mercoledì 3 ottobre 2012

Stanno ritornando i fascisti. O meglio, non erano mai andati via. Come Giuseppe Fava ci aveva ben spiegato nel 1983. - Sergio Di Cori Modigliani




Ogni cultura, ogni etnia, ogni paese ha dei suoi specifici simboli, sintagmi, espressioni, che sintetizzano e determinano l’immaginario collettivo di quel popolo. Se andate a Omaha, Nebraska, e mettete su un partito con l’immagine del fascio littorio, forse trovate tre adepti e la vostra trovata elettorale non avrà alcun impatto. A loro, quel simbolo, non evoca nulla. Se le stesse persone, con identica argomentazione, una grafica uguale e gli stessi slogan, fanno la stessa cosa a Sarzana o a Reggio Emilia, inevitabilmente ci sarà una reazione distinta. E così via dicendo. Se mettete su un movimento come “occupy wall street” e basate la vostra argomentazione sul principio noto “1% contro il 99%” in un paese, come gli Usa, in cui pagare le tasse è norma consolidata e lo fanno tutti; dove le banche –per tradizione- da novant’anni finanziano imprese e idee; dove i meccanismi di corruzione vengono perseguiti con vigore, e quando qualcuno viene beccato, non esiste patteggiamento, e se gli va bene perché non finisce in galera, sparisce per sempre dalla vita politica; dove esistono forti precedenti di una gestione politica (vedi Roosevelt e Truman) che ha messo le banche e la borsa sotto severissimo controllo, accade che possa accadere ciò che sta accadendo da diverse settimane nella contea di Manhattan, dove un giudice ha messo sotto accusa il colosso finanziario J.P.Morgan il cui management finirà presto alla sbarra, dove il governo e una folta maggioranza parlamentare sta aprendo un incartamento giudiziario sulla bolla esplosa dei mutui nel 2008, ecc. Ma se mettete su lo stesso identico movimento, con le stesse parole d’ordine e con la stessa spinta volitiva, in un paese come l’Arabia Saudita, dopo un giorno finite arrestati, condannati a morte senza processo e fucilati all’alba. Se lo fate in Danimarca o in Svezia, tutta la casa reale scende in campo, e ogni giorno se ne parla in parlamento finchè il governo è costretto a intervenire con appositi dispositivi, leggi, controlli, decisioni.
In Italia, negli ultimi mesi, e soprattutto nelle ultime settimane, si è manifestata l’ennesima finzione italiota, che da surrealismo bello e buono, diventa dramma civile, sociale e collettivo, perché è praticamente impossibile denunciare che è un falso.
Perché ciò che oggi in Italia esiste è, mi ripeto, la traduzione di mode importate, riadattate e applicate nel tessuto italiano in modo rassicurante, a garanzia che nulla verrà cambiato mai, che non ci sarà nessuna modificazione.
L’Italia è un paese antico ed è vero.
Non siamo come il Qatar che è stato inventato a tavolino dalla Gran Bretagna nel 1970, o come la Giordania dove inglesi, americani, francesi e tedeschi hanno preso uno qualunque e gli hanno detto “da domani tu se il re e questo è il tuo popolo”.
Non siamo neppure come gli Usa, una gigantesca ed efficiente confederazione, vero e proprio laboratorio dinamico umano e fucina di idee e di innovazioni, il cui principale collante storico, per ovvi motivi, è sempre stato il business.
Si può discutere per ore e decenni sulla solita storiella che siamo soltanto una espressione geografica, perché gli italiani non sono stati mai fatti ma questa, è ormai un’argomentazione obsoleta e non corrisponde affatto alla realtà dei fatti sociali, psicologici, legali ed esistenziali.
Gli italiani esistono, eccome se esistono.
Siamo stati unificati, eccome se siamo stati unificati.
Siamo un tutt’uno, eccome se siamo un tutt’uno.
Ogni differenza tra un brianzolo e un catanese, un frusinate e un vicentino, sono davvero quisquilie antropologiche; si tratta delle stesse identiche differenze di lingua locale, usi tradizionali, costumi psicologici che si trovano tra una casalinga puritana di Cape Cod, sulla East Coast statunitense e una sua omologa cattolica sulla spiaggia di San Diego sulla West Coast: diversissime in tutto, se non nella loro omologazione che le rende (per noi che le vediamo dall’esterno e le riconosciamo) squisitamente americane.
L’Italiano ancora non esisteva nel 1968. E’ iniziato a esistere nel febbraio del 1970, grazie all’irruzione della televisione, della ideologia faziosa e dell’ignoranza, usate come furibonde armi di distrazione di massa. Fu la prima grande mutazione antropologica che andò a costruire la prima fase dell’omologazione come nazione, quella che Pasolini denunciò allora come una tragedia epocale (per lui lo era). Avvenne, allora, con un atto politico-economico che unificò il paese (a sua insaputa) genialmente orchestrato dai due leader che condussero l’operazione e che poi, grazie a questo successo, presero il controllo operativo dei loro due grandi partiti: Giulio Andreotti ed Enrico Berlinguer. Gli italiani ancora non esistevano, e il paese era attraversato da una autentica sollevazione sociale di stampo generazionale che correva il rischio di unificare il paese verso forme evolute davvero molto pericolose per i gestori e garanti dello status quo. E lì avvenne un episodio, anzi due, che unirono il paese, perché si verificarono uno a Torino e l’altro a Reggio Calabria, unendo quindi in un sottilissimo filo di complicità l’austera classe dirigente efficiente piemontese e quella meridionalista calabrese. C’erano, allora, due pericolosi (per il potere) focolai: a Torino la Fiat era in grave crisi. Ben ingerita e digerita la trionfante stagione del modello 500, si era trovata in un momento di riassestamento del capitalismo europeo, ma la famiglia Agnelli (come ha sempre fatto) invece di aver scelto (anni prima) di investire i loro profitti in ricerca avanzata tecnologica, innovazione, aumento della produttività, accettando l’esistenza della concorrenza di altre marche italiane, aveva optato per gettarsi nel campo della finanza speculativa trasformando la Fiat in una semplice cassaforte da usare per fare soldi con gli strumenti finanziari più evoluti allora in voga, senza praticare nessuna politica industriale. In seguito alle lotte sindacali e all’aumento della concorrenza di Renault, Citroen, Opel e Volkswagen, era finita in crisi. Per “fingere” che la propria crisi era tragica, con grandiosa abilità dirottarono nel 1968 il corrispondente di oggi di circa 50 miliardi di euro verso insospettabili “casseforti” all’estero, il tutto intestato a società di comodo. Nel pieno delle lotte sindacali si presentano allo Stato centrale e paventando la bancarotta (con i conti alla mano truccati) sostengono che dovranno licenziare circa 25.000 persone subito. Inizia una trattativa, gestita soprattutto da Riccardo Lombardi (PSI) Luciano Lama (CGIL) e Berlinguer (PCI) scelti con abilità da Amintore Fanfani come i migliori mediatori del momento. Gli unici che con Lotta Continua ci potevano parlare. Contemporaneamente, però, in Calabria erano insorti i meridionali, manifestandosi con rivolte di popolo contro lo strapotere delle banche, contro lo strozzinaggio delle banche, contro le politiche di austerità del settentrione, gestite da un leader locale che si chiamava Ciccio Franco, pilotate dal MSI al grido di “Boia chi molla”, con scontri nelle strade, incendi, devastazioni, morti. Mentre a Torino ci si scontrava contro la polizia al grido di “polizia fascista”, a Reggio Calabria ci si scontrava contro la polizia al grido di “polizia serva dei comunisti”. Risolsero il problema. Magicamente arrivò da Mosca una proposta commerciale alla Fiat per dare inizio alla prima automatizzazione di massa del popolo sovietico; vennero accettate dalla Fiat tutte le richieste sindacali, l’azienda garantì il lavoro, decise di espandersi assumendo altri 8.000 operai nel settentrione. In cambio, ottenne dal governo il corrispondente di oggi di circa 50 miliardi di euro come “prestito d’incentivazione”. E il giorno dopo il fratello di Giovanni Agnelli annunciava la propria candidatura nelle file della DC per le elezioni seguenti, in modo tale da garantire alla sua famiglia che quei soldi non sarebbero mai stati restituiti. Una settimana dopo, in un celebre discorso alla Camera dei deputati, l’allora ministro dell’economia, Emilio Colombo –che in quel momento lanciò nell’arena Giulio Andreotti- annunciava la risoluzione definitiva della questione meridionale. Minacciò i meridionali sostenendo che se non la smettevano subito avrebbe inviato l’esercito e li avrebbe fatti prendere a cannonate. In compenso, garantiva a nome del governo che al massimo entro 72 ore, sarebbe diventato esecutivo il più grande piano mai realizzato di investimenti nel meridione per lanciare il sud verso la modernità. Per far ciò –e poterlo fare in fretta- data la situazione di “grave emergenza che ci obbliga a intervenire subito e data la responsabilità che abbiamo anche come membri fondatori del mercato economico europeo, chiedo un atto di responsabilità civile agli onorevoli colleghi dell’opposizione per appoggiare con favore un decreto legge d’urgenza che consenta la risoluzione immediata del disagio delle popolazioni meridionali”. E lo ottenne. Fu la prima volta che il PCI votò compatto all’unanimità un decreto del governo democristiano. E così, mentre al settentrione la Fiat, attraverso la mediazione di CGIL e PCI rubava “letteralmente” i soldi dalle tasse degli italiani, nel meridione, in 24 ore, a nome del governo, Giulio Andreotti istituisce nella sola Calabria 1.789 enti inutili nati dal nulla che consentono di annunciare in aula, due giorni dopo, che la settimana entrante sarebbero state assunte, nella sola Calabria, 26.860 persone. Come avvenne. Finirono tutti assunti a far poco o nulla in entità fittizie il cui compito consisteva nel non produrre nulla, se non la pace sociale necessaria per garantire lo status quo.  L’unica cosa chiesta in cambio era che il management di province, enti, assessorati, ecc, fosse messo nelle amorevoli mani di burocrati democristiani. Accettarono tutti. E così il meridione, pur di mangiare, accettò di entrare nella mentalità della clientela sussidiaria parassitaria al soldo e agli ordini della Democrazia Cristiana (e in Calabria in connivenza con il PSI) mentre in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, la grande industria entrava alla grande nel meccanismo del sussidio nazionale mediato dall’opposizione. Tutte le agitazioni di piazza scomparvero nel nulla. Per far fronte a questa situazione, la Banca d’Italia fu costretta a battere una quantità strabordante di danaro. Dieci mesi dopo, l’inflazione era salita del 320% e lentamente ci si avviava verso la grande crisi economica del 1972.
Lì nacquero gli italiani.
Uniti come popolo e nazione, al di là della loro faziosità, al di là dello schieramento ideologico, al di là delle loro differenze, al di là della loro posizione geografica, incorporarono dentro di sé la mala pianta nevropatica dell’odio/amore verso lo Stato, considerato come nemico ma allo stesso tempo amorevole mamma accudente dei propri bisogni primari.
La seconda fase, fondamentale nella nascita degli italiani è stata quella perpetrata e organizzata alla grande da Silvio Berlusconi e i suoi compari.
Ancora nel 1989, la criminalità organizzata –pur sempre mostruosamente forte- aveva come roccaforti la gestione, amministrazione ed esercizio del potere locale regionale, suddivisa in mafia siciliana, ‘ndrangheta calabrese, camorra napoletana, sacra corona unita pugliese, che trovavano soprattutto nella destra fascista e democristiana la copertura necessaria per svolgere il loro malaffare.
Con Berlusconi tutto ciò cambia e la criminalità organizzata, da meridionale, diventa nazionale. Vent’anni dopo, tutte le più importanti organizzazioni criminali meridionali mantengono nel meridione una posizione territoriale più che altro psico-politica. Come ben spiegato dal magistrato Caselli e dal procuratore Grasso, nel 2010 “il 70% delle attività finanziarie delle mafie si svolge e si realizza nelle quattro grandi regioni settentrionali”.
In questo ventennio, le mafie –come persone, come concetto, come antropologia, come modalità d’affari, come cultura- entrano nel sistema industriale, finanziario e bancario del settentrione e se ne impossessano.
L’Italia realizza finalmente la propria unità nazionale.
Il mafioso siciliano non esiste più oggi. Se non nella sua obsoleta (seppur ancora viva) manifestazione di bullismo criminale locale legato a tradizioni familiari micro-delinquenziali. L’Italia diventa mafiosa e criminale nella sua perdurante attività quotidiana. ED E’ QUESTO CIO’ CHE INCEPPA IL SISTEMA E INGESSA IL MERCATO non le banche. E’ questa mentalità che esalta e piace ai colossi finanziari internazionali che vedono in questa furiosa debolezza e fragilità etica la ghiotta occasione per espoliare la nazione appropriandosi delle nostre ricchezze. Non è certo un caso che tutti questi siti, pagine di facebook, quotidiani on-line dove ogni giorno si legge il consueto piattume demagogico contro le banche (vera e propria arma di distrazione di massa di facilissimo appeal emotivo perché manipola l’autentico disagio collettivo) neanche una volta parlano di mafie, se non per raccontarci irrilevanti notizie.
Siamo diventati unità nazionale.
L’Italia è Fiorito, per i maschi. Ed è Nicole Minetti per le femmine.
Che ci piaccia o non ci piaccia, questo è il paese: sono entrambi invidiati.
E’ soltanto attraverso una rivoluzione esistenziale interiore che si può arrivare a compiere quella necessaria mutazione del nostro dna culturale per cambiare per davvero la nostra realtà. E ciascuno sa in che cosa consiste il suo “personale e individuale modo di essere rivoluzionari oggi in Italia”, non lo sfogo contro le banche, bensì il disprezzo per i Fiorito e per le Minetti (qui assurti a simbolo rappresentativo) di un intero sistema che è, prima di ogni altra cosa in assoluto, un fatto mentale. Un fatto interiore.
Non spetta alla magistratura il compito di pulire il bianco, il rosso, il verde. L’hanno già fatto nel 1992: non è servito a nulla.
Per ogni Fiorito che va in carcere oggi, per ogni Minetti che si pavoneggia per la sua furbizia, c’è un altro Fiorito ad Alessandria, Siracusa, Ancona, Grosseto, pronto a sostituirlo.
Va cambiato la mentalità d’approccio.
Invece di sentirsi particolarmente intelligenti o puliti perché su facebook si vomitano insulti contro Berlusconi, Monti o Goldman Sachs, è bene che ciascuno cominci a interrogarsi sulla propria istintiva tendenza alla clientela, al piagnisteo che chiede sussistenza, alla querula lamentela di chi finge di voler essere imprenditore quando l’unico vero obiettivo consiste nel metter su (se va bene) un baracchino che poi verrà sovvenzionato dallo Stato in un qualche modo.
L’Italia non sta in crisi perché non può battere moneta. E’ FALSO.
Il “sistema Italia è andato in crisi perché l’Europa non consente più all’Italia di mantenere un gigantesco esercito di burocrati inutili, assunti per malleveria partitica o vaticanista, che producono soltanto rendite passive e non merci competitive”.
E la Germania, va da sé, gongola e approfitta di questa situazione. Lo fa anche la Francia, e adesso il Qatar, e i colossi finanziari all’arrembaggio.
Siamo esposti e a rischio.
Siamo esposti all’unità nazionale che, in totale consociativismo, hanno costruito per noi, sapendo che così sarebbero stati votati.
Non a caso (e l’unico a darne la notizia è Il Fatto Quotidiano, colpito proprio da un “sintagma della memoria storica”) Casa Pound e Forza Nuova annunciano sfracelli a Rimini e in Emilia Romagna mobilitando la piazza “contro il mercatismo e contro il signoraggio” e con parole d’ordine che vanno da “fermiamo le banche” a “eliminiamo le banche” ma dove, guarda caso, da ieri è ritornato a primeggiare il mai sopito “Boia chi molla”. E Il Fatto Quotidiano annuncia l’evento facendolo squillare come un campanello.
Il nemico vero è dentro di noi. Spetta a noi strapparselo dalla carne viva, anche a morsi se è necessario. Ciascuno a modo proprio.
Qui di seguito, vi ripropongo un estratto di una grande vittima innocente della nostra Bella Italia che non esiste più. E’ un brano tratto da un testo dello scrittore italiano Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia perché divulgava  Cultura. Il libro si chiama “I siciliani” ed è stato pubblicato nel lontano 1983. L’aspetto più agghiacciante –da cui la necessità di questo post- consiste nel fatto che 29 anni dopo non ha perso neppure un grammo della sua cronachistica attualità psico-esistenziale dell’etnia italiana. Eccolo per voi.
Meditateci su, vale la pena.


Il brano è inserito in un capitolo il cui titolo è: “Paura, Vergogna, Stupidità”.
Perché questi sono, purtroppo, i veri tre colori della nostra bandiera nazionale, oggi. Fiorito docet.

Eccolo:
“Non ti lamentare perciò se […] a Napoli la camorra ha sostituito lo Stato nella pubblica amministrazione, nella distribuzione degli appalti, nella amministrazione privata della giustizia e perfino nella coscienza della gente, e in Sicilia e dovunque la mafia è padrona di ciò che ha comunque valore economico e politico, assassina chiunque sgarra o gli da soltanto fastidio, […] Non ti lagnare amico mio se tutto questo accade, non ne hai il diritto. Il primo lazzarone sei tu e la storia ti paga per quello che merita la tua maniera di concepire la politica e quindi la tua stessa dignità!
Solo che ora non hai più molto tempo. Lo vedi tu stesso quello che ci circonda e assedia: amministratori che divorano, terroristi che avanzano menando strage, l'inflazione che ogni giorno ti rende sempre più miserabile, finanzieri che portano il denaro all'estero ed ogni giorno rendono questa tua miseria più infame, logge segrete come immense piovre in tutti i vertici dello Stato, mafiosi praticamente padroni anche della tua sedia di lavoro!
La necessità di una rivolta morale è diventata una necessità per sopravvivere.
Io allora non ti dico per quale partito votare, perché penso che tu abbia avuto almeno la lucidità per fare una tua scelta ideale. Ti chiedo solo che, all'interno di questo partito al quale affidi la tua coscienza di cittadino, di scegliere uomini intelligenti, soprattutto uomini onesti.
E se hai coraggio e passione, allora stai tu dentro quel partito a lottare per la tua parte.
So quanto sia difficile, poiché manigoldi e ruffiani sono riusciti finora ad emarginare o eliminare gli intelligenti e gli onesti.
Ma bisogna tentare, disperatamente, quotidianamente lottare e sperare. Altrimenti ignoranti, ladri e imbecilli ti affonderanno definitivamente!”.
Ci hanno affondato, infatti.
Spetta a noi riemergere

L'Ultima Parola : Claudio Messora: ecco come ci hanno commissariati 28/09/2012



L'Ultima Parola 28 settembre 2012 - Da quando, dopo l'insediamento di Monti, si è parlato di golpe economico-finanziario, mai una testimonianza interna al palazzo era trapelata. Questo è il racconto del senatore Massimo Garavaglia, vice-presidente della Commisione Bilancio al Senato, catturato da una videocamera amatoriale ad una conferenza di pochi giorni fa. Frutto del ricatto che Garavaglia denuncia, anche il MES, il Meccanismo di Stabilità Europeo che contiene numerosi profili fonti di preoccupazione. Cerchiamo di capirli insieme a Claudio Messora e all'economista e studiosa Lidia Undiemi. 
Guarda tutti i video di "L?Ultima Parola" su http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/page/Page-b949620a-a687-44f9-9419-f1cb9e...

Giovanni Negri: Porro cretino. M5S ? Non voto per cose che non contano [ audio edit ]

Crac San Raffaele, 10 anni a Daccò Il giudice: «Versi subito 5 milioni»


Bancarotta fraudolenta: il pm aveva chiesto la condanna a cinque anni e sei mesi. Assolto invece Andrea Bezziccheri.

MILANO - Dieci anni di reclusione per Pierangelo Daccò e l’assoluzione per Andrea Bezziccheri, nell'ambito dell'inchiesta sul dissesto finanziario del San Raffaele. Queste la decisione del giudice per l’udienza preliminare Maria Cristina Mannocci al termine del procedimento con rito abbreviato scelto dal faccendiere e dall’imprenditore coinvolti nell’inchiesta sul dissesto finanziario della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor. Per Daccò il pm aveva chiesto la condanna a cinque anni e sei mesi, e per Bezziccheri la condanna a tre anni. I due rispondono a vario titolo di bancarotta fraudolenta in concorso con altri imputati, per i quali è in corso il processo e associazione per delinquere finalizzata a frodi fiscali, appropriazione indebita e distrazione di beni. Nell’ambito dello stesso procedimento l’ex direttore amministrativo dell’ospedale, Mario Valsecchi ha già patteggiato 2 anni e 10 mesi di carcere.
5 MILIONI DI EURO - Il faccendiere dovrà versare una provvisionale, immediatamente esecutiva, di 5 milioni di euro alla parte civile, rappresentata dalla Fondazione e dai commissari dell'ospedale, che attualmente si trova in concordato preventivo. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare Maria Cristina Mannocci, come anticipo sul risarcimento da stabilire in sede civile a favore delle parti civili.
LA DIFESA - Nell'udienza di mercoledì mattina il legale di Daccò, l'avvocato Giampiero Biancolella, aveva chiesto di acquisire i verbali d'interrogatorio dell'ex capo della sicurezza del San Raffaele Danilo Donati, arrestato nei mesi scorsi. Secondo il difensore, Donati avrebbe ritrattato alcune dichiarazioni fatte in precedenza. Il gup ha acquisito questi verbali. Biancolella era già pessimista in mattinata: «La sentenza di condanna per Daccò è già segnata», aveva detto.
IL DOPPIO - Biancolella è uscito esterrefatto dalla stanza del gup Maria Cristina Mannocci, ripetendo: «Il doppio di quanto chiesto dalla procura». Dopo un momento, Biancolella ha così commentato: «I processi terminano con la valutazione del giudice di legittimità che fa il giudice d’appello e dopo la rilettura della Cassazione. Questa potrebbe essere una sentenza con i piedi di argilla. Tuttavia mi riservo di leggere le motivazioni, perché gli elementi di condanna sono gli stessi identici che la Cassazione aveva rigettato nella misura cautelare». Il riferimento è al rigetto da parte della Cassazione dell’ordinanza di arresto di Daccò in relazione al solo reato di bancarotta, poi ripristinato. Oggi Mannocci, ha rigettato anche l’istanza di scarcerazione per Daccò avanzata da Biancolella, nonché la richiesta in subordine di concedergli gli arresti domiciliari. La misura è dunque prorogata per altri sei mesi.

COSTRETTO A SPOSTARE LA SUA JAGUAR: POLITICO BUCA LE GOMME AL DISABILE - FOTO



LECCO - Aveva parcheggiato la sua Jaguar nel posto riservato ai disabili proprio di fronte alla sede dell'Aler di Lecco, l'Azienda lombarda per l'edilizia residenziale di cui è presidente. Antonio Piazza, però, è stato costretto a spostare l'auto e a pagare la rispettiva multa dal un disabile che, seccato dal trovare il proprio posto occupato impropriamente, aveva subito allertato i vigili urbani. Ma una volta allontanatisi gli agenti, Piazza non ha esitato a vendicarsi bucando le gomme all'auto dell'invalido.

DIMISSIONI PDL La scena è stata ripresa dalle telecamere della zona e il presidente dell'Aler è stato sollecitato dal suo partito, il Pdl, a dimettersi suo malgrado: «Le mie dimissioni - si è giustificato il numero uno dell'Aler lecchese - non sono assolutamente giuste. Non le ho certo date volontariamente. Il mio comportamento è sempre stato improntato nella massima correttezza nel ruolo che ho svolto fino ad oggi nell'azienda lombarda per l'edilizia residenziale. Spero che l'assessore lombardo nelle prossime ore le respinga». 


FOTOGALLERY : Antonio Piazza, presidente Aler Lecco

http://www.leggo.it/news/cronaca/costretto_a_spostare_la_sua_jaguar_politico_buca_le_gomme_al_disabile_foto/notizie/196692.shtml

ALBERTO BAGNAI - CE LO CHIEDE L'EUROPA



Prendetevi tutto il week-end, se necessario, per guardare l'intervista che avete voluto e reso possibile voi, con il vostro desiderio di conoscenza e il vostro contributo. Grazie! E diffondete...

http://www.byoblu.com/post/2012/07/06/Alberto-Bagnai-ce-lo-chiede-lEuropa!.aspx

Arrestato l'amministratore di «Tributi Italia», sottratti ai comuni 100 milioni di tasse.

Giuseppe Saggese in una foto del Secolo XIX
Giuseppe Saggese in una foto del Secolo XIX

In manette a Chiavari per peculato Giuseppe Saggese, per l'accusa avrebbe sottratto personalmente 20 milioni.


Doveva essere, secondo alcuni, l'alternativa comunale «buona» ad Equitalia. Ma in realtà non si è rivelata tale. L'amministratore di fatto della «Tributi Italia spa», società concessionaria per la riscossione dei tributi in oltre 400 comuni, è stato infatti arrestato dalla Guardia di Finanza che ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Chiavari.
LA VICENDA - Le accuse nei confronti di Giuseppe Saggese , 52 anni di Rapallo, sono peculato, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate e omesso versamento Iva. La società di consulenza, registrata come «Tributi Italia spa», operava, come detto, su oltre 400 comuni in tutta la penisola. Si occupava su incarico del comune della riscossione delle tasse locali (Ici, Tosap, ecc...). Ma, una volta incassate le somme (al netto di quanto le spettava per l'incarico ricevuto), anzichè riversarle nelle casse dei comuni le tratteneva sui propri conti. Attraverso rapporti con altre società, tutte riconducibili a Saggese, quei fondi poi «sparivano» a beneficio di quest'ultimo.
L'ACCUSA - Secondo l'accusa la società, in amministrazione straordinaria con un commissario, avrebbe operato fino al 2010 riscuotendo imposte, mai versate ai comuni, per oltre cento milioni. Saggese, in particolare, avrebbe personalmente sottratto alla società circa 20 milioni. Contestualmente all'arresto di Saggese, la procura ha anche disposto il sequestro per equivalente di 9 milioni e diverse perquisizioni a Rapallo, Recco, Cogorno (in provincia di Genova), Genova, Roma e Borgonovo del Tidone (Piacenza) nei confronti di altri soggetti indagati, tra cui quattro nei confronti dei quali è stato disposto l'obbligo di dimora.
SPESE PAZZE - Secondo l'accusa Saggese con i soldi presi ai cittadini e non versati ai comuni, non avrebbe badato a spese, con prelievi giornalieri dai conti della società anche di 10.000 euro, autovetture di lusso, yacht ed aerei privati, soggiorni in località prestigiose, feste mondane e concerti di musica. Molti dei circa 1000 dipendenti di «Tributi Italia spa» sono stati licenziati, molti altri sono in cassa integrazione, mentre alcuni comuni sono arrivati sull'orlo del dissesto finanziario. L'impresa di riscossione, a causa delle numerose denunce presentate nei suoi confronti da parte di vari comuni vittime delle sottrazioni e che gli avevano anche revocato le concessioni per l'esazione tributaria, è entrata in stato d'insolvenza, venendo, conseguentemente, dichiarata fallita dal Tribunale di Roma.
IL MECCANISMO - Ma come concretamente venivano dal punto di vista contabile sottratti i soldi alla società di riscossione? Gli approfondimenti investigativi, sono stati concentrati sulle operazioni con le «imprese collegate», spesso documentate come consulenze o piani di riorganizzazione aziendale, verificando, altresì, alcune operazioni societarie di natura straordinaria, come aumenti di capitale e costituzione di nuove società, risultate funzionali, anche queste, a distrarre ingenti somme. Una delle consulenze, per le quali è stato corrisposto un compenso di circa 2 milioni di euro, ha riguardato l'acquisizione di una società di riscossione brindisina, già indebitata per circa 43 milioni di euro; tale operazione ha comportato un irreparabile pregiudizio per il patrimonio della «Tributi Italia».