martedì 5 luglio 2011

Sicilia, nell’Assemblea regionale 24 indagati I movimenti ne chiedono lo scioglimento. - Antonio Condorelli.



Ventiquattro deputati dell’Assemblea regionale siciliana sono sotto inchiesta. E quattro di loro sono stati arrestati negli ultimi mesi. Sono sospettati di reati che vanno dalla truffa, alla concussione, al falso, al concorso in associazione mafiosa. Sono esponenti sia del Pd che del Pdl, passando per l’Mpa. Secondo la legge derivante dall’autonomia sicula devono essere chiamati “onorevoli”. Alle 17.00 è iniziata la protesta dei movimenti civici palermitani che hanno tappezzato la città di striscioni, con una sola richiesta: lo scioglimento dell’Assemblea regionale.

Il capofila è il presidente della regione Sicilia Raffaele Lombardo, fondatore dell’Mpa, indagato per concorso in associazione mafiosa, la sua posizione è stata stralciata dal procuratore capo di CataniaMichelangelo Patanè, che ha disposto la revoca dell’indagine ai quattro pm titolari che avevano chiesto il rinvio a giudizio. Lombardo si è detto sempre estraneo ai fatti, confermando soltanto rapporti “che nascono in politica” con alcuni pregiudicati e boss mafiosi. Lombardo, successore di Totò Cuffaro (attualmente in carcere con una condanna a 7 anni per mafia), rappresenta la punta di un iceberg.

A unire “onorevoli” di destra e sinistra sono spesso capi d’imputazione e manette, nella totale normalizzazione del sistema elettorale siciliano.

PARTITO DEMOCRATICO. Il deputato regionale del partito democratico Gaspare Vitrano, vicino alla corrente che sostiene politicamente Raffaele Lombardo in cambio degli assessorati, è stato arrestato per concussione: gli inquirenti ipotizzano che abbia intascato una tangente su alcuni impianti fotovoltaici. Adesso è tornato in libertà, ma i magistrati hanno disposto il “divieto di soggiorno in Sicilia”.

Gli eponenti del partito democratico Elio Galvagno e Salvatore Termine sono indagati per falso in bilancio nell’inchiesta sulla gestione dell’Ato rifiuti di Enna, il collega democratico messinese Giuseppe Picciolo è indagato per simulazione di reato e calunnia aggravata.

POPOLARI ITALIA DOMANI. Fausto Fagone è stato arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa nell’inchiesta Iblis della procura di Catania; il suo collega Santino Catalano, eletto con l’Mpa e poi transitato nel Pid, ha patteggiato una condanna a 1 anno e 2 mesi per falso e abuso d’ufficio. Quando la commissione Verifica poteri dell’Ars doveva pronunciarsi sulla sua decadenza per “incandidabilità originaria”, il voto trasversale a scrutinio segreto l’ha salvato tra gli applausi dei colleghi onorevoli. A chiudere la lista dei deputati del Pid sotto inchiesta c’è Rudi Maira, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla gestione di appalti pubblici.

UNIONE DEMOCRATICI CENTRO. Mario Parlavecchio è indagato insieme al collega del Pdl Francesco Cascio, nell’inchiesta sulla mancata adozione dei piani antinquinamento previsti dalla legge. Marco Forzese è indagato nell’inchiesta sulle promozioni facili al Comune di Catania.

POPOPO DELLA LIBERTA’. I berlusconiani in Sicilia non scherzano. Giuseppe Buzzanca è stato condannato definitivamente a 6 mesi per peculato: doveva partire in crociera con la moglie e arrivò con l’auto blu sino alla Puglia. Il deputato Fabio Mancuso, presidente della commissione Ambiente, ex sindaco della città di Adrano (CT), è indagato per corruzione, concussione e abuso d’ufficio per circa 90mila euro ricevuti da una società di calcio. Il pm catanese Andrea Bonomo ha però chiesto la condanna soltanto per il presunto abuso d’ufficio, chiesta l’assoluzione per gli altri capi d’imputazione. Il collega Salvino Caputo, che presiede la commissione Attività Produttive, è stato condannato a due anni per tentato abuso d’ufficio e falso ideologico. La pena è sospesa. Caputo nel 2004, da sindaco di Monreale, avrebbe evitato che il vescovo locale pagasse alcune contravvenzioni. Il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Francesco Cascio è indagato per omissione di atti d’ufficio perché da assessore regionale non avrebbe adottato misure adeguate, come previsto dalla legge, contro l’inquinamento atmosferico. Insieme a lui sono indagati anche Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro, in pratica, secondo le ipotesi dell’accusa, non avrebbero redatto i piani antinquinamento nonostante i dati allarmanti delle centraline. Nino D’Asero è indagato nell’inchiesta sulle promozioni facili del Comune di Catania.

SICILIA VERA. Il leader Cateno De Luca è stato arrestato il 28 giugno 2011 con l’accusa di abuso d’ufficio e concussione. Gli sono stati concessi i domiciliari.

FORZA DEL SUD. Il movimento del sottosegretario Gianfranco Miccichè, pupillo di Marcello Dell’Utri, vede indagati due onorevoli: Franco Mineo, rinviato a giudizio con l’accusa di intestazione fittizia di beni, usura, concussione e peculato e Michele Cimino. Per quest’ultimo la procura ha chiesto l’archiviazione per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio.

ALLEATI PER LA SICILIA. Giovanni Cristaudo è indagato per concorso in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Iblis della procura di Catania.

MOVIMENTO PER L’AUTONOMIA. Anche il movimento del presidente della Regione Raffaele Lombardo non delude le aspettative. Riccardo Minardo, presso la cui segreteria c’è la sede provinciale di Ragusa dell’Mpa, è ai domiciliari per truffa. Giuseppe Federico è indagato per voto di scambio. Giuseppe Arena è indagato per falso ideologico nell’inchiesta sul buco di bilancio del Comune di Catania, era assessore in quota Alleanza Nazionale durante la sindacatura di Umberto Scapagnini, medico di Berlusconi. Arena risulta indagato anche nell’inchiesta sulle promozioni facili al Comune insieme a Raffaele Lombardo e decine di altri indagati. Giovanni Di Mauro è indagato per omissione di atti d’ufficio nell’inchiesta sulla mancata adozione dei piani antinquinamento. Giuseppe Gennuso dell’Mpa è indagato per concorso in falso ed occultamento di atto pubblico nell’inchiesta della Dia di Palermo sui Bingo e i Monopoli di Stato.



Berlusconi e i cortigiani reggi-pitale. - Peter Gomez






La decisione di inserire nella legge finanziaria una norma per evitare alla Fininvest e al suo padrone di pagare alla Cir di Carlo De Benedetti il risarcimento per i giudici comprati durante il caso Mondadori, e il conseguente scippo della casa editrice, rappresenta una soglia di non ritorno. Non per Silvio Berlusconi, che quella soglia l’ha già superata da un pezzo, ma per tutta la sua maggioranza e per i suoi (ultimi) supporter.

Dalla difesa della libertà del premier (dai processi e dalle sentenze) si passa a quella apertamente dichiarata dei suoi soldi. Sapendo oltretutto benissimo che un’eventuale condanna civile in secondo grado di Fininvest, anche eguale a quella inflitta in primo grado (750 milioni di euro), non ridurrà Berlusconi sul lastrico, ma lo renderà appena un po’ meno ricco.

Che Berlusconi lo faccia non stupisce. Il vecchio leader del Pdl sente di essere al tramonto. Al di là delle dichiarazioni di facciata, teme che questa sia la sua ultima legislatura da presidente del Consiglio. E allora tenta di arraffare tutto quello che c’è ancora da arraffare. In fondo tiene famiglia pure lui.

Più interessante è invece riflettere sulla stupidità del resto della Corte. Cercare d’introdurre, a quattro giorni dal verdetto d’appello sul lodo Mondadori, una norma del genere, è una follia per chi tra i cortigiani pensa di continuare a fare politica anche nei prossimi anni. La manovra impone sacrifici a milioni di cittadini. Gli elettori del Pdl, e sopratutto quelli della Lega, hanno già preso malissimo la scelta di rinviare al 2013 i tagli ai costi della Casta. E ora si trovano di fronte a un decreto legge che punta a far pagare tutti meno uno: il loro leader.

Certo, nelle prossime ore, assisteremo al consueto fuoco di sbarramento teso a spiegare che qui chi doveva incassare non era l’erario, ma l’odiato Carlo De Benedetti. Altre voci faranno poi notare che la legge vale per tutti quelli che hanno in ballo risarcimenti civili superiori ai 20 milioni di euro (cioè pochissime aziende ndr). Qualche buontempone, infine, dirà che la norma non cancella i pagamenti, ma si limita a congelarli sino alla cassazione.

Resta però un fatto: centinaia di migliaia di cittadini, anzi milioni, sanno benissimo per diretta esperienza personale che nelle cause civili, fino ad ora, prima si versava il dovuto e poi si sperava nel ricorso. In questo clima, insomma, prenderli per fessi sui soldi (magari a colpi di televisioni e di tg) non è esattamente quella che si definisce una grande idea.

Se fino a due anni fa, quando votava le leggi pro Berlusconi, il centrodestra poteva sostenere che il premier aveva dietro di sé la maggioranza del paese, oggi a quella favola non crede più nessuno.Per tutti, finalmente, la questione Berlusconi diventa quello che era sempre stata e che in molti facevano però finta di non vedere: una semplice questione d’interessi personali e soldi.

Una faccenda esclusiva di un uomo anziano che non riesce più a evitare di farla fuori dal vaso. Di un ricco signore che, giorno dopo giorno, rischia sempre più di vedere discostarsi di un passo coloro i quali gli reggono ancora il pitale. Di un politico dal futuro sempre più breve, ormai disposto a combattere solo per sé e per la sua roba.



Berlusconi ritira la salva-Finvest, « vergognosa montatura». Paola Pica


MILANO
- Berlusconi ritira la norma salva-Fininvest. «Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata». Così il presidente del consiglio e proprietario del gruppo del gruppo Fininvest che controlla tra le altre Mondadori Mediaset e il Milan in una nota diffusa nel pomeriggio di una giornata di forti tensioni nella maggioranza di governo. La cosiddetta norma «ad aziendam» spuntata a sorpresa nella manovra di stabilizzazione finanziaria aveva scatenato la polemica. Si tratta di una leggina sulla sospensione dell'esecutività dei risarcimenti che avrebbe evitato alla Fininvest di Silvio Berlusconi di versare alla Cir di Carlo De Benedetti 750 milioni di euro. Una mossa che precedeva di pochi giorni il verdetto di secondo grado dei giudici atteso alla fine della settimana.

Il premier: come faccio a pagare? (15 giugno 2011)

LA DICHIARAZIONE - «Nell'ambito della cosiddetta manovra -si legge nella dichiarazione di Berlusconi- è stata approvata una norma per evitare attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo. Si tratta di una norma non solo giusta ma doverosa specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini». «Le opposizioni -sottolinea- hanno promosso una nuova crociata contro questa norma pensando che, tra migliaia di potenziali destinatari, si potrebbe applicare anche a una societá del mio gruppo. Si è prospettato infatti che tale norma avrebbe trovato applicazione nella vertenza Cir- Fininvest dando così per scontato che la Corte di Appello di Milano effettivamente condannerá la Fininvest al pagamento di una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute dalla Fininvest. Conoscendo la vicenda ritengo di poter escludere che ciò possa accadere e anzi sono certo che la Corte d'Appello di Milano non potrá che annullare una sentenza di primo grado assolutamente infondata e profondamente ingiusta. Il contrario costituirebbe un'assurda e incredibile negazione di principi giuridici fondamentali», assicura il premier. «Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata.Spero non accada che i lavoratori di qualche impresa, in crisi perchè colpita da una sentenza provvisoria esecutiva, si debbano ricordare di questa vergognosa montatura», rimarca Berlusconi..

IL GELO DELLA LEGA, SI SFILA GHEDINI - Il Carroccio non ha fatto mistero del «profondo malumore» dei ministri della Lega Nord. Ma da quel testo che secondo la procedura è stato inviato da Palazzo Chigi (dove è stato visto per l'ultima volta) al Quirinale hanno preso le distanze un po' tutti, persino Niccolò Ghedini, avvocato personale del premier e deputato Pdl : «Non l'ho scritto io, non ne sapevo nulla»

IL SILENZIO DI TREMONTI - Nella bufera è rimasto in silenzio il ministro dell'Economia Giulio Tremonti che, si dice, non ne sapesse nulla. Si dice anche che il suo silenzio nasconda la profonda irritazione. Dopo aver annullato la conferenza stampa di presentazione della manovra prevista a mezzogiorno - decisione almeno ufficialmente motivata con le difficoltà a raggiungere Roma a causa del maltempo - Tremonti ha confermato la sua presenza nel pomeriggio al Teatro Centrale in Piazza del Gesù viene presentato il libro sulle fondazioni di Fabio Corsico. Oltre al ministro saranno presenti, tra gli altri, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il presidente della Cariplo e dell'Acri Giuseppe Guzzetti. C'è molta attesa per l'eventuale presa di posizione del ministro.

VIETTI: A RISCHIO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA - Il vice-presidente del Csm, Michele Vietti, aveva posto l'accento sul principio di uguaglianza: «Non entro nel dettaglio di una norma non ancora presentata in Parlamento - spiega Vietti - ma voglio solo rilevare che il principio dell'esecutività delle sentenze di secondo grado è un principio generale che vigeva già prima che diventassero provvisoriamente esecutive le sentenze di primo grado. Modificare questo principio significherebbe rischiare di stravolgere il sistema giudiziario e credo che convenga non farlo per non violare il principio di eguaglianza fra i cittadini di fronte alla legge».

LA REAZIONE DEL COLLE - «Non dico nulla. Sulla manovra, quando sarà il momento, conoscerete le nostre determinazioni». Così, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, presente al convegno «Europa più democratica», ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sul testo trasmesso dal governo al Quirinale.

IL PD: ALFANO? SEGRETARIO DEL PREMIER - Per il Pd il neosegretario politico del Pdl Angelino Alfano è in realtà «il segretario di Berlusconi», mentre il capogruppo Pd Dario Franceschini chiede di «conoscere l'opinione precisa del segretario del PdL sulla norma relativa al lodo Mondadori. Per altro il segretario del PdL, che nei giorni scorsi ha parlato di partito degli onesti, è anche, e non è dato sapere per quanto, ministro della Giustizia. È quindi indispensabile conoscere con chiarezza la sua posizione»

L'ALTOLA' DELLA STAMPA CATTOLICA - «Errori da correggere», chiede il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Mentre di «ipocrisia e incompetenza» nel gestire le sorti del Paese parla Famiglia Cristiana nel numero in uscita. «La manovcra non ci pare equa» scrive il settimanale- «Per essere davvero giusta dovrebbe chiedere a tutti di tirare la cinghia». A cominciare dai politici, cui spetta dare l'esempio. E invece? I tagli agli scandalosi costi dei politici vengono rimandati al futuro» scrive il settimanale. Inoltre la manovra è, per Famiglia Cristiana, «simile alla politica cui siamo abituati da anni: solo parole». «Nel documento economico di Tremonti brillano per assenza due promesse strombazzate in campagna elettorale: abolizione delle Province e quoziente familiare (ora Fattore famiglia).

http://www.corriere.it/politica/11_luglio_05/napolitano-manovra-firma_51c148ac-a6e7-11e0-bbaa-d83a3b6f7958.shtml


Il software intelligente di Palazzo Chigi. Alessandro Gilioli


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Guardate che ormai è il teatro dell’assurdo, anche se gli effetti sono irresistibilmente comici.

Con quelle tre righine infilate di nascosto nella manovra per salvare il conto in banca del capo, gli occhiuti esperti del Quirinale che le scovano e le passano ai giornali, il ministro Tremonti che subito dice in giro che è stato Alfano, ma Alfano sostiene che lui invece non c’entra nulla, poi perfino Ghedini (Ghedini!) si chiama fuori perché lui «non si occupa di procedura civile» e alla fine il più tonto di tutti – Frattini – ammette che in consiglio dei ministri non se n’era proprio parlato.

Insomma, è un comma venuto al mondo per partenogenesi, non l’ha scritto nessuno, è apparso da solo nella manovra, forse è la famosa causa incausata di Tommaso d’Aquino, o magari è il software di Palazzo Chigi che ormai fa le leggi ad personam senza più bisogno di apporto esterno, l’hanno programmato così nel 2008 e lui va avanti automaticamente fino a fine legislatura.

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/07/05/il-software-intelligente-di-palazzo-chigi/


Policlinico, concorso disabili: il trucco c'è e si vede.



Il Policlinico di Bari ha indetto un bando di concorso riservato ai diversamente abili, giusta la famosa legge regionale 68, in convenzione con la Provincia di Bari.

Uno dei requisiti per partecipare, oltre ovviamente alla diversabilità comprovata e certficata, è quello di essere iscritti al collocamento della Provincia di Bari, o se preferite, i servizi per l'Impiego, come s chiamano adesso. E per avere questo requisito è necessario essere residenti in provincia di Bari.

Orbene, negli ultimi giorni ci sono stati massicci e precipitosi cambi di residenza da tutte le altre province pugliesi, Salento compreso, e ad altrettanto precipitose iscrizioni al collocamento di Bari, con l'unico scopo di poter partecipare al Concorso. Fare un controllo è facile e la cosa non dovrebbe essere assolutamente permessa, perchè la cosa andrebbe innanzitutto a danno dei veri residenti diversamente abili e poi perchè si falserebbero comunque i numeri autentici del bisogno lavorativo delle caegorie protette in provincia di Bari.

Abbiamo segnalato la cosa all'Assessore provinciale al Lavoro Pino Quarto che ci ha promesso un interessamento ad horas. Vi terremo informati.


http://www.go-bari.it/notizie/cronaca/3098-policlinico-concorso-disabili-il-trucco-ce-e-si-vede.html



Mondadori, storia di una sentenza comprata. - Marco Travaglio


Nel 1991 la Corte d'appello annulla il Lodo arbitrale e sfila il primo gruppo editoriale italiano al patron dell'Espresso. Il corruttore è Cesare Previti che, con gli avvocati Pacifico e Acampora, pagò il giudice Vittorio Metta.


Che la sentenza Mondadori del 1991 che annullò il Lodo arbitrale e sfilò il primo gruppo editoriale italiano a Carlo De Benedetti consegnandolo aSilvio Berlusconi fosse comprata, dovrebbero saperlo tutti. Il corruttore si chiama Cesare Previtiche, assieme agli avvocati Attilio Pacifico eGiovanni Acampora, pagò il giudice Vittorio Mettaper conto di B. e con denaro della Fininvest di B., utilizzatore finale del mercimonio criminale. Da vent’anni dunque il presidente del Consiglio possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali, usandoli per accumulare utili e consensi. Ma non vuole saperne di restituire il maltolto. Un po’ di storia.

IL LODO
Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni diLeonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”. De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio 1991. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre del 1989, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anti-craxiano a quello filo-craxiano. La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno 1990, dà ragione all’Ingegnere: il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare a lui. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, assieme ai Formenton, impugna il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta daArnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio 1991. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L’Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce – testimonierà De Benedetti – che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”. Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni.Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest.

I SOLDI
Indagando dal 1995 sulle rivelazioni della Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre un fiume di denaro dai conti esteri Fininvest a quelli degli avvocati del gruppo e da questi, in contanti, a Metta. Il 14 febbraio ‘91 dalle casse All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto “Mercier” di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto “Careliza Trade” di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto “Pavoncella” di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, Metta. Il giudice, nei mesi successivi, acquista e ristruttura un appartamento per la figlia Sabrina e compra una nuova auto Bmw, il tutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni). Poi lascia la magistratura, diventa avvocato e dove va a lavorare con la figlia Sabrina? Allo studio Previti, naturalmente. Al processo, Previti giustificherà quei 3 miliardi Fininvest in Svizzera come “tranquillissime parcelle”, ma non riuscirà a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentiranno pure Acampora e Pacifico. E così Metta, che tenterà di spacciare l’improvvisa liquidità per un’eredità. L’ex giudice giurerà di aver conosciuto Previti solo nel ‘94, ma i pm Boccassini e Colombo scopriranno telefonate fra i due già nel 1992-‘93.
Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio 1991: il giorno dopo la camera di consiglio. Un’impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava due-tre mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che qualcuno l’aveva scritta prima che la Corte decidesse.

IL PROCESSO
Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello accoglie il ricorso della Procura e li rinvia a giudizio tutti, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sì e agli altri no? Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l’applicazione” delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è “ragionevole” e “logico” che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un fatto tecnico come le attenuanti “per la condotta di vita successiva all’ipotizzato delitto” giustifica le attenuanti ad personam. Anziché rinunciare alla prescrizione per essere assolto nel merito, B. prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (comma 2 art. 530) per Mondadori. Nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina un nuovo appello che condanni pure per Mondadori.

LA SENTENZA
Il 23 febbraio 2007, in Corte d’appello, Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, “in continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”. B. era all’oscuro dell’attività corruttiva dei suoi legali (che non assistevano la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocatiMezzanotte, Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: aveva – scrivono i giudici – “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”. Quando De Benedetti, sconfitto dalla banda Previti-Metta & C, accettò la transazione Ciarrapico per recuperare almeno parte del maltolto, si verificò un fatto inspiegabile: B. si oppose con foga al tentativo – assolutamente normale – della Cir di accennare, nel preambolo dell’accordo, alla sentenza che aveva appena annullato il lodo. Perché mai non voleva firmare un atto che facesse riferimento alla sentenza Metta? Perché – deduce la Corte – era “a conoscenza dell’inquinamento metodologico a monte determinato dall’intervenuta corruzione del giudice”. Alla fine i giudici citano la testimonianza “pienamente attendibile” della Ariosto, cui Previti aveva confidato “probabilmente nel luglio 1991 di essere stato lui a vincere la guerra di Segrate, e non Dotti”. Anche i giudici d’appello definiscono Berlusconi il “privato corruttore”. Ma, diversamente dai loro colleghi che avevano disposto il rinvio a giudizio, stabiliscono che Previti, Pacifico e Acampora non concorrono nel reato del giudice Metta, bensì in quello del “privato corruttore”, cioè di B.: “L’attività degli extranei nella consegna del compenso illecito si sostituisce a una condotta, che, altrimenti, sarebbe giocoforza posta in essere, in via diretta, dal privato interessato… La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”. In pratica i tre avvocati Fininvest agirono come intermediari di B. che li incaricò di pagare Metta e, in seguito alla sentenza comprata, s’intascò la Mondadori. Essi, diversamente da lui, non meritano le attenuanti generiche, “non ravvisandosi alcun elemento positivo per attenuare il trattamento sanzionatorio”. E questo per “l’enorme gravità del reato [e per] la gravità del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità, minando i principi posti alla base della convivenza civile secondo i quali la giurisdizione è valore a presidio e a tutela di tutti i cittadini con conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte nella causa civile e per le ricadute nel sistema editoriale italiano, trattandosi di controversia (la cosiddetta guerra di Segrate) finalizzata al controllo dei mezzi di informazione; [per] la spiccata intensità del dolo; [per] i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente”.

I DANNI
La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato azionario”. Danni da quantificare in separata sede civile. Il 13 luglio 2007 la II sezione penale della Cassazione mette il timbro finale al caso, confermando in toto la sentenza d’appello-bis. La vicenda – scrivono i giudici – “coinvolgente la Fininvest, fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris”, cioè del “mercimonio” della sentenza Metta, non ammette attenuanti: per “l’elevata gravità del reato e del relativo danno, l’intensità del dolo, i motivi a delinquere e i comportamenti processuali” caratterizzati da “mendacio”. A quel punto la Cir, con gli avvocati Giuliano Pisapia ed Elisabetta Rubini, chiede alla Fininvest 1 miliardo di euro di danni. Nel 2009 il Tribunale civile di Milano condanna B. e Fininvest a risarcire Cir con 750 milioni. Il giudice Raimondo Mesiano viene pedinato e linciato da Canale5 e dalla stampa Mondadori, addirittura perché porta i calzini turchesi. La Fininvest e B., diversamente da chiunque altro perda una causa civile, ottengono una sospensiva dell’immediata esecutorietà della sentenza: depositano una fidejussione e non pagano, in attesa dell’appello. Ora che la sentenza di secondo grado è alle porte, un codicillo nascosto nella manovra finanziaria li esenta dal pagare anche se perdono in appello. È il“partito degli onesti”.