giovedì 3 novembre 2011

Quintuplicato lo stipendio ‘pubblico’ della moglie del Responsabile Pisacane. - di Vincenzo Iurillo



Già consigliere regionale della Campania, Annalisa Vessella è amministratore delegato dell'Istituto di Sviluppo Agroalimentare, l'agenzia finanziaria di cui è socio unico il ministero dell'Agricoltura di Saverio Romano. L'aumento di retribuzione rivelato da un'interrogazione del deputato Pd Nicodemo Oliverio.

L'onorevole dei Responsabili Michele Pisacane
Hanno quintuplicato il suo stipendio di amministratore delegato di un’azienda di Stato. Ed è già consigliere regionale della Campania a quasi diecimila euro al mese. E, per di più, è anche moglie di un parlamentare. Un’interrogazione parlamentare del Pd fa tornare la signoraAnnalisa Vessella agli onori della cronaca. E di riflesso anche il marito, Michele Pisacane. Annalisa e Michele, una famiglia che vive di politica. Alla grande. Lei l’abbiamo lasciata a settembre fresca di promozione da consigliera di amministrazione ad amministratore delegato dell’Istituto di Sviluppo Agroalimentare (Isa), a chiederci maliziosamente se esistesse un nesso tra la nomina e la circostanza che sia la moglie di un deputato dei Responsabili decisivo per le sorti del governo B.

Il peone Pisacane, eletto nell’Udc dopo aver collezionato una raffica di pettorine tra centro destra e centrosinistra, ha infatti lasciato Casini per diventare uno dei trasformisti alla Scilipoti. Nel 2010 la moglie si candidò (e venne eletta) al consiglio regionale scegliendo di comparire sulla scheda col cognome Pisacane, mentre lui tappezzava la provincia napoletana di manifesti con la scritta ‘Vota Pisacane’. Per di più, lui, ex sindaco di Agerola, paese di collina della provincia napoletana che affaccia sulla costiera amalfitana, è il cofondatore dei Popolari di Italia Domani insieme aSaverio Romano, ministro delle Politiche Agricole e in questa veste socio unico dell’Isa, l’agenzia finanziaria del ministero che eroga finanziamenti a tassi agevolati alle imprese agricole, circa 200 milioni di crediti già assegnati.

La lievitazione dello stipendio della signora Vessella Pisacane è rivelata da un’interrogazione a risposta in commissione Politiche Agricole presentata dal deputato calabrese Pd Nicodemo Oliverio e in attesa di essere evasa. Oliverio mette nero su bianco che prima del rinnovo estivo del Cda il compenso spettante ai consiglieri uscenti dell’Isa ammontava a 25.000 euro su base annua, fatta salva un’indennità aggiuntiva al presidente e all’amministratore delegato. In base a un decreto legge del 2010 – ricorda Oliverio – le indennità dei Cda delle società interamente pubbliche andrebbero ridotte del 10%.

Invece all’Isa le cose sarebbero andate diversamente. L’assemblea – afferma il deputato Pd – ha “rideterminato i compensi su base annua prevedendo per il presidente (Nicola Cecconato, un 45enne di Treviso, ndr) un compenso di 160mila euro, per il vice presidente e per l’amministratore delegato (la signora Vessella, laureata in legge ed ex segretario comunale, ndr) un compenso di 140mila euro, per i consiglieri un compenso di 80mila euro”. Come se non bastasse, si legge nell’interrogazione, il Cda successivo all’assemblea avrebbe attribuito a presidente ed Ad indennità aggiuntive da nababbi: 137.500 euro per il presidente e 117.500 per l’ad “oltre al riconoscimento di un rimborso spese forfettario per alloggio ed auto pari a euro 55mila annui ciascuno”.

Per farla breve: tra lei col doppio stipendio di Ad dell’azienda pubblica e consigliere regionale, e lui con l’indennità parlamentare, la famiglia Pisacane intasca più di 30mila euro mensili. Che si sarebbero ridotti a poco più di 20mila euro se i compensi dell’Isa fossero rimasti quelli del vecchio Cda. Pisacane intanto a ottobre ha guadagnato una meritatissima fama per essere stato il 316° e ultimo deputato a votare la fiducia a Berlusconi, nella zona Cesarini della seconda chiamata. Un voto maturato al termine di una lunga meditazione. “Così ora Berlusconi mi sape”, avrebbe esclamato in dialetto napoletano riferendosi a chi doveva capire ed ha capito. Non si capisce, invece, se sia stato opportuno nominare un consigliere regionale (e persino moglie di un parlamentare) alla guida di una società pubblica che eroga finanziamenti ai potenziali elettori. L’interrogazione di Oliverio prova a sollecitare il ministro Romano anche su questo punto. Chissà se otterrà risposta. “Il ministero delle Politiche Agricole – afferma il deputato calabrese – avrebbe bisogno di un ministro che affronti le difficoltà del settore e non di uno impegnato in tutt’altre faccende per rafforzare le sue clientele, quelle degli amici e degli amici degli amici”.

La crisi greca, e il “tesoretto” nascosto nei caveau svizzeri. - di Leonardo Martinelli




E se la soluzione del problema greco, almeno in parte, risiedesse in Svizzera? In particolare nei forzieri delle sue banche? Georges Papandreou, il premier, ha annunciato il discusso referendum sul piano di aiuti, approvato nella notte dal suo Governo. Ma in parallelo continua una delicata e riservata trattativa con l’Esecutivo elvetico per tassare gli ingenti depositi dei ricchi greci in terra svizzera.

Non stiamo parlando di poca cosa. Secondo Atene si tratterebbe di una fuga di capitali di 280 miliardi di euro, depositati proprio negli istituti della Confederazione. Di recente, l’edizione tedesca del Financial Times ha indicato, invece, una stima di 165. Le cifre variano. Ma questo è l’ordine di grandezza. Che appare spropositato se si calcola che di capitali tedeschi nelle banche elvetiche ce ne sarebbero per un valore di 230 miliardi. Eppure gli esperti del settore indicano valori di quel calibro (in media fra i 150 e i 200 miliardi) per i depositi greci in Svizzera, giustificandoli con la propensione (e non da ora) dei milionari del Paese, adesso sull’orlo del default, a «esportare» i propri soldi e a cercare in ogni modo (anche in patria) di non pagare le tasse. La tendenza, fra l’altro, si è accelerata negli ultimi tempi: solo nel 2010 hanno preso la via dell’estero 35 miliardi di depositi.

Sempre per contestualizzare questi numeri, basti ricordare che il debito greco ammonta a 350 miliardi. E che lo sforzo complessivo europeo di ricapitalizzazione appena chiesto alle banche europee supera di poco i 100 miliardi. Insomma, il recupero a livello fiscale dei capitali fuggiti non sarebbe un elemento marginale nel tentativo disperato di Atene di evitare la bancarotta. Da tempo il negoziato con Berna va avanti. Giovedì scorso si è tenuto nella capitale elvetica l’ultimo incontro fra Ilias Plaskovitis, sottosegretario alle Finanze, e Michael Ambuhe, il suo equivalente svizzero. L’obiettivo è arrivare a un’intesa come quelle già raggiunte dalla Confederazione con la Germania e con il Regno Unito. E’ il cosiddetto meccanismo Rubik: in sostanza gli svizzeri applicano un prelievo “liberatorio” sui capitali provenienti da un determinato Paese e lo consegnano alle sue autorità fiscali, senza l’obbligo di comunicare i nomi dei titolari dei conti. E’ una soluzione ipocrita, ma pragmatica del problema, che l’Unione europea non vede di buon occhio e che la Francia ha già espressamente rifiutato (quanto all’Italia, la possibilità, emersa a un certo momento, è stata poi accantonata). Sta di fatto che l’aliquota decisa nel caso della Germania è del 26,375%, applicata sui 230 miliardi di depositi tedeschi. Non sono noccioline.

Papandreou sta spingendo molto su questo accordo. E le voci che circolano negli ultimi giorni fra Grecia e Svizzera indicano che la trattativa sarebbe a buon punto. Ma il vice-premier ellenico Evangelos Venizelos ha messo di recente le mani avanti: “Bisognerà poi che il nostro Parlamento sia pronto ad accettare tale accordo come l’hanno già fatto in Germania e nel Regno Unito”. Il problema è che, apparentemente, gli evasori sono ben rappresentati anche sugli scanni dell’aula parlamentare del Paese ellenico.

mercoledì 2 novembre 2011

Milano, l’ex sindaco Albertini: “Distrutti documenti sui derivati acquistati dal Comune”



L'eurodeputato del Pdl depone al processo che vede imputate quattro banche, accusate di una truffa da 100 milioni euro per aver piazzato all'ente pubblico titoli finanziari complessi ad alto rischio. Mistero sulle carte che la Procura non è riuscita a trovare negli uffici di Palazzo Marino.

L'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini
Importanti documenti relativi all’affare derivati del Comune di Milano potrebbero essere stati “distrutti”. Lo dice l’ex sindaco Gabriele Albertini, sentito oggi come testimone al processo che vede imputate quattro banche (Ubs, Deutsche Bank, Jp Morgan e Depfa Bank)e 13 persone fisiche, accusate di truffa aggravata per aver causato un danno di 100 milioni di euro all’amministrazione milanese nella sottoscrizione di contratti derivati.

Nel corso dell’esame di Albertini, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha spiegato che in Comune alcuni documenti, obbligatori per legge, non si sono trovati. In particolare, quelli che attestavano la convenienza economica per l’ente pubblico a sottoscrivere strumenti finanziari complessi e rischiosi. “Penso che siano stati distrutti”, ha replicato l’ex sindaco, ora parlamentare europeo del Pdl, “perchè è impossibile che quei documenti comunali non ci siano. E’ una lacuna epocale. Una notizia di reato”. Per l’amministrazione, infatti, “sarebbe stato impossibile “affrontare il consiglio comunale senza avere con se tutti i documenti che certificavano i calcoli di convenienza. Tutto il consiglio comunale, non solo le opposizioni, avrebbero protestato. Non è possibile non trovare quelle carte”.

Uscito dall’aula, Albertini ha ribadito la sua deduzione ai giornalisti: “Ho ipotizzato che siano stati distrutti perché risulta impossibile che non ci siano, perché erano obbligatori per legge e c’era una squadra molto competente che se ne occupava e dunque è impossibile che non siano stati redatti”. Perciò, ha proseguito Albertini, “non posso che pensare che siano stati distrutti, bisogna chiedere al pm che faccia indagini, perché oggi ha avuto una notizia di reato”.

Nel corso dell’esame, Albertini ha spiegato che nel 2005, quando la sua giunta diede il via libera all’operazione, non era a conoscenza di quale sarebbe stato il guadagno per le banche. “Nessuno sa quanto le banche guadagnano nelle operazioni, io sapevo qual era il tasso di interesse e che sarebbe stato conveniente, per i dettagli analitici c’era una squadra di esperti”. E comunque, ha aggiunto, “la mia era una responsabilità politica e quindi di questi aspetti analitici se ne occupava il nucleo dirigente del Comune.

Al processo di Milano sarà sentita anche il sindaco di centrodestra suvveduto ad Albertini, Letizia Moratti.


Bossi: "sconfiggeremo la crisi". Alla Festa della Zucca spiega la sua ricetta.




Umberto Bossi: “Liberi dal sud, un grido che fa tremare quei coglionazzi di Roma (ma lei signor ministro, non sono 26 anni che è seduto sulle poltrone romane? nda). E i giornalisti,  prima o dopo vi spacco la faccia, o vi denunciamo. Verrà un giorno in cui la gente vi piglia per il collo: finora abbiamo accettato la critica, ma prima o poi viene il momento della rabbia. Scrivete dei pezzi che meritereste di essere mandati in galera, pezzi sulla mia famiglia, prima o poi o vi spacchiamo la faccia o vi denunciamo. La gente ne ha piene le scatole. Questi graffiano le pagine con tutte le balle e i magistrati non li condannano. Loro scrivono, perché si sentono difesi alle spalle, qualcuno meriterebbe qualche cazzottone in faccia".

A sorpresa sul palco arriva anche il ministro Tremonti.

Lo spread sono numeri, questa è la realtà

Colf pagate più dei chirurghi per pulire le case dei generali.







Aeronautica: bando da 2,3 milioni per nove alloggi.

MILANO - AAA cercansi donne pulizie e cuoche, pagate come un docente universitario. Le parole dell'annuncio, certo, non sono esattamente queste. Ma il senso sì: per accudire nove appartamenti delle alte sfere militari l'Aeronautica stanzia per quattro anni (di questi tempi!) 1.884.798 euro e 72 centesimi più Iva (altri 395 mila) per un totale di 2.279.798 euro. Media: quasi 253.310 ad alloggio.
La gara, appena conclusa, non lascia spazio a dubbi. Non vengono cercati manager, ingegneri nucleari o ricercatori scientifici. Le mansioni sono queste: «Servizi di pulizia e rassetto camere e locali connessi, nonché i servizi di cucina, mensa e sguatteria». Per essere più precisi, chi è assunto attraverso una ditta apposita deve «mantenere un livello igienico sanitario ottimale dell'ambiente», occuparsi della «spazzatura e lavatura dei bagni comprese le relative pareti piastrellate» e della «lavatura specchi ed arredi vari, lavatura e disinfestazione sanitari», prendersi cura «dei contenitori porta rifiuti negli appositi cassonetti esterni per la raccolta differenziata» nonché della «lavatura degli stessi contenitori e sostituzione dei sacchetti porta rifiuti» e ancora della «battitura di cuscini e divani» più ovviamente la «battitura degli scendiletto».
Va da sé che viene chiesta una particolare attenzione per il «lavaggio e la lucidatura con idonei prodotti di tutta la posateria in alpacca argentata/argento, di vassoi e stoviglie di ogni genere». Per non dire della cucina dove deve «curare il servizio di confezionamento e distribuzione pasti». E provvedere «alla pulizia ed al riassetto di tutti i locali (cucina) ed attrezzature (piani di cottura, frigoriferi, congelatori, lavelli, elettrodomestici in genere) utilizzati, nonché lavatura, rammendatura, cucitura e stiratura di tovagliato». La gara, pubblicata sul web il 5 ottobre con scadenza il 20 ma sembra ignota perfino ai vertici politici della Difesa, prevede sei «lotti» di «Asir», gli alloggi di servizio assegnati a generali o ammiragli che ricoprano incarichi di alto comando «con occasionali necessità di rappresentanza che comportino l'organizzazione di pranzi o ricevimenti ufficiali nell'alloggio stesso». Quattro appartamenti a Roma, uno a Milano, uno a Firenze, uno a Poggio Renatico (Ferrara), uno a Pozzuoli e l'ultimo a Bari.
Le misure sono diverse. L'alloggio del capo di stato maggiore a Roma, per dire, si estende su 399 metri quadri di parquet, 143 di marmo, 275 di terrazzo, 48 di pianerottolo interno. Ha inoltre 188 metri quadri di maioliche, 78 di «superfici vetrate», 240 di rivestimento in legno... Tenerlo in ordine richiede minimo minimo un paio di domestici. Per altri lo spazio è meno spropositato.
Prendiamo l'esempio di Pozzuoli? Dice l'allegato B/5 che si tratta di un appartamento di 189 metri quadri che richiede un servizio di 176 ore al mese. Fatti i conti, la domestica chiamata a prendersi cura per 44 ore (scarse) la settimana dell'alloggio del comandante dell'Accademia aeronautica costerà in quattro anni 187.599 euro più Iva: 226.994 euro. Vale a dire 56.748 euro l'anno. Molto più del doppio di quanto costa, tutto compreso, una badante specializzata per non autosufficienti che resta a casa 24 ore al giorno.
D'accordo che fra gli impegni c'è anche quello di preparare pranzi e cene di rappresentanza per un massimo di 30 ospiti al mese (una cena a settimana per sette: se a tavola sono di più, lo Stato paga un extra) ma un dipendente all'House of Commons britannica, l'equivalente della nostra Camera dei deputati, di euro ne costa ogni anno 38.952. Cioè 17.796 in meno. Quanto al rapporto con altre categorie di italiani, ogni domestica assunta per la «battitura degli scendiletto» eccetera andrà a pesare sul bilancio dello Stato molto più di un maestro o di un professore. Lo dice il Budget 2011 dello Stato, secondo cui i dipendenti della scuola costano (stipendio, tasse, contributi vari...) 39.640 euro l'uno: 17.108 di meno.
La domestica che si occuperà dell'appartamento del comandante dell'Istituto di Scienze militari aeronautiche di Firenze, sempre per 44 ore scarse a settimana, costerà ai cittadini ancora di più: 58.381 euro. Cioè quasi tremila più di un dipendente medio (infermieri, anestesisti, radiologi, chirurghi...) del ministero della Sanità che di euro in un anno ne costa 55.645. Quei 58.381 euro esattamente sono gli stessi che pesano sui bilanci per un docente ordinario al primo anno, quindicimila più che per un associato, venticinquemila più che per un ricercatore. Con tutto il rispetto per il prestigio dei nostri ufficiali e per la dignità di ogni mestiere, anche il più umile: è giusto? In giornate di angoscia come queste te lo devi chiedere: è giusto?
Un ministro, un altissimo dirigente di Bankitalia o un magistrato ai massimi livelli la domestica se la devono ovviamente pagare e casomai, se proprio sono obbligati per lavoro a dare una cena di rappresentanza, motivata, chiamano volta per volta una ditta di catering: possibile che non possano farlo anche le alte cariche militari della Repubblica? Devono conservare ancora oggi, perfino in questi tempi di vacche magrissime, privilegi ottocenteschi? Gli alti ufficiali ai quali spetta l'«Asir», grandi e talora favolosi appartamenti di proprietà pubblica nel cuore dei centri storici formalmente divisi in una parte privata (sulla quale pagano un affitto di un euro a metro quadro: 300 metri, 300 euro) e una di rappresentanza, erano fino a un paio d'anni fa addirittura 59. Uno sproposito. Tanto che lo scorso anno il governo, non avendo la competenza formale sulla questione, ha premuto sul Comitato dei capi di stato maggiore perché fossero ridotti prima a 53 e poi a 47. Per puntare quanto prima a quota 39.
Che alcune cattive abitudini della mala politica attaccata a ogni privilegio avessero infettato anche il mondo con le stellette, del resto, si era capito. Un solo esempio, fra i tanti? L'inchiesta interna e la successiva bacchettata appioppata dal ministero ai responsabili di una «seratina» allegra di un comando dalle parti di Roma. Sapete quanto erano riusciti a spendere per una mezzoretta di fuochi d'artificio? Trentamila euro. A spese dei cittadini.

Disoccupazione giovanile al 29,3% Ocse: “Essenziale varare riforme strutturali”




Un giovane su tre in Italia non ha un lavoro: è il dato più alto dal gennaio 2004, superiore di oltre otto punti percentuali rispetto alla media Ue. Insieme agli under 25, la categoria più in difficoltà è quella delle donne.

Il popolo dei senza lavoro in Italia cresce vertiginosamente, viaggiando verso livelli record che ci allontanano sempre più dalla media Europea. Lo rivelano gli ultimi dati diffusi dall’Istat, che parlano di un tasso di disoccupazione arrivato, a settembre, all’8,3 per cento. Ma quello che è ancora più allarmante è la percentuale che riguarda il numero dei senza lavoro tra i giovani nella fascia di età 15-24 anni: a settembre è arrivata al 29,3%, rispetto al 28,0% rilevato in agosto. E’ il dato più alto da gennaio 2004. E vuol dire che quasi un ragazzo su tre non ha un impiego. Rispetto ad agosto, secondo l’istituto di statistica, ci sono complessivamente 86mila occupati in meno.

Insieme ai giovani, l’altra categoria in maggiore difficoltà è quella delle donne: la percentuale di lavoratrici è ferma a quota 46,1%, mentre le disoccupate sono il 9,7%. La differenza uomo – donna, però, si vede soprattutto guardando agli inattivi, cioè coloro che hanno anche smesso di cercalo, un impiego: quasi una donna su due, il 48,9%, si trova in questa situazione.

Questi dati allontanano pesantemente il nostro Paese dalla media europea: la nostra disoccupazione è di 8,1 punti percentuali superiori a quella complessiva del Vecchio Continente, che si attesta al 21,4%. Per non parlare dell’impietoso confronto con i Paesi più virtuosi, come l’Austria – dove a non avere un lavoro è solo l’8% della popolazione – o il Lussemburgo, dove il dato si aggira attorno al 15%.

Preoccupare anche il fronte dell’inflazione. L’Istat ha rilevato infatti ad ottobre un tasso pari al3,4%, contro la media del 3% nell’eurozona. Si tratta del record negativo dal 2008. E ad aggravare questa situazione, secondo l’Istat, sono stati anche i provvedimenti inseriti con l’ultimo aggiustamento della legge finanziaria, in particolar modo l’aumento di un punto percentuale dell’Iva.

A chiedere misure per “contrastare la disoccupazione e riequilibrare la domanda globale” è anche l’Ocse, secondo cui, senza un intervento politico complessivo capace di affrontare in maniera radicale la situazione, la crescita del Pil globale frenerà dal 5,2% del 2010, al +3,9% nel 2011 e a +3,8% nel 2012. Una timida ripresa,  secondo le previsioni Ocse, ci sarà nel 2013, quando si attesterà a +4,6%. Un andamento simile, con una discesa nei prossimi due anni e leggera ripresa nel 2013, si avrà anche nell’area dei Paesi del G20. E’ questo in sintesi quanto si legge nell’Outlook che l’organizzazione ha preparato in vista del G20 di Cannes, in cui si stima, tra l’altro, che un deterioramento della situazione in Europa o negli Usa potrà determinare un calo del Pil fino al 5% in alcune delle maggiori economie Ocse entro la prima metà del 2013.

Ma l’Ocse ha anche indicato la via da seguire: è “essenziale”, anzi tutto, che i paesi del G20 varino le “riforme strutturali per aumentare la crescita potenziale” e che gli Stati dell’area euro “implementino pienamente e con decisione le misure annunciate lo scorso 26 ottobre” in modo tale da “assicurare alle banche un’appropriata capitalizzazione e finanziamenti”. Sono necessari il “consolidamento di bilancio e una crescita durevole”. Un invito dall’Ocse, poi, anche per le economie finanziariamente più forti, che dovrebbero “fornire aiuti aggiuntivi”.

Quanto costa B. alle banche. - di Marco Onado*



L’entusiasmo dei mercati per la lettera di intenti del governo Berlusconi è durata l’espace d’un matin, come la rosa del poeta. Venerdì il tasso sui titoli italiani a 10 anni ha oltrepassato la soglia del 6 per cento e le ultime due giornate sono state la degna cornice della notte delle streghe. Il differenziale di tasso rispetto a quello tedesco è balzato a 452 punti (4,52 punti percentuali). Per rinnovare i nostri debiti paghiamo il triplo della Germania e il doppio della Francia. È la prova definitiva del fatto che l’Italia ha perso la fiducia dei mercati.

L’Italia è così costretta a ricevere ultimatum tanto pressanti quanto umilianti. Dai problemi di oggi si esce o innestando la marcia dello sviluppo economico o tagliando senza pietà le spese pubbliche per ridurre il debito. Se non riusciamo ad imboccare la prima strada, ci spingono sulla seconda e comunque in Italia qualcuno apprezza che ciò comporti anche una bella botta ai diritti sindacali. L’abolizione dell’articolo 18 è come un diamante per una fanciulla: un regalo per sempre. A questo bivio siamo arrivati con un progressivo smottamento da inizio anno scandito dai downgrading del Paese e dall’aumento degli spread: quello a due anni, già prima delle ultime giornate di fuoco era aumentato di 183 punti base rispetto a dicembre scorso; per la Spagna l’aumento è stato di soli 70 punti base. È la misura più lampante della differenza con cui oggi i mercati guardano al nostro Paese: è quello che ci costa l’agonia del governo.

Fra le vittime di questa situazione ci sono anche le banche, cui l’autorità bancaria europea (Eba) oggi chiede di aumentare i capitali (per le prime 5 italiane si tratta di 15 miliardi su un totale di 106 per le principali 70 dell’Unione). Un importo indispensabile per garantire un flusso adeguato di crediti all’economia.

Lunedì i principali banchieri italiani hanno chiesto una sostanziale riduzione degli obblighi di capitale imposti dall’Europa, ma è difficile che le loro richieste arrivino a Bruxelles, perché nessuno oggi è disposto a fare sconti all’Italia. Ma soprattutto dovrebbero capire che stanno chiedendo soccorso a chi è la causa dei loro principali problemi, che derivano in larga misura proprio dalla spirale perversa degli spread. Per le banche infatti questi aumenti di tassi sono dannosi quanto per le casse statali. Da un lato devono accantonare più patrimonio per fronteggiare le perdite potenziali sul debito pubblico e su quello privato che subisce gli effetti dei downgrading. Dall’altro, vedono aumentare i costi della raccolta sul mercato obbligazionario e interbancario, perché gli spread bancari si muovono parallelamente a quelli del debito pubblico.

In termini pugilistici, un uno-due micidiale. Solo per le banche oggetto della richiesta dell’Eba, il primo effetto comporta maggiori esigenze di capitale per quasi 9 miliardi per ogni 100 punti base di spread. Basterebbe cioè oggi essere fra 300 e 350 punti (che sarebbe comunque il doppio di dicembre) per ridurre di due terzi l’onere che viene imposto dall’Europa e renderlo ben più tollerabile. E poi ci sono i maggiori costi di raccolta: le 5 banche hanno rinnovato titoli per 94 miliardi nel corso del 2011: ogni punto percentuale di maggior tasso è dunque costato quasi un miliardo. Per la raccolta interbancaria, 65 miliardi, l’incremento dei costi è attenuato dalle condizioni di favore della Bce, ma vale comunque qualche centinaio di milioni. In totale, un aumento dei costi di 1,2 miliardi significherebbe il 14% dei profitti lordi prima delle tasse del 2010 e dunque una sostanziale riduzione della capacità di aumentare i capitali accantonando utili futuri. E ci meravigliamo se in borsa i titoli bancari scendono?

Insomma: ogni 100 punti base di spread comportano per le banche un salasso di 9 miliardi in termini patrimoniali e 1,2 di riduzione dei profitti lordi. Ed è ragionevole ipotizzare che la debolezza delle risposte italiane alla crisi vale almeno tanto, che è comunque meno del differenziale che si è aperto rispetto alla Spagna. Ma cosa è questa se non la misura della “tassa Berlusconi”, la nuova versione della “Robin tax” che all’inizio del suo mandato il ministro Tremonti, quello che aveva previsto la crisi, proponeva di far pagare alle banche? Altro che chiedere al governo di essere protette a Bruxelles; le banche dovrebbero limitarsi ad una sola parola: vattene.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/02/quanto-costa-b-alle-banche/167842/

*http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Onado (altro che Brunetta!)