giovedì 12 gennaio 2012

Teorie...



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Parassiti.



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Nel mirino dei pm e del Fisco 17 conti "segreti" di Marcegaglia

Intestati a Steno, Emma e Antonio. Il gruppo: tutto regolare
di EMILIO RANDACIO e WALTER GALBIATI.


Nel mirino dei pm e del Fisco 17 conti "segreti" di Marcegaglia
Da sinistra Steno Marcegaglia (fondatore del gruppo mantovano) con i figli Emma, presidente di Confindustria e Antonio

MILANO - Diciassette conti congelati, da "porre in collegamento con le dichiarazioni rese da Marcegaglia Antonio". È il Ministero pubblico della Confederazione elvetica, con una missiva spedita la scorsa settimana all'ufficio del procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, a rialzare il sipario sui conti esteri della famiglia Marcegaglia. Una parte dei quali - quattro per la precisione - erano già stati scandagliati durante l'inchiesta Enipower, una storia di tangenti pagate per accaparrarsi commesse milionarie e che ha visto tra i numerosi protagonisti anche il rampollo della famiglia industriale mantovana. A marzo 2008 il figlio del fondatore del colosso dell'acciaio ha patteggiato una pena (sospesa) di 11 mesi per corruzione. E ha pagato oltre 6 milioni di euro. 

Gli inquirenti svizzeri vogliono ora capire cosa fare di quei rapporti bancari, conti da paperoni intestati anche a Steno ed Emma Marcegaglia - presidente di Confindustria - gestiti da Antonio, e finiti nel frattempo sotto la lente dell'Agenzia delle Entrate di Mantova per verificare eventuali reati fiscali. Ma di che conti si tratta? 

Per una decina d'anni, tra il 1994 e il 2004, il gruppo Marcegaglia era riuscito a interporre negli acquisti di materie prime e di macchinari alcune società offshore, in modo da creare fondi neri da depositare su conti esteri. Il meccanismo, noto a tutta la famiglia, era semplice: la Marcegaglia Spa non comprava direttamente l'acciaio, ma lo rilevava da alcune società di trading incaricate di riversare i margini di guadagno su appositi conti cifrati. Una di queste, la londinese Steel Trading operava attraverso il conto Q5812712 presso la Ubs di Lugano. Le plusvalenze milionarie venivano poi trasferite sul conto Q5812710 aperto sempre presso la stessa banca svizzera e intestato a una società delle Bahamas, la Lundberg Trading. Il beneficiario finale dei conti era Steno Marcegaglia, padre e fondatore dell'omonima azienda. 

Lo stesso meccanismo funzionava per altri due conti svizzeri, intestati a Steno e alla figlia Emma. La Scad Company Ltd che gestiva le vendite dell'acciaieria bulgara Kremikovtzi, versava in nero le differenze di prezzo della materia prima e i frutti economici di eventuali contestazioni favorevoli ai Marcegaglia sul conto cifrato 688342 della Ubs di Lugano. La Springleaf Capital Holding, la Cameo International e la Macsteel International Uk Ltd facevano le medesime operazioni per alcune acciaierie indiane. E sullo stesso conto cifrato della famiglia sono stati convogliati anche i proventi di due vendite in nero: il 31 gennaio 2004 un cliente iraniano ha versato 150mila euro per l'acquisto di un macchinario e ad aprile 2004 un cliente argentino altri 44mila euro per alcuni pezzi di ricambio venduti dalla Marcegaglia Spa. Tutte le provviste accumulate sul conto 688342, oltre un milione di dollari in poco più di un anno, sono state poi riversate sul conto cifrato 688340 della Ubs di Lugano, anch'esso riconducibile a Steno ed Emma. Complessivamente, i soldi transitati sui quattro conti sono nell'ordine di diversi milioni. Quando ad agosto 2004 sono stati chiusi i rapporti bancari della Steel Trading e della Lundberg, il saldo era di 22 milioni, un importo che la famiglia ha provveduto a trasferire a Singapore, prima dell'arrivo della magistratura. 

"Si tratta di questioni legate a una società che all'epoca ha svolto una effettiva attività di trading di acciaio esclusivamente a prezzi di mercato, pagando regolarmente le tasse nel Paese di competenza. Società che, peraltro, ha già cessato da molti anni ogni sua attività", spiegano fonti ufficiali del gruppo Marcegaglia interpellate da Repubblica. 

Ora tutta la documentazione dei conti analizzati dalla procura di Milano è nelle mani del nucleo tributario della Guardia di finanza e della Agenzia delle Entrate di Mantova per verificare possibili reati fiscali, soprattutto connessi a compravendite in nero e a eventuali false fatturazioni. Mentre l'Autorità giudiziaria elvetica si trova con un elenco di conti sui quali sono transitati i frutti milionari del trading dell'acciaio e aspetta indicazioni dalla procura di Milano. Era stato Antonio Marcegaglia, nella ricostruzione davanti ai pm, ad alzare il velo su altri rapporti cifrati e a spiegare come venivano utilizzati quei fondi: si tratta di "risorse riservate - aveva messo a verbale il 30 novembre 2004 - che abbiamo sempre utilizzato nell'interesse del gruppo per le sue esigenze non documentabili". Con quei soldi venivano pagati estero su estero i bonus per i manager che lavorano al di fuori dell'Italia, come quelli che gestivano i rapporti con i trader russi e con i paesi arabi, destinatari di commissioni e provvigioni per migliaia di dollari. "Per tutte le esigenze di questo tipo che avevo a Mantova - spiegava ancora Antonio Marcegaglia - mi facevo consegnare presso il mio ufficio il denaro che occorreva per pagare fuori busta dirigenti, collaboratori ed altro". A volte i contanti servivano per acquistare beni, come una Mercedes o un casale in Toscana. "Il patrimonio familiare - precisa oggi il gruppo Marcegaglia - si trova per la sua stragrande maggioranza in Italia, mentre una sua minima parte è all'estero e comunque in regola con le normative fiscali italiane". 

Dall'estero, i soldi della famiglia arrivavano in Italia grazie a un vero e proprio servizio di "spallonaggio" che la Ubs offriva chiedendo una percentuale dell'1%. I conti d'appoggio li forniva sempre la banca elvetica. Dal rapporto cifrato 688340 intestato a Steno ed Emma Marcegaglia, per esempio, tra settembre e dicembre 2003, sono stati trasferiti sul conto della Preziofin Sa presso la Ubs di Chiasso oltre 750mila euro per essere poi prelevati in contanti e portati in Italia. Qualcosa come 3 milioni di euro più circa 800mila dollari sono stati trasformati in denaro sonante tra il 2001 e il 2003 dal conto cifrato 664807 aperto nella filiale Ubs di Lugano. Allo stesso servizio obbedivano i conti 614238 presso la Ubs di Chiasso e il conto intestato alla Benfleet presso la filiale di Lugano. 

Un altro conto d'appoggio e riconducibile ad Antonio Marcegaglia è il conto "Tubo". Qui per esempio nel '97 sono stati versati dal conto Lundberg 1,6 milioni di dollari per pagare parte dell'acquisto dello stabilimento di San Giorgio di Nogaro. E, secondo la ricostruzione del rampollo di casa Marcegaglia, anche i versamenti effettuati sui conti "Verticale", "Vigoroso", "Borghetto" e "Diametro" (poco più di 2 milioni di euro) non sono altro che pagamenti in nero, l'ultimo dei quali a maggio 2003, destinati alla Mair Spa di Thiene per l'acquisto senza fattura di un macchinario per la fabbricazione di tubi. 

Ininterrottamente poi dal '97 al 2004 è stato alimentato un conto cifrato (JC 251871) presso la Ubs di Lugano: 175 milioni di lire l'anno, finché era in voga il vecchio conio, e 90mila euro l'anno con l'avvento della moneta unica. "Trattasi di pagamenti in nero a favore dello Studio Mercanti di Mantova in relazione a consulenze di tipo amministrativo", ha dichiarato Antonio Marcegaglia. Lucio Mercanti è il presidente del collegio sindacale del gruppo mantovano, proprio colui che è preposto a vigilare sui bilanci della società. 



http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/economia/conti-marcegaglia/conti-marcegaglia/conti-marcegaglia.html

mercoledì 11 gennaio 2012

Dirigente della Federico II: Acierno si dava a spese pazze.


La responsabile amministrativa al processo in cui l'ex direttore generale e deputato è accusato di peculato: "Utilizzava le carte di credito per giocare al casinò on-line e per fare viaggi".




PALERMO. Mentre la fondazione Federico II era sommersa dai debiti (circa 2,5 milioni a fine 2007) il suo direttore generale, l'ex deputato Alberto Acierno, utilizzava le carte di credito per giocare al casinò on-line e per fare viaggi, e prelevava anche somme dalla cassa della biglietteria di palazzo dei Normanni, le cui visite guidate sono gestite dalla fondazione. L'ha detto in aula la responsabile amministrativa della Federico II, Antonella Razete, deponendo al processo in cui Acierno è accusato di peculato. Il danno erariale è stato quantificato in quasi 150 mila euro, 110 mila ai danni della fondazione e 40 mila al gruppo misto dell'Ars, di cui era presidente.
In più occasioni - ha spiegato la Razete - ho chiesto ad Acierno di rendicontare queste spese. Lui mi dava qualche pezza di appoggio e per quelle che non riusciva a spiegare mi diceva che poi avremmo fatto i conti a fine anno, ma nel novembre 2007 si licenziò".  Il clima alla fondazione non era dei migliori: "Una dipendente, Elisa Musso - ha raccontato la Razete -, mi disse che Acierno le aveva offerto cocaina nel suo ufficio. Il direttore sembrava affabile e lo era, in effetti, a meno che non si arrabbiasse. In molti casi si arrivò a violenti alterchi con il personale e una volta lanciò il telefono in testa al suo segretario particolare".
Poco prima di dimettersi, Acierno presentò alla fondazione diverse fatture per le attività da lui svolte. "Con quelle fatture - ha proseguito la teste - da debitore Acierno diventò creditore e volle che venissero emessi quattro assegni in suo favore per pareggiare i conti. Chiamai Gianfranco Micciché, allora presidente dell'Ars, e appena vide quelle fatture si infuriò e disse che erano false. Poi non ne seppi più nulla".
Degli ammanchi si accorse anche Francesco Cascio al momento del suo insediamento alla presidenza dell'Ars. "Mandai una lettera ad Acierno - ha detto - sia per la fondazione che per il gruppo misto, ma lui mi disse che non doveva nulla. A quel punto presentai un esposto alla procura".
Gianfranco Miccichè avrebbe dovuto deporre, come testimone dell'accusa, ma stamattina ha dato forfait sostenendo di avere impegni istituzionali. Una giustificazione non valida secondo i giudici della terza sezione del tribunale di Palermo che hanno chiesto al pm di citare con diffida, l'ex leader di Fi in Sicilia ora esponente del movimento Grande Sud.

Micciché, presidente dell'Ars all'epoca dei fatti, nominò Acierno direttore della fondazione e stabilì in 180 mila euro l'anno il suo compenso invertendo la rotta rispetto al passato visto che fino ad allora l'incarico era a titolo gratuito.

Acierno si sarebbe appropriato di 150mila euro sottraendoli alle casse della fondazione
e del Gruppo misto all'Ars di cui era presidente. Il processo è stato rinviato al 30 gennaio per la citazione di Micciché. Se il leader di Grande Sud non si presenterà se ne potrà ordinare l'accompagnamento coattivo.

MICCICHE'. "Prima dell'inizio dell'udienza ho comunicato ai giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo di essere impossibilitato a deporre per importanti impegni istituzionali a Roma, confermando, tuttavia, la mia presenza nella prossima udienza". Lo dice, in una nota, il parlamentare nazionale e leader di Grande Sud Gianfranco Micciché, in merito alla richiesta di citazione con diffida sollecitata dai giudici del processo per peculato dell'ex direttore della Fondazione Federico II Alberto Acierno. Il politico avrebbe dovuto deporre stamattina, ma ha presentato una giustificazione, adducendo impegni istituzionali, che il collegio non ha ritenuto valida.

Marito e moglie si suicidano: per anni avevano denunciato alla politica il loro stato di indigenza.





Domenica 8 gennaio si è consumato l'ennesimo dramma della povertà e della disperazione. La perdita del lavoro, il sentirsi un peso per la società, la consapevolezza di non avere più voce per farsi ascoltare. Sono questi i motivi che hanno spinto una coppia a porre fine alla loro esistenza. Una tragedia annunciata quella di Salvatore De Salvo, 69 anni, ex rappresentante di commercio, e della moglie Antonia Azzolini, 69 anni. Ieri sera hanno trovato lei distesa sul letto dell'Hotel Sette Mari a Palese, lui l'avevano già trovato all'alba mezzo nudo tra le alghe del lido San Francesco. Già altre volte la coppia aveva tentato il gesto estremo. Da anni erano ospiti di una casa di accoglienza prima in via Napoli a Bari, poi a Triggiano. Ma soprattutto lui, Salvatore, non si era mai arreso a questa condizione di indigenza derivata dalla perdita del lavoro prima e dalla vendita della casa dopo per far fronte alle spese. Ha scritto a tutti, dal presidente della Repubblica in giù, chiedendo aiuto. Un lavoro, prima di tutto. Ha continuato a lottare fino a quando si è reso conto che gridava invano. 

QUI L'ULTIMA INTERVISTA E IL DISPERATO APPELLO PRIMA DEL SUICIDIO:

Fisco leggero, la Corte dei Conti: «Manette agli evasori? Mai applicate»



La legge che specifica le sanzioni per chi evade presenta enormi «punti di debolezza» e ha effetti controproducenti.

Una gazzella della Guardia di Finanza

MILANO - Il presidente del Consiglio, Mario Monti, qualche giorno fa è stato caustico: «le mani nelle tasche degli italiani le mettono gli evasori». E anche i controlli della Guardia di Finanza a Cortina vanno in questa direzione: contrastare i fenomeni di elusione fiscale.
LEGGE LASSISTA - Eppure le manette agli evasori sono rimaste «per lo più inapplicate o hanno avuto risultati del tutto insoddisfacenti e talvolta anche controproducenti». Ad affermarlo è la Corte dei Conti che nel 2012 avvierà una specifica indagine per verificarne la concreta applicazione e gli eventuali «punti di debolezza».
I CONSUMI E L'EVASIONE - E a proposito di evasione fiscale nel 2011 in Italia sono state immatricolate 110.855 auto di lusso, cioè con almeno 2.800 cc di cilindrata, di cui oltre 53 mila al Nord. Dai 2.806 controlli incrociati con le denunce dei redditi dei proprietari, effettuati dall'Agenzia delle Entrate l'anno scorso, è stata accertata una maggiore imposta di 68.645.189 euro (derivante dal reddito non dichiarato). Lo scrive Panorama nel numero in edicola giovedì. Di questa somma, 12.488.486 euro - si legge nelle anticipazioni - sono stati già incassati dall'erario perchè i titolari delle auto hanno ammesso l'evasione. «L'evasione media, pur con i limiti di un simile calcolo, è di 24.463 euro ma l'Agenzia proseguirà gli accertamenti sugli stessi soggetti per individuare eventuali altri redditi non denunciati», scrive ancora il settimanale.

Malinconico, bonifico al Pellicano Il proprietario: "Restituito, noi già pagati"




Il rimborso per i soggiorni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Monti al resort di lusso di Porto Ercole nel 2007 e 2008 è arrivato questa mattina. Ma a pagare il conto era stato Piscicelli, l'imprenditore indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla cricca per gli appalti del G8 dell'Aquila.


ROMA - Il bonifico annunciato da Carlo Malinconico a saldo delle vacanze "a scrocco" delle estati 2007 e 2008 al relais et chateau "Il Pellicano" di Porto Ercole - il caso che lo ha portato alle dimissioni 1 - è arrivato questa mattina. Cinque anni dopo. E - se si volesse fare ironia - all'indirizzo sbagliato. Infatti la somma è arrivata al proprietario dell'albergo di lusso dove Malinconico, all'epoca segretario generale alla presidenza del Consiglio, era stato ospite a spese dell'imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli. Semmai, si potrebbe dire, è a Piscicelli che il bonifico sarebbe dovuto arrivare. Per rimborso.

"Ho ricevuto questa mattina un bonifico per soggiorni del signor Malinconico nel 2007 e 2008, ma nulla ci è dovuto", puntualizza Roberto Sciò, il proprietario del Pellicano. "Abbiamo ricevuto una somma di oltre 19mila euro con la motivazione soggiorni 2007-2008, ma quei soldi non possiamo accettarli. Quel conto era già stato saldato", ha aggiunto Sciò. "Nei giorni scorsi avevamo ricevuto una comunicazione con cui ci annunciavano un pagamento, ma fino a questa mattina nulla ci era pervenuto". 

Un pasticcio, insomma. Una volta scoppiato il caso, Malinconico ha detto di non avere nulla da rimproverarsi, avendo già provveduto al rimborso. Il bonifico è arrivato questa mattina, a distanza di anni

dai soggiorni. E' stato quindi ordinato lunedì scorso, il giorno prima delle dimissioni di Malinconico dall'incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, quando la storia era deflagrata, mettendo in forte imbarazzo il governo Monti. 

"Ho appreso la notizia dell'avvenuto bonifico dalla mia amministrazione questa mattina", dice Sciò, "e gli addetti sapevano che dovevano restituirlo". Perché era già stato l'impreditore Piscicelli a farsi carico del conto. Che, in un'intervista oggi a Repubblica sul rimborso dichiara: "Li avrà mandati a Roberto (Sciò). Quando me li girerà li devolverò in beneficenza". Piscicelli si dice dispiaciuto per Malinconico - che ha sostenuto di non sapere chi pagava i conti - ma è sicuro che il sottosegretario era al corrente di chi saldava i soggiorni. "E' vero che pagavo io, ma il cadeau del Pellicano era da parte di Balducci", aggiunge. "Io facevo quello che mi diceva Balducci - prosegue -, non gli si poteva dire di no. Perché poi volesse favorire Malinconico questo va chiesto a lui. Balducci mi chiese di ancitipare al Pellicano e quei soldi non li ho più rivisti". 

Piscicelli, indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla cricca per gli appalti del G8 dell'Aquila, riferisce anche di "aver perso il conto" delle 'cortesie' a funzionari pubblici: "tra il 2005 e il 2010 il gioco mi è costato poco meno di un milione di euro". I nomi, aggiunge, li ha fatti "al procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna con cui ho cominciato a collaborare".



http://www.repubblica.it/politica/2012/01/11/news/malinconico_bonifico_pellicano-27929195/?ref=HREC1-6