martedì 14 gennaio 2014

Inflazione scende ai minimi dal 2009. “Crollo dei consumi senza precedenti”.

Carrello della spesa


Torna lo spettro della deflazione, con l'aumento dei prezzi rilevato dall'Istat per il 2013 pari all’1,2%, in decisa frenata dal 3% del 2012. Il Codacons evidenzia comunque una stangata da oltre 400 euro a famiglia. Intanto il debito pubblico vola a 2.104 miliardi.

Inflazione ai minimi dal 2009. Il tasso medio annuo per il 2013 è stato pari all’1,2%, in decisa frenata rispetto al 3% registrato nel 2012. Lo rileva l’Istat, confermando le stime e aggiungendo che si tratta del livello più basso da quattro anni.
Nel mese di dicembre il tasso d’inflazione su base annua resta stabile allo 0,7%, lo stesso valore già registrato a novembre, che risulta il più basso da quattro anni. L’Istituto rileva un aumento, pari allo 0,2%, che interrompe una serie di tre cali congiunturali consecutivi. Nell’ultimo mese dell’anno il prezzo del cosiddetto carrello della spesa, ovvero l’insieme dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, ha subito un rincaro, salendo dello 0,5% rispetto a novembre e dell’1,2% su base annua, in accelerazione dal precedente 0,8 per cento.
“Più di due italiani su tre tagliano i consumi”
Per il Codacons la netta decelerazione rispetto al +3% registrato nel 2012 dipende da un crollo dei consumi senza precedenti, che ha riguardato anche beni di prima necessità come gli alimentari. L’associazione di consumatori evidenzia, comunque, come questa inflazione, nonostante sia il livello più basso dal 2009, tradotta in cifre, equivale, in termini di aumento del costo della vita, ad una stangata annua pari a 257 euro per un single, 345 euro per una famiglia di due persone, 419 per una famiglia tipo di tre persone e 462 per una di quattro componenti.
Mentre un’analisi Coldiretti-Ixè fa sapere che “l’inflazione è calata bruscamente per effetto del crollo dei consumi delle famiglie nel 2013 con più di due italiani su tre (68%) che hanno ridotto la spesa o rimandato l’acquisto di capi d’abbigliamento e oltre la metà (53%) che ha detto addio a viaggi e vacanze e ai beni tecnologici (52) e molto altro ancora”.
Torna lo spettro della deflazione
Con il crollo dei prezzi documentato dall’Istat torna lo spettro della deflazione. A prima vista la frenata dell’inflazione non sarebbe un male, visto che porta a un maggiore potere d’acquisto per gli italiani. Ma i prezzi fermi, o ancora peggio in calo, rischiano di frenare l’economia. Le famiglie rinviano gli acquisti prevedendo sconti maggiori in futuro e paralizzano così i consumi. E le imprese rinunciano a investire perché temono di vendere i loro beni in futuro a prezzi più bassi del costo di produrli oggi, causando una contrazione dell’economia.
Intanto il debito pubblico vola a 2.104 miliardi
Cattive notizie anche sul fronte del debito pubblico, salito di 18,7 miliardi a novembre, segnando un nuovo record storico di 2.104 miliardi di euro. L’aumento, spiega Bankitalia, è riconducibile principalmente al fabbisogno del mese (6,9 miliardi) e all’aumento (11,5 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro (che hanno raggiunto 59 miliardi). Come negli anni passati, nel mese di dicembre è molto probabile che il debito si sia fortemente ridotto, riflettendo un consistente avanzo e il netto calo delle disponibilità liquide del Tesoro, tornate a fine anno poco al di sopra del livello di fine 2012.
Dal 2010 il contributo italiano al sostegno finanziario ai Paesi dell’area dell’euro è stato pari a 55,1 miliardi, di cui 33,6 miliardi riguardanti la quota dell’Italia dei prestiti dell’Efsf, 11,5 riguardanti la sottoscrizione del capitale dell’Esm e 10 miliardi relativi ai prestiti bilaterali in favore della Grecia, la cui erogazione è terminata alla fine del 2011. Nei primi 11 mesi dell’anno le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 339,1 miliardi (di cui 31,2 nel mese di novembre), in lieve calo rispetto a quelle dello stesso periodo del 2012 (340,7 miliardi).

Sicilia, Arsea ente inutile che mangia soldi senza mai essere entrato in attività. - Giuseppe Pipitone

Sicilia, Arsea ente inutile che mangia soldi senza mai essere entrato in attività


La società della Regione Siciliana, che avrebbe dovuto occuparsi di smistare agli agricoltori isolani i finanziamenti dell’Ue, ha due sedi che costano mezzo milione di euro ogni dodici mesi, due dirigenti e un direttore generale ricompensato con ben 170 mila euro all'anno. Crocetta aveva annunciato lo scioglimento dell'ente diretta televisiva. E invece nella finanziaria regionale, attualmente in discussione sono previsti duecentomila euro di contributo.

“Ho già tagliato tredici società inutili. Alla prossima finanziaria chiuderà anche l’Arsea”. Era il 18 novembre 2012 e l’annuncio arrivava dal presidente della Sicilia durante la trasmissione l’Arena. L’Arsea non è mai stata attivata, tutti la vorrebbero chiudere, ma nessuno alla fine ci riesce. Se in tutto il Paese gli enti inutili si sprecano, mai era successo che un carrozzone mangiasoldi riuscisse ad avere più vite di un gatto.
In Sicilia succede invece che nonostante i molteplici annunci di chiusura, provenienti da governi di diverso colore politico, un ente inutile continui comunque a sopravvivere senza che nessuno batta ciglio. È di questa società della Regione Siciliana che avrebbe dovuto occuparsi di smistare agli agricoltori isolani i finanziamenti dell’Unione Europea. Il condizionale infatti è d’obbligo, dato che dalla sua fondazione, ovvero nel 2006, l’Arsea non è mai entrata in funzione. “È uno scandalo” era il commento dell’assessore all’agricoltura Dario Cartabellotta, che nell’inverno scorso aveva assicurato l’immediata chiusura dell’inutile carrozzone. Della stessa opinione anche il governatore Rosario Crocetta, che aveva annunciato lo scioglimento dell’ente anche in diretta televisiva. E invece nella finanziaria regionale, attualmente in discussione a Palazzo dei Normanni, il fantasma dell’Arsea è ricomparso: duecentomila euro di contributo deciso dal governo Crocetta, lo stesso che fino a pochi mesi fa assicurava gli elettori di aver già staccato la spina all’ente inutile.
“Non abbiamo voluto chiudere la porta in faccia a quel mondo contadino, inclusi i forconi, che ci chiedeva di non chiudere l’ente” si è giustificato il governatore Crocetta, che ha spiegato come il contributo pubblico debba servire “per una possibile start up: la nostra idea è quella di utilizzare risorse interne e poter contare su finanziamenti statali. Se ciò non avverrà, siamo pronti a chiudere l’ente”. Voluta da Salvatore Cuffaro nell’ormai lontano 2006, l’Arsea ha trascorso gli ultimi otto anni in completa inattività, nonostante il contributo regionale medio di circa ottocentomila euro all’anno e le due sedi di Palermo e Catania che costano mezzo milione di euro ogni dodici mesi. In pianta organica due dirigenti , che percepiscono un regolare stipendio, più un direttore generale ricompensato con ben 170 mila euro all’anno.
La situazione non cambia nemmeno quando la poltrona di governatore passa a Raffaele Lombardo. È proprio l’ex presidente il primo a ventilare l’ipotesi di smobilitare l’Arsea. Prima di dimettersi però fa in tempo a nominare un nuovo direttore generale di suo gradimento: Claudio Raciti, consulente delle imprese agricole della famiglia Lombardo e militante del Movimento per l’Autonomia. Con l’arrivo di Crocetta al vertice di Palazzo d’Orleans la musica e i fatti non cambiano: tutti dicono di voler chiudere l’Arsea, nessuno lo farà mai. Ma anzi i fondi pubblici, seppur limitati, continueranno a mantenere in vita quel carrozzone che in otto anni non è mai entrato in attività.