mercoledì 15 febbraio 2012

Norme antiriciclaggio: Ior, ecco le carte che inchiodano il Vaticano sulla trasparenza. - di Marco Lillo



In una lettera il cardinale Nicora, capo dell'Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede, lancia l'allarme: "Con la nostra ultima legge facciamo un passo indietro e resteremo un paradiso fiscale". Il documento inviato a Gotti Tedeschi e alla Segreteria di Stato.


Monsignor Attilio Nicora
Altro che trasparenza, altro che collaborazione, altro che volontà di fornire tutte le informzioni a chi indaga. Il Vaticano non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali (MONEYVAL) e non ha alcuna intenzione di permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello IOR prima dell’aprile 2011. A scriverlo nero su bianco sono le due massime autorità in materia dentro le mura leonine: il cardinale Attilio Nicora (ex presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e ora presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria del Vaticano, l’AIF) e il professor Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale della Città del Vaticano.

Il Fatto Quotidiano è entrato in possesso di due documenti riservati, da loro redatti, che raccontano qual è, al di là dei comunicati della sala stampa, la vera politica della Santa Sede sul fronte antiriciclaggio. Una politica che nei fatti somiglia a quella di uno dei tanti paradisi fiscali del mondo. Il primo documento è firmato dal presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, professore di diritto e magnifico rettore della Lumsa (Libera Università MAria Ss Assunta) oltre che membro del consiglio direttivo dell’AIF. Si tratta di un parere legale richiesto dalla Segreteria di Stato alla massima autorità consultiva in materia giuridica nel Vaticano. In pratica il cardinale Tarcisio Bertone chiedeva a Dalla Torre di stabilire quale fosse la giusta interpretazione da dare alla nuova normativa antiriciclaggio introdotta daPapa Benedetto XVI nel dicembre del 2010 ed entrata in vigore nell’aprile scorso.

Come Il Fatto ha raccontato, nel Vaticano si erano distinte due linee diverse: la prima, sostenuta dal direttore generale dell’AIF, l’avvocato Francesco De Pasquale, puntava a spingere la banca vaticana, lo IOR, a collaborare con le autorità antiriciclaggio interne (AIF) e a fornire tutte le informazioni richieste dalla giustizia italiana, anche sui fatti precedenti all’aprile del 2011. La seconda linea, sostenuta invece dall’avvocato Michele Briamonte dello studio Grande Stevens di Torino, invece sosteneva che l’AIF non avesse quei poteri di ispezione sui movimenti bancari precedenti all’aprile del 2011. Ovviamente la lotta di potere tra AIF e IOR, la disputa tra De Pasquale e Briamonte, aveva un riverbero immediato nei rapporti tra Stati. Solo se avesse vinto la linea “collaborativa” dell’AIF le autorità giudiziarie e bancarie italiane sarebbero state in grado di mettere il naso (tramite il cavallo di Troia dell’AIF) nei segreti dello IOR. Altrimenti le indagini italiane in corso si sarebbero arenate.

Il Fatto aveva pubblicato il 31 gennaio scorso un documento riservato (“Memo Ior-AIF”) dal quale si comprendeva che stava vincendo la linea “non collaborativa” e che il presidente dello IOR e dell’AIF avevano tentato di coinvolgere il Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il segretario del Papa, George Gaenswein, per convincere il Governo Vaticano a collaborare con l’autorità giudiziaria italiana. Sul memo si leggeva: “L’AIF (….) ha inoltrato allo Ior alcune richieste di informazioni relative a fondi aperti presso l’Istituto, cui quest’ultimo ha corrisposto, consentendo tra l’altro lo sblocco dei fondi sequestrati dalla Procura di Roma (….) Ultimamente, tuttavia la Direzione dell’Istituto ha ritenuto di riscontrare le richieste dell’Aif – relative ad operazioni sospette o per le quali sono in corso procedimenti giudiziari – fornendo informazioni soltanto su operazioni effettuate dal primo aprile 2011 in avanti”. Quando quel documento rivelato dal Fatto era stato ripubblicato 8 giorni dopo da La7 in tv, la Santa Sede aveva finalmente emanato un comunicato per smentire che il Vaticano non intendesse fornire informazioni bancarie sui movimenti precedenti all’aprile del 2011. “Non emerge la resistenza dello IOR a collaborare in caso di indagini o procedimenti penali su fatti precedenti al primo aprile 2011″.

Il parere di Dalla Torre dimostra il contrario e spiega perché i magistrati della Procura di Roma non stanno ricevendo le informazioni né per via di rogatoria, come raccontato in tv dal pm Luca Tescaroli, né tramite l’AIF, come è successo nel caso dei pm Nello Rossi e Stefano Fava che indagano il presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Cipriani per violazione delle norme in materia di antiriciclaggio. Il parere di Dalla Torre dimostra che si tratta di una scelta voluta. Alla domanda di Bertone, se lo IOR debba rispondere all’AIF anche per le operazioni avvenute prima dell’aprile del 2011, la risposta del presidente del Tribunale è infatti un no tondo: la legge “non permette all’AIF l’accesso alle operazioni e ai rapporti intercorsi prima dell’entrata in vigore della legge”.
Esattamente l’opposto di quanto affermato nel comunicato della sala stampa della Santa Sede del 9 febbraio. Il parere di Dalla Torre risale al 15 ottobre del 2011 e delinea la linea che poi sarà attuata nel decreto del Presidente del Governatorato Vaticano del 25 gennaio scorso. Il decreto dell’arcivescovo Bertello, priva l’AIF dei poteri di ispezione, rimessi a successivi regolamenti da emanare. Con la conseguenza che le indagini bancarie e giudiziarie dello Stato italiano in materia si fermeranno.
Il senso di questa scelta è spiegato dal secondo documento, firmato dal presidente dell’AIF, il Cardinale Attilio Nicora. E’ una lettera del presidente dell’AIF del 12 gennaio 2012, trasmessa il giorno dopo dall’avvocato De Pasquale dell’AIF per mail al presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e precedentemente inviata al Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Questo documento, che pubblicheremo integralmente domani, è la dimostrazione che lo Stato Vaticano ha scelto di fare retromarcia, dopo l’approvazione della legge del dicembre del 2011 che ha rappresentato certamente un primo importante passo verso l’apertura alla trasparenza bancaria.

Peccato che come segnala Nicora in neretto: “Non va trascurato l’aspetto attinente ai profili di opportunità verso l’esterno e al rischio reputazionale a cui può andare incontro la Santa Sede”. Insomma, l’AIF – l’Autorità antiriclaggio diretta dall’avvocato Francesco De Pasquale e presieduta dal cardinale Attilio Nicora – è oggi poco più che uno specchietto per le allodole, privata dei poteri. Un’Autorità depotenziata che ha perso la sua guerra con la linea di chiusura sposata dal segretario di Stato Bertone, perché evidentemente si era mostrata troppo collaborativa con le autorità italiane. Questo passo indietro sulla strada del Vaticano per uscire dalla “lista grigia” dei paesi poco affidabili dal punto di vista fiscale e finanziario, è segnalato proprio dal cardinale Attilio Nicora quando si vede sottoporre la prima bozza del decreto (poi pubblicato il 25 gennaio) il 9 gennaio. Una bozza che al Fatto risulta essere stata modificata solo leggermente e che non è stata invece toccata ed è divenuta un decreto per la parte che più contava: la drastica riduzione dei poteri dell’AIF di ispezione nei conti dello IOR. La battaglia non è definitivamente conclusa. Il decreto deve essere convertito entro 90 giorni. Il Governo italiano e l’Unione Europea hanno tempo fino alla fine di aprile per fare pressione sullo Stato del Vaticanoperché torni sui suoi passi. Non sembra però che né il premier Mario Monti né i partiti si interessino particolarmente alla questione.
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De Gregorio (Pdl) indagato con Lavitola per 23 milioni di soldi pubblici all’Avanti



L'accusa della procura di Napoli è di truffa e bancarotta fraudolenta. I dati di vendita del quotidiano socialista sarebbero stati gonfiati per rientrare nei parametri del Dipartimento per l'editoria, con false vendite in blocco o per "strillonaggio". Il senatore: "Rinuncio alle prerogative da parlamentare"


Il senatore del Pdl Sergio De Gregorio
Il senatore del Pdl Sergio De Gregorio è indagato insieme a Valter Lavitola per truffa e false fatturazioni nell’ambito dell’inchiesta sui finanziamenti pubblici al quotidiano l’Avanti.L’inchiesta riguarda l’erogazione di oltre 23 milioni e 200 mila euro in un arco di tempo che va dal 1997 al 2009 a titolo di contributi per l’editoria.

Fondi che, secondo l’accusa, De Gregorio e Lavitola avrebbero ottenuto facendo ricorso a fatture per operazioni inesistenti e documenti che attestavano, contrariamente al vero, che la società editrice, la International Press, possedeva i requisiti sulla tiratura delle copie vendute. Su questo fronte, i dati di vendita del quotidiano socialista sarebbero stati gonfiati dichiarando vendite in blocco al di fuori delle edicole o per “strillonaggio”, in realtà mai realizzate. Così il Dipartimento per l’editoria presso la presidenza del consiglio sarebbe stato tratto in inganno.

L’indagine condotta dai pm di Napoli, Francesco CurcioVincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock ha portato ad alcune perquisizioni e sequestri. E’ stato disposto il sequestro dei container, nella sede della Mx Box di Casalnuovo (Napoli), con documenti del senatore de Gregorio che restano però sigillati in attesa dell’autorizzazione del Senato sulla richiesta di perquisizioni.

De Gregorio è indicato dai pm quale “socio effettivo e gestore” dal 1997 della International Press, editrice dell’Avanti, e di alcune società riconducibili al gruppo “De Gregorio-Italiani nel mondo” (B.V.P. Broadcast Videom Press, Aria Nagel e associati, Italiani nel mondo channel). Tali società avrebbero emesso fatture inesistenti nei confronti della International Press o avrebbero utilizzato fatture, sempre per operazioni inesistenti, emesse dalla società editrice. Con l’obiettivo, appunto, di ottenere i contributi previsti dalla legge 250 a sostegno dell’editoria.

De Gregorio e Lavitola – quest’ultimo ancora latitante per l’inchiesta sul caso Tarantini-escort che coinvolge l’ex premier Silvio Berlusconi – risultano indagati per concorso in truffa aggravata e bancarotta fraudolenta. Quest’ultima ipotesi si riferisce alla distrazione di beni della fallita società BVP Broadcast Video Press, nonché alla presunta distruzione e la falsificazione dei libri contabili. Le indagini hanno messo in evidenza il legame tra il senatore e Lavitola. Le fatture emesse dalle società di De Gregorio sarebbero servite, tra l’altro, a far aumentare fittiziamente i costi del quotidiano.

“Voglio rinunciare da subito alle mie prerogative di parlamentare”, ha promesso il parlamentare eletto nell’Italia dei Valori nel 2006 e passato immediatamente sul fronte opposto nella Casa delle libertà. “I containers che mi sono stati sequestrati sono pieni di vecchie masserizie, provenienti da casa e uffici dismessi. Anzi, se i pubblici ministeri di Napoli me lo consentiranno, glieli andrò ad aprire personalmente”.

Quanto ai finanziamenti a L’Avanti – prosegue il senatore De Gregorio – è “evidente, dalle documentazioni che ho già fornito alla Guardia di Finanza, che il mio ultimo rapporto con il quotidiano di Lavitola è datato 2006. Già prima che entrassi in Parlamento avevo ritenuto di dover interrompere il mio ruolo di fornitore di servizi al giornale ed è pertanto improprio ritenere che il sottoscritto abbia potuto condividere gli interessi economici di Lavitola, con il quale le strade professionali si sono separate da quel tempo. Ho comunque consegnato alla Guardia di Finanza tutti i documenti in mio possesso e confido nella responsabilità e nella buona coscienza dei magistrati inquirenti”.

Fisco, operazione della GdF in tutta Italia: fatture false per 1,2 mld di euro (VIDEO)







Roma - (Adnkronos) - Blitz su ordine della Procura della Repubblica di Roma: oltre 400 militari della Guardia di Finanza impegnati in 150 perquisizioni nei confronti di persone ed aziende che hanno movimentato merci in evasione d'imposta.


Roma, 15 feb. - (Adnkronos) - Oltre 400 militari della Guardia di Finanza, su ordine della Procura della Repubblica di Roma, hanno simultaneamente eseguito ieri 150 perquisizioni nei confronti di persone ed aziende che, mediante la creazione di un vorticoso ''giro'' di fatture false, hanno movimentato merci in evasione d'imposta per un ammontare di circa un miliardo e duecento milioni di euro.


I particolari dell'operazione, che ha interessato ventidue province del territorio nazionale, saranno illustrati in mattinata nel corso di una conferenza stampa.


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Fisco-operazione-della-GdF-in-tutta-Italia-fatture-false-per-12-mld-di-euro-VIDEO_312978310319.html

Il pm chiede 5 anni per Silvio Berlusconi




Per De Pasquale la colpevolezza dell'ex premier, imputato al processo per corruzione in atti giudiziari, è certa "al di là di ogni ragionevole dubbio". E il reato non è ancora prescritto: i tempi sarebbero "fra maggio e metà luglio".


MILANO - Al processo Mills 1 il pm di Milano Fabio De Pasquale ha chiesto la condanna a cinque anni di carcere per Silvio Berlusconi. "La difesa di Silvio Berlusconi è basata su carte false" o meglio su una "fittizia sequenza di carte fabbricate o falsificate", ha dichiarato il pm nel corso della sua requisitoria durante il processo nel quale l'ex presidente del Consiglio risponde di corruzione in atti giudiziari, accusato di aver versato 600mila dollari all'avvocato inglese David Mills in cambio di dichiarazioni reticenti nei processi per la Guardia di Finanza e All Iberian. De Pasquale ha sostenuto che il legale inglese Mills mentì per coprire l'ex premier e "mise in piedi operazioni bancarie costose e complicate per impedire l'accertamento della verità". 

"C'è certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell'imputato", ha detto De Pasquale, sottolineando anche che il reato non è ancora prescritto: secondo il magistrato, i tempi della prescrizione andrebbero tra il 3 maggio e metà luglio. Conteggio fatto sulla base della data di commissione del reato e di tutte le sospensioni subite dal procedimento per la legge sul legittimo impedimento e per gli impedimenti istituzionali dell'ex premier. Per il magistrato se il reato, come dice la Cassazione, deve essere fatto risalire all'11 novembre 1999 si prescrive a maggio, se parte dal 29 febbraio 2000 allora si prescrive a metà luglio.

Per De Pasquale "la difesa di Silvio Berlusconi è basata su carte false" e più precisamente su una "fittizia sequenza di carte fabbricate o falsificate". Secondo il pm, la difesa Berlusconi sostiene che i 600mila dollari versati a Mills provengano dall'armatore napoletano Diego Attanasio ma si tratta di "un tema debole perché il patrimonio di Attanasio non ha subito ammanchi". Per l'accusa si tratta quindi di "cortine fumogene" create ad arte per "schermare Berlusconi".

"Un atto corruttivo di queste dimensioni, che ha di fatto ingannato due tribunali, mi pare assurdo non trovi giustizia", ha detto ancora in un altro passaggio chiave della requisitoria De Pasquale: i due tribunali che secondo il pm sono stati ingannati sono quelli davanti ai quali si sono celebrati i processi per le tangenti alla Gdf e All Iberian.

PUNTO 1-F-35, Italia acquisterà 90 velivoli anziché 131 - Di Paola



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ROMA, 15 febbraio (Reuters) - L'Italia ha deciso che nei prossimi anni acquisterà 90 cacciabombardieri F-35 anziché 131 come programmato inizialmente, con un risparmio di circa 5 miliardi di euro. Lo ha annunciato stamani il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola in un'audizione al Senato.
"L'esame fatto a livello tecnico e operativo porta a ritenere come perseguibile l'obiettivo programmatico dei 90 velivoli", ha detto Di Paola a proposito del Joint Strike Fighter (Jsf), il cosiddetto F-35, un programma americano guidato da Lockheed Martin al quale partecipa anche Finmeccanica.
Di Paola ha spiegato che ci sarà "un'acquisizione per lotti, progressiva nel tempo e con una riduzione di spesa, rispetto a quella inizialmente preventivata (circa 15 miliardi di euro, ndr), stimabile nell'ordine di circa un terzo degli oneri del programma, quindi una riduzione coerente con l'esigenza di oculata revisione della spesa".
"E' una riduzione importante, coerente con le esigenze di riduzione di spesa" imposte dall'attuale situazione, ha sottolineato il ministro.
All'inizio degli anni 2000, l'Italia aveva programmato l'acquisto di 131 F-35, metà a decollo convenzionale e metà a decollo corto e verticale, una parte dei quali destinati alla nuova portaerei Cavour.
Nel programma, in cui ha finora investito 2,5 miliardi di euro, l'Italia "si è posizionata quale secondo partner industriale dopo gli Stati Uniti. E' quindi un potenziale tecnologico, industriale ed occupazionale unico su cui l'industria italiana del settore può puntare", ha spiegato il ministro.
Gli F-35 ordinati da Italia, Olanda e Norvegia saranno assemblati nello stabilimento di Cameri (Novara) da Finmeccanica. Cameri dovrebbe diventare anche uno dei tre centri mondiali di manutenzione del caccia di quinta generazione.
Di Paola ha spiegato che "la componente aerotattica è un elemento indispensabile e irrinunciabile di ogni strumento militare degno di questo nome", e che nel giro di 15 anni i circa 160 velivoli su cui l'Italia può contare attualmente (Amx, Tornado e Av-8B) andranno sostituiti perché vecchi.
A questi velivoli subentrerà l'F-35, "il miglior velivolo aerotattico oggi in via di sviluppo e produzione iniziale", un aereo di avanzata tecnologia che è nei programmi di altri dieci Paesi e che ci consentirà anche una importante semplificazione operativa con ricadute economiche positive sulla logistica".
Due giorni fa la Casa Bianca ha annunciato un rinvio nell'acquisto degli aerei per un taglio di circa 15 miliardi di dollari.
(Antonella Cinelli)

La Chiesa pagherà l’Ici, giovedì l’annuncio di Monti ai vertici ecclesiastici.





Il Governo ha deciso che i privilegi della Chiesa Cattolica non sono più sostenibili. Giovedì ci sarà l’annuncio ufficiale in occasione della celebrazione dei Patti Lateranensi.

Basta privilegi alla Chiesa Cattolica. Il Governo Monti ha deciso di fare il grande passo dopo decenni di dibattiti infuocati sull’argomento. Le esenzioni non sono più tollerabili per diversi motivi. L’opinione pubblica freme perché tutti facciano sacrifici in egual misura per salvare il Paese, il malcontento popolare nei confronti di privilegi vetusti potrebbe creare problemi alla Chiesa stessa oltre che all’esecutivo. Inoltre l’Unione Europea preme perché l’Italia non dia aiuti di Stato agli enti religiosi. Da Bruxelles questo monito è arrivato già dal 2010, ma la Chiesa ha troppo potere perché la decisione potesse essere presa a cuor leggero.
Il danno erariale per lo Stato italiano in tutti questi anni è stato immenso: le cifre parlano di circa un miliardo di euro l’anno “sottratto” alle casse statali. Il Governo Berlusconi nel 2005 aveva ampliato le già esistenti esenzioni per gli edifici ecclesiastici: alberghi, scuole ed ospedali non avrebbero più pagato l’Ici se al loro interno fosse stata costruita una cappella. Questo ha notevolemente favorito il gigantesco giro d’affari della Chiesa di Roma sfavorendo tutti coloro che in regime di concorrenza pagavano le tasse.
Mario Monti e la sua squadra di Governo sono arrivati allo strappo finale invocato da larga parte dell’opinione pubblica. Giovedì in occasione della celebrazione dei Patti Lateranensi l’esecutivo darà l’annuncio ufficiale della fine dei privilegi della Chiesa Cattolica.

Indagato l’onorevole leghista Pini. - di Sandra Amurri.








Il deputato del Carroccio è accusato di millantato credito: avrebbe ricevuto 15mila euro da un avvocato per un concorso da notaio e si sarebbe interessato al buon esito dell'esame, rivolgendosi anche a Clemente Mastella prima e Alfonso Papa poi.


L’onorevole Gianluca Pini della lega Nord, autore dell’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati, è stato indagato dalla Procura di Forlì per il reato art 346 c. p perché “millantando credito presso gli onorevoli Gino Capotosti e Alfonso Papa, riceveva da una persona identificata (Gfm) candidato partecipante al concorso nazionale di abilitazione alla professione di Notaio la somma di euro 15mila con il pretesto di dover remunerare o comunque comperare il favore di taluno dei membri della commissione di abilitazione notarile indetti dal 2006 a tutt’oggi. Somma versata in Forlì tra il 24 dicembre 2007 e il gennaio 2008. Fatto denunciato il 24 gennaio 2012″.

Secondo la ricostruzione del Fatto Quotidiano l’inchiesta prende avvio da una persona che – prove alla mano – racconta al Procuratore Capo, Sergio Sottani (arrivato sei mesi fa dalla Procura di Perugia dove si è occupato dell’inchiesta sui Grandi Eventi della Protezione Civile e gli appalti della cricca legata ad Anemone) di aver appreso dall’avvocato forlinese Gfm, di aver consegnato all’onorevole Pini 15, 000 euro per superare il concorso notarile. A cavallo tra Natale 2006 e Capodanno 2007, l’onorevole Gianluca Pini, eletto nel 2006, sempre secondo quanto svelato da Gfm al test dell’accusa, assicura al giovane avvocato il suo interessamento in cambio di soldi precisando che servono ad ungere la macchina. Pini si reca nello studio dell’avvocato Gfm e, come prova del suo interessamento, gli consegna una lettera ricevuta dall’allora deputato umbro dell’Udeur, Gino Capotosti, in cui gli assicura tutto il suo impegno. E per essere più credibile chiama Capot 2 osti e glielo passa al telefono. Lettera che, qualora fosse stata trovata durante la perquisizione dello studio professionale, costituirebbe un sicuro riscontro oggettivo. Il deputato leghista si incontra con Gfm a cena al ristorante “Don Abbondio” di Forlì e scrive sulla tovaglietta di carta la cifra che deve pagare: 30.000 euro di cui 15.000 subito e 15.000 a concorso superato. L’avvocato Gfm si reca all’Unicredit e alla Cassa di Risparmio di Forlì, preleva 15.000 euro dai suoi due conti personali e li consegna all’onorevole Pini. Ma il concorso non lo supera. Pini si giustifica: “Non so cosa sia accaduto, vado da Mastella (Ministro della Giustizia) e ti dico”.

Dopo qualche giorno Gfm lo richiama e Pini gli dà appuntamento al “Don Abbondio”, appuntamento che poco dopo annulla con un sms. Sono amici, si conoscono fin da ragazzi, GFM non si rassegna e tenta altre volte di parlargli. Ma Pini sfugge. Fino a che, siamo nell’estate 2008, lo incontra al Festival di Castrocaro e stanco dei suoi rimandi gli richiede i soldi. Pini lo rassicura: “Aspetta, farò il possibile, la prossima volta lo supererai”. GFM gli dice: “Ma come fai, il Governo Prodi è caduto né Capotosti né Mastella contano più niente”. “Che importa c’è Alfonso Papa” e Gfm sorpreso replica: “Ma come Papa? Non era Mastella?” E Pini: “Allora non hai capito niente, Capotosti è il trait d’union con Alfonso Papa e se non basta mi rivolgerò direttamente ad Angelino Alfano” Ministro della Giustizia che bandisce il concorso notarile. Ma la volta successiva Gfm esce senza neppure consegnare la prova e torna disperatamente alla carica per riavere i suoi soldi ma Pini continua a sfuggirgli fino a che, sempre secondo il racconto di Gfm: “L’ho acchiappato e gli ho detto: se quei soldi sono serviti a te, non ti preoccupare quando li avrai me li restituirai ma smettila di ingannarmi”. Parole che fanno inalberare l’onorevole leghi-sta: “Ma cosa dici? I tuoi soldi sono al sicuro, gli assegni rilasciatemi da Papa a garanzia sono nella mia cassaforte”.

Estate scorsa. Gfm torna all’attacco e Pini questa volta cerca di tenerlo buono così: “Guarda, gli assegni ce l’ho ma come faccio ad incassarli ora che Papa è in galera?”. Quando Papa torna libero, l’avvocato GFM commenta: “Adesso sta al buon cuore di Gianluca restituirmeli”. Ecco su cosa si fonderebbe l’inchiesta che vede l’onorevole della Lega Nord, Gianluca Pini indagato per millantato credito, reato che prevede una pena da 2 a 6 anni, in quanto avrebbe indotto l’avvocato Gfm a pagare 15.000 euro prospettando la possibilità di intercedere in senso a lui favorevole su più persone che oltre ad essere parlamentari potevano in astratto influire sulla commissione del concorso. Le indagini, che sono ancora all’inizio, lasciano credere che vi saranno altri indagati. Pini, l’onorevole dei “barbari sognanti”, nome coniato da Roberto Maroni, in attesa di essere interrogato settimana prossima, al telefono ci spiega: “Debbo fare mente locale ma sono sereno, l’addebito contraddice l’essenza stessa della mia azione politica improntata alla tutela della legalità e della trasparenza”. Mentre all’Ansa, con riferimento agli articoli del Fatto, dichiara: “Di certo, dopo tante illazioni giornalistiche, mi aspettavo qualcosa di simile”.