domenica 23 settembre 2012

Pdl Lazio, Cardulli (Pd) contro i suoi consiglieri: “Complici di un ladro”.


Pdl Lazio, Cardulli (Pd) contro i suoi consiglieri: “Complici di un ladro”


Sul sito di un iscritto dei Democratici una lunga invettiva contro i rappresentanti del partito; incapaci di far cadere il governo della destra, miopi o assenti quando si votava un meccanismo di spartizione di denaro pubblico: "Prima di leggerlo sui giornali, avete assunto parenti, fratelli, amanti?... L'antipolitica non è Grillo, siete voi".

Lo scandalo dei fondi ai consiglieri della regione Lazio si arricchisce di un nuovo capitolo. La rivolta della base contro i consiglieri del Pd: incapaci, secondo Michele Cardulli libero iscritto al partito, di far cadere il governo di destra della regione e soprattutto miopi o assenti quando il meccanismo della distribuzione dei fondi veniva approvato. I Democratici per ora stanno raccogliendo le firme per le dimissioni in blocco di tutto il consiglio regionale, dopo la decisione della presidente, Renata Polverini, di restare imbullonata alla sua sedia. Per giorni c’è stato un tiramolla sulle dimissioni: prima quasi annunciate, poi certamente ritirate perché la Polverini è stata convinta a restare dallo stesso Silvio Berlusconi. Tutto intorno lo scandalo dei fondi usati dai consiglieri per festini, cene e chissà cosa altro. Milioni di euro, 20 milioni, in pochi anni finiti nelle tasche dei degli eletti del popolo. Così voraci da perseguitare per avere il denaro, come lui stesso ha raccontato, l’ex capogruppo Pdl Franco Fiorito, indagato per peculato. “Er Batman”, questo il soprannome di Fiorito, ha raccontato il “sistema” della spartizione, ha snocciolato una per una le richieste dei colleghi. E ora uno della base del Pd, che come scrive sul sito è innamorato della politica e non delle poltrone (lavora stampa del Consiglio regionale Lazio dopo aver vinto un concorso), lancia sul suo sito una invettiva, scrive un je accuse contro i compagni di partito accusati di essere complici di un ladro: “E allora voi avete almeno il dovere di dirci dove stavate”. Cardulli chiude il suo pamphlet con una frase tranciante: “Invece di pensare alle preferenze, per una volta pensate ai voti che ci fate perdere con le vostre facce impassibili. Sepolcri imbiancati di un sistema di potere che genera corruzione. Incapaci perfino di capire che tutto sta crollando”. Molti i commenti e le condivisioni e le sottoscrizioni del “Sostiene Carulli”.
“Cari consiglieri regionali del Pd,
vi scrivo questa lettera perché non facendo parte della direzione del partito non posso intervenire lunedì e dirvi le stesse cose in faccia, guardandovi negli occhi. Da una settimana avete avuto la possibilità di mandare a casa la destra del Lazio, mandando definitivamente in pezzi il partito di Berlusconi e avviando un processo a catena che avrebbe fatto saltare, come dice lo stesso Berlusconi, Campania e Lombardia. Da una settimana avete preferito tacere, limitandovi a qualche comunicato stampa, all’annuncio di una mozione di sfiducia della quale non si ha traccia, alla richiesta di dimissioni della Polverini “perché – come dice il capogruppo Montino – non ha più la maggioranza”. Dite di spendere oltre settecentomila euro per i manifesti, ma in questo caso non avete stampato manco un volantino. Davanti al consiglio regionale, venerdì mattina c’erano dieci militanti della Federazione della sinistra a manifestare.
Vi scrivo non tanto perché preoccupato della vostra carriera politica, che da questa situazione – magari non ve ne siete accorti – riceverà una mazzata terribile. Ma perché quella che state gettando nel fango è la mia faccia. La mia faccia di militante del Pd che va a parlare con la gente, che apre il circolo, che attacca i manifesti. Vorrei chiedervi cosa vado a dire domani ai cittadini? Che cosa gli vado a dire: beh, ma noi abbiamo usato i fondi per le iniziative politiche, mica per le donnine e le Bmw? Io, noi, quelli che non prendono rimborsi, diarie e indennità, ci mettiamo la faccia tutti i giorni. Non ci meritiamo di sentir dire “abbiamo sbagliato ad accettare quei soldi”. Facile, voi avete fatto il sacrificio di gestire oltre due milioni di euro, noi andiamo a raccontare ai cittadini che ci serve il loro contributo per pagare l’affitto del circolo e per stampare i manifesti. E allora voi avete almeno il dovere di dirci dove stavate.
Dove stavate quando l’ufficio di presidenza approvava quel meccanismo nefasto di moltiplicazione dei fondi. Forse il vicepresidente Bruno Astorre era malato? E non se n’è accorto dopo? Era così difficile capire che distribuire 12 milioni di euro in un anno ai gruppi consiliari, per giunta senza alcun meccanismo di controllo, senza nessuna regola, era una cosa scandalosa? Vi informo che la Regione ha chiuso ospedali, non paga i fornitori, taglia i fondi per i trasporti, taglia perfino il buono pasto ai dipendenti. Mi chiedo dove stavate quando il Pdl presentava i suoi bilanci al Comitato regionale di controllo contabile. Forse anche il presidente Carlo Ponzo era malato? E quando i soldi sono arrivati al gruppo, Esterino Montino non si è accorto che erano forse un po’ troppi. Anche lui malato. Oggi su Repubblica dice che avete fatto una riunione. Per rimandarli indietro? No, solo per stabilire le procedure per utilizzarli.
Mi chiedo dove state quando in Consiglio regionale si cambiano porte nuove, si comprano mobili nuovi per sostituire scrivanie che hanno due anni di vita per soddisfare il capriccio di qualche presidente di commissione. Mi chiedono dove state quando si fanno lavori inutili, senza appalto. Centinaia di migliaia di euro buttati, anche questi lavori sono spartiti fra voi? Mi chiedo dove eravate quando l’ufficio di presidenza votava la delibera che distribuisce a pioggia un milione e mezzo di euro a testate locali in cambio della benevolenza verso qualche consigliere. Mi chiedo dove eravate quando l’ufficio di presidenza distribuiva patrocini a pioggia, poche migliaia di euro che diventano milioni se le sommiamo tutte insieme. Mi chiedo dove eravate quando si approvavano i lavori per fare la nuova biblioteca, tutta legni pregiati, lampade che raffigurano lo stemma della regione, pavimenti in marmo. Frequentatori zero. E mi chiedo soprattutto perché non avete mai risposto a quelli che vi chiedevano di fare una battaglia perché le delibere dell’ufficio di presidenza fossero pubbliche, inserite sul sito come tutti gli atti del Consiglio regionale, come io stesso ho fatto per anni. Perché lì, nella segretezza di quelle decisioni di sei persone, stanno le radici del malaffare.
E dire che è tutta colpa di Fiorito non vi laverà la coscienza. Perché se lui è un ladro, come scrive Merlo su Repubblica, voi siete i pali, voi siete complici. E voglio sapere, ne ho il diritto come iscritto a questo partito, chi avete pagato con quei 622 mila euro che dite di aver speso per i collaboratori del gruppo. Le 23 persone che lavorano al gruppo pagate dal consiglio regionale non bastavano? Chi sono questi collaboratori, chi li ha decisi? Prima di leggerlo sui giornali, avete assunto parenti, fratelli, amanti? Malgrado avessi ben presente tutto questo mi sarei aspettato un sussulto di orgoglio, una battaglia in aula, dimissioni collettive, gesti clamorosi. Se lo aspettavano quelli che aprono le sezioni, vanno ad attaccare i manifesti e vanno soprattutto a chiedere quei voti che vi permettono di stare lì.
E invece nulla, manco per salvare la faccia. Sono stanco di leggere le dichiarazioni di chi si scusa. Sono stanco di leggere ‘siamo onesti, però abbiamo sbagliato ad accettare quei soldi’. Non capite che non è la vostra la faccia, ma la mia, la nostra? L’antipolitica non è Grillo, siete voi con la vostra arroganza e la vostra presunzione. Vi credete depositari di non si capisce bene quale verità assoluta perché “prendete le preferenze”. Eccole le preferenze: Fiorito 26mila, migliaia anche per Piccolo. Invece di pensare alle preferenze, per una volta pensate ai voti che ci fate perdere con le vostre facce impassibili. Sepolcri imbiancati di un sistema di potere che genera corruzione. Incapaci perfino di capire che tutto sta crollando. Vi chiedo – a dire il vero con poca speranza – un sussulto di orgoglio. Dopo la frase ‘abbiamo sbagliato’ nella prossima intervista, aggiungete ‘per questo mi dimetto’.  Forse guardarvi la mattina allo specchio sarà più facile”.

A farti morire di cancro ci pensano loro...



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“A mia insaputa”, il lungo elenco dei politici con il vizietto del “non lo sapevo”. - Emilio Fabio Torsello


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L’elenco dei “non sapevo, lo scoproggi” è lungo e si tratta di nomi sempre importanti. Il primo è lui, Silvio Berlusconi: non sapeva che Rubyrubacuori era minorenne. Sapeva – di contro – che era la nipote di Mubarak, motivo per cui mandò Nicole Minetti in piena notte a prendere la giovin donzella in un commissariato milanese. Il secondo – e non potrebbe essere altrimenti – è l’ex rais Hosni Mubarak, legato a doppio filo con il nostro Paese proprio durante l’età in cui un pensionato dovrebbe essere lasciato in pace: prima di passare a miglior vita, infatti, ha scoperto che il premier italiano gli aveva affibbiato una nipote, a sua insaputa. Poi sono venute le rivolte e la caduta del regime. Ma Hosni, intanto, aveva una nipote in più.
Subito dopo, con un bronzo che potrebbe dividere a pari merito con Formigoni, l’ex ministro Claudio Scajola: a lui la casa qualcuno l’ha comprata – vista mozzafiato sul Colosseo – senza però comunicargli nulla, anche qui: a sua insaputa. Scherzi del destino.
Sullo stesso gradino del podio segue il “Formiga”, altrimenti noto come il governatore della Regione Lombardia. Ciellino doc, non sapeva che qualcuno gli aveva pagato le vacanze. Anche qui: a sua insaputa.
Quarto posto per Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna: secondo i pubblici ministeri avrebbe dato un milione di euro alla cooperativa del fratello, salvo poi alzare le mani e dire: non ne sapevo nulla. A sua insaputa, appunto.
Segue a stretto giro il mascellone d’oro: Francesco Rutelli. Del bancomat Lusi – ex Margherita – lui proprio non immaginava alcunché. E idem l’intero centro sinistra.
The least but not he last: Nichi Vendola e Renata Polverini. Il primo ha rimarcato in tutte le sedi che lui con l’affiare Tedesco proprio non c’entra nulla. La seconda – governatrice della Regione Lazio – ha fatto sapere che di Fiorito davvero non sapeva niente: 109 bonifici, tutti a sua insaputa. E la Giunta – insieme all’intero Pdl anche nazionale – potrebbe sì cadere, ma all’insaputa di tutti.
http://www.dirittodicritica.com/2012/09/21/a-mia-insaputa-ii-lungo-elenco-dei-politici-con-il-vizietto-del-non-lo-sapevo/

Della serie: "Gli irresponsabili con funzioni di responsabilità."

Caso Sallusti, si muove anche il Colle: “Napolitano segue la vicenda”.


Caso Sallusti, si muove anche il Colle: “Napolitano segue la vicenda”


Il portavoce del presidente della Repubblica scrive su Twitter che il Quirinale "segue il caso e si riserva di acquisire tutti gli elementi utili di valutazione". Mercoledì prossimo il verdetto dei giudici della Cassazione sulla vicenda che ha coinvolto il direttore de Il Giornale.

Giorgio Napolitano interviene sul caso Sallusti, direttore de Il Giornale che rischia il carcere per diffamazione per una vicenda che risale al 2007. Su twitter Pasquale Cascella, portavoce del presidente della Repubblica, ha scritto che il Quirinale “segue il caso e si riserva di acquisire tutti gli elementi utili di valutazione”. La precisazione è seguita alla richiesta, da parte di Mario Adinolfi del Pd che ha chiesto un intervento del capo dello Stato.
Mercoledì il verdetto dei giudici della Cassazione che si occuperanno del caso, ma non potranno entrare nel merito, controllando soltanto la regolarità formale del giudizio. Se la Corte non avrà nulla da eccepire, la Cassazione non potrà fare altro che confermare la sentenza d’appello. 

Il pm imparziale è quello morto. - Marco Travaglio



I procuratori di Palermo sono sotto attacco quotidiano perché parlano e denunciano le loro difficoltà. Eppure Borsellino e Falcone ci insegnarono che la coscienza civile diffusa è indispensabile ai magistrati.

Imparzialità", raccomanda il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli ai pm di Palermo Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, invitandoli a tacere. «Mai come in questo caso il silenzio è d'oro», ribadisce a stretto giro Michele Vietti, vicepresidente del Csm, ex deputato Udc e sottosegretario di Berlusconi. Dunque il pm imparziale è quello che non parla. Anzi «parla solo con le sentenze» (e pazienza se le sentenze le fanno i giudici). Il monito vale solo per Ingroia e Di Matteo. E non, per esempio, per il procuratore nazionale Piero Grasso, che un mese fa propose «una medaglia antimafia a Berlusconi». Ma nemmeno per i pm che hanno fatto arrestare i No Tav violenti e i presunti attentatori del manager Adinolfi e, diversamente da Ingroia e Di Matteo, hanno addirittura tenuto conferenze stampa sulla loro indagine. Se ne deduce che il pm può parlare anche delle sue inchieste, purché non riguardino politici. Se, come nel caso della trattativa Stato-mafia, indaga anche su politici, deve tapparsi la bocca. Ne va della sua "imparzialità". 

EPPURE IL PM IMPARZIALE è proprio quello che non guarda in faccia nessuno, visto che la legge è uguale per tutti. Difficile trovare un'indagine più imparziale di quella sulla trattativa, che vede imputati sei uomini della mafia e sei dello Stato. E, fra questi ultimi, tre politici, di cui casualmente uno è di centrodestra (Dell'Utri), uno di centro (Mannino) e uno di centrosinistra (Mancino, accusato di falsa testimonianza). Qualcuno può pensare che la Procura di Palermo sia parziale (e a favore di chi?) solo perché Di Matteo denuncia il "silenzio assordante" di chi dovrebbe difenderlo dagli attacchi, cioè l'Anm e il Csm? O perché Ingroia racconta la storia delle collusioni mafiose della classe dirigente e invita i cittadini a cambiarla in meglio? O perché 150 mila cittadini firmano una petizione di solidarietà dopo tante aggressioni?  


L'ineffabile Sabelli, presidente dell'unico sindacato al mondo che spara sui suoi iscritti sotto attacco anziché difenderli, spiega che «il magistrato non ha bisogno del consenso popolare». Forse gli sfugge la storia della (migliore) magistratura italiana. Il 26 gennaio 1989 Paolo Borsellino disse: «Lo Stato non si presenta con la faccia pulita... La vera soluzione sta nel lavorare perché lo Stato diventi più credibile, perché ci dobbiamo identificare di più nelle istituzioni». E Giovanni Falcone nel 1991: «Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere». Un'altra volta rispose a una lettera del preside di una scuola: «In questi difficili momenti la solidarietà e l'appoggio della società civile... mi inducono a ritenere che forse non è stato inutile quanto finora ci siamo sforzati di compiere». 

IL 23 GIUGNO '92 , un mese dopo Capaci, Borsellino si commosse: «Ricordo la felicità di Falcone quando, in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, mi disse: "La gente fa il tifo per noi". Non si riferiva solo al conforto che l'appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice. Ma anche al fatto che il nostro lavoro stava smuovendo le coscienze, rompeva l'accettazione della convivenza con la mafia che ne costituisce la vera forza. Questa stagione del "tifo per noi" sembrò durare poco...». Due sere dopo ricordò quando nell'88 aveva denunciato lo smantellamento del pool antimafia, rischiando «conseguenze professionali gravissime»: «Dissi: l'opinione pubblica deve sapere. Almeno il pool deve morire davanti a tutti, non in silenzio. L'opinione pubblica fece il miracolo, si mobilitò e costrinse il Csm a rimangiarsi in parte la precedente decisione, tant'è che, pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi». Fossero vivi oggi, Falcone e Borsellino verrebbero zittiti da Anm e Csm con l'accusa di "fare politica" e "cercare il consenso", anzi addirittura il "tifo". Fortuna che sono morti. Dunque tacciono. Ergo sono imparziali.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-pm-imparziale-e-quello-morto/2191486

Intervento di Grillo a Parma il 22/09/2012.












Piazza deserta? 4 gatti? 

sabato 22 settembre 2012

Un privilegio da 200 milioni. - Primo Di Nicola



La Casta taglia le pensioni degli italiani, ma non tocca le proprie. Per i parlamentari il diritto al vitalizio scatta dopo soli cinque anni di mandato. Con contributi molto bassi. E con compensi incassati anche prima dei 50 anni. Così 2.307 tra ex deputati ed ex senatori si mettono in tasca ogni mese fino a settemila euro netti.

Giovanotti con un grande avvenire dietro le spalle che si godono la vita dopo gli anni di militanza parlamentare. Come Alfonso Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi ed ex ministro dell'Agricoltura e dell'Ambiente. Presente alla Camera dal 1992, nel 2008 non è riuscito a farsi rieleggere e con cinque legislature nel carniere è stato costretto alla pensione anticipata. Ma nessun rimpianto. Da allora, cioè da quando aveva appena 49 anni, Pecoraro Scanio riscuote il vitalizio assicuratogli dalla Camera: ben 5.802 euro netti al mese che gli consentono di girare il mondo in attesa dell'occasione giusta per tornare a fare politica.

Oliviero Diliberto è un altro grande ex uscito di scena nel 2008 causa tonfo elettorale della sinistra. Segretario dei Comunisti italiani ed ex ministro della Giustizia, con quattro legislature alle spalle e ad appena 55 anni, anche lui si consola riscuotendo una ricca pensione di 5.305 euro netti. Euro in più, euro in meno, la stessa cifra che spetta a un altro pensionato-baby della sinistra, addirittura più giovane di Diliberto: Pietro Folena, ex enfant prodige del Pci-Pds, passato a Rifondazione e trombato nel 2008 quando, con le cinque legislature collezionate, a soli 51 anni ha cominciato a riscuotere 5.527 euro netti al mese. 

Davvero niente male, considerando le norme restrittive che le varie riforme pensionistiche dal 1992 hanno cominciato ad introdurre per i comuni cittadini. Norme ferree per tutti, naturalmente, ma non per deputati e senatori che, quando si è trattato di ridimensionare le proprie pensioni, si sono ben guardati dal farlo. Certo, hanno accettato di decurtarsi il vitalizio con il contributo di solidarietà voluto da Tremonti per le "pensioni d'oro" e pari al 5 per cento per i trattamenti compresi fra i 90 e i 150 mila euro (una penalizzazione che tocca solo i parlamentari con oltre i 15 anni di mandato), ma per il resto hanno evitato i sacrifici imposti agli altri italiani. Tutto rinviato alla prossima legislatura quando, almeno stando all'annuncio del questore della Camera Francesco Colucci, e a una proposta del Pd, potrebbe entrare in vigore un nuovo modello pensionistico contributivo. A Montecitorio, però, il clima è rovente. Pochi giorni fa il presidente Gianfranco Fini non ha ammesso un ordine del giorno dell'Idv, che chiedeva l'abolizione dei vitalizi ("Un furto della casta", secondo il dipietrista Massimo Donadi). Secondo Fini, i diritti acquisiti non si toccano, al massimo si potrà discutere della riforma. 


IL CLUB DEI CINQUE
Nel frattempo, l'andazzo continua, con l'esercito dei parlamentari pensionati che si ingrossa sempre più, fino a toccare il record dei 3.356 vitalizi erogati fra le 2.308 pensioni dirette e le reversibilità, divise tra le 625 alla Camera e 423 al Senato. Un fardello che si traduce ogni anno in una spesa di 200 milioni di euro, oltre 61 dei quali pagati da palazzo Madama e i restanti 138 da Montecitorio. In questo pozzo senza fondo del privilegio ci sono anzitutto i superfortunati che con una sola legislatura, cioè appena cinque anni di contribuzione, portano a casa il loro bravo vitalizio. Personaggi anche molto noti e quasi sempre ancora nel pieno dell'attività professionale. Nell'elenco compare Toni Negri, ex leader di Potere operaio, docente universitario e scrittore. Venne fatto eleggere mentre era in carcere per terrorismo nel 1983 dai radicali di Marco Pannella. Approdato a Montecitorio, Negri ci restò il tempo necessario per preparare la fuga e rifugiarsi in Francia. Ciononostante, oggi percepisce una pensione di 2.199 euro netti. Stesso importo all'incirca riscosso da un capitano d'industria come Luciano Benetton (al Senato nel 1992, restò in carica solo due anni per lo scioglimento anticipato della legislatura) e da un avvocato di grido come Carlo Taormina. E sono solo due casi tra i tanti. Nel "club dei cinque" sono presenti quasi tutte le categorie lavorative, con nomi spesso altisonanti. Compaiono intellettuali come Alberto ArbasinoAlberto Asor Rosa Mario Tronti. Giornalisti di razza come Enzo BettizaEugenio ScalfariAlberto La VolpeFederico Orlando; altri avvocati di grido come Raffaele Della ValleAlfredo Galasso e Giuseppe Guarino; star dello spettacolo come Gino PaoliCarla Gravina e Pasquale Squitieri. Tutti incassano l'assegno calcolato con criteri tanto generosi quanto lontani da quelli in vigore per i comuni lavoratori.


GIOCHI DI PRESTIGIO

Per i deputati eletti prima del 2008 (per quelli nominati dopo è stata introdotta una modesta riforma di cui solo tra qualche anno vedremo gli effetti) vale il vecchio regolamento varato dall'Ufficio di presidenza di Montecitorio nel 1997. Dice che i deputati il cui incarico sia cominciato dopo il '96 maturano il diritto al vitalizio a 65 anni, basta aver versato contributi per cinque. Fin qui, nulla da dire: il requisito dei 65 pone i deputati sulla stessa linea stabilita per la pensione di vecchiaia dei comuni cittadini. Ma basta scorrere il regolamento per scoprire le prime sorprese. L'età minima dei 65 anni si abbassa di una annualità per ogni anno di mandato oltre i cinque prima indicati, sino a toccare la soglia dei 60. E non è finita. Alla Camera ci sono ancora un gran numero di eletti prima del '96 e per questi valgono le norme precedenti. Secondo queste norme il diritto alla pensione si matura sempre a 65 anni, ma il limite è riducibile a 50 anni e ancor meno (come nel caso di Pecoraro Scanio), facendo cioè valere le altre annualità di permanenza in Parlamento oltre ai cinque anni del minimo richiesto. Questo accade nell'Eldorado di Montecitorio. 

A palazzo Madama gli eletti si trattano altrettanto bene. Un regolamento del 1997 stabilisce che i senatori in carica dal 2001 possono, come alla Camera, andare in pensione al compimento del sessantacinquesimo anno con cinque anni di contributi versati. Ma attenzione, anche qui dal tetto dei 65 si può scendere eccome. Possono farlo tutti i parlamentari eletti prima del 2001. Per costoro, il diritto alla pensione scatta a 60 anni se si vanta una sola legislatura, ma scende a 55 con due mandati e a 50 con tre o più legislature alle spalle. 


IL BABY ONOREVOLE
Dall'età pensionabile alla contribuzione necessaria per la pensione, ecco un altro capitolo che riporta agli anni bui delle pensioni baby. Si tratta delle pensioni che consentivano alle impiegate pubbliche con figli di smettere di lavorare dopo 14 anni, sei mesi e un giorno (i loro colleghi potevano invece farlo dopo 19 anni e sei mesi). Ci volle la riforma Amato del '92 per cancellare lo sfacciato privilegio. Ma cassate per gli statali, le pensioni baby proliferano tra i parlamentari. Secondo il trattamento Inps in vigore per tutti i lavoratori, ci vogliono almeno 35 anni di contributi per acquisire il diritto alla pensione. I parlamentari invece acquisiscono il diritto appena dopo cinque anni e il pagamento di una quota mensile dell'8,6 per cento dell'indennità lorda (1.006 euro). Fino alla scorsa legislatura le cose andavano addirittura meglio per la casta. Bastava durare in carica due anni e mezzo per assicurarsi il vitalizio (è il caso di Benetton). Il restante delle annualità mancanti per arrivare a cinque potevano essere riscattate in comode rate. Nel 2007 è arrivato un colpo basso: i cinque anni dovranno essere effettivi. Una mazzata per Lorsignori, che si rifanno con la manica larga con la quale si calcola il vitalizio.

RIVALUTAZIONE D'OROSino agli anni Novanta, tutti i lavoratori avevano diritto a calcolare la pensione sui migliori livelli retributivi, cioè quelli degli ultimi anni (sistema retributivo). Successivamente, si è passati al sistema contributivo per cui la pensione è legata invece all'importo dei contributi effettivamente versati. Il salasso è stato pesante. Per tutti, ma non per i parlamentari. Che sono rimasti ancorati a un vantaggiosissimo marchingegno. Invece che sulla base dei contributi versati, deputati e senatori calcolano il vitalizio sulla scorta dell'indennità lorda (11 mila 703 euro alla Camera) e della percentuale legata agli anni di presenza in Parlamento. Con 5 anni di mandato si riscuote così una pensione pari al 25 per cento dell'indennità, cioè 2 mila 926 euro lordi. Raggiungendo invece i 30 anni di presenza si tocca il massimo, l'80 per cento dell'indennità che in soldoni vuol dire 9 mila 362 euro lordi. Vero che con una riforma del 2007 Camera e Senato hanno ridimensionato i criteri di calcolo dei vitalizi riducendo le percentuali: si va da un minimo del 20 dopo cinque anni al 60 per 15 anni e oltre di presenza in Parlamento. Ma a parte questa riduzione, gli altri privilegi restano intatti. Con una ulteriore blindatura, che mette al sicuro dall'inflazione e dalle altre forme di svalutazione: la cosiddetta "clausola d'oro", per cui i vitalizi si rivalutano automaticamente grazie all'ancoraggio al valore dell'indennità lorda del parlamentare ancora in servizio.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/un-privilegio-da-200-milioni/2157780