Alla Rai, per esempio, Berlusconi ha inviato pessimi gerarchi che gli stanno combinando un sacco di guai.
Dentro e fuori al telefono gli avevano promesso che si sarebbero sbarazzati di Ruffini, l'ex direttore di Rai Tre, di Santoro, della Dandini, della Gabanelli, di Ballarò e via discorrendo.
Presi da euforia crescente e da servilismo manifesto hanno cominciato a lasciare le impronte ovunque, a sporcarsi le mani di marmellata, ad annunciare scalpi che ancora non avevano conquistato.
Ora più che mai ci auguriamo che Michele Santoro li mandi a quel paese e annunci che il prossimo anno continuerà Annozero, anche perché i patti con questi signori hanno lo stesso valore della carta straccia.
L'ultima clamorosa conferma è arrivata dal tribunale di Roma che, con una clamorosa sentenza, ha imposto alla Rai il reintegro di Paolo Ruffini. Ma quello che è ancora più clamoroso è la motivazione con la quale il giudice ha disposto il provvedimento. Ci sembra utile riportarla per intero.
IL TESTO DELLA SENTENZA
"Indizi gravi, precisi e concordanti'' che collegano la sostituzione di Paolo Ruffini alla direzione di Raitre all'aperta critica al contenuto di alcuni programmi della rete. Ragion per cui la ''delibera di sostituzione del vertice di Raitre non appare dettata da reali esigenze di riorganizzazione imprenditoriale presentando invece un chiaro connotato di motivazione discriminatoria e quindi illecita''. Sono punti centrali dell'ordinanza con cui è stato accolto il ricorso dell'ex direttore di Raitre che aveva lamentato che la soluzione individuata non rispondeva al suo profilo professionale e alle responsabilita' fino ad allora ricoperte. Il giudice del lavoro di Roma Eliana Pacia (RPT Pacia) (terza sezione del tribunale civile), con provvedimento di urgenza ''fa ordine alla Rai di adibire il ricorrente'', Paolo Ruffini, ''all'attività lavorativa come dirigente editoriale direttore di Raitre con adibizione alle mansioni svolte prima del 25/11/2009'', giorno in cui il Cda Rai adottò la delibera di nomina alla direzione di Raitre di Antonio Di Bella, ''sino all'assegnazione di mansioni equivalenti''. La delibera di sostituzione, si legge nell'ordinanza, ''non appare dettata da reali esigenze di riorganizzazione imprenditoriale, presentando invece un chiaro connotato di motivazione discriminatoria e quindi, in quanto tale, illecita ai sensi dell'articolo 15 legge 300/1970''. Questo tenuto conto del ''collegamento'' tra le molte frasi della maggioranza e del Governo sulla ''faziosità'' dei programmi di Raitre e la sostituzione di Ruffini. A ''conferma di tale stretto collegamento - si legge - proviene dal tenore delle dichiarazioni rilasciate dal direttore generale della Rai il 23/09/2009 alla Commissione di Vigilanza sull'attività della Rai nel corso della quale egli ha espresso un aperto disappunto sul fatto che reti del servizio pubblico e quindi pagate dai cittadini fanno - diversamente a suo dire da tutti gli altri Paesi del mondo trasmissioni 'politicamente contro' (il Governo). E se è vero che il Direttore generale non delibera ma ha potere di nomina, tenuto conto delle reiterate e varie dichiarazioni espresse da esponenti del governo, come detto mai smentite, e dalla vicinanza temporale della delibera di novembre - seguita alle dichiarazioni del Direttore generale - può sicuramente affermarsi, sulla base di un giudizio di verosimiglianza, in sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa un obiettivo di collegamento tra la sostituzione del ricorrente e l'aperta critica al contenuto di alcuni programmi voluti e potenziati dal medesimo''. Una sostituzione illecita, quella di Ruffini, si legge nell'ordinanza del Tribunale civile di Roma, terza sezione lavoro, ''ancor prima e a prescindere da ogni considerazione su quanto può desumersi dal tenore della notizia dell'intercettazione telefonica riguardante la conversazione tra Innocenzi e il Dr Masi, riportata nell'articolo del quotidiano La Repubblica del 17/03/2010 versato in atti, che riferisce dell'allontanamento del ricorrente da Raitre, quale mezzo di aggiustamento della Rai, tenuto conto della inutilizzabilità, allo stato delle intercettazioni telefoniche in giudizi diversi da quello in cui le stesse sono state raccolto e del fatto che vi sarebbero indagini in corso presso la Procura della Repubblica di Trani proprio sulla diffusione delle notizie oggetto delle varie intercettazioni''. Il giudice parla anche della ''violazione del diritto alla libertà d'informazione e di critica del giornalista'' che risulta come ''mero riflesso dell'intera vicenda sullo stesso Ruffini seppure è vero, fa notare, che è da condividere quanto sostenuto dalla Rai, ''parte resistente", sul fatto che ''la rete non è assimilabile ad una testata giornalistica seppure essa e' composta anche da giornalisti''. Per il giudice sussiste ''anche il danno grave e irreparabile nel tempo occorrente a far valere il diritto del ricorrente in via ordinaria''. Se è vero, come sostiene la Rai, che occorre ''ancorare il danno irreversibile al depauperamento del proprio acquisito bagaglio professionale'' per il giudice questo pericolo non riguarda tanto ''le materie ad elevato spessore tecnologico o scientifico ma alla qualità e varietà delle mansioni svolte anche in connessione con il ruolo rivestito dal lavoratore nel contesto aziendale e produttivo''. Di fatto Ruffini, si legge ancora nell'ordinanza ''non è stato preposto ad alcuna struttura'' e ancora oggi ''si reca tutte le mattine in Rai dove non gli è affidata alcuna mansione'' (....). Il giudice, prosegue l'ordinanza considera il ricorso ''fondato'' e lo accoglie sostenendo ''sotto il profilo della verosimiglianza del diritto vantato'' che ''sussiste un concreto demansionamento ai sensi dell'articolo 2103 del Codice civile perche''' dopo la delibera di sostituzione Ruffini ''non ha ricevuto sino al 27 aprile 2010'' - quando è stata formalizzata la nuova proposta con Raipremium e Rai educational - ''alcun incarico ed è rimasto del tutto inattivo''. L'incarico di direttore di Raitre conferito nell'aprile del 2002 non prevedeva ''termini di durata''. Nè consta che prevedesse ''una regola implicita di breve durata'' o che l'incarico ''sia venuto meno per ragioni connesse ad esplicite responsabilità professionali nello svolgimento dell'incarico o a ragioni collegate al mancato raggiungimento di risultati obiettivi editoriali''.
Che altro aggiungere? Non si potrebbe descrivere meglio la natura e il putridume del conflitto di interessi, la volgarità delle parole e delle azioni dei moderni gerarchi sempre pronti ad interpretare e a soddisfare le peggiori voglie del vecchio capo. Adesso cosa racconteranno al Sultano che aspettava la testa delle vittime? Quale altro imbroglio si inventeranno? Tenteranno di mettere sotto tutela Antonio Di Bella minacciandolo di espulsione se non manderà via Dandini, Floris, Gabanelli, Bertolino, Iacona e via discorrendo?
Per altro lo stesso direttore in carica ha già annunciato al Fatto che non ha intenzione alcuna di obbedire al comando del duce e dei gerarchi.
Per quanto ci riguarda, come Articolo21, a costo di farlo da soli, continueremo a reclamare le dimissioni di chi ha ideato, progettato e portato a compimento il piano di espulsione di Ruffini e vorrebbe ora mettere definitivamente le mani sul palinsesto di Raitre.
Non si tratta di solidarizzare con questo o quel giornalista, questo o quell'autore, ma di impedire che il piano di oscuramento politico e mediatico in stato di avanzata attuazione colpisca a morte una delle ultime isole sopravvissute nel sistema mediatico nazionale.
Un ringraziamento, infine, lo vogliamo rivolgere all'avvocato D'Amati, presidente del collegio dei legali di Articolo21 che, anche in questa occasione, ha difeso le ragioni della libertà di informazione infliggendo una bruciante sconfitta al duce, ai gerarchi, ai loro squadristi.
Giuseppe Giulietti
(29 maggio 2010)
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