domenica 12 maggio 2019

Da Pioneer a Kairos, 130 miliardi di risparmi italiani finiti in mani estere. - Maximilian Cellino



Banca Leonardo, Kairòs, ma soprattutto Pioneer. Fa una certa impressione ricordare gli asset manager italiani passati nelle mani di grandi operatori stranieri negli ultimi tre anni: se mettiamo insieme le masse da loro gestite fanno oltre 130 miliardi di euro di quella ricchezza privata che resta tutto sommato uno dei rari fiori all’occhiello che il nostro Paese possa vantare sotto l’aspetto finanziario. Con l’operazione avviata da UniCredit c’è chi inizia a temere che FinecoBank, con i suoi 74,1 miliardi di patrimonio e i 244 milioni di utili realizzati nel 2018 (62,6 milioni nell’ultimo trimestre, annunciato proprio ieri), possa essere la prossima «preda» candidata ad allungare la lista.
Il fatto che il risparmio degli italiani sia in grado di far gola un po’ a tutti all’estero non rappresenta certo una sorpresa. «Nel nostro Paese la ricchezza privata ammonta a circa 10mila miliardi, ma la parte interessante per gli operatori stranieri è rappresentata dalla componente di liquidità che resta depositata sui conti correnti e da quella legata al risparmio amministrato, che insieme valgono fra i 2.500 e i 3mila miliardi, denaro che si punta a spostare verso prodotti di risparmio gestito», spiega infatti Mauro Panebianco, Asset & Wealth Management Advisory Emea Leader e Partner di PwC. In una fase in cui i tassi di interesse resteranno vicini allo zero ancora a lungo non sembrano in effetti esistere alternative: per la clientela se si parla di rendimenti, e neppure per le banche che ambiscono a mantenere un barlume di redditività nei bilanci.
E non è neanche un mistero che FinecoBank rappresenti una realtà da sempre ammirata da chi risiede al di fuori dei nostri confini, non soltanto in Europa, e portata altrettanto spesso come esempio sia per il proprio modello di business - che probabilmente rappresenta un unicum anche nel panorama internazionale - sia di conseguenza per i risultati solidi che è in grado di ottenere con costanza nei più svariati scenario di mercato. Il legame con UniCredit, destinato probabilmente a sciogliersi una volta per tutte in un futuro che non appare poi non così distante, ha in questo contesto rappresentato un vantaggio, ma al tempo stesso anche un limite per la stessa controllata.
Se l’indipendenza di cui ha potuto godere la dirigenza di Fineco nell’assumere scelte chiave per lo sviluppo si è infatti rivelata un elemento fondamentale per il successo, riconosciuto dallo stesso a.d. Alessandro Foti, l’enorme ammontare di obbligazioni targate UniCredit in portafoglio è invece spesso finito nel mirino degli analisti come elemento in grado di zavorrare le quotazioni del titolo e tale da scoraggiare le mire dei predatori interessati. La soluzione raggiunta ieri pone con tutta probabilità fine al dilemma, consegna al mercato una vera public company e allontana (forse) un’altra fetta di ricchezza dall’Italia.

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