mercoledì 13 luglio 2011

Costi della politica italiana? 23 miliardi, come mezza Finanziaria.


Costo della politica italiana alle stelle: per la Camera spendimo 150mila euro al giorno

La politica in Italia costa oltre 23 miliardi di euro all’anno, secondo i dati del Sole 24Ore. Praticamente mezza manovra Tremonti.
Il ministro dell’Economia ha così deciso di tagliare qualcosa, ma i tagli saranno effettivi solo dalla prossima legislatura del 2013: stipendi dimezzati dai circa 12 mila euro attuali a circa 5.300 della media europea.

Non saranno toccati i vitalizi: al momento si contano 2.238 vitalizi per ex parlamentari e consiglieri regionali. Solo per Camera e Senato il conto è di 218 milioni l’anno.
A toccare i vitalizi ci aveva provato nel 2010 il deputato Idv Antonio Borghesi, che propose un taglio del 60%. Con 498 voti contrari la Camera respinse.

Rimborsi elettorali: il finanziamento pubblico che era stato eliminato nel 1993 con referendum e che è rientrato dalla finestra nel 1994 con una legge dovrà essere tagliato.
Tremonti vuole un taglio del 10%, per un 30% in 4 anni.
In realtà è davvero poco: si pensi che in Germania un voto dà diritto ad un rimborso di 85 centesimi. In Italia, anche dopo i tagli, un voto varrà sempre 3,5 euro.

Parlamento: Camera e Senato per funzionare costano 1,7 miliardi di euro l’anno. Non sono previsti tagli imminenti. Secondo il Sole 24Ore tutte le voci di spesa ammontano a 144 milioni per le indennità, 96 per i rimborsi spese, 218 per i vitalizi e 45,5 per affitti, manutenzioni e personale.
Aggiungiamo 21,3 miliardi di spese varie (auto blu per le quali la manovra ha puntato su un tetto per le cilindrate di quelle nuove, una decina di miliardi per enti territoriali, 2,5 miliardi per i cda delle partecipate, 2,5 miliardi per le consulenze esterne, ecc…)




La manovra taglia i volontari: aumentano solo nella Misericordia di Giovanardi.



La manovra del governo lacrime e sangue mette in crisi anche chi lavora sulle ambulanze: l'unica società che aumenta il personale in Emilia Romagna è quella presieduta dal fratello del sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Nessun volontario di servizio civile per la Croce Blu e per l’Admo di Modena, ma ben dieci per la confraternita della Misericordia presieduta da Daniele Giovanardi, fratello del più noto Carlo, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Questi i risultati della nuova assegnazione di volontari per enti ed associazioni che ne hanno fatto richiesta al Comune di Modena tra il 2010-2011.

E a sollevare l’evidente discrasia numerica pro fratelli Giovanardi è stato Paolo Trande (ex direttore sanitario della Croce Blu), oggi capogruppo del Partito Democratico al Comune di Modena, che non smorza i toni di una polemica che investe il capoluogo emiliano ipotizzando il coinvolgimento diGiovanardi: “Se così fosse, sarebbe una cosa davvero bassa e meschina”.

La minuta truppa dei giovani volontari che quest’anno sono stati arruolati a Modena (solo 53 contro i 74 del 2010 e gli 84 del 2009) è stata distribuita tra enti e associazioni a seconda dei progetti presentati in consiglio comunale.

Anche se molti enti si sono visti ridurre il numero dei volontari assegnati, a causa del taglio dei finanziamenti statali. L’amministrazione comunale, ad esempio, è passata dai 38 volontari dell’anno scorso, a 16. I più fortunati sono riusciti a mantenerne il numero dell’anno scorso (come l’Associazione italiana sclerosi multipla, che ha conservato i suoi tre volontari) o addirittura a guadagnarne qualcuno in più come la Caritas diocesana che è passata da 11 a 13.

La fetta più generosa è però andata alla confraternita di Giovanardi, che oltre ai sei giovani dell’anno scorso, ne ha ottenuti altri quattro. Le uniche due associazioni che sono rimaste a bocca asciutta, invece, sono la Croce Blu, che ha perso tutti i 12 volontari di servizio civile assegnati l’anno scorso, e l’Admo, che si è vista azzerare gli unici due posti che aveva.

Naturalmente penso sia del tutto casuale che il presidente della Confraternita sia il fratello del ministro preposto”, osserva Trande. Tra le sue deleghe di sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, Carlo Giovanardi detiene anche quella al servizio civile.

“I dati dicono questo”, continua Trande, “che la Misericordia aumenta di quattro e la Croce Blu viene letteralmente messa in ginocchio”. Dall’altra parte, Daniele Giovanardi bolla l’accusa come “ridicola” e sottolinea invece come sia stata premiata “la qualità della proposta” avanzata dalla confraternita.

I volontari del servizio civile non percepiscono una retribuzione, ma un rimborso spese, irrisorio certo (poco più di 400 euro), pagato con i fondi stanziati dallo Stato. In sostanza le associazioni di volontariato presentano un progetto, con relativa richiesta di volontari, successivamente approvato o meno dal dipartimento delle politiche per la famiglia, presieduto da Carlo Giovanardi. I volontari pertanto sono “smistati” nelle diverse associazioni di volontariato, ma pagati direttamente dal dipartimento statale su un conto corrente dedicato.

“La riduzione dei fondi – spiega Trande – è stata notevole. Negli ultimi cinque anni il finanziamento statale per il servizio civile nazionale è diminuito di oltre il 60%, passando dai 50.000 giovani coinvolti nel 2007 ai 20.000 del 2010. Il problema è dunque che tale riduzione non è stata distribuita in modo uniforme, ma disomogenea tra gli enti che utilizzano i volontari. Certo non ho elementi per dire se sia un caso o meno che il dipartimento che accetta i progetti e decide la ripartizione dei volontari sia presieduto da Giovanardi, quello che so è che la Croce Blu li diminuisce e la Misericordia li aumenta, pur svolgendo lo stesso servizio”.

Si parla di quegli stessi fondi per i quali Carlo Giovanardi minacciò, lo scorso marzo, le dimissioni,ricevendo la promessa dal premier Silvio Berlusconi di ottenere il reintegro delle risorse, quelle che il ministro dell’economia Giulio Tremonti gli aveva sottratto.

In tempi di cure dimagranti come quelle attuali, pensare ad aumenti dei fondi statali risulta impensabile. Ma a rincarare la dose è la direttrice della Misericordia di Modena e Bologna, Anna Maria Lombardo: “Abbiamo presentato un progetto che, basandosi sui dati di Asl e di vari osservatori, si è voluto incentrare sull’accompagnamento degli anziani alle visite sanitarie. Abbiamo così ridotto notevolmente i tempi di attesa e agiamo a servizio della cittadinanza. Non siamo gli unici ad aver ottenuto aumenti di volontari. Trande dovrebbe leggersi bene gli elenchi prima di lasciarsi andare a questo tipo di accuse”.

Elena Boromeo e
Felicia Buonomo



P.A., l’esercito dei vincitori di concorso ma disoccupati da anni.


Sono 100mila i vincitori di concorsi nella Pubblica amministrazione che, negli ultimi 10 anni, attendono ancora di essere chiamati in servizio. Alcuni in ruoli chiave, come le decine di psicologi che hanno vinto un impiego per lavorare nelle carceri. E poi i casi beffa, come i 107 funzionari ancora non assunti dall'Ice (Istituto per il commercio estero) e appena soppresso da Tremonti.

In Italia c’è una macchina che funziona benissimo: è quella dei concorsifici. Muove un giro d’affari da 3 miliardi di euro l’anno, tutto a carico delle amministrazioni pubbliche che devono pagare commissioni, società esterne di consulenza e affitti per le sedi di esame. Funziona così bene che solo nel 2010 sono stati banditi da ministeri, enti locali, previdenziali e di ricerca, e amministrazioni provinciali e comunali oltre 7 mila concorsi.

Peccato che – secondo la Cgil – ci siano già circa 100mila tra vincitori e idonei a concorsi nella P.A. pubblicati negli ultimi 10 anni che attendono di essere chiamati in servizio. Insomma, persone che hanno festeggiato un’assunzione mai arrivata, perché ogni anno nella manovra finanziaria viene inserito il blocco del turnover. Anche la legge varata l’altro ieri ha stoppato le assunzioni fino al2014. Così, se da un lato, il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, annuncia l’esubero di 300mila lavoratori nel comparto pubblico, dall’altro, però, non ferma la stessa Funzione Pubblica che continua a concedere l’autorizzazione a concorsi che sfornano nuovi vincitori precari.

Storie paradossali che andranno ad aggiungersi a quelle che già popolano il Comitato XXVII ottobreche riunisce vincitori e idonei di pubblico concorso ancora in attesa di assunzione.

Come quella che ci ha raccontato Maria Cristina Tomaselli. “A maggio del 2004 – dice – il ministero di Grazia e Giustizia bandisce un concorso per 39 psicologi da assegnare negli istituti penitenziari”. Maria Cristina supera la prova preselettiva nella quale si presentano in 3mila, poi altri due scritti e infine l’orale. “Nel 2006 – continua – arriva la notizia che ti cambia la vita: ‘ho vinto’. Una gioia immensa che, purtroppo, svanisce poco dopo, quando noi vincitori scopriamo di non poter essere assunti per carenza di fondi”. Nel 2008 la beffa: la responsabilità delle assunzioni passa tutta al ministero della Salute, quindi alle Asl che, tuttavia per legge, non sono obbligate a chiamarli. “Lo sconforto – spiega Maria Cristina – diventa tale da pensare che il futuro sia solo nero”. I 39 vincitori decidono, quindi, di ricorrere al Tribunale del Lavoro di Roma che a maggio 2010 gli dà ragione, obbligando il ministero ad assumerli. Ma non c’è tempo per esultare, perché, dice la psicologa, “assurdo dell’assurdo, il ministero ricorre in appello e come unico contentino, dall’anno scorso, ci fa svolgere lo stesso lavoro con un contratto a progetto, di 45 ore mensili per 650 euro lordi”. Così mentre in Italia si muore di carcere, con le strutture vicine al collasso, lungo lo Stivale ci sono solamente 16 psicologi di ruolo e appena 450 che collaborano come consulenti esterni.

Altra situazione inverosimile è quella dei vincitori dell’Ice, l’Istituto del commercio estero che – nonostante fosse già nell’aria la sua soppressione, nel 2008 pubblica un bando per 107 posti. Si presentano in 15mila, tra cui Cinzia Nannipieri, trentenne laureata in Scienze Politiche e Master in Relazioni Internazionali. “Abbiamo svolto tre prove, ci ha raccontato. Lo scritto nel 2009 e l’orale agli inizi del 2010. Uscita la graduatoria, a stento credo ai miei occhi: sono arrivata 65°. Sono tra le vincitrici”.

Ma anche in questa storia, i vincitori non fanno in tempo a stappare lo spumante, perché il ministroTremonti all’inizio del 2010 prevede il taglio degli enti ritenuti inutili, tra cui quello proprio sull’attività di promozione delle imprese italiane all’estero. Ed anche se lo scorso anno l’istituto continua, comunque, a rimanere a galla, l’avvertimento del responsabile del personale dell’Ice è chiaro: “Sarete assunti da qui a 10 anni”. Una flebile speranza che è naufragata definitivamente in queste ore, visto che la manovra economica ha soppresso l’Ice, con gli uffici all’estero inglobati nelle ambasciate e i dipendenti italiani riassorbiti al ministero dello Sviluppo. “Un sogno infranto che – ammette Cinzia – è costato sudore e tempo”. Ad aiutarli non è, quindi, bastata la lettera che i vincitori hanno scritto la scorsa settimana al presidente delle Repubblica Napolitano chiedendogli “di lottare insieme”.

Ora la speranza per i 107 dell’Ice e per tutti i vincitori e idonei di concorso è riposta nelle mani del Comitato Ristretto della Commissione Lavoro che ha il compito esaminare e accorpare i tre progetti di legge presentati da tre parlamentari: Cesare Damiano (Pd), Antonio Di Pietro (Idv) e GiulianoCazzola (Pdl) che propongono il prolungamento della scadenza dei concorsi al 2013 e l’obbligo per le amministrazioni di pescare nel bacino dei vincitori prima di indire un nuovo bando.

“Proposte che, secondo Damiano – interpellato da ilfattoquotidiano.it – hanno una chance di attuazione. Ma con questo governo è impossibile sbloccare le assunzioni. Intanto la mia richiesta di conoscere le sorti dei vincitori dell’Ice non ha ancora ottenuto risposta”.

di Patrizia De Rubertis e Clemente Nazzaro




Tremonti e Napolitano blindano la manovra Sì dall’opposizione: “Ma dopo governo a casa”. - di Davide Vecchi


La legge sarà approvata giovedì al Senato e venerdì alla Camera. L'opposizione, che ha incontrato il ministro dell'Economia, ha garantito che non farà ostruzionismo ma il Pd invoca le dimissioni dell'esecutivo.


Giulio Tremonti e Giorgio Napolitano. Il tandem che ha (temporaneamente) portato fuori dalla crisi Piazza Affari e il Paese si è formato quasi per caso, ed esclusivamente per necessità, in mattinata: a Presidente del Consiglio latitante (ha disertato persino la conferenza stampa del Milan), con gli indici della Borsa ancora in caduta libera e i premier d’Europa “stupiti” dall’immobilismo del governo, la manovra finanziaria in alto mare e il rischio di un emendamento salva Fininvest. Il ministro dell’Economia, spronato anche dai colleghi dell’Eurofin con lui riuniti a Bruxelles, in mattinata ha lasciato il vertice per rientrare a Roma: “Vado a chiudere i Bilanci dello Stato”. Ed è bastato l’annuncio per “calmare” Piazza Affari. Intanto il Capo dello Stato incontrava i leader dell’opposizione, come Giorgio La Malfa, per ribadire personalmente l’invito già lanciato due volte nei giorni scorsi alla condivisione e alla responsabilità. Napolitano, inoltre, ha contattato i presidenti dei due rami del Parlamento per sollecitarli ad abbreviare i tempi dell’approvazione della manovra. Così, quando Renato Schifani ha annunciato che il testo potrà essere votato a Palazzo Madama già giovedì e Gianfranco Fini ha convocato per domani la capigruppo così da pianificare il lavoro della Camera immediatamente dopo il passaggio al Senato, Piazza Affari ha invertito la tendenza. E’ la conferma, per dirla con Pier Carlo Padoan, vicesegretario generale Ocse, “che i mercati vogliono risposte dalla politica. E questo vale sia per l’Italia che per l’Europa”.

Ma la risposta politica non è arrivata dal presidente del Consiglio. Ma dal Capo dello Stato e dal titolare dell’economia. E’ stato sempre Tremonti, nel pomeriggio, a partecipare a un vertice di maggioranza e a incontrare poi i rappresentanti dell’opposizione incassando la disponibilità a non intralciare i passaggi in aula della manovra. Tremonti ha ricevuto e discusso gli emendamenti che l’opposizione intende presentare, accogliendone alcuni. Domani incontrerà anche le autonomia locali. In tutto questo Silvio Berlusconi è rimasto in totale e assoluto silenzio. Soltanto con una nota nel primo pomeriggio si è palesato, dopo una settimana di latitanza. ”Uniti e coesi nell’interesse comune” perché la crisi “minaccia tutti”, recita la nota di Palazzo Chigi.

Berlusconi non aveva reagito neanche alla telefonata di Angela Merkel che gli ha chiesto di abbreviare i tempi di approvazione della manovra, che ha già perso sui mercati un terzo del suo valore. Lo ha riconosciuto anche il ministro Ferruccio Fazio: “Questa manovra è già stata bruciata”. E se il cancellerie tedesco è arrivato a telefonare al poco stimato Presidente del Consiglio significa che la situazione, vista da oltralpe, è a dir poco grave: un Paese senza guida, abbandonato. “E’ incredibile che non ci siano state reazioni da parte del governo”, commenta facilmente Romano Prodi. E di fatto Silvio Berlusconi era chiuso nel silenzio da una settimana. Piazza Affari continuava a registrare record in negativo e sabato il premier ha lasciato Roma per raggiungere la Sardegna e trascorrere il fine settimana a Villa Certosa. E sarebbe riapparso soltanto questa mattina. Ma non a Bruxelles, dove è in corso la riunione dell’Ecofin, o a Palazzo Chigi per accelerare l’approvazione della manovra finanziaria, ma alla conferenza stampa del Milan. Così Merkel ha telefonato al Cavaliere prima e ha poi spronato a un intervento anche Giulio Tremonti.

Il ministro dell’economia è riuscito, come detto in tandem con Napolitano, a blindare l’approvazione della manovra in tempi rapidi: già entro venerdì. Il Pd, con Anna Finocchiaro, ha garantito disponibilità a far passare il provvedimento sia in Senato sia alla Camera. Invocando però “le dimissioni del governo subito dopo”. Anche Romano Prodi concorda: “Ci vorranno alcuni punti in cui governo e opposizioni dovranno convergere. Una tregua ma non un governissimo, perché non reggerebbe un giorno. E’ necessario un momento di unità e di forza per reagire alle speculazioni. E’ così che l’Italia deve presentarsi”. Infine Rosy Bindi: “Il Paese ha bisogno di un governo autorevole e di una maggioranza seria. Invece abbiamo un governo truffaldino e una maggioranza rissosa che insieme hanno provocato un disastro economico e azzerato la credibilità dell’Italia”.



martedì 12 luglio 2011

Sì alla manovra, poi Berlusconi a casa. - di Massimo Giannini


Polis

Bentornati nel Club Med. Narcotizzati da tre anni di falsa propaganda "sviluppista", ci eravamo illusi di essere usciti definitivamente dal girone infernale dei "latinos", i Paesi reietti del Mezzogiorno di Eurolandia. E invece eccoci qui. In due sedute micidiali, il "venerdì nero" che ha chiuso la settimana scorsa e il "lunedì nero" che ha aperto quella in corso, siamo tornati nel mirino infallibile della speculazione. Lo "spread" sui tassi di interesse al record da quando esiste l'euro, la Borsa che brucia in un solo giorno un'altra ventina di miliardi. È il temuto effetto-domino, l'estensione del morbo dei debiti sovrani che dalla Grecia (e dopo aver colpito l'Irlanda) si diffonde inesorabilmente al Portogallo, alla Spagna e ormai anche all'Italia.

Nel silenzio prolungato di Silvio Berlusconi, e in quello imbarazzato di Giulio Tremonti, parla a sproposito il ministro dello Sviluppo Romani, che dice: "Non c'è motivo di preoccuparsi, la speculazione contro l'Italia è basata sul nulla". Ancora una volta, un'approssimazione e un dilettantismo che fanno accapponare la pelle. Sostenere una tesi del genere equivale a non aver capito nulla di ciò che sta accadendo nei mercati e nel Paese.

Primo: c'è moltissimo da preoccuparsi. In gioco non c'è qualche spicciolo di guadagno per le banche d'affari. C'è invece il futuro dell'euro, perché se saltano Stati come la Spagna o l'Italia salta la moneta unica, e dunque va in malora un ventennio di storia europea, con tutto il buono che ne è derivato per i "volonterosi" che aderirono al sogno di Maastricht. E nelle leadership europee non sembra esserci consapevolezza della drammaticità della fase, che richiederebbe ben altre e più energiche reazioni. Lo stillicidio di polemiche e di rinvii sugli aiuti alla Grecia, per esempio, è stato un atto irrazionale e irresponsabile: come spargere sangue nel mare di un mercato infestato dagli squali della speculazione. Servirebbe una politica di aiuti imponenti, sul modello del Tarp americano, non solo ai Paesi periferici, ma anche al sistema bancario dell'eurozona, che comunque necessita di un rafforzamento patrimoniale. E invece si nicchia, si chiacchiera, si indugia.

Secondo: la speculazione contro l'Italia non è affatto basata sul nulla. Ha invece solidissime basi, che questo governo di apprendisti stregoni ha "costruito" in tre anni di non gestione della crisi. Sul piano tecnico, la manovra da 40 miliardi va approvata in fretta. Ma andrebbe anche rafforzata e anticipata, come chiedono la Banca d'Italia e la Confindustria, e come Repubblica aveva invocato subito dopo la sua finta approvazione in Consiglio dei ministri. Troppe misure incerte nella quantità. Troppe misure erratiche nella tempistica. Non si può affidare quasi la metà dell'intervento di risanamento a una legge delega fiscale e assistenziale di cui nessuno può oggi conoscere i tempi e i modi di attuazione. Ci saranno i margini per rinvigorire e rendere più sostenibile questa "stangata a orologeria", senza che nel frattempo le "locuste" non spolpino quel poco che è rimasto?

Sul piano politico, governo e maggioranza affondano nell'entropia e nell'ignavia. Un premier marchiato a fuoco da una sentenza che lo definisce ufficialmente "corruttore di giudici" non è e non può essere in grado di gestire credibilmente il caos che regna sotto di lui. Un ministro dell'Economia sul quale pendono sospetti e che teme di subire il cosiddetto "trattamento Boffo" non è e non può essere in grado di sostenere serenamente il compito immane che il momento difficilissimo vissuto dal Paese gli carica sulle spalle. Siamo all'epilogo della parabola berlusconiana. La telefonata della Merkel al premier è la conferma plastica di quanto andiamo ripetendo da tempo: il presidente del Consiglio italiano non conta più nulla, ed è ormai di fatto "commissariato" dalle cancellerie d'oltre frontiera. Il dramma è che nell'abisso rischia di finire non solo il Cavaliere, ma l'intera nazione. È un pericolo che va scongiurato. Le opposizioni si dimostrino all'altezza. Questa manovra deve passare in Parlamento il più presto possibile, per mettere in sicurezza l'impegno collettivo sul pareggio di bilancio. Ma un minuto dopo Berlusconi deve andare a casa. È ora di separare, finalmente, la biografia del Cavaliere da quella della nazione.




Paolo Flores d'Arcais.




Il fatto è che i signori della Casta non godono solo del privilegio di non poter essere arrestati senza il consenso dei loro compari (consenso che non arriva mai, ovviamente), ma anche di avere ogni ufficio, abitazione, auto, cassetta di sicurezza, linea e tabulato telefonico, trasformati in altrettanti tabù, quali che siano i sospetti di reati, anche gravissimi. L’immunità dei parlamentari non riguarda la sola libertà personale (che pure andrebbe tutelata esclusivamente rispetto al fumus persecutionis), ma qualsiasi prova, indizio, traccia delle loro malversazioni. Altro che “legge eguale per tutti”: a differenza del cittadino normale, che se delinque sa di correre qualche rischio di indagine, i signori della Casta sanno di vivere in un perpetuo “diritto d’asilo”, come il criminale di rango nelle cattedrali medievali: inavvicinabile dalla giustizia.
Questi mostruosi privilegi vanno abrogati, altrimenti parlare di questione morale diventa indecente cachinno. Con un referendum si può.

Paolo Flores d'Arcais - 12 luglio 2011 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano pdf


Testamento biologico: chi vuole rubarci la vita. - di Stefano Rodotà,





I moribondi di Palazzo Montecitorio stanno per approvare una legge ideologica, violenta, bugiarda, sgrammaticata, incostituzionale: è la legge sul testamento biologico, quintessenza di un dispotismo etico che vuole imporre a tutti il parzialissimo, controverso punto di vista di una sola parte a chi ha convinzioni, fedi, stili di vita diversi.
I moribondi di Palazzo Montecitorio stanno per approvare una legge ideologica, violenta, bugiarda, sgrammaticata, incostituzionale. È la legge sul testamento biologico, altrimenti detta «dichiarazioni anticipate di trattamento». E faccio esplicito riferimento a un classico della critica parlamentare – I moribondi del Palazzo Carignano, scritto nel 1862 da Ferdinando Petruccelli della Gattina.

La maggioranza parlamentare sempre più delegittimata per gli scandali che l´attraversano, per l’impunita vocazione a secondare ogni pretesa del suo Capo, per la distanza abissale dal rispetto dovuto ai cittadini pretende di impadronirsi della vita stessa delle persone. Non si cura dei documenti analitici mandati a tutti i senatori e deputati da più di cento giuristi che mostrano i gravi limiti tecnici della legge. Disprezza l’opinione pubblica perché, come da anni ci dicono le periodiche rilevazioni dell´Eurispes, il 77% degli italiani è favorevole al diritto di decidere liberamente sulla fine della vita. Mentre ripetono la sempre più mendace formula "non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani", il presidente del Consiglio e la sua docilissima schiera mettono le mani sul corpo di ciascuno di noi.

La legge è ideologica e violenta, quintessenza di un dispotismo etico che vuole imporre a tutti il parzialissimo, controverso punto di vista di una sola parte a chi ha convinzioni, fedi, stili di vita diversi. Afferma la «indisponibilità» della vita: ma questa è una affermazione in palese contrasto con l´ormai consolidato diritto al rifiuto e alla sospensione delle cure, che in moltissimi casi è già stato esercitato con la consapevolezza che si trattava di una decisione che avrebbe portato alla morte. Nega il diritto di rifiutare trattamenti come l’alimentazione e l’idratazione forzata, escludendone il carattere terapeutico in contrasto con l’opinione delle società scientifiche e con l´evidenza della pratica medica. Riflette un fondamentalismo cattolico incomprensibile: il muro alzato dalle gerarchie vaticane contrasta clamorosamente, ad esempio, con l’apertura mostrata dalla Conferenza episcopale tedesca. Varcate le Alpi, quel che lì è materia di legittimo dibattito pubblico improvvisamente diventa questione di fede?

È bugiarda, perché il suo titolo – che si richiama al consenso informato, all’alleanza terapeutica tra medico e paziente, alla rilevanza delle dichiarazioni fatte dalla persona per decidere consapevolmente sul come morire – è clamorosamente contraddetto dal contenuto delle singole norme. Il consenso della persona è sostanzialmente vanificato, perché le sue dichiarazioni non hanno valore vincolante e non possono riguardare questioni essenziali come quelle dell’alimentazione e dell’idratazione forzata. L’alleanza terapeutica si risolve nello spostamento del potere della decisione tutto nella direzione del medico. Le «dichiarazioni anticipate di trattamento» sono vere macchine inutili, frutto di un delirio burocratico che impone faticose procedure alla fine delle quali vi è il nulla, visto che sono prive di ogni forza vincolante.

Siamo di fronte ad una vera "legge truffa", ad un testo clamorosamente incostituzionale. Legittimi punti di vista non possono essere trasformati in norme che si impongono alla volontà delle persone violando i loro diritti fondamentali. La discrezionalità del legislatore, in questi casi, è esclusa esplicitamente dall’articolo 32 della Costituzione: «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». E la Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto della persona di «disporre del proprio corpo»; ha severamente escluso che il legislatore possa arrogarsi il ruolo del medico e dello scienziato: e soprattutto ha affermato in modo nettissimo che l’autodeterminazione è un "diritto fondamentale" della persona. Proprio quell’autodeterminazione che il voto della Camera vuole cancellare.

Questo scempio si sta consumando nel più assoluto silenzio. Perché l´opposizione, oltre ad impegnarsi in una purtroppo vana battaglia di emendamenti, non ha praticato nemmeno per un minuto un ostruzionismo che avrebbe almeno avuto la funzione di informare l´opinione pubblica del gravissimo scippo che si sta consumando a danno di tutti? Il Pd continua a rimanere pr igioniero delle sue divisioni interne, che sono divenute un ostacolo alla cultura e alla ragione? Perché persiste il timore di dispiacere alle gerarchie vaticane, non al ricco e aperto mondo dei cattolici? Perché, soprattutto, a nulla è servita la lezione delle elezioni amministrative e dei referendum che mostrano una società viva, reattiva, alla quale bisogna fare appello tutte le volte che sono in questione i diritti fondamentali delle persone?

Ricordo una volta di più Montaigne: «la vita è un movimento ineguale, irregolare, multiforme». La legge deve abbandonare la pretesa di impadronirsi d’un oggetto così mobile, sfaccettato, legato all’irriducibile unicità di ciascuno. Quando ciò è avvenuto, libertà, dignità e umanità sono state sacrificate e gli ordinamenti giuridici hanno conosciuto una inquietante perversione. Non a caso «la rivoluzione del consenso informato» nasce come reazione alla pretesa della politica e della medicina di impadronirsi del corpo delle persone, che ha avuto nell’esperienza nazista la sua manifestazione più brutale. L’autoritarismo non si addice alla vita, né nelle sue forme aggressive, né in quelle «protettive». Riconoscere l’autonomia d’ogni persona, allora, non significa indulgere a derive individualistiche, ma disegnare un sistema di regole che mettano ciascuno nella condizione di poter decidere liberamente.