgolette pulite”. Nel discorso entra anche il nome di un industriale che ha promesso dei lavori alla ‘ndrangheta. “Qualche ditta grossa ce l’ha pure lui – dice Belcastro – . Questo addirittura ha detto che ci fa parlare con Ligresti“.

Insomma, i boss sanno perfettamente di non poter vincere direttamente i maxi-appalti di Expo. Ecco, allora, la sponda del capitale sociale. Un grande investimento. Tanto più che i politici si accontentano di molto poco. Diecimila euro di matite per la campagna elettorale bastano e avanzano. Il gioco è semplice. E lo è ancora di più per le società partecipate. Qui, addirittura, i boss fanno assumere propri uomini. “Questo fa sì – dice il pm – che una serie di commesse siano dirottate alle imprese legate alla ‘ndrangheta”. E’ il caso del boss di Bollate Vincenzo Mandalari e della Ianomi. Lo stesso boss, legato alla potente cosca di Guardavalle, arriverà addirittura a costruire una sua lista politica per condizionare le elezioni comunali del 2010. Un progetto che viene rubricato in un capo d’accusa: ostacolo del libero esercizio del diritto di voto. Reato non confermnato dal gip. Lo stesso progetto di Bollate lo ritroviamo a Seregno, quando il boss locale Pio Candeloro apparecchia la candidatura diEduardo Sgrò. Entrambi sono imputati nel processo Infinito. Nel marzo 2010, però, Candeloro si occupa di stretegie politiche. “Quando sono le elezioni fammi parlare a me”, spiega in un italiano improbabile. “Perché lui deve sfondare e deve essere lui a dirigere”. Poi precisa e svela: “Dobbiamo essere noi a dire chi va a fare cosa”. Quindi rassicura: “Parolo io con Mazzacuva (presidente del Consiglio comunale), parlo io con Pon…”.

Politica e ‘ndrangheta, dunque. In vista di Expo. Ma non solo. Lo scenario inquieta e le parole del pm aggiungono particolari decisivi a un quadro già in parte delineato dalle carte dell’inchiesta del 13 luglio scorso. Oggi, però, a un anno di distanza da quel blitz clamoroso, dentro a 500 faldoni, ritroviamo nuove spigolature. Sulle quali pesa la richiesta di archiviazione per uno dei tanti politici citati nelle informative della polizia giudiziaria. Una scelta inspiegabile alla luce soprattutto dell’ordinanza firmata dal gip. E, dunque, delle due l’una: o si tratta di una resa della magistratura davanti alla sentenza Mannino che ha svuotato quasi totalmente il reato di concorso esterno, oppure siamo davanti a una strategia in vista di possibili nuove inchieste.




E' solo un truffatore condannato.




Qui non si tratta di politica, ma di una sentenza per truffa.
La sentenza della seconda corte d'appello civile di Milano che ha condannato Fininvest a risarcire Cir per 560 milioni di euro è chiara e non ha bisogno di nessuna interpretazione.
Nessuno cada nel trabocchetto: Berlusconi non è una vittima perché in questa vicenda c’entrano solo gli atti giudiziari, lui è solo un truffatore condannato.
Adesso si leveranno le voci dei suoi avvocati e degli uomini che lui ha fatto eleggere in Parlamento che ripeteranno un copione già visto: che lui è vittima dei giudici comunisti, la solita storiella di sempre insomma.
Milano dovrebbe insegnare: abbiamo già visto alle ultime amministrative come gli italiani siano stufi delle commedie di Berlusconi, il Paese vuole giustizia. E oggi, giustizia è fatta.
Piuttosto dobbiamo riflettere sulla “Tangentopoli 2” che stiamo vivendo in questi mesi perché siamo in un periodo peggiore dei tempi dell’inchiesta Mani Pulite, quando scoprimmo un verminaio usato dalla politica per farsi gli affari propri.
Oggi è peggio. Perché addirittura si usano schermi formalmente legali per coprire le malefatte.
Questa Tangentopoli 2 è la copia riveduta di Tangentopoli 1 e riguarda trasversalmente tutti quanti. Tutti possono capitarci se non c’è una reale volontà di rilancio della questione morale. Si tratta, quindi, di stabilire delle regole precise: i rinviati a giudizio non possono assumere incarichi di governo né locale, né centrale e i condannati non devono essere nemmeno candidati.
Per tornare alla sentenza di oggi, è necessario rispettare quanto sancito dai giudici e che vengano risarciti i danni. E se e' vero, com'e' vero, che Berlusconi e' stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso.
Ripeto: è inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi.



Roberto Benigni L' Inno Del Corpo Sciolto live '83.




Esposto in procura: “A Villa La Certosa il ‘Tempio di Salomone’ e animali esotici”


Il fotoreporter Antonello Zappadu ha presentato una denuncia al tribunale di Tempio Pausania. Decine di foto, arrivate al fotografo in via anonima via mail, ci sarebbero le prove di abusi edilizi e del reato di importazione di animali esotici. Le immagini proverebbero l'esistenza di una struttura ispirata alla simbologia massonica.


Uno dei celebri scatti di Antonello Zappadu a Villa La Certosa

Un esposto denuncia, corredato da decine di foto, è stato presentato questa mattina alla Procura presso il tribunale di Tempio Pausania dal fotoreporterAntonello Zappadu, accompagnato dal suo legaleAngelo Merlini. Nella denuncia, suffragata da testimonianze fotografiche, vengono configurate le ipotesi di rilevanti abusi edilizi e il reato di importazione di animali esotici, probabilmente mai regolarmente denunciati. Secondo quanto affermato dall’avvocato Merlini si tratta di un corredo fotografico selezionato tra circa 700 immagini riguardanti alcuni interni di un immobile presuntamente edificato nel parco di Villa Certosa con sale di riunione, spazi di ritrovo e di relax, camere da letto, arredi, quadri, statue in bronzo, altre sequenze riguardanti il famoso tunnel sottomarino con un fondale subacqueo composto da un mosaico raffigurante il dio Nettuno.

Le foto non sono state scattate direttamente dal famoso fotografo sardo, ma ricevute in 54 spedizioni via email nel 2009 da un anonimo mittente quando Zappadu risiedeva in Colombia. Presumibilmente gli scatti daterebbero gli anni tra il 2008 ed il 2009. Da quel che è dato sapere, tra le immagini consegnate alla Procura di Tempio, sarebbero di sicura rilevanza “giuridica” quelle che riprendono il sempre ipotizzato e mai certificato “Tempio di Salomone” ed altre esterne che ritraggono la passeggiata di tre grandi testuggini esotiche su cui si richiede un accertamento in ordine alla regolare importazione in Italia.