Per essere incisiva nel sostegno alla crescita la riforma fiscale dovrebbe prevedere interventi a regime certamente non inferiori a 20-30 miliardi.
Nel Documento di economia e finanza di metà aprile il Governo aveva fissato l’asticella del deficit per il 2021 a -11,8%, con il debito a un passo dalla fatidica soglia del 160% del Pil (159,8%). L’intero quadro delle variabili di finanza pubblica si basava su una crescita stimata per l’anno in corso al 4,5% (4,1% nella proiezione tendenziale, vale a dire senza considerare l’impatto delle misure messe in campo per sostenere la ripresa).
Ora, con la Nota di aggiornamento del Def (la Nadef) che dovrebbe essere approvata entro il 27 settembre, il deficit si avvicinerà a quota 10% del Pil, con il debito che potrebbe scendere nei dintorni del 156-157%. Il tutto grazie a una crescita che si attesterà attorno al 6%. A conti fatti, se si guarda al deficit, si tratta di circa 2 punti di Pil in meno, dunque una buona base di partenza per la predisposizione della prossima manovra di bilancio. Meno deficit equivale a un margine di manovra certamente rilevante anche per gli spazi che potranno aprirsi nel bilancio per finanziare le misure in cantiere. Ne potrà trarre beneficio anche la riforma fiscale?
Per la riforma fiscale servono coperture strutturali.
Da questo punto di vista, occorre ricordare che la riforma fiscale, la cui approvazione sotto la forma di un disegno di legge delega dovrebbe essere imminente, non rientrando nel pacchetto di interventi contenuto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza non potrà beneficiare dei relativi fondi per il suo finanziamento. E non potrebbe che essere così, se si considera che i 191,4 miliardi del Netx Generation Eu si articolano in prestiti e sussidi il cui orizzonte temporale andrà a esaurirsi nel 2026, ultimo anno di vigenza del piano europeo nella sua attuale formulazione. La riforma fiscale, al contrario, dovrà necessariamente avere un carattere strutturale, e dunque permanente.
Il nodo delle coperture.
Le coperture dovranno seguire la stessa logica. Le cifre al momento sono ancora incerte, dipenderà dall’ampiezza degli interventi che verranno inseriti nel ddl delega e nella legge di Bilancio. Certamente non si potrà ricorrere direttamente all’arma del minor deficit: finanziare anche se solo in parte una riforma di tale rilevanza in deficit difficilmente sarebbe ammesso a livello europeo. Si potrà certamente utilizzare lo spazio di bilancio implicitamente “liberato” dal minor deficit, fermo restando che il set di coperture non potrà che consistere in un pari intervento sul versante della spesa corrente.
Risparmi dunque, da ritagliare all’interno degli oltre 870 miliardi della spesa pubblica, compresa la partita degli eventuali tagli alle agevolazioni fiscali, che sono anch’esse conteggiate nella categoria delle spese pur trasformandosi di fatto in un aumento dell’imposizione a danno delle categorie che si deciderà di “colpire”.
Un percorso a tappe.
Per ambire ad essere effettivamente incisiva nel sostegno alla domanda interna e dunque alla crescita, la riforma fiscale dovrebbe prevedere interventi a regime certamente non inferiori a 20-30 miliardi. Se si guarda alla mole delle misure da finanziare con la prossima legge di Bilancio e con le altre riforme in cantiere (dalla concorrenza alla giustizia), pare oggettivamente non percorribile la strada di un finanziamento della riforma di questa portata. Da qui l’intenzione del Governo di procedere a tappe. Il disegno di legge delega conterrà i principi generali del complessivo disegno di riordino della fiscalità (dall’Irpef all’Irap e all’Iva). Poi spetterà ai singoli decreti legislativi, che dovrebbero vedere la luce nel corso del prossimo anno, fissare il contenuto specifico sulle diverse categorie di imposta. Il costo dovrebbe di conseguenza essere spalmato in più esercizi finanziari.
Verso un primo intervento sul cuneo fiscale.
In contemporanea, con la legge di Bilancio che sarà presentata in Parlamento entro il 20 ottobre, si potrebbe dar vita a un primo intervento sul cuneo fiscale. Anche in questo caso è decisivo il calcolo delle risorse effettivamente disponibili: si parte da una dotazione di 2,3 miliardi, che potrebbe crescere grazie appunto agli effetti della maggiore crescita sui conti pubblici, mentre i risparmi conseguiti finora dal finanziamento dei diversi decreti emergenziali varati negli ultimi mesi dovrebbero essere quasi interamente destinati a contenere il costo della bolletta petrolifera, per evitare il paventato incremento fino al 40% per effetto del combinato disposto dell'aumento del greggio e delle materie prime.
Le ambizioni della “grande riforma”.
Anche per l’ultima, vera “grande riforma” del fisco, quella del 1973 si utilizzò lo strumento della legge delega. E anche in quel caso il disegno di riordino del prelievo prese le mosse dai lavori di una commissione, allora presieduta da Cesare Cosciani (questa volta il riferimento è alle conclusioni della commissione parlamentare presieduta da Luigi Marattin). Se questo è il precedente, la domanda che è lecito porsi è se sussistano ora le condizioni politiche per dar vita a una nuova, importante riforma che agisca sia sul versante del prelievo, sia su quello delle semplificazioni e dello sfoltimento dell’abnorme numero delle attuali “tax expenditures”. Gli imminenti appuntamenti elettorali di autunno, e quello molto rilevante con l’elezione del presidente della Repubblica all’inizio del prossimo anno, inducono a ritenere che al momento tali condizioni difficilmente potranno determinarsi. Troppe e decisamente rilevanti sono le differenze tra le ricette messe in campo dalle forze politiche che sostengono il Governo.
La variabile politica
Quindi oltre alla componente altrettanto decisiva delle coperture, il vero interrogativo riguarda la variabile politica, assai complessa da districare. Anche il ricorso a contestuali tagli di spesa da mettere in campo per finanziare la riforma si annuncia a dir poco complesso. Non a caso, la strada maestra sarebbe di avviare una riforma di tale portata all'inizio della legislatura, mentre ora i decreti legislativi dovrebbero vedere la luce nell’anno che precede le prossime elezioni politiche del 2023 (ammesso che non si vada a elezioni anticipate nel 2022). È una stagione in cui normalmente i partiti sono poco propensi a utilizzare l’arma dei tagli, per evidenti motivi di consenso elettorale. La strada tracciata dal ministro dell’Economia, Daniele Franco lo scorso 21 luglio in Parlamento («Se si intende ridurre in modo strutturale il peso del fisco bisogna agire per contenere la spesa pubblica sul Pil») appare dunque decisamente in salita.
(Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore)
IlSole24Ore
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