sabato 29 maggio 2010

Caso Ruffini, sconfitti i gerarchi del Sultano - Giuseppe Giulietti


Un Duce va giudicato anche dai gerarchi che si sceglie, e la regola vale anche per il Sultano che, appena qualche giorno fa, si è autonominato neoduce, con autoironia appena percettibile.

Alla Rai, per esempio, Berlusconi ha inviato pessimi gerarchi che gli stanno combinando un sacco di guai.
Dentro e fuori al telefono gli avevano promesso che si sarebbero sbarazzati di Ruffini, l'ex direttore di Rai Tre, di Santoro, della Dandini, della Gabanelli, di Ballarò e via discorrendo.

Presi da euforia crescente e da servilismo manifesto hanno cominciato a lasciare le impronte ovunque, a sporcarsi le mani di marmellata, ad annunciare scalpi che ancora non avevano conquistato.

Ora più che mai ci auguriamo che Michele Santoro li mandi a quel paese e annunci che il prossimo anno continuerà Annozero, anche perché i patti con questi signori hanno lo stesso valore della carta straccia.

L'ultima clamorosa conferma è arrivata dal tribunale di Roma che, con una clamorosa sentenza, ha imposto alla Rai il reintegro di Paolo Ruffini. Ma quello che è ancora più clamoroso è la motivazione con la quale il giudice ha disposto il provvedimento. Ci sembra utile riportarla per intero.

IL TESTO DELLA SENTENZA
"Indizi gravi, precisi e concordanti'' che collegano la sostituzione di Paolo Ruffini alla direzione di Raitre all'aperta critica al contenuto di alcuni programmi della rete. Ragion per cui la ''delibera di sostituzione del vertice di Raitre non appare dettata da reali esigenze di riorganizzazione imprenditoriale presentando invece un chiaro connotato di motivazione discriminatoria e quindi illecita''. Sono punti centrali dell'ordinanza con cui è stato accolto il ricorso dell'ex direttore di Raitre che aveva lamentato che la soluzione individuata non rispondeva al suo profilo professionale e alle responsabilita' fino ad allora ricoperte. Il giudice del lavoro di Roma Eliana Pacia (RPT Pacia) (terza sezione del tribunale civile), con provvedimento di urgenza ''fa ordine alla Rai di adibire il ricorrente'', Paolo Ruffini, ''all'attività lavorativa come dirigente editoriale direttore di Raitre con adibizione alle mansioni svolte prima del 25/11/2009'', giorno in cui il Cda Rai adottò la delibera di nomina alla direzione di Raitre di Antonio Di Bella, ''sino all'assegnazione di mansioni equivalenti''. La delibera di sostituzione, si legge nell'ordinanza, ''non appare dettata da reali esigenze di riorganizzazione imprenditoriale, presentando invece un chiaro connotato di motivazione discriminatoria e quindi, in quanto tale, illecita ai sensi dell'articolo 15 legge 300/1970''. Questo tenuto conto del ''collegamento'' tra le molte frasi della maggioranza e del Governo sulla ''faziosità'' dei programmi di Raitre e la sostituzione di Ruffini. A ''conferma di tale stretto collegamento - si legge - proviene dal tenore delle dichiarazioni rilasciate dal direttore generale della Rai il 23/09/2009 alla Commissione di Vigilanza sull'attività della Rai nel corso della quale egli ha espresso un aperto disappunto sul fatto che reti del servizio pubblico e quindi pagate dai cittadini fanno - diversamente a suo dire da tutti gli altri Paesi del mondo trasmissioni 'politicamente contro' (il Governo). E se è vero che il Direttore generale non delibera ma ha potere di nomina, tenuto conto delle reiterate e varie dichiarazioni espresse da esponenti del governo, come detto mai smentite, e dalla vicinanza temporale della delibera di novembre - seguita alle dichiarazioni del Direttore generale - può sicuramente affermarsi, sulla base di un giudizio di verosimiglianza, in sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa un obiettivo di collegamento tra la sostituzione del ricorrente e l'aperta critica al contenuto di alcuni programmi voluti e potenziati dal medesimo''. Una sostituzione illecita, quella di Ruffini, si legge nell'ordinanza del Tribunale civile di Roma, terza sezione lavoro, ''ancor prima e a prescindere da ogni considerazione su quanto può desumersi dal tenore della notizia dell'intercettazione telefonica riguardante la conversazione tra Innocenzi e il Dr Masi, riportata nell'articolo del quotidiano La Repubblica del 17/03/2010 versato in atti, che riferisce dell'allontanamento del ricorrente da Raitre, quale mezzo di aggiustamento della Rai, tenuto conto della inutilizzabilità, allo stato delle intercettazioni telefoniche in giudizi diversi da quello in cui le stesse sono state raccolto e del fatto che vi sarebbero indagini in corso presso la Procura della Repubblica di Trani proprio sulla diffusione delle notizie oggetto delle varie intercettazioni''. Il giudice parla anche della ''violazione del diritto alla libertà d'informazione e di critica del giornalista'' che risulta come ''mero riflesso dell'intera vicenda sullo stesso Ruffini seppure è vero, fa notare, che è da condividere quanto sostenuto dalla Rai, ''parte resistente", sul fatto che ''la rete non è assimilabile ad una testata giornalistica seppure essa e' composta anche da giornalisti''. Per il giudice sussiste ''anche il danno grave e irreparabile nel tempo occorrente a far valere il diritto del ricorrente in via ordinaria''. Se è vero, come sostiene la Rai, che occorre ''ancorare il danno irreversibile al depauperamento del proprio acquisito bagaglio professionale'' per il giudice questo pericolo non riguarda tanto ''le materie ad elevato spessore tecnologico o scientifico ma alla qualità e varietà delle mansioni svolte anche in connessione con il ruolo rivestito dal lavoratore nel contesto aziendale e produttivo''. Di fatto Ruffini, si legge ancora nell'ordinanza ''non è stato preposto ad alcuna struttura'' e ancora oggi ''si reca tutte le mattine in Rai dove non gli è affidata alcuna mansione'' (....). Il giudice, prosegue l'ordinanza considera il ricorso ''fondato'' e lo accoglie sostenendo ''sotto il profilo della verosimiglianza del diritto vantato'' che ''sussiste un concreto demansionamento ai sensi dell'articolo 2103 del Codice civile perche''' dopo la delibera di sostituzione Ruffini ''non ha ricevuto sino al 27 aprile 2010'' - quando è stata formalizzata la nuova proposta con Raipremium e Rai educational - ''alcun incarico ed è rimasto del tutto inattivo''. L'incarico di direttore di Raitre conferito nell'aprile del 2002 non prevedeva ''termini di durata''. Nè consta che prevedesse ''una regola implicita di breve durata'' o che l'incarico ''sia venuto meno per ragioni connesse ad esplicite responsabilità professionali nello svolgimento dell'incarico o a ragioni collegate al mancato raggiungimento di risultati obiettivi editoriali''.

Che altro aggiungere? Non si potrebbe descrivere meglio la natura e il putridume del conflitto di interessi, la volgarità delle parole e delle azioni dei moderni gerarchi sempre pronti ad interpretare e a soddisfare le peggiori voglie del vecchio capo. Adesso cosa racconteranno al Sultano che aspettava la testa delle vittime? Quale altro imbroglio si inventeranno? Tenteranno di mettere sotto tutela Antonio Di Bella minacciandolo di espulsione se non manderà via Dandini, Floris, Gabanelli, Bertolino, Iacona e via discorrendo?

Per altro lo stesso direttore in carica ha già annunciato al
Fatto che non ha intenzione alcuna di obbedire al comando del duce e dei gerarchi.

Per quanto ci riguarda, come Articolo21, a costo di farlo da soli, continueremo a reclamare le dimissioni di chi ha ideato, progettato e portato a compimento il piano di espulsione di Ruffini e vorrebbe ora mettere definitivamente le mani sul palinsesto di Raitre.

Non si tratta di solidarizzare con questo o quel giornalista, questo o quell'autore, ma di impedire che il piano di oscuramento politico e mediatico in stato di avanzata attuazione colpisca a morte una delle ultime isole sopravvissute nel sistema mediatico nazionale.

Un ringraziamento, infine, lo vogliamo rivolgere all'avvocato D'Amati, presidente del collegio dei legali di Articolo21 che, anche in questa occasione, ha difeso le ragioni della libertà di informazione infliggendo una bruciante sconfitta al duce, ai gerarchi, ai loro squadristi.

Giuseppe Giulietti

(29 maggio 2010)

Il premier a casa sua - Paolo Ojetti


29 maggio 2010
Tg1
Per darsi conforto dopo le gaffe sparpagliate fra Roma e Parigi (di cui il
Tg1 non ha dato né mai darà conto), il “premier” sceglie una sede ancora più sicura, il suo Canale 5, angolo ombroso e quieto con Maurizio Belpietro che dirige Libero, ma ha tempo e collaborazioni a disposizione. Ebbene, come dubitare che Berlusconi non dica bene di se stesso? La “manovra” (ormai sembra di parlare di un treno in stazione o di una nave all’ormeggio) è magnifica, raddrizza la barca, ritrova la giusta via, non mette le mani nelle tasche degli italiani (e via, basta con questi riferimenti a un frugare in posti poco decenti) e poi ce la chiede l’Europa, come dirle di no? Se la presidentessa Marcegaglia non apprezza e non vuole fare la ministra, affari suoi, significa che non ha capito il momento magico. Nicoletta Manzione, la conduttrice acqua e savon (in francese), dall’andamento sempre sul filo dell’ansia, è rilassata, sorprese non sono annunciate, riferimenti a Hitler eStalin (quelli sì che avevano potere, altro che Berlusconi) non erano in vista.

Tg2
Siccome il “premier” non sbaglia mai, ciò vuol dire che l’errore sta da qualche altra parte. Forse sono gli industriali “che non hanno letto con attenzione” gli articoli della “manovra”. Anche il
Tg2, che parte così, omette di ricordare le gaffe parigine sul Duce e passa oltre, forse per un senso di misericordia e di pietà umana. Il resto è tiritera: la barca è sulla rotta giusta, l’Ocse approva con giubilo, non abbiamo messo le mani nelle solite tasche, eccetera. Che strani concetti sulla natura delle “tasse” : cos’altro sono i tagli agli stipendi, la compressione dei servizi pubblici; cosa comportano – se non una diminuzione della capacità di spesa e di consumo – i rinvii di diritti acquisiti o di rinnovi contrattuali? Pescando altrove, si possono evitare le impopolari “tasche”.

Tg3
Mussolini torna nel Tg3, ma nella versione berlusconiana, un pover’uomo che non poteva decidere niente perché il vero potere “ce l’avevano i gerarchi”:
Starace,Ricci, Federzoni, Bottai, Balbo, Pavolini o Farinacci? Chi lo sa. O forse – come suggerisce Pierluca Terzulli – Berlusconi intendeva riferirsi allo strapotere dei gerarchi contemporanei, Tremonti per esempio? In studio, l’uomo che vede il federalismo, complice la manovra, a rischio aborto: Roberto Formigoni. E messo al punto giusto, arriva anche Gianfranco Fini, che di fascismo se ne intende , in gioventù l’avrà certamente studiato: oggi non c’è la dittatura – ha detto – ma ci “sono altre insidie dalle quali ci protegge proprio la Costituzione”. Servizio “vivo” a contatto con gli statali: una corsa al pensionamento prima che la “manovra” li congeli sulla soglia.

da Il Fatto Quotidiano del 29 maggio 2010


Spie di Casa Nostra - Gianni Barbacetto

29 maggio 2010
Dall’ufficio Affari Riservati “amico” dei terroristi alla “strategia della tensione” del ‘92-‘93.

“Strategia della tensione”. Così la chiama il procuratore antimafia
Pietro Grasso: e si riferisce alla stagione delle bombe 1992-‘93, in cui il terrorismo di Cosa Nostra si è saldato con l’eversione di apparati dello Stato, con gli interventi di un’altra “entità”. Come spiegare, altrimenti, la scelta dei raffinati obiettivi delle stragi in continente, il misterioso black-out a Palazzo Chigi del 27 luglio 1993, l’ambigua comparsa della Falange armata? “Strategia della tensione”: ovvero il dispiegamento di un progetto eversivo a cui danno il loro contributo, insieme, gruppi criminali e apparati istituzionali.

Il precedente più eclatante, nella storia italiana, è la stagione 1969-1974, la stagione delle stragi che si apre il 12 dicembre in Piazza Fontana a Milano. Protagonista di quella prima “strategia della tensione” è
Federico Umberto D’Amato, il poliziotto gourmet che ha diretto per anni l’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno. A lui è dedicato un volume appena arrivato in libreria (Giacomo Pacini, Il cuore occulto del potere, Nutrimenti editore), che contiene non poche novità e soprattutto ci aiuta a capire come, nella storia italiana, gli apparati dello Stato abbiano una consolidata tradizione eversiva: che evidentemente non è morta con D’Amato.

Agente, durante la guerra, del mitico
James Jesus Angleton, capo dell’Oss (Office of strategic services , la struttura d’intelligence che precedette la Cia), nel dopoguerra D’Amato divenne l’uomo forte di un servizio così segreto che ufficialmente non esisteva. Eppure l’Ufficio affari riservati era un apparato potentissimo, articolato in tutto il paese, con a disposizione molti uomini e molti soldi. Nel libro di Pacini sono riportate le rivelazioni fatte nell’ultima inchiesta sulla strage di Brescia da Filippo Barreca, uomo della ’Ndrangheta diventato collaboratore di giustizia. A fine anni Settanta, Barreca aveva dato ospitalità al neofascista Franco Freda, latitante. Questi gli aveva confidato non solo di avere avuto un ruolo nella strage di Piazza Fontana, ma anche di aver goduto di appoggi eccellenti: “Freda mi parlò anche del coinvolgimento di un prefetto del ministero dell’Interno”, racconta Barreca, “mi aveva precisato che era a capo dell’Ufficio affari riservati... In sostanza, mi disse che il D’Amato era un mandante, un responsabile morale della strage”. Sul ruolo eversivo dell’apparato di D’Amato non mancano testimonianze provenienti dall’interno del servizio militare (il Sifar, poi Sid), con cui era spesso in conflitto. Il generale Nicola Falde (membro della P2, dalla quale si distaccò a fine anni Settanta) ha esplicitamente sostenuto che “l’attentato di Piazza Fontana era stato in qualche modo organizzato dall’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno... Il Sid si era poi adoperato per coprire tutto”. E un prefetto in servizio a Roma, Domenico Spinella, ha rivelato che negli anni Settanta l’allora capo dell’Ufficio politico della capitale, Bonaventura Provenza, non sopportava le intromissioni di D’Amato, che a ogni attentato nella Capitale mandava all’Ufficio politico suoi agenti di fiducia “per dare una mano alle indagini”. Faceva di tutto affinché gli uomini di D’Amato non interferissero, poiché temeva che avrebbero potuto attuare “un qualche tentativo di depistaggio delle indagini”. Il prefetto D’Amato è l’unico italiano a cui è stata intitolata, alla memoria, una sala (e una delle più prestigiose) dentro il quartier generale della Nato, a Bruxelles. Aveva una rete di confidenti e infiltrati in tutta Italia, nell’estrema destra fascista come nell’estrema sinistra marxista-leninista, nell’Msi come nel Pci. Uomo dalle molteplici frequentazioni, per anni ha curato una prestigiosa rubrica gastronomica sull’Espresso (Gault & Millau). Nei suoi uffici romani erano di casaStefano Delle Chiaie, il fondatore dell’organizzazione neofascista Avanguardia nazionale, e Delfo Zorzi, il giovane emergente dell’altro gruppo neofascista protagonista della “strategia della tensione”, Ordine nuovo. Ma tra le frequentazioni di D’Amato ora spunta anche Adriano Sofri. Almeno secondo quanto racconta uno degli appunti del prefetto, trovati a casa sua durante una perquisizione ordinata dal pm di Roma Pietro Saviotti nel 1995, ma finora mai utilizzati né resi pubblici.

Nell’appunto, breve e sibillino, D’Amato fa capire di aver avuto rapporti amichevoli con Sofri: “Ci siamo fatti paurose e notturne bottiglie di cognac”. Sofri aveva accennato a un suo contatto con D’Amato, unico, in un paio di articoli pubblicati sul
Foglio nel maggio 2007, dopo l’uscita del libro di Mario Calabresi “Spingendo la notte più in là”. A proposito del caso Pinelli e di Piazza Fontana aveva scritto: “Quello Stato era fazioso e pronto a umiliare e violentare. Lo so. Una volta uno dei suoi più alti esponenti venne a propormi un assassinio in combutta noi e i suoi Affari riservati” (26 maggio 2007). Due giorni dopo, aveva precisato: “Una sera D’Amato venne a casa mia. (...) Quando lo invitai a venire al suo proposito, mi disse, con la stessa amabile naturalezza, che si trattava dei Nap. (...) Che era dunque interesse comune toglierli fisicamente di mezzo, ciò che sarebbe potuto avvenire con una mutua collaborazione e la sicurezza dell’impunità. Prima che finisse gli avevo indicato la porta e lui la prese senza battere ciglio. Dunque quel signore non mi propose di prender parte a un omicidio ma, seppure in un linguaggio da dopobarba, e senza avere il tempo di entrare nel dettaglio, un mazzetto di omicidi” (28 maggio 2007). Ma il prefetto gourmet è personaggio dalle mille trappole, dai mille ricatti, dai mille segreti. Tutti finiti con lui nella tomba, nel 1980, per sempre. Uomo dell’eversione, ma anche, a suo modo, delle istituzioni. Come i protagonisti, ancora senza volto, dell’ultima “strategia della tensione”, quella che ha fatto germinare la Seconda Repubblica nel sangue delle stragi.


















Da Il Fatto Quotidiano del 29 maggio 2010

LA SANATORIA DELLE CASE FANTASMA


29 Maggio 2010


La chiamano sanatoria delle case fantasma, ma non e' altro che un condono di due milioni dicostruzioni abusive con un impatto ambientale devastante, senza precedenti. Oltre ad essere un ulteriore premio all'illegalità. In questo momento, chissà quante cricche di imprenditori si staranno gia' rimboccando le maniche per tirare su case da poter poi condonare il 31 dicembre, tra l'altro, con i proventi derivanti dal condono mascherato, i Comuni dovranno provvedere a tutti i servizi, si pensi solo alle strade e alle fognature, con costi che con ogni probabilità supereranno le entrate. Il Parlamento non può permettere la continua violazione delle regole che, in materia urbanistica, hanno già prodotto la perdita di migliaia di vite umane per la mancanza di Piani regolatori, con conseguenti costruzioni in zone idrogeologicamente instabili, come quelle sui greti dei fiumi.

Ma se quello delle case fantasma è un aspetto inquietante della manovra, ve ne sono altri inquietanti allo stesso modo.
Berlusconi ha utilizzato il solito ottimismo da quattro soldi, il solito disco rotto per nascondere tagli feroci allo stato sociale, alle regioni, ai dipendenti pubblici, ai ministeri indiscriminatamente. Annunci, promesse, bugie e nessun pudore da parte di chi, dal '94, ha promesso di diminuire le tasse e che ancora una volta le aumenterà per porre freno a una crisi che fino ad oggi aveva irresponsabilmente negato. Inoltre nessuna delle misure annunciate è strutturale per cui, in mancanza di una crescita notevole del Pil, che nessun indicatore economico lascia prevedere, è addirittura inutile. Ma questa mattina il premier ha raggiunto l'apice della spudoratezza. Nel solito monologo su una delle sue reti ha addirittura detto che è stato tra i primi a capire la portata della crisi economica e che ha reagito immediatamente. Basta rileggersi le dichiarazioni degli ultimi due anni in cui negava addirittura che la crisi ci fosse per comprendere quanto sia in malafede.

La portata di questa manovra è così pesante proprio perche' per due anni il premier e tutto il governo non hanno preso alcuna iniziativa per fronteggiare la depressione. Che oggi venga a dire che se n'era accorto subito e' fuori dal mondo. Ieri si e' paragonato a Mussolini citando una frase dai diari apocrifi del dittatore, oggi afferma ciò che per due anni ha negato. O mente ora, o mentiva prima. In qualsiasi altro paese civile un politico così sarebbe cacciato a pedate.

Invece ce lo terremo anche se
farà pagare la crisi alle fasce deboli, come sempre non farà nulla per i precari e i disoccupati e, come al solito, escluderà dai sacrifici la casta e la cricca. Tanto è vero che ieri Confindustria ha rilanciato chiedendo tagli agli stipendi pubblici, alla sanità e aumento dell'eta' pensionabile. Se la ricetta per uscire dalla crisi e' questa significa davvero che è davvero fuori dalla realtà. La crisi la stanno pagando le fasce più deboli e la presidente Marcegaglia pretende di esasperare i tagli gia' pesanti nello scandaloso provvedimento del governo. C'e' sicuramente bisogno di riforme strutturali, ma sono esattamente di segno opposto rispetto a quelle indicate sia dalla Marcegaglia sia dalla ditta Tremonti&Berlusconi. Bisogna rilanciare l'occupazione, la ricerca, la scuola, bisogna puntare sullo sviluppo e sul rilancio dei consumi. Nel frattempo la presidente Marcegaglia potrebbe cominciare col guardare in casa sua. Quanti sono i suoi associati che evadono le imposte? Quanti sono quelli che non rispettano le norme sul lavoro e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro? Quanti sono quelli che hanno deciso di esternalizzare la proprie imprese licenziando in tronco tutti i lavoratori? Faccia un esame di coscienza e poi ne riparliamo.


http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/politica/la_sanatoria_delle_case_fantas.php?notifica



L’orologio della storia - Peter Gomez



da Il Fatto Quotidiano, 28 maggio 2010


C’è qualcosa di tragico e di comico al tempo stesso nella fine del
grande sogno di Silvio Berlusconi. Un sogno che oggi muore ucciso dalla crisi e dai 24 miliardi di tagli destinati nelle prossime settimane a mettere in ginocchio i cittadini. Mentre il premier cita i falsi diari di Mussolini, recuperati dal suo braccio destro Marcello Dell'Utri, dicendo “io non ho nessun potere, forse ce l'hanno i miei gerarchi”, il passato che ritorna, il suo passato, sembra all’improvviso franargli addosso. La Confindustria, memore di decine di promesse mai mantenute, gli volta le spalle. Gli imprenditori rispondono col gelo alla balzana idea di mettere la loro presidentessa Emma Mercegaglia
s
ulla poltrona che era del ministro (apparentemente ladro) Claudio Scajola.

Da un giorno all'altro diventa poi difficilissimo per il capo del Governo continuare a sostenere di voler far approvare le nuove
norme sulle intercettazioni per “tutelare la privacy degli italiani”. Le indagini di Milano sul caso di Fabrizio Favata, l'ex socio di Paolo Berlusconi che racconta di aver fatto ascoltare (a Silvio) e personalmente consegnato (a Paolo) i file audio di un’ormai celebre telefonata tra Piero Fassino e l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, dimostrano come il Cavaliere abbia utilizzato atti giudiziari ancora coperti da segreto per screditare gli avversari politici.

Le inchieste di Caltanissetta, Palermo e Firenze, sulle stragi dicono invece che
tra il 1992-93, la mafia, mentre piazzava le bombe, aveva rapporti oscuri e intensi con chi mafioso non era, o non lo sarebbe dovuto essere. Da una parte alcuni uomini dei servizi segreti; dall’altra alcuni esponenti del gruppo Fininvest (a cominciare proprio da Dell’Utri) che di lì a poco
avrebbero creato Forza Italia. E se prima tutto questo non contava, adesso, di fronte allo spettro di un Paese che potrebbe andare a fondo come la Grecia, la scena si ribalta.

Proprio come
un duce invecchiato Berlusconi sospetta dei suoi ministri, maledice gli alleati ed è sempre più solo. È ancora forte, è vero. Ma a Roma tira una brutta aria da ultima seduta del Gran Consiglio. L’orologio della storia ha ripreso a correre. E fermarlo per il premier, questa volta, sarà molto complicato.

(Vignetta di Bandanax)

Segnalazioni
Le relazioni segrete tra lo Stato italiano e la Mafia raccontate da un testimone d’eccezione (L'Express - FR - 12 aprile 2010)
Traduzione a cura di italiadallestero.org

No bavaglio
Firma l'appello contro il Ddl sulle intercettazioni
Sabato 29 maggio - Contro la legge bavaglio presidi del popolo viola in diverse città d'Italia - Tutti gli appuntamenti

La libertà di stampa e i libri: gli editori contro il Ddl sulle intercettazioni
Aderisci all'appello promosso dal gruppo editoriale GEMS e dall'AIE

Libri per la libertà - Dal 31 maggio al 6 giugno una settimana di reading nelle librerie di tutta Italia contro il Ddl intercettazioni e in difesa della libertà di informazione, di opinione e di stampa.
Lunedì 31 maggio, ore 17 evento di apertura al Teatro Quirino di Romacon Corrado Augias, Carlo Bernardini, Andrea Camilleri, Gianrico Carofiglio, Guido Crainz, Rosetta Loy, Valerio Magrelli, Alessandro Pace, Antonio Pascale, Christian Raimo, Stefano Rodotà, Giovanni Sartori, Tiziano Scarpa, Marco Travaglio, Nadia Urbinati, Chiara Valeri e molti altri.



Chiamate l'esorcista - Marco Travaglio



28 maggio 2010

I primi inquietanti sintomi si erano registrati alla vigilia delle regionali, quando B. spiazzò tutti e annunciò “liste pulite” come un Grillo qualsiasi. Dalla sede dei Pregiudicati della Libertà (Pdl) partirono migliaia di telefonate a Bonaiuti: “Il padrone scherza, vero? Non sarà mica impazzito?”. Poi le liste furono più laide che pria, il Museo Lombroso al confronto è il paradiso. Però fu il primo campanello d’allarme. Subito dopo le elezioni, altro annuncio choc: “Faremo una legge anticorruzione”. Nuovo allarme rosso nell’ora d’aria dei gruppi parlamentari Pdl. “Minchia, il capo s’è fumato il cervello”, allargò le braccia l’onorevole Frank Tre Dita. “Roba da perizia psichiatrica”, rincarò il senatore Ciruzzo ‘o Malamente.

“Lo stiamo perdendo”, convenne il ministro Pio Cazzetta detto Pijo Mazzetta, mentre il sottosegretario Ciccetto Sparinculu non si dava pace: “A saperlo prima, andavo con l’
Udc che non butta via niente”. Poi, quando la legge anticorruzione fu finalmente presentata, si scoprì che era finta: infatti l’avevano fatta scrivere al finto Guardagingilli Angelino Alfano. Quando il premier pareva essersi rimesso in salute, riecco all’improvviso quell’allarmante sintomo.

Fu subito dopo le dimissioni di
Claudio Scajola, primo caso di ministro coinvolto in uno scandalo scaricato da B., che di solito i ministri coinvolti in uno scandalo li caricava. Subito dopo B. sparì dalla circolazione, si diede malato, disertò financo il Consiglio dei ministri facendolo dirigere da Matteoli, ancora prodigiosamente a piede libero. I giornali di famiglia lo descrissero rinserrato a Palazzo Grazioli, in pigiama e vestaglia, mentre urlava “c’è chi si è arricchito con la politica”, “chi ha sbagliato deve pagare”, “fuori dal governo i ministri indagati”. Frasi degne di un Di Pietro qualsiasi.

Nei consueti conciliaboli durante l’ora d’aria parlamentare, molti amici e amici degli amici furono tentati di chiamarlo, per rammentargli che il primo ad arricchirsi con la politica è stato lui, che nel governo nessuno è più indagato di lui e, se c’è qualcuno che dovrebbe pagare dopo aver tanto incassato, è lui. Ma lui diede segni di guarigione, confidando al fido
Vespa che i suoi uomini indagati sono “casi isolati”. Migliaia di casi, ma isolati. Nel Popolo della Libertà Provvisoria tornò il sereno: sospiri di sollievo, pacche sulle spalle, applausi scroscianti. “Il capo sta benone, niente paura, non dirà mai più brutte parole come anticorruzione, pagare, dimissioni”. Stavano ancora brindando quand’ecco l’altroieri, a tradimento, riaffacciarsi il terribile sintomo: “Lotta all’evasione fiscale”, addirittura “tracciabilità dei pagamenti in contanti”.

Eh no, questo è troppo. Certe cose non si dicono manco per scherzo, non c’è niente da ridere. Ma come: per quindici anni fa condoni e scudi fiscali per far capire agli evasori che hanno ragione loro e ai contribuenti onesti che devono farsi furbi, e ora di punto in bianco cambia le carte in tavola? Non è leale. Passi un imputato di corruzione che annuncia una legge anticorruzione: idea spiritosa, le risate. Passi che chi non s’è accorto che i suoi gli compravano i finanzieri, i giudici e i testimoni cacci dal governo uno che non sa chi gli ha comprato la casa. Ma qui si esagera. Di questo passo Marrazzo proporrà una legge anti-trans e anti-droga,
Rocco Siffredi farà iltestimonial dei genitori anti-porno. Dell’Utri presenterà una legge antimafia eCosentino anticamorra.

Non si può andare avanti così. Chi può, per favore, lo fermi prima che sia troppo tardi. Si vede a occhio nudo che non è più lui. Dev’essere posseduto da un satanasso giustizialista a mezzadria fra
Grillo, Di Pietro e Visco. Come racconta padre Amorth, gli indemoniati vomitano liquidi verdi misti a pietre aguzze e vetri rotti, intanto parlano lingue sconosciute e molto antiche, tipo il sanscrito, l’aramaico, il babilonese. Proprio come B., che sempre più spesso pronuncia arcaismi desueti come “anticorruzione” e “antievasione”. Per pietà, chiamate l’esorcista. Spirito legalitario, esci da quell’ometto.

Da
il Fatto Quotidiano del 28 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2492515&yy=2010&mm=05&dd=28&title=chiamate_lesorcista


venerdì 28 maggio 2010

Berlusconi ha perso il tocco magico - Peter Gomez




Tremonti gli impone una manovra lacrime e sangue, intanto Confindustria gli volta le spalle. E poi le inchieste sul nastro Fassino-Consorte e quelle sulle stragi di mafia. Così il premier si ritrova a fare i conti con il suo passato.

C’è qualcosa di tragico e di comico al tempo stesso nella fine del grande sogno diSilvio Berlusconi. Un sogno che oggi muore ucciso dalla crisi e dai 24 miliardi di tagli destinati nelle prossime settimane a mettere in ginocchio i cittadini. Mentre il premier cita i falsi diari di Mussolini, recuperati dal suo braccio destro Marcello Dell'Utri, dicendo “io non ho nessun potere, forse ce l'hanno i miei gerarchi”, il passato che ritorna, il suo passato, sembra all’improvviso franargli addosso. La Confindustria, memore di decine di promesse mai mantenute, gli volta le spalle. Gli imprenditori rispondono col gelo alla balzana idea di mettere la loro presidentessaEmma Marcegaglia sulla poltrona che era del ministro (apparentemente ladro)Claudio Scajola.

Da un giorno all'altro diventa poi difficilissimo per il capo del Governo continuare a sostenere di voler far approvare le nuove norme sulle intercettazioni per “tutelare la privacy degli italiani”. Le indagini di Milano sul caso di
Fabrizio Favata, l'ex socio di Paolo Berlusconi che racconta di aver fatto ascoltare (a Silvio) e personalmente consegnato (a Paolo) i file audio di un’ormai celebre telefonata traPiero Fassino e l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, dimostrano come il Cavaliere abbia utilizzato atti giudiziari ancora coperti da segreto per screditare gli avversari politici. Le inchieste di Caltanissetta, Palermo e Firenze, sulle stragi dicono invece che tra il 1992-93 la mafia, mentre piazzava le bombe, aveva rapporti oscuri e intensi con chi mafioso non era, o non lo sarebbe dovuto essere.

Da una parte alcuni uomini dei servizi segreti; dall’altra alcuni esponenti del gruppo Fininvest (a cominciare proprio da Dell’Utri) che di lì a poco avrebbero creato Forza Italia. E se prima tutto questo non contava, adesso, di fronte allo spettro di un Paese che potrebbe andare a fondo come la Grecia, la scena si ribalta. Proprio come un duce invecchiato Berlusconi sospetta dei suoi ministri, maledice gli alleati ed è sempre più solo. È ancora forte, è vero. Ma a Roma tira una brutta aria da ultima seduta del Gran Consiglio. L’orologio della storia ha ripreso a correre. E fermarlo per il premier, questa volta, sarà molto complicato.

LEGGI

'Case fantasma': sanatoria o condono? di Ferruccio Sansa

Gelo di Confindustria davanti a B. di Stefano Feltri

Da il Fatto Quotidiano del 28 maggio


http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2492437&title=2492437