giovedì 23 settembre 2021

Trattativa, la lettera di Mangano alla moglie: “Parlò di Berlusconi”. - Saul Caia

 

Oggi è il giorno del giudizio: nel primo pomeriggio, i giudici della Corte di assise di appello di Palermo emetteranno la sentenza di secondo grado del processo Trattativa Stato-mafia. Nel frattempo emergono nuove circostanze: come i telegrammi inviati dal boss Vittorio Mangano nel 1996 mentre era detenuto. E in uno di questi “è presente un riferimento” a Silvio Berlusconi. È quanto risulta dagli ultimi atti depositato dall’accusa a processo. Per capirne la portata però bisogna rimettere in fila i pezzi, partendo proprio da ciò che emerso durante il dibattimento. Ma procediamo con ordine.

Con l’accusa di minaccia a corpo politico o amministrativo dello Stato, sono finiti imputati: il co-fondatore di Forza Italia ed ex senatore, Marcello Dell’Utri e gli ufficiali dell’Arma Mario Mori e Antonio Subranni (condannati tutti a 12 anni in primo grado), l’ex colonnello Giuseppe De Donno (8 anni) e i boss Nino Cinà (12 anni) e Leoluca Bagarella (28 anni). Avrebbero turbato l’azione dello Stato, dal 1992 al 1994, veicolando la minaccia di Cosa Nostra attuata con le stragi e gli attentati.

Dell’Utri il ruolo di “mediatore”.

La Procura generale di Palermo contesta a Dell’Utri un ruolo di ‘mediatore’ tra Stato e mafia, nel periodo successivo alla vittoria di Forza Italia del 1994. Nella sentenza di primo grado, infatti, è spiegato che Dell’Utri avrebbe incontrato Vittorio Mangano due volte, nel 1994, per parlare delle modifiche legislative alle norme sugli arresti dei boss che Cosa Nostra chiedeva al neonato governo Berlusconi. Dell’Utri – secondo le accuse – percepì i messaggi di Mangano come minacce e le riferì al presidente del Consiglio, che venne “a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste”.

Mangano però, oltre a essere il boss di Porta Nuova, era stato anche lo “stalliere” della villa San Martino di Arcore, residenza della famiglia Berlusconi, tra il 1973 e il 1975, per poi finire in arresto nell’aprile 1995 dopo alcuni anni di latitanza, con l’accusa di omicidio.

Nella requisitoria del sostituto procuratore generale Giuseppe Fici vengono citate le dichiarazioni rese in aula il 19 settembre 2019 dal collaboratore di giustizia Francesco Squillaci, uomo d’onore della famiglia Ercolano-Santapaola. “Cosa Nostra diede il messaggio di votare Forza Italia, perché Berlusconi, letteralmente, poteva aggiustare la giustizia in Italia – dice Fici –, Squillaci indica nel decreto Biondi (Alfredo, ndr) del ’94, il cosiddetto salva-ladri, il primo segnale in questa direzione. Riferisce inoltre che nel 1995 il padre (Giuseppe, ndr), come ebbe a dirgli, fu detenuto insieme a Vittorio Mangano e che costui in quel periodo scriveva spesso telegrammi a Berlusconi, circostanza questa riscontrata in atti, Mangano disse a suo padre che Berlusconi era la persona giusta che poteva aiutare la mafia”.

La difesa dell’ex senatore Tesi senza riscontri.

Per Francesco Centonze, avvocato dell’ex senatore, la tesi non avrebbe riscontri: “Alcuni collaboratori dicono che c’è stata un’indicazione della mafia a votare Forza Italia, ma nessun riferimento a Dell’Utri. Non c’è nulla sul presunto incontro tra Vittorio Mangano e il senatore”. Poi in aula, durante le controrepliche, il pg Fici afferma: “C’è una relazione di servizio della direzione del carcere di Porto Azzurro, dove si fa riferimento alla documentazione che è stata tenuta, ma non anche i telegrammi bloccati all’indirizzo di Berlusconi. Non vi è traccia di questi telegrammi, vi è traccia di documentazione a un onorevole di Forza Italia e alla moglie in cui in uno di questi si fa riferimento a Berlusconi, ma nient’altro”.

I telegrammi di cui parla il pg sono quelli inviati da Mangano nel 1996 durante la detenzione nel carcere di Pisa. Uno risale al 26 febbraio 1996. In questo caso – come scritto nella nota della casa circondariale di Porto Azzurro – Mangano ha “richiesto di inviare una lettera ESPRESSO alla propria moglie”, Marianna Imbrociano. Questo telegramma è l’“unico manoscritto ove è presente un riferimento all’onorevole Silvio Berlusconi”. Il contenuto di quella lettera è sconosciuto: non sappiamo che riferimenti abbia fatto Mangano su Berlusconi e perché li abbia indirizzati alla consorte. Questo telegramma, come altri due, non è agli atti. C’è solo la richiesta formulata dalla procura generale al ministero di Giustizia e al Dap, e la conseguente risposta degli uffici del comando della polizia penitenziaria di Porto Azzurro.

Prima del telegramma del 26 febbraio, Mangano ne ha inviati altri due. Risalgono al 22 febbraio 1996: “Il primo indirizzato – si legge negli atti depositati dall’accusa – all’onorevole Pietro Di Muccio (all’epoca facente parte di Forza Italia), e il secondo indirizzato alla moglie, dei quali si sconosce l’eventuale inoltro”. Questi altri due telegrammi dunque non sono indirizzati a Berlusconi, come diceva Squillaci, e inoltre – come invece scritto nel documento della casa circondariale – non presentano “nessun riferimento” all’ex premier.

L’onorevole forzista.
La visita in carcere nel 1995.

Pietro Di Muccio (completamente estraneo al processo) è stato vicepresidente vicario del gruppo Forza Italia e anche componente della Commissione Affari costituzionali. Perché Mangano abbia scritto proprio a Di Muccio non lo sappiamo, e non sappiamo nemmeno il contenuto del messaggio, visto che non è presente agli atti. È certo, però, che l’1 novembre 1995, quattro mesi prima del telegramma, il deputato forzista, insieme al collega di partito Giorgio Stracquadanio, si recò nel carcere di Pianosa, dove era detenuto Mangano. A Radio Radicale (18 febbraio 1996), Stracquadanio spiega come andarono le cose: “Siamo andati nell’isola, abbiamo visitato tutta la struttura penitenziaria, abbiamo parlato con tutti i detenuti di tutte le sezioni, e abbiamo ricevuto notizie sul loro stato di salute e sulla loro condizione di detenzione. Nessun’altra domanda è stata fatta”. L’episodio è citato anche nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere legata alla richiesta del Tribunale di Palermo che nel marzo 1999 aveva chiesto l’arresto di Dell’Utri. “Sulla vicenda del trasferimento di Mangano Vittorio dal carcere di Pianosa – si legge nella relazione – il gip riferisce che l’11 novembre 1995 il deputato Pietro Di Muccio di Forza Italia, in visita a Pianosa, colloquiò con il Mangano e che il direttore di Pianosa, dottor Pier Paolo D’Andria, ha prima negato (‘non ha avuto colloqui’) e poi con altri fax precisato che il medesimo ‘ha avuto contatto’ con il detenuto”.

ILFQ

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