mercoledì 25 luglio 2012

Inchiesta Maugeri, a Formigoni 8,5 milioni di euro per 15 delibere regionali.

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La Procura di Milano gli contesta il reato in concorso con Daccò, Maugeri, Passerino, Simone e altri. Il presidente della Lombardia è stato "invitato" dai pm a presentarsi per farsi interrogare sui fatti contestati. I soldi drenati dalle casse della fondazione pavese sarebbero transitati su conti in Svizzera. Il governatore: "Nessuna responsabilità".

Corrotto con “utilità per un valore di circa 8,5 milioni di euro per 15 delibere regionali con cui sono stati stanziati rimborsi per la Fondazione Maugeri di circa 200 milioni di euro in 10 anni. Ecco il cuore dell’avviso di garanzia per Roberto Formigoni nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Maugeri cui vengono contestati come utilità i viaggi esotici, le gite in barca e anche l’acquisto da parte dell’amico Alberto Perego a prezzo di favore della villa in Sardegna. Al governatore della Lombardia è stato notificato oggi un invito a comparire perché nei prossimi giorni si presenti davanti ai pm di Milano. Il reato contestato è corruzione internazionale in concorso con l’imprenditore e amico Pierangelo Daccò, il presidente della Fondazione Maugeri Umberto Maugeri, Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Fondazione, Antonio Simone, ex assessore regionale alla Sanità negli anni ’90, e altri. La Procura di Milano contesta al governatore fatti commessi a Milano e all’estero tra il 2001 e al novembre 2011. L’iscrizione nel registro degli indagati risale al 14 giugno scorso, il 23 la notizia fu pubblicata dal Corriere. La sua iscrizione è stata dissecretata oggi con la notifica di un’informazione di garanzia con contestuale invito a comparire per corruzione aggravata dalla transnazionalità in concorso con altri. La data fissata dalla Procura è sabato 28 luglio. 
La Regione, tra il 2001 e il 2011, ha approvato provvedimenti sui cosiddetti rimborsi su ‘funzioni non tariffabili’. Ovvero concessi in via discrezionale dal Pirellone. Tra i benefici che avrebbe ricavato il presidente lombardo, anche il mezzo milione di euro che gli è stato versato dall’uomo d’affari Pierangelo Dacco’ al fine di sostenere le spese elettorali nelle amministrative del 2010. Un’ipotesi, questa, di finanziamento illecito, che viene ‘assorbita’ nel reato più grave di corruzione aggravato dalla transnazionalità. Formigoni, resta inoltre indagato per un’altra ipotesi di finanziamento illecito ai partiti, che pero’ non gli è contestata nell’invito a comparire. 
In una nota firmata dal procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati si legge che “in data odierna è stata notificata al presidente Roberto Formigoni informazione di garanzia per i reati di cui agli artt. 81 cpv 110, 319, 321 cp e art. 4 l.146/06 in concorso con Pierangelo Daccò, Umberto Maugeri, Costantino Passerino, Antonio Simone e altri” per fatti commessi in Milano e all’estero dal 2001 al novembre 2011”, con contestuale invito a comparire. L’aggravante della transnazionalità, contestata dalla Procura di Milano a Roberto Formigoni, affine al reato di corruzione, è prevista dalla legge n.146 del 2006. La contestazione dell’aggravante per Formigoni è legata alle condotte delle persone arrestate ad aprile nell’inchiesta sul caso Maugeri, tra cui Pierangelo Daccò e l’ex assessore Dc Antonio Simone. Secondo l’accusa, infatti, sarebbe stata messa in piedi un’associazione per delinquere che operava anche attraverso conti all’estero, e in particolare in Svizzera e riconducibili a Daccò e al suo collaboratore Giancarlo Grenci. Inoltre, a Formigoni vengono contestati fatti commessi tra Milano e l’estero dal 2001 al novembre del 2011, lo stesso periodo in cui, secondo le indagini, avrebbe operato l’associazione che drenava fondi dalle casse della Maugeri per dirottarli all’estero. 
L’inchiesta. L’ipotesi di reato di corruzione fa invece riferimento ai benefit di ingente valore patrimoniale – vacanze, soggiorni, utilizzo di yacht, cene di pubbliche relazioni a margine del Meeting di Rimini, termini della vendita di una villa in Sardegna a un coinquilino di Formigoni nella comunità laicale dei Memores Domini – messi a disposizione del governatore dal mediatore Daccò come poi è stato evidenziato nel rapporto di polizia giudiziaria in cui si è quantificato in 9 milioni di euro il conto finale dei vantaggi economici ottenuti dal Celeste.
Al vaglio degli inquirenti ci sarebbero anche alcune delibere varate dalla Giunta regionale nel corso degli anni “nell’interesse” della Fondazione Maugeri alla base delle accuse mosse dalla Procura al presidente Formigoni. In particolare i pm milanesi sono arrivati ad ipotizzare nei confronti del governatore la corruzione anche analizzando una serie di provvedimenti “complessi” che hanno ritoccato al rialzo i cosiddetti “drg”, acronimo che sta per “Raggruppamenti omogenei di diagnosi” con il quale si indica il sistema di retribuzione degli ospedali per l’attività di cura, introdotto in Italia nel 1995. Tra i beneficiari di questi rialzi, tra varie strutture sanitarie, rientrava proprio la Fondazione Maugeri. Per gli inquirenti, questa è l’ipotesi, tali delibere di giunta sulla maggiorazione dei rimborsi sarebbero state la contropartita dei benefit di lusso, come i viaggi esotici e le vacanze su mega yachte di “altre utilità” pagate da Daccò, come da lui stesso messo a verbale, a Formigoni e al suo entourage senza ricevere un euro di rimborso. Vacanze, viaggi e altro di cui Formigoni non ha mai mostrato le ricevute che diceva di avere. Senza dimenticare le dichiarazioni dell’amico Simone che nel corso di un interrogatorio aveva affermato di essere lui lo sponsor della legge regionale del 2005. I provvedimenti approvati dalla giunta Formigoni hanno cominciato ad essere affrontati negli ultimi interrogatori e, in particolare, in quelli resi da Passerino, arrestato il 13 aprile insieme agli protagonisti dell’inchiesta.
E’ probabile che proprio le parole di Daccò, finito in carcere anche per l’inchiesta San Raffaele, aveva smentito di avere avuto i rimborsi dei benefit. Ma non solo aveva spiegato agli inquirenti che per “aprire le porte in Regione Lombardia” sfruttava “la mia conoscenza personale con Formigoni per accreditarmi presso i miei clienti”. Durante l’inchiesta, nata come costola del crac dell’istituto San Raffaele, sono state arrestate finora sette persone,  (Maugeri Passerino Simone tra gli altri) per associazione a delinquere aggravata dal carattere transazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazioni indebite pluriaggravate, frode fiscale ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il presidente Formigoni, che ha annunciato querele richieste di risarcimento danni anche nei confronti del Fatto, ha più volte respinto qualsiasi ipotesi di coinvolgimento nelle vicende giudiziarie che hanno travolto la sanità della Lombardia e che non era indagato perché non aveva ricevuto l’avviso di garanzia. Ma questo valeva fino a oggi. 
“La Regione non ha nessuna responsabilità sul controllo dei bilanci delle fondazioni San Raffaele e Maugeri – dice Formigoni durante un’audizione al Senato – Bisogna tener presente che questi sono Irccs, enti a rilevanza nazionale. La vigilanza sui loro bilanci spetta al ministero della Salute. Sul mio conto ci sono state informazioni sbagliate, con un chiaro intento politico se in questi mesi avessi chiesto al S.Raffaele di farmi vedere i bilanci, avrebbero risposto di stare a casa mia, perché questi enti rispondono solo al ministero della Salute e alle prefetture. Un ulteriore controllo è esercitato dai revisori dei conti, che in questi anni hanno sempre approvato i bilanci.La Fondazione Maugeri e il San Raffaele sono Irccs, enti a rilevanza nazionale, con autonomia e personalità giuridica. La vigilanza sui bilanci spetta al ministero della Salute e non alle Regioni”. 

In Sicilia si muore sulle strade ma 2 miliardi di euro restano nei cassetti dell’Anas. - Fedro


Viaggiare per le strade, e purtroppo, anche per le autostrade siciliane, si sa, è paragonabile ad un’autentica passeggiata di salute.
Strade strette ed anguste, voragini degne di un palcoscenico di guerra, autostrade, se tali possiamo chiamarle senza che le autostrade vere si offendano, composte da sporadici nastri d’asfalto tra un’interruzione e l’altra; questo dove le strade ci sono, visto che in Sicilia accade anche che intere contrade, luoghi abitati e perfino opifici, siano pressoché irraggiungibili per la mancanza di strade degne di questo nome.
Purtroppo non ci sono soldi, direte Voi, abituandovi ad accettare per buone le giustificazioni, peraltro poco originali, dei governi di turno, oramai abituati ad un ritornello che dovrebbe, a loro modo di pensare, giustificare anni di arretramento ed isolamento infrastrutturale nell’Isola.
Ed invece ecco dal cilindro la sorpresa: grazie alla Cgil scopriamo che l’Anas ha in cassa ben 2.170 milioni di euro ( avete capito bene: duemila e rotti milioni di euro!) per interventi sul sistema stradale siciliano e non li utilizza perché preferisce tenerli chiusi nei cassetti, agevolata dall’insipienza di questa classe dirigente.
Volete qualche esempio? 339 milioni di euro per la Siracusa- Gela, 477 per la Camastra- Gela, 57 milioni per la manutenzione delle autostrade siciliane, addirittura 815 milioni per la Ragusa- Catania, 222 per la Bolognetta-Lercara e 150 per la Mazara del Vallo- Trapani. E ci fermiamo qua solo per ragioni di spazio.
All’Anas hanno fatto di un vecchio adagio della prima repubblica la loro stella polare: “mai abituare male i cittadini facendo capire che i soldi per realizzare le opere ci sono, altrimenti quando ne facciamo una non l’apprezzano perché gli sembra una cosa facile o, addirittura, dovuta.”
Ed allora meglio tenerli in cassa i soldi, in attesa di qualche campagna elettorale o del rinnovo del consiglio d’amministrazione; pazienza se nel frattempo decine di persone in quelle strade ci muoiono, con la stessa frequenza dei coloni nella Striscia di Gaza, tanto chi dovrebbe difenderli e sostenerne le ragioni è in tutte altre faccende affaccendato.
Per queste ragioni, e non per incontri di cortesia o per sterili proteste,  Lombardo ed i suoi autonomisti dovrebbero andare a Roma: per mettere a ferro e fuoco l’Anas, per costringerli a costruire e manutenere le nostre strade, per farci restituire quello che, impropriamente ed indebitamente trattengono. E poi se resta tempo per chiedere conto e ragione ai parlamentari  siciliani perché hanno venduto la loro terra.

Ironizzando...



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Emergenza call center, a rischio 18mila posti in Sicilia. - Loredana Ales


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Un’ecatombe. Così in molti definiscono il 2012, come l’anno dei licenziamenti e delle chiusure record in Sicilia. Quello che una volta era il bacino di impiego più vasto dell’isola ovvero i call-center adesso rischia di diventare una valle desolata pronta a lasciare l’isola e ad approdare nei paesi esteri.
Secondo i dati forniti dalla Cgil Catania nella sola provincia etnea i posti di lavoro a tempo indeterminato a rischio nel settore dei call center sono circa 2500, e nelle attività a progetto circa 6000A Palermo a rischio sono circa 10mila lavoratori. Numeri da far paura se si sommano circa 12.000 i posti di lavoro persi e circa 3.000 le richieste di ammortizzatori sociali in tutta Italia. Cifre che entro quest’anno potrebbero aumentare ulteriormente se si seguisse l’attuale trend di delocalizzazioni verso l’estero.
“Le aziende coinvolte nella delocalizzazione dei call-center – spiega a BlogSicilia Angelo Villari segretario generale Cgil Catania sono AlmavivaFastweb, Eurocolle tanti altri che rischiano di essere delocalizzate in paesi quali Tunisia, Algeria, Albania, Moldavia, Romania, Croazia, India, Argentina. Mentre noi pensiamo che quelli che fanno call-center sotto scala vanno fermati del tutto, quelli che rispettano le regole dall’altro lato vengono ricattati dai committenti che propongono servizi a costi bassissimi in paesi esteri calpestando i diritti dei lavoratori. Noi come sindacato abbiamo chiesto che questa delocalizzazione non avvenga. Devono invece essere garantite le gare d’appalto a prezzi giusti e soprattutto deve essere garantita la privacy dei clienti”.
“Dopo la crescita degli anni Novanta, e grazie anche al sistema degli sgravi fiscali, la Sicilia ha vissuto una stagione florida per la crescita dei call center – continua Villari -. Ma le delocalizzazioni oggi rischiano di indebolire il valore tutto italiano della privacy dei consumatori a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un’adeguata tutela e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica. Per questo crediamo che gli enti committenti per primi debbano evitare queste pratiche. Per fortuna, c’è chi non ha intenzione di affidarsi ai Paesi esteri e vuole investire sul nostro territorio e le nostre professionalità”.
E’ il caso della Eurocall–Mics di Piano Tavola (CT), un’azienda tutta siciliana facente capo al gruppo Ntet del Cavaliere del Lavoro Francesco Tornatoreha appena dato lavoro stabile a 120 operatori, tutti giovani e per il 65 per cento donne. L’accordo per l’avvio delle procedure di assunzione con contratti a tempo indeterminato dei giovani lavoratori, di età compresa tra i 23 ed i 35 anni: “È con grande piacere – dice Maurizio Attanasio, segretario generale Felsa Cisl Sicilia – che accogliamo la notizia di un’importante azienda del settore dei call center che avvia una fase crescita positiva e non di profitto sulle spalle di giovani lavoratori”.
“L’allarme è stato lanciato gia qualche anno fa perchè ci siamo accorti che le committenti stavano cominciando ad affidare alle aziende  gli appalti  alle stesse condizioni che avevano fissato nel 2007 – riferisce a BlogSicilia Giovanni Pistorio, Segretario Confederale Cgil Catania-. Facendoci dei conti, si capiva fin da subito che a breve termine non ci sarebbe più stata competizione economica e che ci si sarebbe spinti verso la delocalizzazione. I call-center, dunque, minacciati dai committenti hanno deciso di spostarsi all’estero. Vodafon, Sky, Wind hanno gia mandato molte commissioni all’estero ma anche Alitalia, Telecom e Teletu. Alitalia ha ditottato già gran parte del suo traffico telefonico verso l’India, gli altri verso i paesi che stanno ai margini della Comunità europea.
Gia lo scorso anno abbiamo chiesto alla Prefettura di intervenire sul caso anche perchè è a rischio la privacy dei clienti perchè la maggior parte dei paesi in cui avverrà la delocalizzazione non hanno la stessa regolamentazione sulla privacy dell’Italia. I dati su Catania sono solo in difetto perchè i numeri dei lavoratori a progetto sono incalcolabili, addirittura per tutta la Sicilia si potrebbe parlare di 40mila persone”.
Non meno tragica è la situazione su Palermo dove i lavoratori dei call-center sono circa 10mila: “C’è un grosso call- center – dichiara Marcello Cardella segretario regionale Slc Sicilia – che fa parte del gruppo Almaviva, dove i lavoratori coinvolti sono migliaia. Le aziende tendono a portare lavoro all’estero per diminuire i costi. Si tratta di circa 4500 dipendenti del gruppo Almaviva, 1500 del gruppo Foryou, ma si tratta solo dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato perchè i precari sono molti di più.
Intanto la Cgil fa sapere che a livello parlamentare sono state presentate due interpellanze, una dell’ onorevole Giuseppe Beretta poi un’identica interpellanza dell’onorevole Ludovico Vico che ha presentato l’emendamento al decreto legge Fornero contro le delocalizzazioni: “A livello regionale – conclude Pistorio – Concetta Raia, deputato regionale del Pd, ha presentato qualche giorno fa un ordine del giorno approvato all’unanimità contro la delocalizzazione. Lombardo potrebbe benissimo inbtervenire in sede di Consiglio dei ministri”.

Stato-mafia, Csm apre pratica su Scarpinato.


scarpinato
Via libera all’apertura di una pratica in Prima Commissione sul procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, in relazione alle parole da lui pronunciate
durante la commemorazione, avvenuta nei giorni scorsi, del giudice Paolo Borsellino, ucciso 20 anni fa dalla mafia. Il Comitato di presidenza del Csm ha autorizzato l’avvio della pratica, inviando anche gli atti al procuratore generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare. La Prima Commissione, da settembre, dovra’ dunque valutare se sussistano gli estremi per un trasferimento d’ufficio per incompatibilita’.
La decisione è arrivata dopo che il laico del Pdl, Nicolo’ Zanon, presidente della prima Commissione del Csm, aveva chiesto al Comitato di Presidenza di Palazzo dei Marescialli di autorizzare l’apertura di una pratica in prima Commissione sulle parole pronunciate, il 19 luglio scorso, dal procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato. Il magistrato, nelle commemorazioni per la strage di Via d’Amelio, ha letto una lettera il cui destinatario era proprio Paolo Borsellino, nella quale Scarpinato scriveva, tra l’altro, che “stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorita’, anche personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalita’ per i quali tu ti sei fatto uccidere”.
Quanto deciso dal Csm potrebbe influire sulla corsa per la poltrona di procuratore generale di Palermo, per la quale sono in lizza l’attuale procuratore Francesco Messineo, sostenuto dalla maggioranza, e lo stesso Scarpinato candidato di minoranza.

Sos dall'Ars: gli onorevoli sono senza stipendio.


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Adesso la Sicilia è veramente sull’orlo del fallimento; adesso l’economia dell’Isola è realmente in serio pericolo. Colpa della “spending review” regionale? Colpa dei tagli annunciati da Monti o dello spread balzato a livelli berlusconiani? No, nulla di tutto questo; la crisi vera è annunciata dal mancato pagamento degli stipendi di luglio ai 90 parlamentari siciliani.
Un vero macigno per l’economia siciliana ed un dramma forse insostenibile per i conti correnti degli inquilini di Palazzo dei Normanni, che saranno costretti ad attendere fino ad agosto per incassare i 20.000 euro mensili fra stipendio e prebende varie.
Scartata l’idea della colletta per sostenerli, dato il ristretto tempo per organizzarla, si potrebbe pensare ad un’apertura straordinaria del ristorante di Palazzo dei Normanni, anche i sabati e le domeniche e perfino durante le ferie, almeno per garantire agli onorevoli la sussistenza alimentare; in alternativa, si potrebbe sperimentare una convenzione con ristoranti ed alberghi a 5 stelle di Sicilia, naturalmente a carico dell’Ars, che fossero disposti ad ospitare ed aver cura dei 90 parlamentari sull’orlo dell’indigenza.
E dire che lo stipendio lo hanno meritato durante tutta la legislatura; magari non per il numero di leggi votate, poco più di una decina, ma per la perseveranza e la fatica con la quale si sono divisi cariche e stipendi supplementari (60 su 90), per la determinazione con la quale hanno costretto la magistratura ad occuparsi di loro (28 su 90), ed infine per i disagi sostenuti nel cambiare ripetutamente partito e gruppo parlamentare rispetto a quello con cui avevano centrato l’elezione. Nel frattempo per raggiungere questi risultati, hanno anche creato commissioni fantasma, hanno assistito inermi al succedersi di tre diverse maggioranze e di una trentina di assessori, ed ogni tanto si sono anche contraddistinti per essersi assegnati ferie lunghe oltre un mese durante l’anno.
E con questi numeri, i burocrati regionali vorrebbero permettersi di ritardare anche una sola ora il pagamento degli stipendi ai parlamentari? Vorrebbero negare loro quei 20.000 euro, che si sommano al milione di euro già percepito nella legislatura in corso da ciascuno dei magnifici 90, indispensabili per campare le loro famiglie?
Crudeltà, pura crudeltà! E pensare che si tratta degli uffici regionali che si dannano per trovare le risorse necessarie a pagare cassa integrati e lavoratori in mobilità: che spreco e che vergogna! Pagare prima chi vive con 800 euro al mese, e magari il lavoro lo ha perduto, rispetto a poveri onorevoli che faticano a vivere con 20.000 euro al mese è lo specchio di questa Sicilia sbagliata.
Il nostro consiglio? Evitare di pagare stipendi, indennità ed ammortizzatori sociali ai disoccupati per mettere da parte i soldi necessari a pagare gli stipendi dei parlamentari: questa è la Sicilia cui siamo abituati,nell’altra ci sentiremmo a disagio.

Berlusconi non deporrà al Dell’Utri bis. Il pg: “Maglie strette, rischio prescrizione”.

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Secondo la corte del nuovo appello, le dichiarazioni dell'ex premier non sarebbero "né indispensabili né decisive". Il procuratore Patronaggio: "In primo grado si era avvalso della facoltà di non rispondere, importante sentirlo". Cicchitto: "Tentativo di coinvolgere il Cavaliere nella trattativa-Stato-mafia".

Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi non sono “né indispensabili né decisive”. Con  queste motivazioni i giudici del processo d’appello bis contro Marcello Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, hanno respinto la richiesta avanzata dalla pubblica accusa, che voleva chiamare in aula l’ex presidente del consiglio. Ma la sua testimonianza, secondo la corte presieduta da Raimondo Lo Forti, non è rilevante ai fini della sentenza.
I motivi della presenza del boss Vittorio Mangano ad Arcore e i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa nostra negli anni ’70 sono già “ampiamente comprovati”, hanno argomentato i giudici respingendo al richiesta. A presentarla era stato questa mattina il procuratore generale Luigi Patronaggio. Il rappresentante dell’accusa ha ricordato che Berlusconi era stato citato già nel processo di primo grado, ma essendo all’epoca indagato di reato connesso aveva potuto avvalersi della facoltà di non rispondere (esercitata nel 2002 a palazzo Chigi, dove l’intera corte si era trasferita per sentirlo mentre era presidente del Consiglio). Convocato oggi come testimone, non si sarebbe invece potuto sottrarre alle domande. Per i giudici, però, dall’ex premier non potrebbero in ogni caso venire elementi di rilievo e pertanto è inutile citarlo. 
“L’ordinanza della Corte si è molto attenuta ai criteri della Cassazione e ha delimitato moltissimo l’oggetto della prova”, ha commentato Patronaggio. “Incombe il pericolo della prescrizione, specie se risulterà l’interruzione della condotta ascritta a Dell’Utri”. La Cassazione, infatti aveva ritenuto pienamente accertata la collaborazione di Dell’Utri con Cosa nostra, ma soltanto fino al 1977, data per la quale il reato è già abbondantemente prescritto. Da qui il rinvio a un nuovo appello, con la richiesta ai giudici di fornire motivazioni più solide per quanto riguarda gli anni successivi, e in particolare il quinquennio 1977-1982, nel quale il futuro presidente di Publitalia lasciò Berlusconi per andare a lavorare con il discusso finanziere Filippo Alberto Rapisarda
La  corte invece ammesso come teste soltanto il bancario Giovanni Scilabra, il quale ha riferito che nel 1986 Marcello Dell’Utri e l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, andarono a trovarlo nel suo ufficio per discutere di prestiti. Scilabra sarà sentito nella prossima udienza, fissata per il 3 ottobre. L’episodio risale al 1986. Dell’Utri, che oggi non era presente in aula, lo ha sempre negato e ha sporto querela contro il bancario. Il processo è attualmente pendente davanti al Tribunale civile di Roma.
Tra le richieste respinte dalla Corte, anche quella di convocare il pentito Giovanni Brusca perché parlasse della trattativa Stato-mafia. I giudici, che hanno sottolineato come su questo punto le dichiarazioni del collaboratore siano apparse contraddittorie, hanno disposto di acquisire i verbali di Brusca limitatamente alle parti relative alle estorsioni ai danni di Berlusconi. No anche alla citazione dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, e del pentito Stefano Lo Verso.
La difesa di Marcello Dell’Utri definisce la decisione della corte “molto equilibrata”, ma la polemica si sposta sul fronte politico. ”Non siamo sorpresi – visto che è guidata dal dottor Ingroia – dall’operazione che si sta tentando di fare a Palermo: quello di estendere all’equilibrio politico attuale la vicenda riguardante la cosiddetta trattativa stato-mafia”. E’ la dichiarazione di Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, che aggiunge: “Che cosa hanno in comune Conso e il governo di cui era ministro con Dell’Utri qualcuno ancora ce lo deve spiegare. Dato e non concesso che ci sia stata questa trattativa nel ’92-’93, essa poteva riguardare solo chi aveva il potere politico, giudiziario e poliziesco in quell’epoca. Ciò non era certo il caso né di Dell’Utri né di Berlusconi. Quale aria tiri è dimostrato dal titolo di oggi dell’Unità che dà già per scontato il coinvolgimento di Berlusconi”.