mercoledì 15 gennaio 2020

Come Salvini tiene in vita il network di disinformazione più grande d'Italia. - Simone Montana



Che fine ha fatto la rete di siti e pagine portata alla luce da Buzzfeed nel 2017? È viva e vegeta, ha numeri enormi e soprattutto viene condivisa dalla comunicazione del leader leghista: l'inchiesta di Wired.

“Mai più metodi Bibbiano!”. Quando nella tarda serata di sabato 4 gennaio la macchina comunicativa di Matteo Salvini ha rilanciato un articolo della testata MeteoWeek, molti commentatori si sono chiesti da dove arrivasse quello strano sito web e perché il leader del primo partito italiano lo considerasse una fonte d’informazione attendibile.

Per rispondere a entrambe le domande è necessario fare un passo indietro lungo almeno due anni e tornare al 21 novembre 2017, il giorno in cui un’inchiesta di Buzzfeed ha rivelato l’esistenza della più vasta rete italiana di siti e pagine Facebook di disinformazione. Una storia dai contorni ormai sbiaditi, ma che appare quantomai utile per comprendere le dinamiche interne alla comunicazione della nuova destra italiana.


L’inchiesta di Buzzfeed.

Al centro dell’inchiesta realizzata nel 2017 dai giornalisti Alberto Nardelli e Craig Silverman figuravano Giancarlo Colono e suo fratello Davide, imprenditori romani a capo di Web365 e NextMediaWeb, società a responsabilità limitata che si occupavano di creare e gestire siti internet.

Secondo le informazioni raccolte da Buzzfeed, ai fratelli Colono sarebbero riconducibili almeno 175 domini registrati, un vero e proprio impero mediatico in miniatura che spazia dal gossip al calciomercato, passando per salute, motori, animali e cinema. Outlet di notizie come tanti, rigorosamente devoti alle logiche del posizionamento su Google e al clickbait, ma che spesso e volentieri finiscono per sfociare apertamente nella disinformazione di stampo nazionalista e islamofobico.


Punta di diamante della rete erano Direttanews e iNews24, rispettivamente una testata giornalistica – che al momento dell’articolo americano poteva vantare 
una pagina Facebook verificata da quasi 3 milioni di fan, oltre che un volume annuale di 5 milioni di condivisioni – e il suo corrispettivo slegato da responsabilità giornalistiche, un “giornale online indipendente” in grado di attrarre un milione e mezzo di seguaci sul social blu grazie a titoli come “Immigrati e malattia: il connubio che tutti stanno nascondendo” e “Caso Weinstein, l’Imam: Se si mettono il velo non verranno molestate”.


In seguito alle informazioni contenute nell’articolo di Buzzfeed, Facebook ha provveduto a sospendere gli account delle due testate, per non meglio precisate “violazioni della policy”.


Il network della disinformazione, oggi.

Quasi 800 giorni dopo, la rete di siti e pagine gestita dai fratelli Colono è viva e più in salute che mai. Archiviata la battuta d’arresto seguita all’inchiesta di Buzzfeed, DirettaNews è tornata a guadagnare un discreto – seppur non paragonabile a quello della precedente esperienza – seguito sui social, mentre iNews24 esiste al momento solo come sito web.

Poco male, perché nel frattempo il network si è evoluto, perfezionando la complessità del sistema e aumentando i nodi a sua disposizione. Le notizie prodotte dai singoli siti sono ora diffuse attraverso un sottobosco di pagine Facebook apparentemente indipendenti, come E Sti Ca (1,5 milioni di follower) e Curiosauro (1,2 milioni di follower), o dai profili delle componenti più centrali della galassia-Colono, come Calciomercato.it (1,5 milioni di follower) e ViaggiNews.com (1,2 milioni di follower).


Una rete che si autoalimenta per aggirare l’oscuramento voluto da Facebook nel 2017, ma che al tempo stesso incrocia il flusso di un altro grande network. È quello della Planet Share di Andrea Caroletti, azienda romana proprietaria di circa 140 domini, che contribuisce al traffico dei Colono condividendo gli articoli attraverso i canali social di siti come Newnotizie.it (760mila follower), Leggilo.org (già al centro di un rapporto di Avaaz, collegato alla pagina Facebook Ma Anche No da 1,1 milioni di follower), Stelledivita.it (1 milione di follower) e Iotibenedico.it (450mila follower).


La ragnatela di pagine che condividono i link di Leggilo.org.

Le due organizzazioni appaiono formalmente distinte, ma curiosamente il dominio del sito vetrina di Planet Share – oggi non più online – risulta registrato proprio da Web365. Punto d’incontro ufficiale tra i due network è invece La Luce di Maria, pagina Facebook da 1,4 milioni di follower, sito web dedicato alla diffusione di “una corretta informazione”, ma soprattutto associazione culturale no profit presieduta da Andrea Caroletti.


La Luce di Maria è una strana terra di mezzo dedita 
al culto della Madonna di Medjugorje, che in qualità di associazione si occupa perlopiù di organizzare pellegrinaggi nei luoghi sacri al cattolicesimo più conservatore, ma che online condivide preghiere giornaliere, consigli per combattere il desiderio di masturbazione e articoli decisamente antiscientifici su come guarire con digiuno e preghiera.


Tra i collaboratori più stretti troviamo ancora una volta Giancarlo e Davide Colono (che scrive sotto lo pseudonimo “Paolo”), devoti di Medjugorje e assidui frequentatori del paesino bosniaco, nonché i veri artefici della presenza online del sito, nonostante si dichiarino semplici volontari. La pagina Facebook de La Luce di Maria, in ogni caso, funge da nodo centrale di diffusione tanto dei contenuti prodotti dal network Web365, che di quelli firmati Planet Share.


Il caso MeteoWeek.

Un mese esatto dopo il clamore suscitato dall’inchiesta di BuzzFeed nasce MeteoWeek, un portale di meteo, naturalmente, ma anche di attualità, cronaca, viaggi e spettacolo. Il sito web è gestito dalla solita Planet Share, ma una veloce ricerca su Google restituisce numerosi annunci di lavoro pubblicati a nome di Web365.

In uno di questi, MeteoWeek si dice alla ricerca di un web content editor, per la “stesura di articoli originali” della lunghezza minima di 380 parole. Tre articoli al giorno, sei giorni su sette. Compenso mensile: 200 euro (da pagare con cadenza trimestrale, nel caso non si disponga di partita Iva).


MeteoWeek ha una propria pagina Facebook, ma il grosso del traffico arriva attraverso la solita rete di pagine che ne rimbalzano i contenuti. Il picco delle condivisioni (e della notorietà) giunge però grazie a Matteo Salvini, che il 4 gennaio decide di riportare in auge il caso Bibbiano (proprio come da istruzioni rinvenute a Bologna da Repubblica).


L’ex ministro dell’Interno – quarto protagonista di questa storia devoto alla Madonna di Medjugorje – condivide sui propri canali social la disavventura di tre bambini, “sottratti” alla famiglia a causa di un disegno. Il riferimento al cosiddetto “metodo Bibbiano” è esplicitato nel post che correda l’articolo e tira in ballo ancora una volta le responsabilità degli assistenti sociali.


Con una risposta pubblicata su Facebook, l’ordine nazionale degli assistenti sociali ha bollato come fake la notizia di MeteoWeek, che parlava di “ordine” arrivato direttamente “dagli assistenti sociali” e, pur non contestando il resto della ricostruzione, ha annunciato querele “quando ci saranno gli estremi, per il senatore e per tutti gli altri che diffondono false notizie”.


La comunicazione leghista, in ogni caso, non è nuova a condivisioni di questo tipo e ha già dimostrato una certa familiarità con i siti della galassia Colono-Caroletti. Prima della new entry MeteoWeek – ormai entrato stabilmente nella rotazione di notizie proposte dallo staff leghista ai membri del gruppo ufficiale di Matteo Salvini – Morisi e colleghi avevano attivamente contribuito al traffico di iNews24 (qui, qui, qui e qui qualche esempio).

Decisamente un bel regalo per un network che, complessivamente, può contare su oltre 14 milioni di follower su Facebook. Più di qualsiasi compagnia italiana di media mainstream.

https://www.wired.it/attualita/politica/2020/01/13/network-disinformazione-lega-web365/?fbclid=IwAR0WAoOu6Zhl8L_hWSmpZHYZ6nBARHQ6pobpHk_hvNPW-6h1vgZf21UL4_o

Sistema Bibbiano: “Bimba, se accusi mamma e papà ti diamo un premio”. - Sarah Buono



“Angeli e Demoni” - Chiusa l’inchiesta, nella chat degli indagati: “Il padre vuole vederla? Non lo diremo alla bambina”.

“Ciao bimba mia, il papà non riesce ad aver risposte per portarti a mangiare il sushi fuori, spero tu stia bene, ti voglio bene”, recita il whatsApp. “Bene, questo messaggio non lo diremo alla bambina”. “Ma come giustifichiamo la sospensione degli incontri protetti?” “Relax della minore, vacanza”. È la chat degli assistenti sociali indagati per i presunti abusi nel sistema degli affidi della Val d’Enza, nel Reggiano. Si confrontano, decidono la tattica caso per caso e parlano dei giudici e delle famiglie a cui tolgono i bambini. L’ultimo capitolo dell’inchiesta “Angeli e Demoni” svela, attraverso i cellulari sequestrati, come funzionava il “sistema Bibbiano” secondo i protagonisti.
I carabinieri di Reggio Emilia hanno notificato a 25 persone l’avviso di fine indagine, che di solito preludono a una richiesta di rinvio a giudizio: 107 i capi d’imputazione. Nove i minori coinvolti, per lo più tornati alle loro famiglie prima degli arresti del 27 giugno. I reati contestati sono, a vario titolo, peculato d’uso, abuso d’ufficio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, frode processuale, depistaggio, rivelazioni di segreto in procedimento penale, falso ideologico in atto pubblico, maltrattamenti in famiglia, violenza privata, lesioni dolose gravissime, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Violenze inventate per allontanare i minori.
Le indagini sono state coordinate dalla pm Valentina Salvi e dal procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini, esplodono il 27 giugno. Secondo l’accusa i bambini sono stati tolti alle famiglie dopo aver raccontato violenze sessuali e psicologiche inventate. Anzi inculcate per guadagnarci sopra. Un’organizzazione che, per i pm, faceva girare centinaia di migliaia di euro, equamente spartiti a seconda del ruolo. Bastava un accesso al pronto soccorso o la chiacchiera di un bimbo a un’insegnante, qualsiasi segnalazione, anche labile, di un abuso sessuale. Allontanamento del minore dalla famiglia, relazione falsa che assume per certo la violenza e invio del minore alla struttura pubblica “La Cura” di Bibbiano, amministrata da Federica Anghinolfi e dal suo braccio destro Francesco Monopoli. Qui ai piccoli veniva inculcata “la verità” da parte di professionisti riconducibili all’associazione “Hansel & Gretel” di Moncalieri (Torino) fondata dallo psicoterapeuta Claudio Foti. È indagata anche la moglie Foti, Nadia Bolognini, altra psicoterapeuta: in un caso prometteva “benessere” e “vantaggi” a una bambina se avesse svuotato gli “scatoloni” dei suoi ricordi, cioè accusato il papà.
Molti indagati condividevano una chat. “La regola per il 2019 per salvare capre e cavoli è che diciamo ai genitori che il servizio non accetta alcun pacco da consegnare ai propri figli, siete d’accordo?”, si legge. Il riferimento è al modus operandi dei servizi sociali della Val d’Enza, che come scoperto dall’inchiesta, accumulava pacchi e lettere delle famiglie naturali senza mai farli avere ai bambini dati in affido: una pratica forse legittima ma ai piccoli veniva raccontato che i genitori li avevano dimenticati.
Il ghanese preso in giro: ”Come si dice vaff…?”
A una famiglia del Ghana va anche peggio. Il padre non parla né capisce l’italiano o l’inglese ma le assistenti sociali gli fanno sostenere lo stesso il colloquio per capire se abbia o meno abusato della figlia. Nella relazione finale scrivono che l’uomo ha avuto “un atteggiamento di totale chiusura”. Peccato che poi nella chat privata commentino lo stesso episodio diversamente: “Oh comunque noi parliamo anche il ghanese, come si dice ‘vaff’ in ghanese? Muoio dal ridere”. E poi i giudizi sui giudici non amici. Monopoli ritiene che l’audizione protetta in sede del primo incidente probatorio sia stato “uno schifo”, a causa del giudice che era “così ignobilmente suggestivo” al punto da impedire alla bambina di confessare gli abusi. Abusi mai subiti o accertati finora.
Il sindaco Carletti: “Era consapevole”.
Tra gli indagati è rimasto Andrea Carletti, sindaco Pd di Bibbiano. Cadono per lui due capi di imputazione su quattro inizialmente contestati, restano un abuso di ufficio e un falso. Secondo la Procura contribuì a rendere possibile lo stabile insediamento dei terapeuti privati all’interno di una struttura pubblica pur consapevole dell’assenza di una procedura ad evidenza pubblica e dell’illiceità del sistema. Proprio ieri la Cassazione ha annullato senza rinvio l’obbligo di dimora a suo carico. Non c’erano gli elementi per imporre la misura per “l’inesistenza di concreti comportamenti” di inquinamento probatorio e la mancanza di “elementi concreti” che legittimassero la previsione di reiterazione dei reati.
I protagonisti e i fascicoli nascosti.
Federica Anghinolfi è la responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, il suo braccio destro è l’assistente sociale Francesco Monopoli: “Al fine di impedire e ostacolare le indagini – scrive la pm – immutavano artificiosamente lo stato dei fascicoli del servizio sociale, mediante sottrazione e successivo occultamento dei diari sui quali gli assistenti sociali avevano riportato appunti relativi agli incontri”. Secondo (almeno) sei testimoni diversi e non tutti indagati a Bibbiano il lavaggio del cervello non veniva fatto solo sui bambini ma anche sugli adulti. Anghinolfi e Monopoli avrebbero così convinto i loro collaboratori della necessità di strappare alle famiglie i piccoli, anche con perizie false. Parlavano di una “rete cannibale pedofila e satanista”. Mai esistita.
Foti risponde di frode processuale: avrebbe convinto una minore di essere stata abusata dal padre e dal suo socio. Una testimonianza indotta che ha portato la minorenne a non voler più incontrare il papà, poi decaduto dalla potestà genitoriale. Il tutto sarebbe testimoniato da un video, lo stesso che a luglio era servito a Foti per ottenere la revoca degli arresti domiciliari. Foti in quella occasione dichiarò: “Su di me fango”. Le indagini successive e l’analisi fatta da un consulente tecnico della Procura di Reggio Emilia hanno portato a una valutazione completamente antitetica, ritenendolo piuttosto una prova a sostegno delle ipotesi accusatorie.

martedì 14 gennaio 2020

Il presidente di Confindustria sull’orlo del fallimento.


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I padroni, si sa, sono sempre lì a dar lezione su come – secondo loro – dovrebbe essere governato il Paese, ridotta la spesa pubblica (aumentando però la parte che deve andare a “sostenere le imprese”), reso efficiente questo e quello,
L’ideologia, o il senso comune, degli ultimi decenni recita infatti “privato è meglio, il pubblico è solo sprechi e inefficienza”. Poi uno guarda le Autostrade privatizzate, che cadono fisicamente a pezzi (dal Ponte Morandi in poi, almeno, se ne dà notizia in attesa della prossima strage), e qualche dubbio comincia a venire anche ai più tonti.
Tra i padroni, i più severi di tutti sono da sempre i dirigenti di Confindustria (il “sindacato” degli imprenditori). I quali, per una sorta di proprietà transitiva, essendo i rappresentanti di più alto livello delle imprese, diventano automaticamente i veri “maghi dell’economia”, quelli che sanno come si fa e quindi hanno solo da insegnare a tutti. Ricordate le prime campagne elettorali di Berlusconi? Tutto il suo argomentare si reggeva sul fatto che “ho creato aziende, dunque…”.
Va da sé che il Presidente di Confindustria, sebbene carica elettiva temporanea, debba essere considerato il Migliore della categoria, o almeno uno dei più bravi (anche Gianni Agnelli fu tra loro…).
Errore.
Nelle pagine interne dei giornali, magari in “taglio basso” (a fondo pagina), fa capolino timidamente una notizia: il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, titolare della omonima Arti Grafiche Boccia, ha depositato in tribunale una domanda ex articolo 182 della legge fallimentare, «affinché possa essere concesso dal tribunale competente il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione non concordati». 
Negli Stati Uniti si chiama Chapter 11, e significa “protezione dai creditori”. In pratica, non potendo pagare i fornitori e rimborsare i creditori, chiede tutela legale perché questi non possano rivalersi sugli assset aziendali, decretandone così la fine.
Nel 2017 l’azienda aveva accusato perdite per 3 milioni di euro, e girava voce che i suoi dipendenti vedessero lo stipendio sempre più di rado.
La richiesta al Tribunale è accompagnata da un nuovo piano industriale: «un piano di rilancio che prevede nuovi investimenti pari a 10 milioni di euro nei prossimi 18 mesi, che si aggiungono ai 40 milioni già investiti negli ultimi 15 anni, oltre a un aumento di capitale già realizzato pari a 1,3 milioni con annessa ristrutturazione del debito».
La parolina magica è proprio alla fine (“ristrutturazione del debito”), che quando viene evocata per i conti pubblici equivale a dichiarazione di bancarotta (il debito “ristrutturato” è quello che, in parte o in toto, non viene restituito ai creditori).
Le difficoltà aziendali sono comprensibili (la crisi globale non è mai stata superata da 12 anni a questa parte, e il mondo della stampa-grafica-editoria l’ha subita più seriamente di altri settori), e nessuno pretende di insegnare come si fa l’imprenditore.
Però, per simmetria, ci si aspetterebbe che il quasi fallimento come imprenditore inducesse “l’amministratore delegato” in crisi a un profilo più basso, modesto, defilato, sul fronte pubblico.
E invece no. Boccia, come presidente di Confindustria, continua a pontificare come se non ne avesse mai sbagliata una, da imprenditore.
Viene nostalgia dei tempi in cui far parte della borghesia era una cosa seria, esisteva la “legge sui falliti” per cui uno che faceva bancarotta non poteva più fare l’imprenditore, ma solo il lavoratore dipendente (se trovava qualcuno disposto ad assumerlo…). Una forma di “selezione dentro la classe dirigente” mirante a “migliorare la qualità”, a “premiare il merito” e bastonare il demerito.
Ma manco la borghesia è più quella di una volta…

Porto di Bari nelle mani della mafia, 24 condanne: 20 anni al nipote del boss Capriati.

porto di Bari

BARI - Il gup del Tribunale di Bari Antonella Cafagna ha condannato a pene comprese tra i 20 anni e i 4 mesi di reclusione 24 persone, affiliate al clan Capriati di Bari, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga, aggravati dal metodo mafioso e dall’uso delle armi, porto e detenzione di armi da guerra, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e continuate. Atri due imputati sono stati assolti. Stando alle indagini della Dda di Bari, il clan aveva assunto di fatto il controllo del servizio di assistenza e viabilità all’interno del porto di Bari.
Le condanne più elevate, a 20 anni di reclusione, sono state inflitte a Filippo Capriati, nipote dello storico capo clan Antonio, e al pregiudicato Gaetano Lorusso. Condanna a 16 anni per i pregiudicati Michele Arciuli (40 anni) e Pasquale Panza, a 14 anni per Pietro Capriati, fratello di Filippo, a 12 anni per Salvatore D’Alterio. Il giudice ha rigettato la richiesta di risarcimento danni per la Cooperativa Ariete (che gestiva i servizi nel porto e di cui alcuni imputati erano dipendenti), mentre ha riconosciuto il risarcimento nei confronti delle altre parti civili costituite (Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale-Adsp Mam, Ministero dell’Interno, Agenzia delle Entrate e Associazione Antiracket Puglia).
Le indagini della Polizia, coordinate dal pm Fabio Buquicchio, hanno accertato anche che il gruppo criminale avrebbe obbligato i commercianti del mercato di Santa Scolastica e gli ambulanti della festa patronale di San Nicola del 2015 ad acquistare merce da fornitori amici, utilizzando la forza di intimidazione del 'brand Capriatì, oltre ad occuparsi delle attività tipiche della criminalità organizzata: traffico di armi e droga, furti e rapine.
La sentenza è stata emessa al termine di un processo con il rito abbreviato. Contestualmente alla sentenza, il giudice ha rinviato a giudizio altri 9 imputati, tra i quali Sabino Capriati, figlio di Filippo, e ne ha prosciolti due al termine dell’udienza preliminare. Il processo nei loro confronti inizierà l’1 aprile 2020.

Costruito il primo robot vivente. VIDEO - Adele Lapertosa


Xenobot, Il primo robot vivente, è un organismo 3D fatto assemblando cellule vivente in un modo inedito in natura (fonte: Douglas Blackiston).

Non sono robot tradizionali né una nuova specie animale, ma un nuovo tipo di organismo programmabile: sono gli 'xenobot', i primi robot viventi, che devono il loro nome alla rana africana Xenopus laevis, le cui cellule embrionali sono state utilizzate per costruirli. Riassemblate con un supercomputer per compiere funzioni diverse da quelle che svolgerebbero naturalmente, le cellule di rana hanno permesso di ottenere organismi che in futuro potrebbero viaggiare nel corpo umano per somministrare farmaci o ripulire le arterie, o ancora potrebbero essere rilasciati negli oceani come speciali spazzini per catturare le particelle di plastica.


Il risultato, pubblicato sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze, Pnas, è il frutto della collaborazione tra gli  informatici dell'Università del Vermont guidati da Sam Kriegman e Joshua Bongard e il gruppo di biologi dell'università Tufts e dall'Istituto Wyss dell'Università di Harvard, coordinati da Michael Levin e Douglas Blackiston. 


E' la prima volta che vengono progettate delle macchine completamente biologiche. "Possiamo definirle robot viventi oppure organismi multicellulari artificiali, perché svolgono funzioni diverse da quelle naturali", ha osservato Antonio De Simone, dell'istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.
Come sono stati costruiti.
Il primo passo è stato utilizzare un algoritmo che ha permesso di progettare al computer migliaia di possibili robot viventi, i più promettenti dei quali sono stati selezionati. 
Il secondo passo è stato prelevare le cellule staminali dagli embrioni di rana e lasciarle in incubazione perché si moltiplicassero, specializzandosi e dando così origine a tessuti di tipo diverso, come quelli di pelle e muscolo cardiaco.
I tessuti così ottenuti sono stati quindi manipolati utilizzando minuscole pinze ed elettrodi in modo da ottenere strutture completamente nuove rispetto a quelle programmate dalla natura e che, assemblate fra loro, hanno dimostrato di funzionare, di svolgere compiti determinati e di essere capaci di autoripararsi.


Il progetto al computer del robot vivente (a sinistra) e il robot vivente costruito utilizzando le cellule embrionali di rana fatte differenziare in pelle (verde) e muscolo cardiaco (rosso) (fonte: Sam Kriegman, UVM).

Forme e funzioni che non esistono in natura.
In questo modo, ha rilevato ancora De Simone, "i ricercatori hanno riprogrammato delle cellule viventi, 'grattate' via da embrioni di rana, assemblandole in una forma di vita completamente nuova". Sostanzialmente, ha aggiunto, si tratta di "aggregati di cellule che interagiscono tra loro, comportandosi collettivamente in un modo complesso e diverso da quello che avrebbero naturalmente. Si tratta di comportamenti elementari, come muoversi insieme in una direzione o in cerchio".

Il robot vivente così ottenuto ha lo stesso Dna della rana, ma non è affatto una rana: è una forma vivente riconfigurata per fare qualcosa di nuovo. La vera novità di questo lavoro, secondo De Simone, "è stata soprattutto utilizzare un algoritmo per generare il comportamento e l'evoluzione delle cellule".


http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/tecnologie/2020/01/14/costruito-il-primo-robot-vivente-video_2c0a834a-c4aa-4700-9895-003aa4558b15.html

La straordinaria crescita dell’eolico nello scorso anno. - Sara Sorice

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Gli italiani consumano meno energia elettrica e la richiesta da fonti alternative, in particolare l’eolico, è in costante aumento, anche più delle aspettative. Due buone notizie arrivano dal rapporto mensile sviluppato da Terna. 

Il mese di novembre 2019 ha segnato una diminuzione del fabbisogno di energia elettrica dell’1,1% in confronto allo stesso periodo dello scorso anno con le fonti rinnovabili che rappresentano il 37,2% della richiesta mensile di novembre e il 4% dell’intera produzione nazionale, questo segna una straordinaria crescita dell’eolico nello scorso anno.

L’energia eolica incrementa la produzione del 58%
In questo quadro la crescita maggiore si registra un balzo in avanti dell’energia prodotta dall’eolico, che sale del 58,6%, mentre si riduce del 10,7% la quota di produzione da centrali termoelettriche. Nel complesso a novembre scorso sono stati prodotti 9,6 terawattora da fonti rinnovabili con una punta di potenza registra il 19 novembre tra le 18 e le 19, pari a 49,8 gigawattora. 

Analizzando la produzione di tutto il 2019, dal rapporto di Terna emerge che la produzione di energia da fonti pulite resta sostanzialmente invariata rispetto allo stesso periodo, gennaio – novembre 2018, con 104,7 terawattora, che corrisponde a una lieve flessione di 0,4%. 

Anche la richiesta di energia da rinnovabili è pressoché la stessa, il 35,6% con un incremento di 0,1% rispetto al periodo gennaio – novembre 2018. Una fase di stallo, dopo la crescita che si è avuta negli ultimi anni, a partire dal 2014, quando la richiesta di energia elettrica da rinnovabili era superiore di 6,6 terawattora nello stesso periodo. Nella produzione da fonti rinnovabili è sicuramente l’energia idroelettrica a rappresentare la fetta maggiore, con 42,5 terawattora, ma nel 2019 segna una flessione di quasi il 9% rispetto all’anno precedente, restituendo 3,8 teravattora in meno sul 2018.

 A coprire questa minor produzione ci pensa il fotovoltaico che segna un incremento del 9,5%. Ma è l’energia eolica a conquistare la performance migliore su tutte le fonti rinnovabili. Dal rapporto Terna emergono dati importanti sulla produzione di energia dal vento in tutto il 2019. L’incremento è di circa il 12,6% sullo stesso periodo dell’anno precedente. Anche l’energia termoelettrica cresce, ma in quote decisamente più modeste, con 4,4 terawattora in più, che rappresentano un aumento del 2,6% sul 2018. 

Grazie al surplus di eolico cala l’import di energia
L’incremento di quota energetica prodotta da fonti energetiche pulite influisce direttamente sull’importazione dall’estero. Quest’anno infatti l’Italia ha ridotto la domanda del 7,4%, con 3,3 terawattora in meno da fonti estere. 

I dati raccolti dal centro di elaborazione di Terna dimostrano come la produzione di energia da fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico insieme siano riuscite a soddisfare una maggior richiesta per circa 4 terawattora, quasi l’11% in più rispetto al 2018. Si è riuscito così a sopperire alle minor produzione di idroelettrico.

Confrontando i dati degli ultimi 5 anni, ovvero dal 2105 a oggi, sempre nel periodo compreso tra gennaio e novembre, si può notare come eolico e fotovoltaico abbiano subito un incremento dell’11%, andando ad aumentare di 6,3 teravatt ora la quota di energia da fonti rinnovabili. La produzione è passata infatti dai 34,7 terawatt ora del 2014 ai 41 di oggi. Insieme costituiscono oggi il 18% del totale di energia proveniente da fonti alternative pulite, superando quindi l’idroelettrico che è al 16,3%, che pure copre il 14,5% di consumi elettrici. 

La richiesta di energia da eolico e solare si attesta invece al 14%, ma la tendenza segna una crescita rispetto al passato. Basti pensare che nell’ultimo anno la produzione di energia dal vento è cresciuta di circa 2 terawattora e da sola, con 17,5 terawattora risponde al 6% di fabbisogno nazionale, con un incremento di 0,7% rispetto allo scorso anno. 

https://www.offertenergia.it/straordinaria-crescita-eolico-2019/?fbclid=IwAR0FshLNc0nYHqj1QknA05M1nQEwEBRLkJDvZRFs_IRaMnZnp5ogkEokKp0

Il Cnr punta sulle università siciliane: due nuove sedi a Palermo e Catania. - Giusi Spica

Il Cnr punta sulle università siciliane: due nuove sedi a Palermo e Catania

All'Ateneo catanese apre l'Istituto per la Bioeconomia del centro nazionale delle ricerche. ALla Lumsa apre invece l'Istituto di studi sul Mediterraneo.

Il Centro nazionale delle ricerche sbarca nelle università siciliane: domani a Catania, nella sede del dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente, verrà inaugurato l'Istituto per la BioEconomia del Cnr, mentre mercoledì a Palermo sarà presentata la nuova sede del centro all'interno dell'università privata Lumsa. L'apertura delle nuove sedi prelude a una collaborazione più stretta fra studenti e ricercatori e alla condivisione di spazi e attrezzature.

È quanto prevede la convenzione operativa che è stata approvata nei giorni scorsi dagli organi di governo dell'Ateneo di Catania, in attuazione dell’accordo quadro quinquennale vigente tra Ateneo e Consiglio Nazionale delle Ricerche, che impegna i due enti a realizzare forme di collaborazione per lo svolgimento di programmi di ricerca, di formazione anche mediante la realizzazione di dottorati e di attività collegate. L’iniziativa sarà presentata domani alle 10,30, nella ex sala Consiglio del Rettorato, dal presidente del Cnr Massimo Inguscio, dal rettore Francesco Priolo e dal direttore del Di3A Agatino Russo. L’Istituto per la BioEconomia, che ha sede principale a Firenze e sedi secondarie a Bologna, Catania, Roma, Sassari, San Michele all’Adige, Firenze, Follonica, Grosseto e Livorno, è nato il 1 giugno 2019 dalla fusione dell’Istituto di Biometeorologia (Ibimet) e dell’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (Ivalsa), che nel corso degli anni hanno sviluppato competenze complementari nel settore strategico della bioeconomia. Cnr-Ibe si occupa della definizione di strategie di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti globali, e dello sviluppo di sistemi sostenibili di utilizzo delle biorisorse a scopo alimentare, manifatturiero, edile ed energetico. Studia la produttività primaria degli agro-ecosistemi, la salvaguardia della biodiversità vegetale, l’utilizzo sostenibile del legno e del patrimonio culturale ligneo, lo sviluppo di nuove tecnologie e metodologie per la gestione e la raccolta delle biomasse, per l’agricoltura di precisione, lo sviluppo di modellistica meteorologica, oceanografica e climatologica e di servizi climatici, l’analisi della sostenibilità ambientale dei processi produttivi e dei prodotti e la valorizzazione dei servizi ecosistemici, inclusi quelli del sistema rurale, periurbano e urbano.

E' invece più orientato su tematiche che riguardano storia, ambiente, crescita economica, sviluppo sostenibile e migrazioni l'attività del Cnr-Ismed, che verrà presentato dopodomani alle 10,30 nell'Aula magna dell'università Lumsa a Palermo, in via Filippo Parlatore. "La partnership - scrive in una nota l'università - genererà sinergie e opportunità di ricerca, contribuendo a rafforzare la competitività in campo scientifico e accademico della Lumsa a Palermo, accrescendo la conoscenza come strumento essenziale per lo sviluppo dell'area siciliana e mediterranea". L’evento inizierà con i saluti del rettore Francesco Bonini e del direttore del Dipartimento di Giurisprudenza Gabriele Carapezza Figlia, del presidente del Cnr Massimo Inguscio e delle altre autorità presenti, fra cui il'arcivescovo Corrado Lorefice, il governatire Nello Musumeci e il sindaco Leoluca Orlando. Seguirà il convegno “Mediterraneo: un Mare di sfide e di opportunità”, uno degli eventi inseriti nell’ottantesimo anniversario dalla fondazione dell’università Lumsa. "Il Mediterraneo è uno spazio di opportunità per crescita e sviluppo di tutti i paesi che su di esso si affacciano”, spiegano gli organizzatori dell’evento,  “e il futuro dell’Italia, che ne attraversa le acque, dipende da esso in modo strategico. Se i grandi differenziali rispetto ad aggregati socio-economici e demografici tra le diverse sponde di questo mare possono generare conflittualità, gli stessi costituiscono energie vitali capaci di alimentare cambiamenti strutturali e processi virtuosi di crescita. È quindi necessario - e doveroso - canalizzare tali energie mettendole a sistema attraverso politiche economiche e sociali efficaci e di impatto duraturo, per le quali l’attività di ricerca e analisi interdisciplinare è fondamentale. Il CNR, impegnato in questa direzione, da anni investe risorse nella ricerca socio-economica a supporto dei policy maker per lo sviluppo dell’area mediterranea. L’apertura della sede di Palermo dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo in cooperazione con l’Università ne rappresenta un ulteriore passo”.

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