mercoledì 18 gennaio 2012

Ponzoni, il denaro dei boss finiva sui conti della nonna. - di SANDRO DE RICCARDIS e EMILIO RANDACIO


I verbali che hanno portato all'arresto dell'ex assessore pdl della Regione Lombardia.

Favori elargiti anche sugli appalti per la bonifica del Lambro dopo il disastro ambientale.



Ponzoni, il denaro dei boss finiva sui conti della nonna
Massimo Ponzoni con il governatore Roberto Formigoni

Per far arrivare i soldi della ‘ndrangheta alla sua campagna elettorale, l’ex assessore regionale Massimo Ponzoni usava anche i conti correnti di sua nonna. Scrive il gip che «Nocera Pasquale, “stretto collaboratore” di Salvatore Strangio, boss di San Luca, che si era impadronito per conto delle ‘ndrine di Platì delle società del gruppo edile lombardo Perego, ha emesso un assegno incassato sul conto della nonna di Ponzoni, Elide Grassi». Dagli accertamenti della guardia di finanza «il conto risulta assai movimentato e appare riconducibile al nipote e non all’anziana». Per gli investigatori, l’uso del conto della nonna per schermare i finanziamenti inconfessabili dei clan non è una sorpresa.

L’appoggio della ‘ndrangheta
«Il fatto che una costola dell’organizzazione criminale abbia veicolato voti su Ponzoni, per lo meno in relazione alle Regionali del 2005, risulta per altro riferito dallo stesso interessato», scrive il gip. Ponzoni, «a seguito dell’ottimo risultato conseguito nelle successive elezioni del marzo 2010, si compiaceva di averne fatto a meno, questa volta». A proposito dei voti sporchi dei clan dice, intercettato: «Mi sono tolto i voti di certi personaggi affiliati a certi clan». Per le precedenti regionali, scrive il gip, «risulta che Natale Marrone(arrestato in Infinito, la maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta) è stato finanziatore di Ponzoni, consegnandogli oltre duecentomila euro in contanti, poi utilizzati nella società S.M. Piermarini srl».

Le minacce ai soci ribelli

Il politico del Pdl si faceva forza, secondo le indagini, non solo del peso economico dei calabresi ma anche del loro potere d’intimidazione. Lo racconta ai magistrati l’ex socio Sergio Pennati, la cui collaborazione ha dato nuovo impulso all’inchiesta: «Ho ricevuto delle minacce da Ponzoni, almeno tre volte in un mese. Nella prima occasione, in seguito al mio diniego ad uscire dalle società Pellicano e La Perla, mi ha detto: “Stai attento che ti schiaccio”. Fuori dal bar di Cesano, mi ha detto: “Stai attento che qui sopravvive chi ha gli amici”. Io ho percepito che lui facesse riferimento ad un gruppo di persone che frequentano il bar: persone di origine calabrese, lo posso dire dall’accento, dal cui atteggiamento si ricavava una certa preoccupazione». 

«Avrò una delega all’Expo»Già travolto dal fallimento delle società e dall’inchiesta monzese, la carriera politica di Ponzoni sembrava comunque non subire contraccolpi. «La circostanza che a seguito dell’indagine in corso non sia stato riconfermato in giunta in Regione — scrive il gip — non ha certo intaccato l’incisività dell’influenza che esercita verso gli altri pubblici ufficiali, oltre che il credito verso gli imprenditori». Nel maggio del 2010 assicura: «Avrò una delega per i lavori dell’Expo 2015». Le indagini documentano come il politico «sia solo sporadicamente interessato agli impegni istituzionali propri della carica ricoperta, tanto che la Gdf perquisisce il suo ufficio e trova ancora carte appartenenti al suo predecessore. In realtà Ponzoni, «è completamente assorbito da una molteplicità di affari».

Il disastro della Lombardia Petroli
Il gip riporta la conversazione tra Ponzoni e l’imprenditore Addamiano, il quale già il giorno dopo il disastro ambientale della sua Lombardia Petroli a Villasanta, con tonnellate di petrolio finito nel Lambro, contattato da Ponzoni — allora assessore all’ambiente — che «lo informava della sua candidatura, lo sollecitava a un incontro urgente per decidere le aziende che avrebbero dovuto occuparsi della bonifica» del sito. «Tu chiami, io corro». «Io faccio come dici tu», dichiarava in altre telefonate l’assessore a Addamiano.

Le finte caparre

Dalle carte dell’inchiesta emerge il costante ricorso al sistema del pagamento delle caparre per finte vendite immobiliari per nascondere, in realtà, tangenti. Un meccanismo già individuato dalla Procura di Monza anche nell’inchiesta sul presunto sistema di tangenti a Sesto San Giovanni che ha colpito l’ex presidente della provincia Filippo Penati, del Pd, e molti suoi collaboratori. Anche nell’inchiesta su Ponzoni, «la stipula del preliminare celava il preventivo accordo tra le parti a rinunciare alla stipula del contratto definitivo per consentire al venditore di incassare l’acconto». I giudici citano le conversazioni di alcune riunioni. «Già ne ho fatti sei o sette di compromessi — dice Ponzoni — questi qua mica vogliono degli appartamenti, non gliene frega niente! Fanno il compromesso e a loro poi decade..!». Una pratica finalizzata ad «assicurarsi in maniera formalmente lecita provviste di liquidità con un duplice vantaggio per i contraenti: da un lato giustificano l’immediato trasferimento del denaro, dall’altro si riservano la possibilità di dare o meno esecuzione al contratto».

L'ufficiale di collegamento

Ruolo centrale nell’inchiesta ricopre Filippo Duzioni, bergamasco, uno degli arrestati. La finanza accerta che «Duzioni, pur non percependo redditi in Italia dal 2004, è gestore di fatto di innumerevoli compagini societarie». È attraverso di esse che spesso si realizza il meccanismo della rinuncia al preliminare con cui «avevano sostanzialmente ceduto alle società di Ponzoni caparre per un ammontare di 310mila euro». In più «risultano ulteriori finanziamenti dalle società di Duzioni verso quelle di Ponzoni». Duzioni è definito dai giudici «collegamento tra imprenditori e pubblici amministratori», convincimento rafforzato dal sequestro di numerose mail di imprenditori e politici che segnalano le loro esigenze a Duzioni in merito ad accordi di programma, raccomandazioni, nomine, consorzi e altro. Tra le mail, anche una per un invito alla cena di gala “Berlusconi per Formigoni”.

Il Pgt di Monza e l’onorevole Romani
Fondamentali per Ponzoni sono le questioni legate ai piani di gestione del territorio dei comuni della Brianza. «Significativa — riporta il gip — è una telefonata» in cui Ponzoni dava conto dell’apporto di Antonino Brambilla, tra gli arrestati, ex assessore all’urbanistica di Desio, all’onorevole Paolo Romani, allora assessore all’urbanistica di Monza. «Ho visto Tonino — dice Ponzoni a Romani — m’ha portato il Pgt di Desio... io gli ho detto: e a Monza.. “eh parla con Romani”, m’ha detto.. “parla con Romani”». 

«È finita la pacchia...»
Gli arresti di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche di Santa Giulia, recentemente scomparso, e di Rosanna Gariboldi, ex assessore della giunta provinciale di Pavia e moglie di Gian Carlo Abelli, ex assessore in Regione, allarma Ponzoni. «Emerge la necessita di occultare documentazione compromettente» scrive il gip. Che riporta anche una conversazione del politico con la moglie: «“Hanno arrestato la Rosanna... E il Pino! Hai capito?... È finita la pacchia per tutti adesso”». Poi in una telefonata alla sorella, «chiede di portare via della documentazione dall’ufficio di Desio: “Ci sono delle cartellette sopra... sotto... portali via! Dietro la poltrona! Ti chiamo dopo! Vai via!”».

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