mercoledì 20 maggio 2015

Game of Thrones: il cast canta con i Coldplay.



La star del Trono di Spade Peter "Tyrion" Dinklage è anche il protagonista del musical-teaser per il "Red Nose Day" insieme ai Coldplay.
Potete trovare il filmato qui a fianco!

I Coldplay sono dei grandi fan di Game of Thrones, ricordate la partecipazione di Will Champion nella puntata delle “Nozze Rosse”? 
l trailer  è stato pubblicato sul canale ufficiale dei Coldplay, per ora, solo con l’esibizione di Tyrion Lannister attendiamo il 21 maggio per vedere l'integrale durante la giornata  del "Red Nose Day".

Il Red Nose Day è una giornata nazionale di beneficenza a sostegno per i diritti dell'infanzia organizzata dall'associazione Comic Relief.
Cosa ne dite?

Renzi e l’amnesia sulla legge Fornero. - Luisella Costamagna





Suona paradossale la critica in bocca di chi l’ha votata: noi facevamo altri mestieri, io tappavo le buche a Firenze. È il colmo che ora dicano che bisogna restituire tutto, è ridicolo. Noi siamo qui a correggere errori di altri”. Così il premier Renzi dopo l’ok in cdm al decreto legge sulle pensioni, per la bocciatura da parte della Consulta del blocco dell’indicizzazione voluta dall’ex ministro Elsa Fornero.
Errori di altri?”. Siamo già un paese senza memoria e anche Renzi dà il suo personale contributo alla rimozione del ricordo (pratica peraltro condivisa con buona parte della politica nostrana). Ci tocca rivitalizzare le funzioni mnemoniche.
A proposito degli “errori” della legge Fornero sulle pensioni è bene ricordare quanto diceva lo stesso Renzi che, nel 2012 e 2013, oltre a “tappare le buche” da sindaco di Firenze (sognando la segreteria del Pd e Palazzo Chigi), tappava anche la bocca a chi criticava la riforma con queste parole: La riforma Fornero è giusta, a parte gli esodati(ansa 28 novembre 2012); La riforma delle pensioni della Fornero è seria, quella del lavoro timida e inefficace. Bene sulle pensioni, maluccio sul lavoro (ansa 29 novembre 2012); La riforma Fornero andava bene, perderò qualche voto (primarie 2013, ndr) ma lo dico. La riforma non era sbagliata ma va trovata una soluzione per gli esodati (ansa 29 ottobre 2013). Insomma: altro che errori, Renzi promuoveva a pieni voti la legge, e la rimandava solo per gli esodati.
Quanto agli “altri” che avrebbero sbagliato ad approvarla, stupisce che Renzi non ricordi che a votare la riforma Fornero fu, se non lui direttamente, visto che non era (e non è mai stato) in Parlamento, certamente il suo partito, il Pd, sostenitore convinto del governo Monti.
O meglio, non stupisce affatto. Non che Renzi non ricordi – perché il ragazzo è giovane e fresco e in realtà ha una memoria prodigiosa – ma che faccia di tutto perché non lo ricordino gli italiani.

LUISELLA COSTAMAGNA SUL “FATTO” INCALZA LA MORETTI SULLA FONDAZIONE "KAIROS". - Luisella Costamagna



Cara Alessandra Moretti, le campagne elettorali costano, ma lei sembra avere un rapporto singolare col vil denaro. I suoi sostenitori alle Europee le avevano dato qualche grattacapo – dai mille euro di Matteo Marzotto, sotto processo per un’evasione da 70 milioni di euro, all’endorsement del cognato (non indagato) di Enrico Maltauro, 2 anni e 10 mesi patteggiati per Expo –; così per le Regionali ha detto basta: “Chi è indagato, sotto processo o condannato, è preferibile non faccia donazioni”, parola del suo ufficio stampa. Ottimo.

Ma a un curioso potrebbe non bastare. Potrebbe andare a vedere come raccoglie fondi nel suo sito. Dico subito che il primo punto del suo programma è proprio “Costi della politica e trasparenza”, e sono pubblicati i nomi dei donatori privati e di 6 aziende, tra cui 2 imprese edili (una le ha versato ben 80mila euro). Ri-ottimo e nulla di strano. Almeno al primo sguardo. E al secondo?

Al fondo della pagina dei donatori si legge: “La raccolta fondi e le spese per la campagna elettorale di Alessandra Moretti fino al 27 marzo 2015 sono state sostenute dalla Fondazione Kairos”. Una fondazione? Perchè una fondazione? L’affare si complica: non solo perché, se uno prova a farle una donazione, risulta ancora che il versamento è alla Kairos (e siamo ben oltre il 27 marzo); ma soprattutto per le caratteristiche della fondazione. Perché il curioso di cui sopra potrebbe spulciare anche quel sito: nella home della Kairos, oltre a una frase di Gandhi, campeggiano 3 link: “Chi siamo”, “Trasparenza” (ancora) e “Donazioni”, e gli intenti, che va da sé parlano di “un progetto di rinascita per il Paese”.

Nessun riferimento a lei. E né l’atto costitutivo (del 27 gennaio 2015, a due mesi dalle primarie), né lo statuto (che parla, tra molte altre cose, di “promuovere, supportare e conoscere la realtà economica italiana attraverso elaborazioni di ricerche, analisi, studi e proposte”, “promuovere, nella cultura politica e nell’attività politica italiana, un ricambio generazionale e novità di idee”... ed è paro paro a quello della Fondazione Open di Renzi; tutti i renziani hanno una fondazione con lo stesso statuto?), né la causale per le donazioni (un neutro “erogazione liberale”), né una banale fotina, permettono di capire che la fondazione è riconducibile a lei, che quel “progetto di rinascita” è incarnato dalla Moretti del Pd.

L’unico riferimento diretto si trova nelle fatture delle spese – ma solo in alcune, e chi le va a leggere? – che per “trasparenza” sono pubblicate, e in cui si legge, ad esempio, “ufficio comitato elettorale Alessandra Moretti” o “affissione poster per candidato on. Moretti”. Per il resto nulla.

O meglio, il solito curioso può verificare che l’elenco dei donatori della fondazione ricalca esattamente il suo, oppure che il Presidente della Kairos è Roberto Ditri (uno dei Paperoni del Veneto, ex presidente della Fiera di Vicenza prima di Marzotto – rieccoci –, ex ad della Marelli, componente del consiglio direttivo di Federmeccanica e pure cacciatore, chissà che ne pensano i suoi sostenitori animalisti), consigliere è suo fratello (e spin doctor) Carlo, e a dar vita alla fondazione è anche Franco Frigo (ex DC, ex Presidente del Veneto, ora europarlamentare PD).

Insomma, per trovare qualche riferimento a lei e al suo partito, bisogna davvero essere ostinati. Sia chiaro: tutto questo è legale. Ma qualche dubbio sulla tanto sbandierata “trasparenza” lo fa venire. Il commissario anticorruzione Cantone ha detto: “Le fondazioni ottengono, spesso attraverso altre mediazioni, i quattrini che sono il vero motore delle campagne elettorali. Possono intascare centinaia di migliaia di euro senza darne conto. Oggi sono fuori da ogni possibilità di controllo”.

E godono anche di agevolazioni fiscali. Sarà anche per questo che ormai quasi ogni politico ha la sua bella fondazione. Però, cara Moretti, se uno cerca “Italianieuropei” di D’Alema trova che il presidente è lui, e lo stesso vale per “Costruiamo il Futuro” di Lupi, e pure “Open” di Renzi apre il sito con la sua foto e ha la Boschi segretario generale. Quanto ai suoi avversari in Veneto, Zaia non ha fondazioni e non accetta contributi da privati; mentre la fondazione di Tosi “Ricostruiamo il paese” scrive a chiare lettere in home: “Il nostro principale obiettivo è far conoscere il Progetto politico di Flavio Tosi”, ed è dichiarato che le donazioni vanno a lui. Con la Kairos no.

Cara Moretti, non voglio pensare male, e che ad esempio questa fondazione sia nata per ragioni fiscali e solo per la sua campagna elettorale ed evaporerà subito dopo. Le chiedo però di essere trasparente prima del voto: la Kairos fa capo a lei? Se è così – come sembra – perché non lo esplicita nel sito, in modo che chi ci incappa e vuole fare una donazione sappia chiaramente che finanzierà lei e non una generica fondazione politica?

Infine, se non è nata apposta per le regionali, e vuole essere davvero un think- tank di elaborazione politica, ricerche, convegni…come mai finora sembra essersi occupata solo di raccolta fondi e di spese per lei? Magari può chiederlo a suo fratello.

Un cordiale saluto.

L'intervista ad Alessandro Di Battista.



L'intervista ad Alessandro Di Battista su pensioni, corruzione e Scuola.

martedì 19 maggio 2015

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato. Stefano Iannaccone e Lea Vendramel

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato

C'è chi ha preferito non costituirsi parte civile. C'è chi parla di danni subiti. E Chi tira in ballo la Cia. Da Caselli a Giulietto Chiesa, da Di Pietro a Furio Colombo, da Salvi a Veltri, grande malcontento per la decisione del governo Renzi.

C’è chi parla di danni subiti, come l’ex procuratore Antonio Ingroia che denuncia «una massiccia campagna di discredito nei suoi confronti». C’è chi ha preferito non costituirsi parte civile  al processo perché convinto che «la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo», come l’altro magistrato Gian Carlo Caselli. C’è ancora chi, come il giornalista e scrittore, Giulietto Chiesa, vede la mano dei servizi segreti americani. E ancora chi, come Andrea Cinquegrani, direttore della”Voce della Campania”, denuncia una serie di gravi ripercussioni sulla propria attività professionale. Tutti però concordano su un punto: «E’ assurdo mettere il segreto di Stato sulla vicenda»Ilfattoquotidiano.it ha contattato alcuni dei magistrati, politici e giornalisti finiti nel mirino della struttura organizzata a Roma, in via Nazionale 230, tra il 2001 e il 2006, dall’ex capo del Sismi Niccolò Pollari e dall’agente Pio Pompa.Personaggi oggetto di “attenzioni” e dossieraggio perché più o meno considerati avversari dell’allora premier Silvio Berlusconi. Una vicenda su cui pesa come un macigno la posizione assunta dai governi che si sono succeduti in questi anni, accomunati dalla scelta di apporre il segreto di Stato. Dal governo Prodi a quello attuale di Matteo Renzi, che lo ha riproposto manifestando l’intenzione di sollevare nuovamente di fronte alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzione, come ha scritto il direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza di Palazzo Chigi, Giampiero Massolo, allo stesso Pollari chiamato a deporre sull’affaire dai magistrati di Perugia. Ebbene, cosa dicono i dossierati su quello che sta succedendo? Come giudicano la riproposizione del segreto di Stato? Come hanno vissuto l’intrusione nella loro vita professionale e privata? Che danni ne hanno ricevuto?
MARIO ALMERIGHI, ex magistrato: «Credo che l’ampiezza del segreto di Stato sia inversamente proporzionale ai livelli di democrazia di un Paese. Quando venni a conoscenza della vicenda, tenuto conto dei processi che in quel periodo stavo trattando e di quelli che avevo trattato in passato, la cosa non mi sorprese affatto. Mi sorprese l’esiguo numero dei magistrati romani inseriti nell’elenco. L’unica cosa che mi preoccupò alquanto fu che nel documento di Pompa si diceva anche che nei confronti delle persone “attenzionate” potevano essere poste in essere anche “azioni violente”. La mia preoccupazione aumentò quando, in seguito al mio trasferimento a Civitavecchia come presidente di quel tribunale, mi venne tolta la scorta. Ma, visto che oggi posso tranquillamente rispondere a queste domande, devo dedurre che quella decisione fu giusta».
GIANCARLO CASELLI, ex magistrato: «Io non riesco a capire che razza di segreto di Stato possa esserci quando si tratta di un’attività di spionaggio nei confronti di servitori dello Stato che facevano soltanto il loro mestiere e il loro dovere, a volte, come nel mio caso e di tanti altri magistrati “spiati”, anche rischiando la pelle. Il segreto di Stato su questi argomenti è un ossimoro. Premesso che non discuto le decisioni diverse dalla mia, di non costituirmi parte civile, credo che la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo. Secondo me, infatti, era ed è una grave questione di carattere pubblico-istituzionale, quindi ho ritenuto opportuno lasciare soltanto alle sedi istituzionalmente competenti il compito di affrontare questo problema che riguarda soprattutto il funzionamento di strutture pubbliche».
GIULIETTO CHIESA, giornalista e politico: «Il segreto di Stato è giustificabile quando riguarda gli interessi nazionali dell’Italia. Ma non è questo il caso. Ci sono dei sacrari che sono al di fuori di ogni controllo democratico e legale. Questi sacrari riguardano il comportamento dei servizi segreti italiani, che sono una dépendance dei servizi segreti americani. Il potere di interdizione degli Stati Uniti è più forte di qualsiasi legge italiana».
ANDREA CINQUEGRANI, giornalista: «Il segreto di Stato si pone quando ci sono delle emergenze nazionali e internazionali. Invocarlo per un’attività di dossieraggio che cosa ha a che vedere con la sicurezza nazionale? Questa follia si è perpetuata in modo bipartisan in tutti i governi. Tra l’altro il governo Renzi ha parlato di desecretare tutti i documenti e di trasparenza, allora perché inciampare su questa vicenda? Siamo stati spiati dal 2001 al 2006. In quegli anni ero già direttore de “La Voce della Campania”, facevamo un giornale autofinanziato, è plausibile pensare che essere stati attenzionati in quel modo dai servizi segreti, essere stati definiti una sorta di “al Qaeda dell’informazione”, una cupola di controinformazione anti-Berlusconi, possa aver delegittimato la nostra testata, creando effetti negativi sugli introiti pubblicitari, ledendo la nostra immagine e provocandoci danni morali ed esistenziali».
FURIO COLOMBO, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su questa vicenda è una decisione grave e sbagliata. I fatti risalgono a quando ero direttore de “l’Unità”. Anche se in quel momento non potevano esserci per me delle ripercussioni professionali, un dossieraggio di questo genere determina comunque un alone infido intorno a una persona. Non ho avuto modo di verificare se ci sono stati degli effetti negativi, perché non cercavo lavoro, non avevo bisogno di referenze e dopo quel dossieraggio sono stato eletto anche senatore. Ipotizzo comunque di aver subito un danno anche grave. Ognuno di noi può dire quante porte gli si sono aperte nella vita, ma nessuno può sapere quante siano quelle rimaste chiuse».
ANTONIO DI PIETRO, politico: «Roba da pazzi, questo non è segreto di Stato. Ho il cuore pieno di amarezza».
ANTONIO INGROIA, ex magistrato: «È grave che oggi lo Stato preferisca ancora la copertura, appellandosi al segreto di Stato e parlando di possibile conflitto di attribuzioni. Mentirei se dicessi che sono sorpreso. L’Italia, infatti, è un Paese in cui non c’è alcuna voglia di scoperchiare certe pentole. Fa poi riflettere che questo comportamento sia tenuto da una figura come Matteo Renzi che si presenta come il nuovo e il rottamatore.  Io sono stato spiato durante la mia attività di pubblico ministero. È una vicenda per la quale sono indignato come persona e amareggiato come uomo dello Stato. Mi ha creato più danni di quanto sembri, visto che c’è stata una campagna massiccia di discredito nei miei confronti».
LIBERO MANCUSO, ex magistrato: «Trovo assurdo che il premier Renzi, dopo essersi impegnato a togliere il segreto di Stato da tutti gli atti secretati, non sembra intenzionato a farlo per questa vicenda paradossale, intimidatoria e molto oscura che vede coinvolti un organo di controspionaggio e una serie di magistrati che non hanno fatto altro che il loro dovere. Io ho avuto circa dieci inchieste disciplinari, da cui comunque sono sempre uscito indenne».
PAOLO MANCUSO, magistrato: «Il permanere del segreto di Stato è disarmante, una situazione che non riesco a comprendere. Mi sono sentito molto turbato da questa vicenda che non è rimasta isolata. Ho presentato, infatti, denunce per questa situazione e per altre avvenute successivamente sempre ad opera, secondo me, di personaggi appartenenti all’area dei servizi segreti, da cui sono stato attenzionato e monitorato».
CESARE SALVI, politico: «È strano e inquietante che su questa vicenda ci sia il segreto di Stato. Non si capisce il motivo, è evidente che c’è qualcosa che non sappiamo. Quando sono venuto a sapere di essere tra le persone oggetto di queste attività, mi sono molto infastidito. Anche se non ho niente da nascondere, ho sentito lesi molti miei diritti».
ELIO VELTRI, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su una vicenda che ha coinvolto persone spiate solo per le loro idee politiche è inspiegabile e inaccettabile. Un fatto di una gravità inaudita, come gravissima è la minaccia di sollevare il conflitto di attribuzioni».
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/18/sismi-parlano-dossierati-da-pompa-e-pollari-tutti-contro-il-segreto-di-stato/1693371/

"Una villa in cambio di fondi Ue": indagato l'ex presidente dell'Ars Cascio.

"Una villa in cambio di fondi Ue": indagato l'ex presidente dell'Ars Cascio

Autori dell'omaggio sarebbero stati gli imprenditori Giuseppe e Gianluigi Lapis, padre e figlio, titolari della ditta che costruì il Golf Club Le Madonie. Indagati anche gli ex dirigenti Agostino Porretto e Aldo Greco

L'ex vicepresidente della Regione Sicilia, Francesco Cascio, che fu anche presidente dell'Assemblea regionale siciliana, è indagato per corruzione dalla Procura di Palermo: avrebbe consentito a una società titolare di un resort e di un impianto sportivo adibito a campi da golf di ottenere fondi europei; in cambio l'esponente politico oggi Ncd avrebbe ricevuto in regalo una villetta a Collesano (Palermo). Autori dell'"omaggio" sarebbero stati gli imprenditori Giuseppe e Gianluigi Lapis, padre e figlio, titolari della Ecotecna srl (oggi fallita), che costruì il Golf Club Le Madonie, con sede nello stesso paese a cinquanta chilometri dal capoluogo di regione, e che ottennero un finanziamento di oltre 6 milioni. Assieme ai Lapis e a Cascio, indagato nella qualità di ex assessore regionale al Turismo del governo Cuffaro, in carica dal 2001 al 2004, sono coinvolti nell'indagine anche due dirigenti regionali, Agostino Porretto e Aldo Greco.

Immediata la replica dell'attuale deputato del partito di Angelino Alfano: "La villetta - spiega - sorge nel territorio di Collesano, ma da tutt'altra parte rispetto agli impianti da golf. E' di appena ottanta metri quadrati, l'ho pagata fino all'ultimo millesimo e ho pure ritrovato le fatture della ditta e le matrici degli assegni". Ai cinque indagati sono stati notificati gli avvisi di garanzia: saranno sentiti nei prossimi giorni. Nel mirino della Guardia di Finanza ci sono la delibera 149 del 20-21 marzo 2001, con cui la giunta Cuffaro approvò il documento di attuazione del Programma operativo regionale 2000-2006, consentendo alla Ecotecna di ampliarsi, e la circolare 4 del 26 settembre 2001, che integrò e modificò la disciplina dei finanziamenti dei programmi.

Giuseppe Lapis, amministratore di fatto, e il figlio Gianluigi, rappresentante legale dell'azienda, avrebbero ingannato la Regione, dimostrando falsamente di avere le carte in regola per ottenere un finanziamento di 6.152.419,93 euro per ampliare il "Borgo delle vacanze e del tempo libero", nell'ambito di un programma da 22 milioni 621 mila euro. Il finanziamento reale fu di 6.112.479,13. Per questo i due imprenditori rispondono pure di truffa aggravata ai danni della Regione. I Lapis ora rischiano di essere anche indagati per la bancarotta della Ecotecna.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/05/19/news/_una_villa_in_cambio_di_fondi_ue_indagato_l_ex_presidente_dell_ars_cascio-114726335/

domenica 17 maggio 2015

STIGLITZ: ANCHE CON OBAMA AUMENTA LA DISUGUAGLIANZA. - Jonathan Fisher

Il premio Nobel Joseph Stiglitz, intervistato da Business Insider, parla del grave problema della disuguaglianza sociale negli Stati Uniti. La crescita della disuguaglianza è progredita fino a livelli esorbitanti durante gli ultimi tre decenni, e nemmeno Obama è servito a contrastarla, anzi: la sua gestione della crisi ha fatto sì che i vantaggi della ripresa andassero quasi tutti ai più ricchi. La crescita della disuguaglianza non è l’effetto di un presunto “normale funzionamento del mercato”, ma di scelte politiche ben precise, volte allo sfruttamento di una classe sociale a vantaggio di un’altra. 
Intervista a Joseph Stiglitz, di Jonathan Fisher, 6 maggio 2015.
Il premio Nobel, economista e professore Joseph Stiglitz la scorsa settimana si è seduto con noi a parlare dell’allarmante condizione della disuguaglianza dei redditi negli USA, poco prima di un discorso che aveva in programma presso il Commonwealth Club a Palo Alto.
Nel corso degli ultimi tre decenni la percentuale di ricchezza posseduta dall’uno percento più ricco della popolazione è cresciuto dal 7 fino a un esorbitante 22 percento.
Dal 1980 ad oggi la percentuale di reddito complessivo ricevuto dal 99 percento dei lavoratori americano è diminuito del 15 percento. Per di più, il compenso dati agli alti dirigenti delle maggiori compagnie è nell’ordine di 300 volte superiore a quello del lavoratore medio. Quaranta anni fa, gli stessi dirigenti ricevevano uno stipendio che era solo 40 volte superiore a quello del lavoratore americano medio.
Stiglitz ha parlato del preoccupante andamento della disuguaglianza dei redditi negli USA e ci ha riferito ciò che pensa riguardo i temi fondamentali dell’economia:
- Sul momento in cui le crepe della disuguaglianza hanno iniziato a farsi evidenti: “Riconduco la disuguaglianza a un ben preciso insieme di decisioni che furono prese quando si decise di abbassare la pressione fiscale dal 91 percento ad un livello molto basso sui redditi più elevati, abbiamo tolto delle regolamentazioni. Il risultato non è stata un’economia più dinamica, ma una società con più disuguaglianze. Abbiamo provato l’esperimento del ‘trickle-down’ [la teoria secondo la quale i benefici economici dati ai più ricchi aiuterebbero indirettamente gli strati inferiori della società, tramite un metaforico ‘gocciolamento’, NdT]. Dopo un terzo di secolo, possiamo dire in via abbastanza definitiva che è stato un fallimento.
- Sulla disuguaglianza di reddito negli Stati Uniti di oggi: “La disuguaglianza che vediamo non è solo il risultato del naturale funzionamento del mercato. C’è anche il potere monopolistico, l’indebolimento dei sindacati, c’è un amalgama del modo in cui strutturiamo la società, strutturiamo l’economia, paghiamo i massimi dirigenti. C’è anche lo sfruttamento, che abbiamo visto così chiaramente negli anni prima della crisi — il prestito predatorio — un gruppo se ne approfitta di un altro. Purtroppo, ci sono le persone al vertice che sfruttano le persone in posizione inferiore.
- Sulla crescita della robotica e dell’automazione, e dell’effetto che può avere sulla disuguaglianza: “Negli ultimi 40 anni la produttività è raddoppiata, mentre i salari sono stagnati e poi caduti. Perciò la preoccupazione è che queste cose possano aumentare ancora la produttività ma anche portare a più disuguaglianze e bassi salari.
- Sulla questione dell’istruzione via internet e se sostituirà il lavoro di insegnanti e professori: “Penso che il modello che vedremo in futuro prevederà senz’altro che le migliori lezioni del mondo siano disponibili in rete, e sarà poi supportato da molte persone che in classe offriranno interazioni più intensive, e la motivazione. Per quel che mi riguarda, spero che ciò migliori complessivamente la qualità, e non sono preoccupato che possa implicare meno posti per gli insegnanti.
- Sul blocco delle rette per l’istruzione superiore: “Penso sia un punto assolutamente essenziale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale eravamo un paese molto più povero di adesso e avevamo un rapporto debito pubblico/PIL al 130 percento. Allora ci dicevamo ‘Chiunque abbia combattuto la guerra deve poter avere un’istruzione superiore gratuita’. Ce lo siamo potuto permettere allora. Ce lo possiamo permettere anche adesso.
- Sul presidente Barack Obama: “Penso ci siano stati momenti in cui ha detto la cosa giusta, come quando ha detto che avrebbe dedicato gli ultimi tre anni del suo mandato per creare una società più equa… Ciò che mi preoccupa è che — non per dire che lui ne sia l’architetto — ma di fatto sta portando avanti delle politiche che, secondo me, sono a favore della disuguaglianza. ”
Quanto segue è una trascrizione della nostra conversazione con il premio Nobel e professore Joseph Stiglitz. Ci sono delle modifiche per ragioni di chiarezza e brevità.

BUSINESS INSIDER: Per iniziare, quanto è grave la disuguaglianza di reddito negli Stati Uniti di oggi?
JOSEPH STIGLITZ: Beh, è piuttosto grave. Il fatto che sia ampiamente maggiore che in altri grandi paesi ci dice qualcosa. E ha alcune caratteristiche che sono tipiche degli Stati Uniti, e che sono ben esemplificate dalle proteste a Ferguson e a Baltimora. C’è un elemento razziale. E questo elemento razziale mostra come la disuguaglianza non possa essere semplicemente descritta in termini di forze di mercato. L’oppressione che stiamo vedendo e abbiamo visto tante volte sugli afroamericani è il riflesso di una forza bruta di un tipo ben preciso. In un senso più sottile, quel tipo di forza — il potere — è esemplificata dal mercato. La disuguaglianza che vediamo non è solo il risultato del naturale funzionamento del mercato. C’è anche il potere monopolistico, l’indebolimento dei sindacati, c’è un amalgama del modo in cui strutturiamo la società, strutturiamo l’economia, paghiamo i massimi dirigenti. C’è anche lo sfruttamento, che abbiamo visto così chiaramente negli anni prima della crisi — il prestito predatorio — un gruppo se ne approfitta di un altro. Purtroppo, ci sono le persone al vertice che sfruttano le persone in posizione inferiore.
BI: Nel suo nuovo libro [“The Great Divide: Unequal Societies and What We Can Do About Them“], Lei dice che l’aumento della disuguaglianza è dovuto a una scelta. Quando a iniziato a vedere le crepe che si aprivano?
JS: Ogni società ha conosciuto la disuguaglianza, e anche noi abbiamo avuto degli episodi in passato in cui c’erano alti livelli di disuguaglianza — nell’Epoca d’Oro alla fine del 19esimo secolo, o nei Ruggenti Anni Venti — l’episodio attuale inizia nel 1980. Nei decenni che hanno seguito la fine della Seconda Guerra Mondiale il paese è cresciuto tutto insieme. Avevamo un livello di disuguaglianza molto più basso, comunque tu lo voglia misurare. E il paese cresceva unito. Riconduco la disuguaglianza a un ben preciso insieme di decisioni che furono prese quando si decise di abbassare la pressione fiscale dal 91 percento ad un livello molto basso sui redditi più elevati, abbiamo tolto delle regolamentazioni. Il risultato non è stata un’economia più dinamica, ma una società con più disuguaglianze. Abbiamo provato l’esperimento del ‘trickle-down’. Dopo un terzo di secolo, possiamo dire in via abbastanza definitiva che è stato un fallimento.
BI: Come possiamo contrastare un aumento così drastico della disuguaglianza dei redditi?
JS: Beh, non c’è la bacchetta magica. E non puoi nemmeno disfare un terzo di secolo o più di politiche sbagliate in una notte. Ma per prima cosa devi riconoscere che il problema esiste. In secondo luogo, devi provare a risolvere alcuni errori. Modificare il livello di dirigenza delle grandi società in un modo che lo limiti, frenare il settore finanziario, ridurre gli abusi del potere di mercato — queste sono alcune cose da fare. Un secondo aspetto importante è che deve esserci una decisa riduzione dei sintomi. Non risolveremo i problemi sottostanti in una notte, ma dobbiamo iniziare ad affrontare le manifestazioni più gravi di un sistema economico sbagliato. Pertanto vanno aumentati i salari minimi, ci dobbiamo assicurare di avere un mercato dei mutui che funzioni per tutti, un sistema di finanziamento dell’istruzione che vada bene per tutti, accesso al lavoro tramite mezzi pubblici, politiche sul congedo familiare e la cura dei figli — c’è un gran numero di cose che possiamo fare da subito e che allevierebbero il problema. E poi, certo, nel lungo termine dobbiamo fare qualcosa sulla trasmissione intergenerazionale dei benefici, specialmente riguardo il sistema dell’istruzione.
BI: Il sistema dell’istruzione, che è sempre più basato sulla trasmissione dei benefici, ha visto i livelli delle rette per l’istruzione superiore esplodere durante gli ultimi anni. Perché non abbiamo messo un freno?
JS: Penso sia un punto assolutamente essenziale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale eravamo un paese molto più povero di adesso e avevamo un rapporto debito pubblico/PIL al 130 percento. Allora ci dicevamo ‘Chiunque abbia combattuto la guerra deve poter avere un’istruzione superiore gratuita’. Ce lo siamo potuto permettere allora. Ce lo possiamo permettere anche adesso. Tu potrai dire ‘proprio gratuito no’, ma se non tutti sono adatti per studiare a Stanford, tutti dovrebbero però avere accesso alle migliori qualifiche per le quali hanno i requisiti.
BI: Quale candidato (o potenziale candidato) pensi che sia il migliore per l’economia, alle elezioni del 2016?
JS: Per quanto ne so tutti e tre i candidati annunciati dai democratici — Bernie Sanders, Hilary Clinton — e… O’Malley è stato annunciato? Tutti e tre hanno dichiarato che sono molto attenti al problema. E hanno cominciato a scrivere i loro programmi. Bernie Sanders è il più progressista e da tempo si è espresso nel modo più articolato, stabilendo un programma per una maggiore equità. Penso che tutti sperino che ora ci sia più pressione su Hillary perché lo eguagli.
BI: Cosa dice dell’attuale presidente? Come pensa che se la sia cavata con l’economia?
JS: Penso ci siano stati momenti in cui ha detto la cosa giusta, come quando ha detto che avrebbe dedicato gli ultimi tre anni del suo mandato per creare una società più equa. Purtroppo però non ha dato seguito a questo. Se guardo all’intero periodo di otto anni della sua presidenza, una cosa l’ha fatta, e importante: attraverso l’ObamaCare ha esteso l’accesso al sistema sanitario. Non è tanto quanto avrebbe voluto e non è tanto quanto la maggior parte dei progressisti speravano, ma l’ha fatto. Però penso che il modo in cui ha gestito la ripresa — i programmi di salvataggio, per esempio — abbia portato ad una ripresa dove il 91 percento dei guadagni sono andati all’uno percento più ricco. Questo è un fallimento. L’accordo di libero commercio che ora sta portando avanti produrrà maggiore disuguaglianza. Ciò che mi preoccupa è che — non per dire che lui ne sia l’architetto — ma di fatto sta portando avanti delle politiche che, secondo me, sono a favore della disuguaglianza.
BI: Ci sono molti fattori che sembrano contribuire ad un rapido aumento della disuguaglianza in questo paese. Cosa pensa della robotica e dell’automazione?
JS: La cosa sorprendente dell’America è che — è straordinariamente insolito dal punto di vista storico, non ho altri esempi — è che la produttività dei lavoratori e i loro salari non si muovono all’unisono. Negli ultimi 40 anni la produttività è raddoppiata, mentre i salari sono stagnati e poi caduti. Perciò la preoccupazione è che queste cose possano aumentare ancora la produttività ma anche portare a più disuguaglianze e bassi salari.
BI: Molto si è detto sull’aumento degli orari di lavoro degli americani rispetto al calo dei loro salari. Lei è d’accordo ad aumentare i giorni di ferie e di congedo per i lavoratori americani?
JS: Sì, per molti motivi. Proprio ora siamo un un momento di transizione critica riguardo il problema della produttività. Non sappiamo se l’economia riuscirà a creare abbastanza posti di lavoro per tutti. Sembra quasi un’eresia, perché l’idea degli economisti è che l’economia possa sempre creare posti di lavoro, e anche ottimi posti di lavoro. Ma la nostra economia non ci sta riuscendo. E c’è la preoccupazione che le nostre innovazioni tecnologiche non vadano di pari passo con la nostra capacità di gestire l’economia in modo da creare posti di lavoro. Abbiamo già avuto un episodio in cui abbiamo abbassato le ore settimanali da 60 a 40 ore. A questo punto la migliore risposta potrebbe essere, invece che abbassare le ore settimanali, aumentare i giorni di ferie. Dare più tempo ai congedi familiari. Penso che potrebbe essere una parte importante della risposta da dare al problema.
BI: Lei è professore alla Columbia University, e così l’ultima domanda riguarda in un certo senso anche lei. La proporzione tra produttori e consumatori sta calando, e questo è vero specialmente per l’istruzione online. Pensa che l’istruzione online possa sostituire il lavoro tradizionale di insegnanti e professori?
JS: Non sono molto preoccupato per questo, perché l’istruzione formale è data da due parti fondamentali. Una parte è ciò che potresti dire la trasmissione — cioè le lezioni. Ma l’apprendimento attivo prevede sempre anche l’interazione tra insegnanti e studenti, il metodo socratico, e così via. Penso che il modello che vedremo in futuro prevederà senz’altro che le migliori lezioni del mondo siano disponibili in rete, e sarà poi supportato da molte persone che in classe offriranno interazioni più intensive, e la motivazione. Per quel che mi riguarda, spero che ciò migliori complessivamente la qualità, e non sono preoccupato che possa implicare meno posti per gli insegnanti. Aumenterà invece l’accessibilità e la qualità.