martedì 5 luglio 2011

Il software intelligente di Palazzo Chigi. Alessandro Gilioli


berforma2

Guardate che ormai è il teatro dell’assurdo, anche se gli effetti sono irresistibilmente comici.

Con quelle tre righine infilate di nascosto nella manovra per salvare il conto in banca del capo, gli occhiuti esperti del Quirinale che le scovano e le passano ai giornali, il ministro Tremonti che subito dice in giro che è stato Alfano, ma Alfano sostiene che lui invece non c’entra nulla, poi perfino Ghedini (Ghedini!) si chiama fuori perché lui «non si occupa di procedura civile» e alla fine il più tonto di tutti – Frattini – ammette che in consiglio dei ministri non se n’era proprio parlato.

Insomma, è un comma venuto al mondo per partenogenesi, non l’ha scritto nessuno, è apparso da solo nella manovra, forse è la famosa causa incausata di Tommaso d’Aquino, o magari è il software di Palazzo Chigi che ormai fa le leggi ad personam senza più bisogno di apporto esterno, l’hanno programmato così nel 2008 e lui va avanti automaticamente fino a fine legislatura.

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/07/05/il-software-intelligente-di-palazzo-chigi/


Policlinico, concorso disabili: il trucco c'è e si vede.



Il Policlinico di Bari ha indetto un bando di concorso riservato ai diversamente abili, giusta la famosa legge regionale 68, in convenzione con la Provincia di Bari.

Uno dei requisiti per partecipare, oltre ovviamente alla diversabilità comprovata e certficata, è quello di essere iscritti al collocamento della Provincia di Bari, o se preferite, i servizi per l'Impiego, come s chiamano adesso. E per avere questo requisito è necessario essere residenti in provincia di Bari.

Orbene, negli ultimi giorni ci sono stati massicci e precipitosi cambi di residenza da tutte le altre province pugliesi, Salento compreso, e ad altrettanto precipitose iscrizioni al collocamento di Bari, con l'unico scopo di poter partecipare al Concorso. Fare un controllo è facile e la cosa non dovrebbe essere assolutamente permessa, perchè la cosa andrebbe innanzitutto a danno dei veri residenti diversamente abili e poi perchè si falserebbero comunque i numeri autentici del bisogno lavorativo delle caegorie protette in provincia di Bari.

Abbiamo segnalato la cosa all'Assessore provinciale al Lavoro Pino Quarto che ci ha promesso un interessamento ad horas. Vi terremo informati.


http://www.go-bari.it/notizie/cronaca/3098-policlinico-concorso-disabili-il-trucco-ce-e-si-vede.html



Mondadori, storia di una sentenza comprata. - Marco Travaglio


Nel 1991 la Corte d'appello annulla il Lodo arbitrale e sfila il primo gruppo editoriale italiano al patron dell'Espresso. Il corruttore è Cesare Previti che, con gli avvocati Pacifico e Acampora, pagò il giudice Vittorio Metta.


Che la sentenza Mondadori del 1991 che annullò il Lodo arbitrale e sfilò il primo gruppo editoriale italiano a Carlo De Benedetti consegnandolo aSilvio Berlusconi fosse comprata, dovrebbero saperlo tutti. Il corruttore si chiama Cesare Previtiche, assieme agli avvocati Attilio Pacifico eGiovanni Acampora, pagò il giudice Vittorio Mettaper conto di B. e con denaro della Fininvest di B., utilizzatore finale del mercimonio criminale. Da vent’anni dunque il presidente del Consiglio possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali, usandoli per accumulare utili e consensi. Ma non vuole saperne di restituire il maltolto. Un po’ di storia.

IL LODO
Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni diLeonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”. De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio 1991. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre del 1989, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anti-craxiano a quello filo-craxiano. La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno 1990, dà ragione all’Ingegnere: il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare a lui. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, assieme ai Formenton, impugna il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta daArnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio 1991. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L’Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce – testimonierà De Benedetti – che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”. Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni.Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest.

I SOLDI
Indagando dal 1995 sulle rivelazioni della Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre un fiume di denaro dai conti esteri Fininvest a quelli degli avvocati del gruppo e da questi, in contanti, a Metta. Il 14 febbraio ‘91 dalle casse All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto “Mercier” di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto “Careliza Trade” di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto “Pavoncella” di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, Metta. Il giudice, nei mesi successivi, acquista e ristruttura un appartamento per la figlia Sabrina e compra una nuova auto Bmw, il tutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni). Poi lascia la magistratura, diventa avvocato e dove va a lavorare con la figlia Sabrina? Allo studio Previti, naturalmente. Al processo, Previti giustificherà quei 3 miliardi Fininvest in Svizzera come “tranquillissime parcelle”, ma non riuscirà a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentiranno pure Acampora e Pacifico. E così Metta, che tenterà di spacciare l’improvvisa liquidità per un’eredità. L’ex giudice giurerà di aver conosciuto Previti solo nel ‘94, ma i pm Boccassini e Colombo scopriranno telefonate fra i due già nel 1992-‘93.
Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio 1991: il giorno dopo la camera di consiglio. Un’impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava due-tre mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che qualcuno l’aveva scritta prima che la Corte decidesse.

IL PROCESSO
Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello accoglie il ricorso della Procura e li rinvia a giudizio tutti, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sì e agli altri no? Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l’applicazione” delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è “ragionevole” e “logico” che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un fatto tecnico come le attenuanti “per la condotta di vita successiva all’ipotizzato delitto” giustifica le attenuanti ad personam. Anziché rinunciare alla prescrizione per essere assolto nel merito, B. prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (comma 2 art. 530) per Mondadori. Nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina un nuovo appello che condanni pure per Mondadori.

LA SENTENZA
Il 23 febbraio 2007, in Corte d’appello, Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, “in continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”. B. era all’oscuro dell’attività corruttiva dei suoi legali (che non assistevano la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocatiMezzanotte, Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: aveva – scrivono i giudici – “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”. Quando De Benedetti, sconfitto dalla banda Previti-Metta & C, accettò la transazione Ciarrapico per recuperare almeno parte del maltolto, si verificò un fatto inspiegabile: B. si oppose con foga al tentativo – assolutamente normale – della Cir di accennare, nel preambolo dell’accordo, alla sentenza che aveva appena annullato il lodo. Perché mai non voleva firmare un atto che facesse riferimento alla sentenza Metta? Perché – deduce la Corte – era “a conoscenza dell’inquinamento metodologico a monte determinato dall’intervenuta corruzione del giudice”. Alla fine i giudici citano la testimonianza “pienamente attendibile” della Ariosto, cui Previti aveva confidato “probabilmente nel luglio 1991 di essere stato lui a vincere la guerra di Segrate, e non Dotti”. Anche i giudici d’appello definiscono Berlusconi il “privato corruttore”. Ma, diversamente dai loro colleghi che avevano disposto il rinvio a giudizio, stabiliscono che Previti, Pacifico e Acampora non concorrono nel reato del giudice Metta, bensì in quello del “privato corruttore”, cioè di B.: “L’attività degli extranei nella consegna del compenso illecito si sostituisce a una condotta, che, altrimenti, sarebbe giocoforza posta in essere, in via diretta, dal privato interessato… La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”. In pratica i tre avvocati Fininvest agirono come intermediari di B. che li incaricò di pagare Metta e, in seguito alla sentenza comprata, s’intascò la Mondadori. Essi, diversamente da lui, non meritano le attenuanti generiche, “non ravvisandosi alcun elemento positivo per attenuare il trattamento sanzionatorio”. E questo per “l’enorme gravità del reato [e per] la gravità del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità, minando i principi posti alla base della convivenza civile secondo i quali la giurisdizione è valore a presidio e a tutela di tutti i cittadini con conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte nella causa civile e per le ricadute nel sistema editoriale italiano, trattandosi di controversia (la cosiddetta guerra di Segrate) finalizzata al controllo dei mezzi di informazione; [per] la spiccata intensità del dolo; [per] i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente”.

I DANNI
La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato azionario”. Danni da quantificare in separata sede civile. Il 13 luglio 2007 la II sezione penale della Cassazione mette il timbro finale al caso, confermando in toto la sentenza d’appello-bis. La vicenda – scrivono i giudici – “coinvolgente la Fininvest, fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris”, cioè del “mercimonio” della sentenza Metta, non ammette attenuanti: per “l’elevata gravità del reato e del relativo danno, l’intensità del dolo, i motivi a delinquere e i comportamenti processuali” caratterizzati da “mendacio”. A quel punto la Cir, con gli avvocati Giuliano Pisapia ed Elisabetta Rubini, chiede alla Fininvest 1 miliardo di euro di danni. Nel 2009 il Tribunale civile di Milano condanna B. e Fininvest a risarcire Cir con 750 milioni. Il giudice Raimondo Mesiano viene pedinato e linciato da Canale5 e dalla stampa Mondadori, addirittura perché porta i calzini turchesi. La Fininvest e B., diversamente da chiunque altro perda una causa civile, ottengono una sospensiva dell’immediata esecutorietà della sentenza: depositano una fidejussione e non pagano, in attesa dell’appello. Ora che la sentenza di secondo grado è alle porte, un codicillo nascosto nella manovra finanziaria li esenta dal pagare anche se perdono in appello. È il“partito degli onesti”.



Così è se vi pare ed anche se non vi pare.



Con la nuova manovra economica correttiva il governo ha salvaguardato l'uomo più ricco d'Italia, non ha ritoccato le aliquote d'imposta sulle rendite, ha preferito taglieggiare le pensioni da lavoro. Per noi comuni mortali solo "sacrifici ad personam", per i possidenti "leggi pro domo sua".

"Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole...e più non dimandare". (Dante)


Rifiuti: Bonelli, Lega dice no? Campania rimandi a Bossi quelli tossici.


Roma, 30 giu. - (Adnkronos) - ''A questo punto la Campania rispedisca a Bossi e ai leghisti i tir di rifiuti tossici e nocivi sversati illegalmente in territorio campano". E' quanto afferma il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, che spiega: ''Il 'no' della Lega al decreto sull'emergenza rifiuti dimostra che il Carroccio ha una concezione della solidarieta' a 'regioni alterne': quando si e' trattato dell'alluvione in Veneto la solidarieta' nazionale doveva esserci; quando, invece, riguarda la drammatica situazione dei cittadini campani, che vivono il dramma di un'emergenza mai risolta nonostante anni e anni di promesse fatte da Berlusconi, 'No'''.


Rifiuti tossici dal Veneto alla Campania

Li spacciavano come rifiuti non pericolosi e li spedivano a Napoli e Caserta. Invece erano migliaia di tonnellate di amianto, solfuri, idrocarburi, trattati in modo illecito a Venezia, e spediti in discariche di mezza Italia, soprattutto in Campania. Il tribunale di Venezia ha scoperto un traffico illecito di rifiuti: una ditta veneta grazie a strane miscele, codici truccati e carte d' accompagnamento falsificate, "smaltiva" illecitamente tonnellate di rifiuti ad alto rischio nella già martoriata Campania. Condannate ieri quattro persone, tra responsabili ed addetti di due società, a poco meno di 13 anni complessivi di carcere. L' inchiesta condotta dai carabinieri del nucleo ambientale coordinati da magistrato Giorgio Gava, ha riguardato l' attività ritenuta illecita della Nuova Esa di Marcon (Venezia) e della Servizi Costieri di Mestre (Venezia). Il collegio presieduto da Sergio Trentanovi ha condannato Gianni Giommi, legale rappresentante della Nuova Esa, a sei anni, e, per l' attività della Servizi Costieri, Carlo Valle a tre anni e quattro mesi, Giuliano Gottard a due anni e tre mesi e Gianni Gardenal ad un anno e 11 mesi, pena sospesa. I quattro sono stati condannati anche al ripristino dello stato dell' ambiente mentre a vario titolo dovranno risarcire le parti civili, tra comuni, enti ed associazioni, per una somma che si aggira intorno al mezzo milione di euro. In particolare ogni cittadino del comune di Marcon, dove la Nuova Esa ha sede e stoccava rifiuti tossici, che si è costituito parte civile dovrà essere risarcito con una cifra pari a 2000 euro. Secondo quanto ricostruito dal pm Gava (aveva chiesto pene leggermente più miti) i quattro avevano organizzato un traffico di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici, spacciati per innocui, da smaltire in discariche di mezza Italia. Per farlo, tra l' altro, avevano miscelato diverse tipologie di rifiuti in modo illegale modificandone i codici di riconoscimento. I rifiuti tossici trattati dalla Nuova Esa e stoccati dalla Servizi Costieri, sono finiti, tra l' altro, a Bacoli, dove dell' alluminio è finito in una normale discarica, ad Acerra, dove un terreno è stato inquinato da idrocarburi; mentre a Modugno (Bari) sono finite 61 tonnellate di solfuri, a Bomarzo (Viterbo) due tonellate di rifiuti vari e a Paese (Treviso) è stato trovato dell' amianto. Il pm Gava è riuscito a ricostruire anche la spedizione illecita di 270 tonnellate di amianto in Germania e l' utilizzo improprio di decine di discariche come quelle di Roncade (Treviso), San Martino Buonalbergo (Verona), Giugliano (Napoli), Graffignano (Viterbo), Campomarino (Campobasso) e Castrellazzo Bormida (Alessandria).




Manovra, il Quirinale spiazzato "Non ne sapevamo nulla"

Crescono i dubbi sulla possibilità che Napolitano firmi il decreto.

ROMA
Spiazzati. E irritatissimi. Al Quirinale la scoperta di una norma che consente alla Fininvest di rinviare il maxiindennizzo dovuto alla Cir di Carlo De Benedetti per l’affaire Mondadori non è piaciuta affatto. Nei giorni scorsi, infatti, dopo aver appreso che nella prima bozza della manovra il governo intendeva inserire misure riguardanti la giustizia, dal Colle era iniziato un intenso pressing nei confronti del governo. Con l’esplicita richiesta di fare grande attenzione, ovviamente di non forzare la mano e di lasciar fuori dal decreto ogni provvedimento che non avesse a che fare con l’aggiustamento dei conti. Tra le altre cose erano state ipotizzate norme sul processo breve, che avevano visto salire subito sulle barricate l’opposizione (a cominciare da Di Pietro), ma poi l’esecutivo aveva lasciato perdere. Segno che i suggerimenti erano serviti a qualche cosa.

Lo stupore ieri dei consiglieri di Napolitano è stato ancora più grande nello scovare in coda all’articolo 37 del decreto il codicillo pro Berlusconi. Negli ultimi giorni, infatti, nelle varie bozze della manovra scritte, smontate e poi riscritte nel corso dei vari vertici e poi approdate al Consiglio dei ministri di giovedì non c’era traccia di questo tipo di interventi. E peraltro ieri, quando dopo mezzogiorno il testo «finale» è stato recapitato al Quirinale, nessuno si è premurato di avvisare di queste ultime novità.

Il problema, tra la sorpresa generale, è scoppiato nel primo pomeriggio quando quasi in contemporanea il famigerato comma 23, con le modifiche al Codice di procedura civile, è finito sotto la lente degli esperti del Quirinale e dell’ufficio legale di Confindustria. Che proprio al Quirinale si sarebbe rivolto per chiedere lumi sulla novità, mentre il sito del «Sole 24 Ore», il quotidiano di casa, lanciava per primo la notizia del blitz pro Fininvest. Per tutti si trattava di un «intervento incomprensibile».

Ieri sera fonti della Presidenza della Repubblica hanno fatto sapere che, come sempre avviene in questi casi, su tutto il decreto «com’è naturale, si riserva tutto il tempo necessario per fare un attento e scrupoloso esame di tutti gli aspetti della manovra economica» all’insegna del principio di leale collaborazione che contraddistingue i rapporti col governo su tutta la materia legislativa.

In realtà sul comma salva-Fininvest la verifica sarà ancora più scrupolosa. Gli uffici del Quirinale, infatti, intendono verificarne innanzitutto la ragion d’essere, la consistenza tecnica e quindi la collocazione nell’articolato complessivo del decreto. Verrà valutata la necessità o no di adottare un provvedimento del genere, come pure l’urgenza di procedere attraverso lo strumento del decreto, che una volta siglato dal Capo dello Stato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale diventa immediatamente esecutivo. Infine sarà analizzata con grande attenzione l’omogeneità di una misura del genere col resto della manovra. Il giudizio finale sembra quasi già scritto. Come si concilia il rinvio all’ultimogrado di giudizio del pagamento di una sanzione con indicazioni che dovrebbero riguardare «Disposizioni per lo sviluppo» (questo il titolo sotto cui sono inquadrate le misure sulla giustizia) e un articolo intitolato «Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie»? Stando all’opposizione e ai magistrati dell’Anm il comma 23 «è incostituzionale». Al Quirinale non si spingono a tanto, ma è evidente che sarà molto difficile dare il via libera a una misura di questo tipo.



Holding di governo. - Massimo Giannini.



Ormai in conclamata agonia politica, tenuto artificialmente in vita dai "medici" irresponsabili guidati dal leggendario Scilipoti, il governo Berlusconi ha trovato la forza per l'ultimo strappo. Veicolata dalla stangata a orologeria da 47 miliardi congegnata da Tremonti, arriva un'altra legge ad aziendam, 1 costruita a misura delle esigenze questa volta non della persona fisica Berlusconi, ma della persona giuridica Fininvest. Una norma del nuovo processo civile consente al legislatore di sospendere l'esecutività delle sentenze di risarcimento, in primo o in secondo grado, fino alla pronuncia della Cassazione.

Una fattispecie giuridica ritagliata alla perfezione per la holding del premier, sulla quale pende proprio questa settimana il verdetto del giudice di secondo grado, a proposito del maxi-risarcimento dovuto alla Cir per la vicenda del Lodo Mondadori. Grazie al codicillo infilato nottetempo nel decreto che dovrebbe risanare i conti pubblici italiani, dunque, la Fininvest sarà legittimata a non versare un euro di indennizzo alla sua controparte, qualunque sia la somma che i giudici di Milano riterranno opportuna a titolo di risarcimento, per le sentenze a suo tempo comprate dal Cavaliere e dai suoi uomini durante la cosiddetta Guerra di Segrate. In primo grado questa somma era stata quantificata in 750 milioni di euro. In appello potrebbe ridursi, ma non di molto. E dunque potrebbe pesare in modo esiziale sui conti Fininvest, e dunque sul portafoglio della famiglia Berlusconi.

Ecco spiegato l'audace colpo dei soliti noti. Un'altra legge ad aziendam, e il gioco è fatto. Ora si capisce anche perché nei giorni scorsi, al momento di presentare il bilancio della holding, i manager Fininvest avevano annunciato di non aver messo in conto nessun accantonamento, a copertura dell'eventuale risarcimento. Evidentemente il braccio armato aziendale sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno, perché il braccio armato politico stava nel frattempo lavorando per difendere, come sempre, i nobili interessi del premier.

Siamo al consueto, vergognoso e intollerabile rito di una democrazia sotto sequestro e sotto ricatto, piegata ai bisogni di un singolo e umiliata nei suoi valori collettivi. Con questo blitz di una maggioranza screditata e soggiogata, arriviamo all'ennesima legge ad personam, da quando il Cavaliere fece la sua mitica discesa in campo nel 1994. Questa volta il beneficiario è diverso solo nella forma, l'azienda. Ma nella sostanza, è ancora lui, il presidente del Consiglio, che usa la sua funzione per distorcere il codice e abusa della sua posizione per violentare lo Stato di diritto. E quello che è più grave è che non può più farlo fingendo di avere con sè il suo popolo che lo acclama. Gli italiani, persino quelli che lo hanno seguito entusiasti nella folle avventura di questo quasi Ventennio, hanno cominciato a voltargli le spalle. Hanno capito, finalmente, che l'unica "ditta" per la quale il premier ha lavorato e lavora non è l'Italia, ma è la sua.