giovedì 19 gennaio 2012

Malpensa: ecco come i dipendenti trafficavano chili di coca.


4 dipendenti arrestati dalla guardia di finanza. Nel video le preoccupazioni degli arrestati intercettati.


Beni per oltre un milione di euro, questa la fortuna accumulata da quattro dipendenti dello scalo di Malpensa, fino ad ora incensurati. La Guardia di finanza di Torino ha scoperto che erano proprio loro a garantire, all'insaputa dei datori di lavoro, l'uscita della cocaina dall'aeroporto milanese. Complici di un'organizzazione di narcotrafficanti che li ripagava a suon di euro. 

La droga purissima proveniva da Santo Domingo e arrivava a Malpensa in pacchi da 20/30 chili, all'interno di una stiva di servizio degli aeroplani. Uno degli indagati ritirava personalmente i pacchi e li consegnava ai complici, eludendo i normali controlli. Nel video le voci sgomente di due di loro, ormai consapevoli di esser stati scoperti. 

Fassino & Chiampa hanno una banca. - di Giorgio Meletti



Giorgio Meletti


La promessa gliel’aveva fatta il sindaco di Torino Piero Fassino appena eletto, nel maggio scorso. E il suo predecessore Sergio Chiamparino, da allora alla ricerca spasmodica e vana di uno sbocco politico che l’ha portato finanche a bussare alla porta dell’ex emergente sindaco di Firenze Matteo Renzi, adesso passa all’incasso: “Sono stato contattato per la presidenza della Compagnia di San Paolo e ho dato la mia disponibilità”. Ecco fatto.
Se vi chiedete chi l’ha contattato, lasciate perdere. Certe cose non si dicono. Il bravo politico-banchiere dev’essere un eccellente dissimulatore. Per dire, fino a poche settimane fa Chiamparino faceva finta di non volerne sapere della Compagnia: “Il mondo è già pieno di banchieri che non sanno fare il loro mestiere”, diceva, forse preparando il colpo di scena, la sorpresa: il politico che crede di saper fare il banchiere. Del resto funziona così il galateo opaco delle Fondazioni bancarie, giuridicamente enti privati, di fatto ultimo tesoretto a disposizione della casta, che difende con le unghie e con i denti il potere di fare i suoi comodi con quei 50-60 miliardi di patrimonio. Sarebbero soldi pubblici, e farebbero tanto comodo a uno Stato costretto a tagliare le pensioni, ma non c’è niente da fare.

Guai a chi tocca l’autonomia delle Fondazioni. Che nel caso della Compagnia San Paolo funziona così: dei 21 membri del consiglio d’amministrazione il comune di Torino ne nomina due, eppure, per prassi, tradizione e convenzione tacita, comanda. Il presidente della Compagnia lo sceglie il sindaco, e tutti i 21 consiglieri, grati di aver avuto la poltrona (chi dal comune di Genova, chi dalla regione Piemonte, chi dall’Accademia dei Lincei, chi dall’Unione Europea, e via dicendo) alzano la manina. Stavolta però Chiamparino abbatte il muro del suono: ci va lui direttamente, facendosi prescegliere dall’amico-nemico Fassino. Potrebbe sembrare una farsa municipale se non fosse preceduta da una tragedia nazionale.

La Compagnia di San Paolo è il primo azionista della prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, con il 10 per cento delle azioni. E fa una certa impressione constatare che negli ultimi anni il contributo di Chiamparino al governo del gigante del credito, come tutte le banche sull’orlo di un abisso chiamato crisi finanziaria mondiale, sia stata la difesa dei coefficienti di torinesità della banca. Avete letto bene: torinesità. Chiamparino è affezionato alla Compagnia di San Paolo e ad altre cose torinesi come la Fiat e le partite a scopone con Sergio Marchionne per distrarsi un po’ tutti insieme tra una chiusura di stabilimento e una perdita di quote di mercato. Nel 2004 ha voluto alla presidenza della Compagnia l’avvocato dell’Avvocato, Franzo Grande Stevens. Nel 2008 ha scelto Angelo Benessia, ex consigliere Fiat. Adesso i salotti trasversali torinesi sono stufi di Benessia, perché (indovinate?) non si è fatto valere con i “milanesi”, che poi erano il bresciano Giovanni Bazoli (presidente di Intesa), il comasco amministratore delegato Corrado Passera, il lecchese Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, secondo azionista della banca dopo la San Paolo.

Il problema di Chiamparino è che Intesa Sanpaolo è nata dalla fusione della milanese Intesa e della torinese Imi-Sanpaolo, nata a sua volta dalla fusione della torinese San Paolo con la romana Imi. Banche gigantesche, di livello internazionale alle quali però giustamente uno come Chiamparino guarda la targa, perché i mercati globali sono chiacchiere, mentre chi comandano sono i politici locali. E così quando ci fu la fusione, nel 2007, il numero uno Passera entrò in rotta di collisione con il numero due Pietro Modiano, che veniva dal Sanpaolo, ma era l’unico vero milanese al vertice. Il sindaco di Torino, con l’occhio ai mercati internazionali, tuonò: “Il siluramento di Modiano verrebbe vissuto come un atto ostile alla città”. Nientemeno. Modiano infatti, benché milanese, e blasonato per la discendenza dalle carte da gioco, fu cacciato dai milanesi. Per riscattare lo scorno, Chiamparino mise in pista per la presidenza del consiglio di sorveglianza l’ex ministro Domenico Siniscalco, lanciandolo così: “Ho cercato un nome che avesse i quarti di professionalità e di torinesità utili per non lasciare la palla in mano ai milanesi”.

Lui parla così. Anche Siniscalco è stato abbattuto, e ha devoluto la sua torinesità alla Morgan Stanley. Adesso l’ex sindaco vuole andare in prima persona a cantargliela ai milanesi. Ma a Torino, dove come in ogni paesone preferiscono l’odio intestino a quello per i milanesi, qualcuno teme che alla fine si limiti a usare la Fondazione, impoverita dalla crisi bancaria, come Bancomat per il comune, pure impoverito, del suo grande elettore Fassino.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/19/fassino-chiampa-hanno-una-banca/184858/

Milano, perquisizioni della Guardia di finanza negli uffici di Standard & Poor’s



La visita delle Fiamme Gialle disposta dalla Procura della Repubblica di Trani, che indaga sulle agenzie di rating con le ipotesi di reato di aggiotaggio, manipolazione del mercato e abuso di informazioni privilegiate.



Standard&Poor's
Aggiotaggio, manipolazione del mercato e abuso di informazioni privilegiate: sono queste le ipotesi di reato a carico delle principali agenzie di rating internazionali sulle quali si concentrano le indagini della Procura della Repubblica di Trani e che stamattina hanno portato la Guardia di Finanza a compiere verifiche nella sede milanese di Standard & Poor’s. Due, in particolare, i procedimenti paralleli in corso, entrambi a firma del sostituto procuratore di Trani Michele Ruggiero.

Il primo procedimento è stato aperto nell’estate di due anni fa dopo la denuncia di Adusbef Federconsumatori e riguarda l’agenzia Moody’s. Gli inquirenti stanno indagando sul report del 6 maggio del 2010 – a mercati aperti – e nel quale l’agenzia affermava che il sistema bancario italiano, in seguito alla crisi greca, era tra quelli a rischio. La diffusione del documento, che la Procura riteneva basato su “giudizi infondati e imprudenti”, provocò il crollo del mercato dei titoli italiani.

Il secondo procedimento, invece, è ancor più recente: avviato durante la scorsa primavera – sempre sulla base di denunce delle due associazioni per la tutela dei consumatori – sta scandagliando i giudizi espressi sul sistema italiano in tre differenti circostanze dall’agenzia Standard & 
Poor’s. In uno questi report, emesso il primo luglio 2011, l’agenzia espresse giudizi negativi sulla manovra finanziaria aggiuntiva che il governo Berlusconi stava preparando. Giudizi diffusi, però, quando i mercati erano aperti e – soprattutto – prima ancora che esistesse un testo definitivo della manovra e che questo venisse presentato al Consiglio dei ministri.

Gli altri due report al centro delle indagini della Procura di Trani sono quelli espressi da S&P il 20 e il 23 maggio 2011, con giudizi ancora una volta negativi sul debito pubblico italiano. In quella circostanza, le valutazioni dell’agenzia di rating determinarono – almeno a sentire gli inquirenti – “la svendita dei titoli del mercato bancario e di quelli pubblici”. Nell’ambito di queste indagini la Procura di Trani ha sentito vari esponenti delle istituzioni italiane, tra cui l’ex premier Romano ProdiMario Draghi (quando era governatore di Bankitalia) e Giulio Tremonti, quando era ministro.

Sempre nel luglio 2011, il pm Ruggiero, accompagnato da alcuni ufficiali della Guardia di Finanza, si recò a Roma nella sede della Consob, per raccogliere dati e informazioni sul confronto che la stessa Autorità di Borsa aveva avviato con le agenzie di rating dopo la diffusione dei report. Dopo le valutazioni negative di Standard&Poor’s dellla primavera estate 2011, infatti, la Consob aveva chiamato i vertici italiani delle agenzie di rating per chiedere chiarimenti e valutazioni.

Per quanto riguarda la ‘visita’ di oggi negli uffici milanesi di S&P, insieme con i militari della guardia di finanza, c’è anche il pm inquirente, Michele Ruggiero, che secondo indiscrezioni starebbe indagando anche sull’ultimo declassamento del rating diffuso da S&P il 13 gennaio scorso, ovvero la scorsa settimana. “Non ho nulla da dire, non parlo” ha detto il procuratore della Repubblica i Trani Carlo Maria Capristo a proposito delle perquisizioni di oggi a Milano.

Diversa la posizione dell’agenzia di rating, che tramite l’avvocato Giuseppe Fornari (il quale rappresenta la società insieme ai legali Alleva e Golino – che lo hanno avvisato da Roma) ha confermato l’azione delle Fiamme Gialle. ”So solo che è una inchiesta della Procura di Trani, che si tratta di perquisizioni e sono stato avvertito dai miei colleghi romani. Per il resto non so nulla” ha detto il legale di S&P ai giornalisti fuori dalla sede di Standard & Poor’s.

Finanzieri nella sede di Standard & Poor's: inchiesta anche su downgrade.

Standard & Poor's


AGI) - Milano, 19 gen. - Uomini della Guardia di Finanza stanno effettuando verifiche negli uffici milanesi dell'agenzia di ratingStandard & Poor's. Gli accertamenti sono stati disposti dalla procura di Trani.
L'inchiesta, secondo quanto si apprende, e' stata estesa anche agli ultimi declassamenti diffusi dall'agenzia di rating venerdi' scorso. Negli uffici milanesi della societa' sono stati acquisiti documenti e sentite persone informate sui fatti. Nella sede, insieme ad una decina di agenti della Guardia di Finanza, anche il Pm titolare dell'indagine.
La procura di Trani indaga da tempo sull'operato delle agenzie di rating e, in particolare, sull'attivita' di Standard & Poor's e Moody's ritenendo che vi sia in atto una speculazione sui mercati e sui titoli di Stato. Sono tre gli analisti di Standard & Poor's indagati per aver elaborato e diffuso giudizi sul sistema finanziario italiano ritenuti dalla procura falsi, parzialmente infondati o comunque imprudenti, tendenziosi e scorretti. 

mercoledì 18 gennaio 2012

Ponzoni, il denaro dei boss finiva sui conti della nonna. - di SANDRO DE RICCARDIS e EMILIO RANDACIO


I verbali che hanno portato all'arresto dell'ex assessore pdl della Regione Lombardia.

Favori elargiti anche sugli appalti per la bonifica del Lambro dopo il disastro ambientale.



Ponzoni, il denaro dei boss finiva sui conti della nonna
Massimo Ponzoni con il governatore Roberto Formigoni

Per far arrivare i soldi della ‘ndrangheta alla sua campagna elettorale, l’ex assessore regionale Massimo Ponzoni usava anche i conti correnti di sua nonna. Scrive il gip che «Nocera Pasquale, “stretto collaboratore” di Salvatore Strangio, boss di San Luca, che si era impadronito per conto delle ‘ndrine di Platì delle società del gruppo edile lombardo Perego, ha emesso un assegno incassato sul conto della nonna di Ponzoni, Elide Grassi». Dagli accertamenti della guardia di finanza «il conto risulta assai movimentato e appare riconducibile al nipote e non all’anziana». Per gli investigatori, l’uso del conto della nonna per schermare i finanziamenti inconfessabili dei clan non è una sorpresa.

L’appoggio della ‘ndrangheta
«Il fatto che una costola dell’organizzazione criminale abbia veicolato voti su Ponzoni, per lo meno in relazione alle Regionali del 2005, risulta per altro riferito dallo stesso interessato», scrive il gip. Ponzoni, «a seguito dell’ottimo risultato conseguito nelle successive elezioni del marzo 2010, si compiaceva di averne fatto a meno, questa volta». A proposito dei voti sporchi dei clan dice, intercettato: «Mi sono tolto i voti di certi personaggi affiliati a certi clan». Per le precedenti regionali, scrive il gip, «risulta che Natale Marrone(arrestato in Infinito, la maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta) è stato finanziatore di Ponzoni, consegnandogli oltre duecentomila euro in contanti, poi utilizzati nella società S.M. Piermarini srl».

Le minacce ai soci ribelli

Il politico del Pdl si faceva forza, secondo le indagini, non solo del peso economico dei calabresi ma anche del loro potere d’intimidazione. Lo racconta ai magistrati l’ex socio Sergio Pennati, la cui collaborazione ha dato nuovo impulso all’inchiesta: «Ho ricevuto delle minacce da Ponzoni, almeno tre volte in un mese. Nella prima occasione, in seguito al mio diniego ad uscire dalle società Pellicano e La Perla, mi ha detto: “Stai attento che ti schiaccio”. Fuori dal bar di Cesano, mi ha detto: “Stai attento che qui sopravvive chi ha gli amici”. Io ho percepito che lui facesse riferimento ad un gruppo di persone che frequentano il bar: persone di origine calabrese, lo posso dire dall’accento, dal cui atteggiamento si ricavava una certa preoccupazione». 

«Avrò una delega all’Expo»Già travolto dal fallimento delle società e dall’inchiesta monzese, la carriera politica di Ponzoni sembrava comunque non subire contraccolpi. «La circostanza che a seguito dell’indagine in corso non sia stato riconfermato in giunta in Regione — scrive il gip — non ha certo intaccato l’incisività dell’influenza che esercita verso gli altri pubblici ufficiali, oltre che il credito verso gli imprenditori». Nel maggio del 2010 assicura: «Avrò una delega per i lavori dell’Expo 2015». Le indagini documentano come il politico «sia solo sporadicamente interessato agli impegni istituzionali propri della carica ricoperta, tanto che la Gdf perquisisce il suo ufficio e trova ancora carte appartenenti al suo predecessore. In realtà Ponzoni, «è completamente assorbito da una molteplicità di affari».

Il disastro della Lombardia Petroli
Il gip riporta la conversazione tra Ponzoni e l’imprenditore Addamiano, il quale già il giorno dopo il disastro ambientale della sua Lombardia Petroli a Villasanta, con tonnellate di petrolio finito nel Lambro, contattato da Ponzoni — allora assessore all’ambiente — che «lo informava della sua candidatura, lo sollecitava a un incontro urgente per decidere le aziende che avrebbero dovuto occuparsi della bonifica» del sito. «Tu chiami, io corro». «Io faccio come dici tu», dichiarava in altre telefonate l’assessore a Addamiano.

Le finte caparre

Dalle carte dell’inchiesta emerge il costante ricorso al sistema del pagamento delle caparre per finte vendite immobiliari per nascondere, in realtà, tangenti. Un meccanismo già individuato dalla Procura di Monza anche nell’inchiesta sul presunto sistema di tangenti a Sesto San Giovanni che ha colpito l’ex presidente della provincia Filippo Penati, del Pd, e molti suoi collaboratori. Anche nell’inchiesta su Ponzoni, «la stipula del preliminare celava il preventivo accordo tra le parti a rinunciare alla stipula del contratto definitivo per consentire al venditore di incassare l’acconto». I giudici citano le conversazioni di alcune riunioni. «Già ne ho fatti sei o sette di compromessi — dice Ponzoni — questi qua mica vogliono degli appartamenti, non gliene frega niente! Fanno il compromesso e a loro poi decade..!». Una pratica finalizzata ad «assicurarsi in maniera formalmente lecita provviste di liquidità con un duplice vantaggio per i contraenti: da un lato giustificano l’immediato trasferimento del denaro, dall’altro si riservano la possibilità di dare o meno esecuzione al contratto».

L'ufficiale di collegamento

Ruolo centrale nell’inchiesta ricopre Filippo Duzioni, bergamasco, uno degli arrestati. La finanza accerta che «Duzioni, pur non percependo redditi in Italia dal 2004, è gestore di fatto di innumerevoli compagini societarie». È attraverso di esse che spesso si realizza il meccanismo della rinuncia al preliminare con cui «avevano sostanzialmente ceduto alle società di Ponzoni caparre per un ammontare di 310mila euro». In più «risultano ulteriori finanziamenti dalle società di Duzioni verso quelle di Ponzoni». Duzioni è definito dai giudici «collegamento tra imprenditori e pubblici amministratori», convincimento rafforzato dal sequestro di numerose mail di imprenditori e politici che segnalano le loro esigenze a Duzioni in merito ad accordi di programma, raccomandazioni, nomine, consorzi e altro. Tra le mail, anche una per un invito alla cena di gala “Berlusconi per Formigoni”.

Il Pgt di Monza e l’onorevole Romani
Fondamentali per Ponzoni sono le questioni legate ai piani di gestione del territorio dei comuni della Brianza. «Significativa — riporta il gip — è una telefonata» in cui Ponzoni dava conto dell’apporto di Antonino Brambilla, tra gli arrestati, ex assessore all’urbanistica di Desio, all’onorevole Paolo Romani, allora assessore all’urbanistica di Monza. «Ho visto Tonino — dice Ponzoni a Romani — m’ha portato il Pgt di Desio... io gli ho detto: e a Monza.. “eh parla con Romani”, m’ha detto.. “parla con Romani”». 

«È finita la pacchia...»
Gli arresti di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche di Santa Giulia, recentemente scomparso, e di Rosanna Gariboldi, ex assessore della giunta provinciale di Pavia e moglie di Gian Carlo Abelli, ex assessore in Regione, allarma Ponzoni. «Emerge la necessita di occultare documentazione compromettente» scrive il gip. Che riporta anche una conversazione del politico con la moglie: «“Hanno arrestato la Rosanna... E il Pino! Hai capito?... È finita la pacchia per tutti adesso”». Poi in una telefonata alla sorella, «chiede di portare via della documentazione dall’ufficio di Desio: “Ci sono delle cartellette sopra... sotto... portali via! Dietro la poltrona! Ti chiamo dopo! Vai via!”».

"Cinquecentomila euro in contanti nei tubi in casa dell'ex assessore".



"Cinquecentomila euro in contanti nei tubi in casa dell'ex assessore"

L'ex assessore brianzolo Rosario Perri


Nuovi sviluppi dell'inchiesta che a Monza ha portato in carcere il pdl Ponzoni. L'ingente
quantità di denaro venne trovata durante una perquisizione nell'abitazione di Rosario Perri.


C'erano 500mila euro nascosti in contanti nei tubi di casa. Anche di questo si trova traccia nell'ordinanza firmata dal gip monzese Maria Rosaria Correra, che ha disposto l'arresto dell'ex assessore regionale lombardo pdl Massimo Ponzoni e di altre persone appartenenti a quella che è stata definita la "squadra" di Ponzoni, tra cui l'ex assessore provinciale (e tecnico del Comune di Desio) Rosario Perri. E proprio nelle tubature dell'abitazione di Perri sarebbero stati nascosti 500 mila euro in contanti.

La presenza del denaro, come riportato nell'ordinanza, era emersa il 10 aprile del 2009 nel corso dell'indagine della Dda di Milano ed effettuata dai carabinieri di Desio. Il sospetto è che quella somma "sia stata costituita, almeno in parte - scrive il gip - con l'illecita contropartita riconosciuta a Perri (dallo stesso Ponzoni o da Ponzoni e taluno degli altri soggetti beneficiati) per gli atti contrari mantenuti in relazione al Pgt di Desio appena licenziato".

Il gip rimarca sia "la prossimità temporale tra la detenzione illecita e gli atti amministrativi di cui si tratta" sia il fatto che "non pare logico pensare che l'accorto Perri abbia tenuto nei tubi il 'bottino' per lungo tempo". Sempre nelle carte si richiama il contesto di intercettazioni di allora in cui si faceva riferimento al denaro. Lo stesso Perri avrebbe riferito di aver nascosto la somma in casa all'interno di alcuni tubi. Perri faceva poi riferimento a un conto cifrato in svizzera.

MAURIZIO CROZZA - Ballarò 17/01/2012 - Lo scontro tra due scoglioni