lunedì 29 agosto 2011

Ci strangolano e poi ci dicono: “Spreconi!” - Di Piero Sansonetti


C'è uno sport nel quale i giornali del Nord sono maestri. Tutti i giornali del Nord. Si chiama: “caccia al meridionale stupido, sfaccendato e sprecone”. Stavolta si è cimentato il “Corriere della Sera”, e ha mandato in campo uno delle sue penne migliori e più prestigiose, Sergio Rizzo , famoso per aver scritto (insieme a Gian Antonio Stella) “La Casta”, libro cult, vangelo dell’“antipolitica”, che ha segnato in modo robusto il dibattito politico degli ultimi tre o quattro anni.Rizzo ha scritto ieri sul “Corriere” un lungo articolo nel quale spiega come e perché il Sud butti dalla finestra i finanziamenti europei (miliardi di euro), come e perché sia questa la causa della sua povertà (meritata!), e come e perché Merkel e Sarkozy abbiamo ragione a chiedere che quei finanziamenti siano ritirati e il Sud d'Italia mandato a quel paese. Cosa sostiene Rizzo? Che i soldi stanziati dall'Europa per dare un impulso al Sud e attenuare il divario di ricchezza con il Nord non sono stati mai utilizzati e a fine dicembre andrannodefinitivamente perduti per “scadenza dei termini”. E sostiene che questa è la ragione per la quale le Regioni del Sud italiano stanno una ad una ricadendo nell'area della povertà, visto che il loro reddito è circa la metà del reddito del Nord Italia ed è in continua diminuzione dal 1975.
L'articolo di Rizzo - che indubbiamente è un ottimo giornalista - è pieno di dati e di considerazioni serie e interessanti. C'è però un punto debole, debolissimo, per colpa del quale tutto il ragionamento perde forza e anzi si rovescia. Vediamo come stanno le cose: è vero che esiste una grande quantità di soldi messi a disposizione dall'Europa per lo sviluppo del Sud? Sì, è vero. E che non sono stati utilizzati? E' vero anche questo. Perché non sono stati utilizzati? La risposta che fornisce Rizzo (e che è la stessa che danno molti ministri, e che dà il senso comune, un po' razzista, che domina al Nord), è questa: perché al Sud sono degli incapaci sfaccendati, dediti solo al clientelismo e alla corruzione, e quindi non sono in grado di mettere in piedi uno straccio di progetto di opere pubbliche che possa essere finanziato coi soldi europei. Quindi si meritano la loro miseria.
Ecco, non è così. Il motivo per il quale i fondi europei non possono essere utilizzati che in minima parte è un altro; e proviamo a spiegarlo (con pochissime speranze che questa spiegazione possa arrivare oltre il Volturno).
Perché una Regione o un Comune del Sud possano utilizzare i finanziamenti europei, bisogna che preparino un progetto e trovino -in casa propria - una parte consistente dei soldi che servono per realizzarlo. In genere circa il 50 per cento. Nel senso che i fondi europei vengono versati solo come “co-finanziamento” di un'opera, e di volta in volta viene stabilita la percentuale di questo co-finanziamento. Quindi se la Regione o il Comune vogliono realizzare - diciamo - un 'opera da 500 milioni, devono disporre più o meno di 250 milioni per poi ottenere i soldi dall'Europa. Altrimenti non beccano una lira. Ma esiste il famoso “patto di stabilità” e questo “patto di stabilità” proibisce alle Regioni e ai Comuni, quasi sempre, queste spese. Talvolta le proibisce anche quando i fondi, in teoria, sono a disposizione, ma non sono in cassa, perché il “patto” prevede che i fondi siano in cassa. In questo modo si blocca tutto e si bloccano anche i fondi europei. In sostanza l'Europa ti dice: “Ti do i soldi se tu hai i soldi; sennò fottiti”.
Da molto tempo le Regioni del Sud - tutte: di sinistra e di destra - chiedono che vengano esclusi dalla “gabbia” del patto di stabilità i finanziamenti alle opere pubbliche del Sud. Gli economisti hanno calcolato che se ci si decidesse a escludere le opere pubbliche del Sud dal “patto”, il Sud, in soli 12 mesi, potrebbe avere un aumento del Pil tra l'1 e il 2 per cento. Imprimendo un fortissimo impulso alla crescita di tutto il paese. Ma questi calcoli, queste richieste, queste proteste, sono serviti a niente. Nessuno ha ascoltato. Anche perché, in genere, chi si fa sentire è la stampa. E la stampa che conta è tutta al Nord. E invece di raccontare le cose come stanno, racconta solo le malefatte dei malfattori meridionali e se non le trova le inventa. Uno dei grandi problemi del Sud è proprio questo: non avere voce sua ed essere costretto a sentire e a subire le grida, spesso un po' ignoranti, che vengono dal Nord.
Piero Sansonetti


E' giunto il tempo di mettere le mani anche nelle tasche dei super-ricchi. - di Luca Marco Comellini



E adesso che è iniziata la discussione sull’ennesima manovra finanziaria di assestamento del bilancio dello Stato vedremo se alle tante chiacchiere dei giorni scorsi dei pidiellini e dei leghisti, come quelle dei frondisti, dei dipietristi o dei vendoliani e chi più ne ha ne metta, seguiranno i fatti concreti. Tassare i super tartassati ceti medi (ormai ex) oppure cominciare a mettere le mani anche nelle tasche dei super-ricchi? Credo sia questo il problema principale per quelli che fino ad oggi non hanno voluto vedere oltre il proprio naso limitandosi alle ovvietà di una politica che si regge su una cultura che la colloca nell’ambito delle cose fini a se stesse.


Eppure esistono altre strade, meno ovvie e più ardue perché richiedono una buona dose di coraggio, di legalità e di trasparenza. Tutte qualità che mancano all’autoreferenzialismo delle sparate o delle elucubrazioni mentali dei tanti che in queste ore cercano di galleggiare nell’attualità fino al punto di non rendersi conto di essere quasi patetici, come del resto è ancor più patetico il Presidente del Consiglio dei ministri. Berlusconi ha sempre cercato di nascondere agli occhi degli Italiani (di quelli che pagano le tasse) la vera entità della crisi e, forse, non è un caso che anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo aver rinunciato al suo incremento stipendiale mensile, che alcune voci stimerebbero nella stratosferica cifra di una sessantina di euro mensili, si sia finalmente reso conto che le cose vanno a “puttane”. Ma il capo dello Stato sostiene che i suoi poteri sono limitati alla "moral suasion", nonostante l'articolo 88 della Costituzione afferma che: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.».


Eppure eliminare lo spettro di “nuove tasse per tutti” potrebbe essere più semplice di quanto si voglia fare credere agli Italiani, a cominciare dal farle pagare a tutti, inclusa la chiesa, e non solo ai soliti lavoratori che le pagano direttamente con i prelievi in busta paga. Nel 2004 la Cassazione decise che le attività commerciali dovessero pagare l'Ici anche se gestite da ecclesiastici. Ma il Governo Berlusconi nel 2005 introdusse un'esenzione totale valida anche per il passato. Leviamoci dalla testa che tassare nuovamente i capitali scudati servirebbe a poco o che aumentare l'imposta per quelli che ancora non hanno fatto rientrare i propri capitali dalle fruttuose vacanze all'estero sarebbe un errore, o che si violerebbero degli accordi già stipulati fra evasori e Stato perché uno “Governo” civile, e soprattutto improntato alla legalità, non sarebbe mai dovuto scendere a patti con degli evasori - quindi con dei delinquenti-, né quelli occasionali, né quelli incalliti. Quindi a maggior ragione nell’attuale situazione proporre sanatorie e condoni di facciata servirebbe solo a favorire la permanenza di ampi bacini di illegalità. Diverso sarebbe applicare il principio secondo cui chi evade le tasse va in galera e paga il doppio di quanto evaso.


Vi siete mai domandati perché non è mai passata una legge che preveda la pena della reclusione per chi elude o evade le tasse, ma solo per quelli che commetto i reati di frode fiscale che è una cosa del tutto differente? Maliziosamente - ma poi mica tanto - si potrebbe rispondere che forse è perché nell’ambito delle istituzioni parlamentari i legami con chi è abituato a questi tipi di comportamenti illeciti sono stretti e assidui. Tra qualche giorno avremo l’ennesima conferma che noi Italiani un governo che punisca severamente chi evade le tasse e che sia improntato al rispetto delle regole e delle sue stesse leggi lo possiamo solo sognare.


Il Paese è sull’orlo del baratro oltre il quale c’è il fallimento e questo certamente grazie anche e soprattutto alla politica degli ultimi anni dove all’arroganza e impunità di un governo si è contrapposta la “mollezza indecisa e accondiscendente” di un’opposizione fantasma relegata al ruolo passivo da meccanismi che, nell’alternanza bipartisan, è stata capace si di dare solo una maggiore durata al governo del momento o dell’occasione in ossequio al principio di autoconservazione della specie. Per uscire da questa situazione ci vorrebbe uno scatto di orgoglio e soprattutto il coraggio da parte del popolo di ripetere quel 30 aprile del 1993, senza incertezze o timori di ripetere gli errori che seguirono a quel giorno, perché altrimenti il passo dal bordo del baratro al fondo sarebbe brevissimo.


I nostri rappresentanti del popolo, quelli nominati dalle segreterie di partito che premono i bottoncini a comando secondo gli interessi più o meno spinti al limite della liceità da cricche e comitati d’affari - per capirci i parlamentari -, avranno il coraggio necessario per restituire alla loro funzione istituzionale quella dignità che ormai si è definitivamente persa nella sessantennale occupazione partitocratica del Paese, oppure continueranno a far finta che tutto va bene e scivoleranno sull’ovvio per non toccare gli sprechi e le prebende che, oltre a essere ingiusti sono anche anacronistici? Io continuo a essere fiducioso perché in fin dei conti la speranza è sempre l’ultima a morire, ma per non farmi trovare impreparato ogni giorno mi alleno al lancio della monetina o del pomodoro troppo maturo. Un domani non vorrei sbagliare bersaglio.


http://notizie.tiscali.it/opinioni/Comellini/1793/articoli/E-giunto-il-tempo-di-mettere-le-mani-anche-nelle-tasche-dei-super-ricchi.html


Un camorrista in parlamento: la vera storia del poco onorevole Nicola Cosentino.



Tutti conoscono il nome d' “o' mericano”, in provincia di Caserta. Il suo è uno di quei nomi che non si pronunciano così per strada. Nicola Cosentino politico di Casal di Principe è conosciuto in ogni angolo di Terra di Lavoro, dai monti del Matese al litorale Domitio, da Sessa Aurunca a Maddaloni, passando per l'Agro Caleno. E si, l'Agro Caleno, un territorio formato da tanti piccoli paesi confinanti gli uni con gli altri: Sparanise, Calvi Risorta, Vitulazio, Pignataro Maggore, comune dove alle provinciali del 2005 Cosentino ottenne un numero di consensi in proporzione addirittura maggiore rispetto a quelli presi a Casal di Principe, suo paese natale.
Ma procediamo per gradi. Oggi Nicola Cosentino è Sottosegretario di Stato all'Economia e alle Finanze nel Governo Berlusconi, una carica istituzionale importante che giunge dopo una brillante carriera politica iniziata, da giovanissimo, alla fine degli anni settanta.
Dapprima diventa consigliere comunale in quella Casal di Principe che Roberto Saviano ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale con il suo best seller “Gomorra”, poi passa alla provincia come consigliere e, dall'83 all'85, all'età di soli 24 anni, è Assessore provinciale con delega ai servizi sociali. Sempre nell'85, alla nuova tornata elettorale, Cosentino viene nominato Assessore alla Pubblica Istruzione e, non c'è due senza tre, nel 1990 ricopre la carica di Assessore provinciale all'Agricoltura.
Secondo i magistrati che in questi giorni hanno richiesto misure cautelari nei suoi confronti, è a partire dagli anni '90 che Cosentino si avvale di consolidati rapporti con il clan dei casalesi per ricevere un consistente ritorno elettorale. Nel 1995 riportando il 31,50% dei voti di preferenza espressi nella sola Provincia di Caserta, viene eletto Consigliere Regionale della Campania e, l'anno dopo, finalmente, approda in Parlamento con i favolosi 35.560 voti riportati nel collegio Capua-Piedimonte Matese. Da allora è un susseguirsi di successi, è membro della Commissione Parlamentare per le questioni regionali e della Commissione Difesa ma, dalla fine degli anni novanta in poi, il suo impegno è per il partito a cui appartiene, Forza Italia, di cui diventa coordinatore per la Provincia di Caserta e, dopo aver ricevuto divina investitura direttamente dalle mani di Silvio Berlusconi, assume la carica di coordinatore Regionale nel giugno del 2005. Sotto la sua guida, Forza Italia fa un balzo di ben 16 punti percentuali: dall’11% dei consensi registrati nelle elezioni regionali dell’aprile 2005 al 27% delle politiche di appena un anno dopo.
E diviene il primo partito della Campania.
Cosentino tesse, grazie agli incarichi ricevuti in questi anni, una fitta rete relazionale con politici, consiglieri, sindaci e amministratori di comuni grandi e piccoli, divenendo un vero e proprio Deus ex Machina della politica che conta, sia nel suo territorio d'origine e vero e proprio feudo, la provincia di Caserta, sia nel resto del territorio campano. Si dice che nulla si muova, soprattutto nel settore dei rifiuti, che non passi per la sua approvazione. Ma non è solo con la politica e con i suoi rappresentanti che Cosentino esprime le sue doti di politico navigato, conosce l'importanza dell'immagine e della comunicazione ed in molti raccontano di quelle sue frequenti visite alla redazione di un noto quotidiano casertano, accompagnato dal suo fedele ed immancabile autista “don Peppe”.
Tuttavia sono i rifiuti, a giudicare da quanto emerge dalle inchieste giudiziarie e dalle proverbiali malelingue dei casertani che “dal basso” hanno già emesso la propria personale sentenza, ad interessare l'attività dell'imprenditore casalese. La munnezza, nelle parole di molti pentiti, è oro. È oro perché smaltirla illegalmente rende enormi profitti, è oro perché i consorzi hanno a che fare con tutti i comuni, con le istituzioni e sono capaci di determinare equilibri importanti spostando rilevanti somme di denaro, è oro perché attraverso la gestione dei posti di lavoro legati alla filiera dello smaltimento, legale ed illegale, si ha la possibilità di tessere una solida e pervasiva rete clientelare. Soldi, voti e potere.
Un mix del genere mal si concilia con la litania della lotta tra Stato e Anti-Stato che si fronteggiano in una battaglia senza quartiere per la legalità. E lo sanno bene quanti, in provincia di Caserta ma non solo, hanno subìto la dura repressione poliziesca per aver osato opporsi ai progetti criminali generati da questo diabolico intreccio di potere. Lo sanno bene, ad esempio, gli abitanti di Santa Maria La Fossa, che hanno lottato contro l'ennesimo inceneritore made in Campania e targato FIBE, necessario a risolvere il problema rifiuti secondo Commissari Straordinari, Prefetti e Questori ed ora al centro delle dichiarazioni di Gaetano Vassallo. Secondo il pentito che, insieme ad altri cinque, è bene ricordarlo, tira in ballo il sottosegretario Cosentino l’”individuazione dei terreni [avvenne] da parte della criminalità organizzata, [...]
vi fu una forte pressione da parte di Michele e Sergio Orsi, insieme all’onorevole Cosentino e all’onorevole Landolfi (al tempo in cui Landolfi era alla commissione vigilanza RAI) e al sindaco di Santa Maria La Fossa, affinché si costruisse il termovalorizzatore dopo che era fallito il progetto di realizzare una discarica nello stesso posto. Era il periodo subito prima che fosse nominato Catenacci Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti in Campania[...]”. E pensare che Cosentino, l'onorevole Coronella ed il Sindaco di Santa Maria La Fossa, Abbate, andavano pure ai cortei contro l'eco-mostro, ma questa è un altra storia.
Michele e Sergio Orsi, entrambi DS, sono gli imprenditori che gestivano l'ECO4.
Quest'ultimo è stato per anni il braccio operativo per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti del consorzio Ce4, consorzio che raggruppa 18 comuni dell'area casertana.
L'Eco4 è stato oggetto di diverse inchieste che hanno coinvolto boss della camorra, politici (anche di rilievo nazionale, come il mondragonese onorevole Mario Landolfi di AN), imprenditori ed anche uno dei tanti sub commissari all'emergenza rifiuti che si sono susseguiti nel tempo, Claudio de Biasio. Nel 2006 i fratelli Orsi finiscono in manette, accusati di essere il tramite tra la camorra e la politica casertana. Uno dei due, Michele, decide di collaborare con i magistrati. Lo fa cominciando a parlare di un vero e proprio sistema clientelare basato su assunzioni chieste da politici e personalità di vario genere, tra cui spunta anche il Cardinale Sepe, oltre che di irregolarità nel sistema di smaltimento. Michele fa nomi illustri e il 1 giugno 2007, mentre si reca al bar per comprare delle bibite, un commando lo trivella di colpi in una piazza di Casal di Principe. Lo Stato non aveva ritenuto opportuno affidargli una scorta. Al funerale non c'erano rappresentanti istituzionali, a trasportare il feretro un carro funebre di un'azienda sottoposta a sequestro (poi dissequestrata) in un'inchiesta
della Dda sul boss Francesco Bidognetti, «Cicciotto 'e mezzanotte», ras di Casale di Principe ora in carcere. Anche quando muori, in Terra di Lavoro, paghi la tangente.
Secondo il pentito Vassallo in realtà dietro il consorzio ECO4 ci sarebbe l'on.
Cosentino: “quella società song’ io”, avrebbe affermato in uno dei tanti incontri tra i due.Ormai noto è l'episodio della busta gialla, busta contenente la tangente da 50mila euro che i fratelli Orsi, mensilmente, avrebbero dovuto versare al clan Bidognetti.
Sempre secondo Vassallo, la tangente veniva consegnata direttamente nelle mani dell'onorevole di Casal di Principe, a casa sua.
Gaetano Vassallo, tesserato di Forza Italia, socio dell'Eco4 e referente, per sua stessa ammissione, del clan Bidognetti all'interno di tale struttura, è l'uomo che per vent'anni ha inondato la Campania di rifiuti di ogni genere. È uno di quei personaggi che ha permesso a decine, centinaia di aziende di tutta Italia di tagliare i costi per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi prodotti. In che modo? Sversandoli nei terreni della Campania Felix, nelle cave del casertano, devastando il litorale domitio, imbottendo ettari ed ettari di terreno coltivato di scorie, liquami e munnezza d'ogni sorta.
Inondando le discariche fatte per i rifiuti solidi urbani, il celeberrimo 'tal quale', di rifiuti speciali che non sarebbero mai dovuti finire li dentro. È chiaro allora, il motivo per cui le popolazioni campane da un certo punto in poi hanno cominciato a protestare contro un sistema che inquinava ed inquina la terra in maniera irreversibile, che trasforma la monnezza in oro, che fa schizzare il tasso di morti per tumore a livelli record in molti territori oramai al collasso. Ma risulta essere più chiaro anche il perché per più di 15 anni la gestione del ciclo dei rifiuti in Campania è avvenuto secondo logiche 'emergenziali', attraverso un commissariamento che con poteri speciali e molto poco trasparenti ha sollevato da ogni possibilità di controllo un settore che pare sia stato completamente gestito dalla camorra. Molte delle discariche abusive di cui parla Vassallo sono state direttamente o indirettamente legalizzate dallo Stato attraverso i Commissari di volta in volta succedutisi, in nome dell'emergenza, della salute pubblica e della legalità.
Vero eroe dei nostri tempi, mi verrebbe da dire, con un pizzico di umorismo noir, Gaetano Vassallo afferma di aver conosciuto il sottosegretario Cosentino prima della costituzione dell'Eco4 quando, su invito diretto di «Cicciotto 'e mezzanotte», alias Francesco Bidognetti boss di spicco del clan dei casalesi, si incontrò con il politico che, a dire suo e di altri pentiti, era stato prescelto dal clan come uomo da sostenere politicamente alle scadenze elettorali.
Vassallo, anche in questo caso, era l'uomo giusto nel momento giusto, una sorta di 'grande elettore' che con le sue conoscenze e la famiglia allargata di cui faceva parte, forniva sistematico appoggio elettorale agli uomini indicati dal clan dei casalesi.
Il quadro che emerge, insomma, rappresenta un sistema di potere che si fonda su una stretta commistione tra criminalità organizzata e politica all'insegna del profitto.
Montagne di soldi ricavati controllando l'intero sistema di smaltimento dei rifiuti, che andavano a finanziare investimenti e business sempre maggiori, specie in settori in cui l'appoggio delle istituzioni, per avere permessi e coperture legali, è fondamentale.
Una delle nuove frontiere del profitto assicurato è, per esempio, quella dell'energia.
Un recente caso giudiziario ha mostrato come, anche in questo settore, la corruzione e la longa manu dei clan si mescolano in un intrigo perverso. Parliamo del grande business delle centrali elettriche.
Il 28 Aprile del 2009 la Guardia di Finanza di Caserta esegue 23 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di soggetti responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, alla corruzione, alla rivelazione di segreti di ufficio ed alla realizzazione di falsità in atti pubblici. Oggetto dell'inchiesta è la realizzazione di una centrale a “Biomasse vergini” nel territorio del comune di Pignataro Maggiore, nell'Agro Caleno. La maggior parte degli indagati sono personaggi pubblici, la maggioranza legati al PD, che rivestono importanti cariche politiche, sia a livello provinciale che regionale: oltre a funzionari del Genio Civile di Caserta, assessori comunali e lo stesso sindaco PDL di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca, tra gli indagati figurano anche Gianfranco Nappi, capo della segreteria politica di Bassolino, l'assessore regionale Cozzolino e l'assessore con delega alle attività produttive della provincia di Caserta Capobianco. Secondo gli inquirenti, dietro la costruzione della centrale della “Biopower” ci sarebbe un complesso giro di tangenti. Quello che di inquietante emerge dalle intercettazioni è che con ogni probabilità il modus operandi per la realizzazione della centrale in oggetto fosse un vero è proprio sistema utilizzato consuetudinariamente per la attuazione di opere simili. Gli atti sono stati secretati, ma dalle indiscrezioni sembrerebbe che tale sistema possa aver riguardato la realizzazione di un altra, contestatissima, centrale elettrica stavolta a turbogas, entrata in funzione nel 2007 e realizzata sempre nell'Agro Caleno, nel vicino comune di Sparanise.
Sorta nell'area, ormai lottizzata, della ex Pozzi, una fabbrica di piena era fordista che occupava migliaia di lavoratori e che rappresentava il cuore non solo produttivo ed economico dell'area, la centrale termoelettrica di Sparanise è stato uno degli impianti più contestati e discussi realizzati in Campania negli ultimi anni. Eppure, nonostante le lotte della popolazione schiacciata tra la paura dei poteri forti e la preoccupazione per il proprio futuro, la centrale termoelettrica da 800 Megawatt è stata sostenuta da un impressionante schieramento bi-partisan. Ognuno ha fatto la sua parte, dal maresciallo dei carabinieri che intimoriva i giovani ambientalisti, agli uomini della DIGOS che si presentavano a bussare alle case degli agricoltori contrari, dal sindaco forzista d'allora Antonio Merola pronto a fornire il sito idoneo per un impianto del genere, fino all'assessore regionale DS Cozzolino che definì la centrale “un esempio di Campania positiva”.
Se come esempio di Campania positiva prendiamo un eco-mostro totalmente inutile che sorge in un luogo dove prima venivano impiegate migliaia di persone, se come modello di politica del territorio prendiamo un lembo di terra con un valore archeologico inestimabile sventrato dalla TAV, riempito di rifiuti e asfissiato dalle polveri sottili di mezzi pesanti e centrali, allora è alquanto evidente che ci troviamo sull'orlo del baratro.
Ma anche ora, con calma, procediamo per gradi. Per fortuna la storia non la fanno solo le Procure, la magistratura ed i giudici. Per fortuna, certe volte, la cronaca giudiziarie viene a valle di eventi molto più complessi di cui protagoniste sono le persone, i loro sogni, le loro lotte. E la storia della centrale termoelettrica di Sparanise fa parte di una più ampia storia che vede un gruppo di persone scegliere la strada dell'opposizione sociale, la strada dell'autonomia e dell'indipendenza praticate in un territorio che lascia poco spazio sia all'una che all'altra. Il centro sociale Tempo Rosso, occupato dal '99, nasce a Pignataro Maggiore e da subito entra in rotta di collisione con l'apparato politico che fin qui abbiamo visto descritto, tutto intento ad assicurarsi che gli affari, quelli degli amici soprattutto, vadano a buon fine.
In un articolo del 2003, a firma di uno sconosciuto Roberto Saviano per conto de “Il Manifesto” le dichiarazioni degli attivisti di Tempo Rosso, anticipatrici di quanto emergerà molti anni dopo in una inchiesta ad opera del settimanale “L'Espresso”: «Noi siamo contrari ad un sud che per rilanciarsi economicamente diventi l'immondezzaio d'Italia. Serve energia e quindi edifichiamo centrali che genereranno enormi danni [...]. La centrale a nostro avviso serve solo a far rimpinguare le tasche di alcuni esponenti del centrodestra che sono i proprietari delle terre [...]». Ed è così che ritorniamo là dove eravamo partiti.
Sul finire degli anni novanta l'Immobiliare 6C, di proprietà della famiglia Cosentino, acquista ad un prezzo di favore parte dei terreni dell'area industriale ex Pozzi dalla SCR, società con capitali provenienti dalla Campania ma con sede legale a Roma. Il prezzo di vendita di tali terreni è talmente basso (310 milioni di lire) che, nonostante la SCR sia una società anonima, la circostanza ingenera forti sospetti che abbia un legame con la famiglia Cosentino. Ma questo è solo un indizio, occorre andare oltre per farsi un'opinione più precisa.
La SCR, nel 1999, aveva acquistato in verità la totalità dei terreni dell'area ex Pozzi disponibili, per più di 2 milioni di euro, e nel 2001 rivende ad un prezzo molto elevato ciò che le resta dopo la cessione alla 6C dei Cosentino. Ad acquistare, questa volta, è una municipalizzata, la AMI, azienda municipalizzata di Imola.
Quest'ultima, però, pone una precisa condizione: pagherà a patto che le autorità permetteranno la realizzazione di una centrale termoelettrica turbogas su quei terreni.
Il caso ha voluto che, pochi mesi prima che tale accordo fosse stato stipulato, il sindaco di Sparanise, il forzista Antonio Merola notoriamente vicino a Cosentino, individua proprio quei terreni come idonei a costruire la centrale. Un raro esempio di lungimiranza della politica. L'affare è concluso, la Ami si fonde in Hera e, insieme alla SCR, nel 2004 mettono sul mercato il pacchetto di terreni ed autorizzazioni per la realizzazione dell'impianto. Il gruppo svizzero Egl compra tutto. Dall'operazione la SCR guadagna complessivamente ben 10 milioni di euro e si garantisce un flusso di 1 milione di euro l'anno grazie all'ottenimento di una partecipazione che vale il 5% degli utili prodotti dalla vendita dell'energia. A questo punto, arriva un secondo indizio: indovinate da chi si fa rappresentare l'anonima SCR nel consiglio di amministrazione di Hera Comm Med? Dall'imprenditore Giovanni Cosentino, fratello di Nicola.
Non sappiamo con certezza se in questa vicenda, oltre alla prontezza di riflessi della politica nell'assicurare il buon esito di affari che riguardano potentati economici legati a familiari dei politici stessi, vi sia anche un giro di tangenti. Quello che è certo è che il bene comune sembra essere sparito dall'agenda di amministratori del calibro di Merola. Così come resta evidente che, in tempi non sospetti, le denunce dei cittadini sono state ignorate e le autorità dello Stato, non solo quelle elettive e quindi politiche, si sono guardate bene non dico dall'intervenire ma finanche dall'assumere un atteggiamento imparziale.
Il caso dell'ex prefetto di Caserta Elena Maria Stasi, colei che fece avere il tanto agognato certificato antimafia all'Aversana Petroli, l'azienda madre della famiglia Cosentino, quella a cui erano diretti i serbatoi di gpl esplosi a Viareggio il giugno scorso, è emblematico a riguardo. Il certificato antimafia è indispensabile per
permettere alle aziende di avere rapporti con la pubblica amministrazione. Ed analizzando la posizione dei titolari dell'azienda, i fratelli Cosentino, la Prefettura di Caserta, nel 1997, la nega all'Aversana Petroli: Giovanni, è sposato con la figlia del boss defunto Costantino Diana, Mario è sposato con Mirella Russo sorella di Giuseppe Russo, alias 'Peppe 'u Padrino', condannato all'ergastolo per associazione mafiosa e omicidio e un terzo fratello, Antonio, è stato beccato nel 2005 in compagnia di un soggetto con precedenti per tentato omicidio, associazione mafiosa e tentata estorsione. Il Tar del Lazio, al quale i Cosentino presentano ricorso, conferma: “[...]ragionevolmente può dedursi che sussisteva il pericolo di infiltrazione mafiosa". Ma il nuovo prefetto, utilizzando una procedura usata molto raramente, sollecita il comitato per l'ordine e la sicurezza a riconsiderare il caso. L'Aversana Petroli ottiene il certificato antimafia senza il quale rischiava di vedere bloccata la propria espansione. Alle ultime elezioni Elena Maria Stasi viene candidata in un collegio blindato nelle liste del PDL e diviene Deputata con il sostegno esplicito del sottosegretario Cosentino.
A lei il compito di difendere gli interessi dell'abusivismo edilizio, altro terreno privilegiato della cosca cosentino: le sue proposte di legge spaziano infatti dalle "Disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio" alle "Disposizioni per la sospensione dell'esecuzione delle demolizioni di immobili nella regione Campania a seguito di sentenza penale di condanna".
Il 9 dicembre 2009 la Camera dei Deputati respinge la richiesta di arresto per concorso esterno in associazione mafiosa e salva Nicola Cosentino dal carcere. Tra i deputati del centro-destra che festeggiano l'esito del voto, l'ex-prefetto è lì, applaude felice, seduta al fianco del boss parlamentare.
Da T. L. per Spider Truman


Fenomenologia dei finlandesi. Ecco perché Helsinki vuole più garanzie per il salvataggio della Grecia. - di Giulia Crivelli.



HELSINKI - Nei prossimi giorni dovrà essere esaminato, per ricevere poi l'alt o l'ok da parte dei paesi dell'eurozona, l'accordo bilaterale tra Grecia e Finlandia sulle garanzie che la seconda ha richiesto per partecipare al nuovo pacchetto di aiuti ad Atene.

Secondo Moody's, tutti gli stati membri coinvolti nel salvataggio della Grecia, riuniti in una task force ad hoc che si occupa della messa in atto del secondo piano di assistenza finanziaria al Paese, dovranno valutare se quanto preteso da Helsinki e concesso da Atene sia in linea con gli impegni sottoscritti dai leader dell'Eurogruppo il 21 luglio scorso a Bruxelles. Ma cosa passa per la testa del Governo finlandese, guidato per altro da un partito eurocentrico? Come si giustifica quella che – in un momento in cui l'Europa e il mondo sembrano sull'orlo del precipizio – può sembrare una mossa suicida? Per capirlo forse è utile riflettere sull'unicità della Finlandia.

Helsinki è probabilmente l'unica capitale occidentale in cui non circolino Suv. E non perché il clima, per una volta, non ne giustificherebbe l'utilizzo. L'inverno in Finlandia dura praticamente otto mesi, le strade a partire da metà ottobre sono ghiacciate e i Suv sembrerebbero un'ottima soluzione per muoversi. Ma sono sicuramente una soluzione troppo cara per i finlandesi, che se proprio vogliono fare un'esperienza "da ricchi" possono farsi un giro in taxi, quasi tutti Mercedes o Bmw, uniche auto di lusso in circolazione. Il reddito pro-capite dei finlandesi è di circa 3.400 euro al mese, appena inferiore a quello dei tedeschi, ma l'idea di benessere – e di lusso – sembra essere molto diversa da quella della maggior parte dei Paesi europei.

Helsinki non è l'unica capitale senza Suv, è anche l'unica capitale senza le insegne della moda e del lusso globalizzate (ma a ben guardare italiane e francesi). Nella città dove vivono poco meno di 600mila persone, più del dieci per cento della popolazione totale (5.6 milioni), nella strada del centro più famosa, Pohjaisesplanadi, che per bellezza imperiale ricorda la berlinese Unter den Linden, l'unico negozio che riporta alle strade dello shopping delle altre capitali del mondo è Louis Vuitton. Tra gli italiani, spiccano le insegne del gruppo Max Mara, ma per trovare altri marchi del made in Italy bisogna iniziare una sorta di caccia al tesoro.

È pur vero che i negozi di abbigliamento hanno spesso nomi "italianeggianti", come Veromoda e Ginatricot, restiamo evidentemente il simbolo dello stile, ma i prezzi medi sono molto più bassi e i negozi più grandi con nomi familiari a noi consumatori occidentali appartengono alle catene del fast fashion, H&M e Zara in primis. Per gli alimentari è lo stesso: le insegne della grande distribuzione europea non sono riuscite a colonizzare il Paese, con l'eccesione della tedesca Lidl, che peraltro deve fare i conti con la concorrenza degli hard discount locali, disposti a macchia di leopardo in ogni centro abitato.

La Finlandia è il paese di Alvar Aalto, l'architetto e designer che trovò una sintesi affascinante tra razionalismo e architettura organica, senza mai dimenticare di inserire nelle sue opere gli elementi che considerava rappresentativi e identificativi del suo Paese, a partire dall'utilizzo di materiali naturali. Tutto, a Helsinki, ma anche nell'antica capitale Turku, echeggia di razionalismo "alla finlandese" e di nordica essenzialità. La locale idea di benessere, o se vogliamo di consumismo, ha poco a che vedere con la nostra: si vede da come sono vestite le persone, giovani o vecchie, e da come sono arredati negozi, appartamenti, ristoranti.

C'è tutto quello che serve – comprese connessioni wi-fi gratuite in ogni angolo della città e uffici postali aperti tutti i giorni fino alle 20 - e pure alcune cose che a molti europei possono sembrare superflue, come la sauna: in Finlandia ce ne sono due milioni per 5,6 milioni di abitanti. Manca il superfluo che noi siamo ormai abituati a considerare necessario. In compenso ci sono servizi pubblici efficientissimi e un welfare avvolgente: i cittadini finlandesi hanno diritto a un'istruzione gratuita compresa di libri scolastici fino all'università e ricevono una "paghetta" dallo stato fino al compimento del 17esimo anno.

Il congedo di maternità dura nove mesi. Un periodo in cui le madri ricevono il 100% dello stipendio. Poi possono scegliere di tornare al lavoro o di restare a casa per altri due anni e mezzo, senza essere pagate ma con la garanzia che il posto di lavoro resti loro. Il sistema scolastico è tra i migliori al mondo e lo stesso vale per quello sanitario, praticamente gratuito per tutti. La Finlandia è l'unico paese della terra ad avere istituito un registro delle malattie che hanno colpito ogni singolo suo cittadino a partire dal 1900, una pratica che consente studi statistici ed epidemiologici che in ultima analisi razionalizzano la spesa sanitaria. Tutto questo ha un costo, ovviamente: la pressione fiscale è altissima, ma i finlandesi sembrano aver sottoscritto questo solidissimo patto sociale con grande convinzione.

Lo stato li accudisce e si fida di loro e loro si fidano dello Stato. O viceversa. Non mancano le ombre, trattandosi pur sempre di un consesso umano e non dell'isola di Utopia: la disoccupazione giovanile ad esempio è piu' alta della media europea e i tassi di alcolismo e suicidio anche. Ma in tempi di recessione globalizzata la Finlandia sembra comunque un'isola felice, che vuole difendere la sua diversità e il suo modello – come dimostra l'atteggiamento nei confrontoi della Grecia – e che forse potrebbe insegnare qualcosa a tutti noi.

Nel museo dell'antica Turku (capitale fino al 1812, una città fondata ufficialmente nel 1229 ma dove i primi insediamenti risalgono alla preistoria), si ricorda che nel periodo del suo maggiore sviluppo, tra il 1600 e il 1700, le autorità locali cominciarono a preoccuparsi per l'eccessivo diffondersi di piccoli lussi quotidiani, come il consumo di dolci glassati e l'acquisto di sofisticate carte da gioco o, peggio ancora, di vestiti in tessuti pregiati: "L'economia della città era fiorente, anche grazie alla crescente presenza di mercanti di ogni genere, ma furono prese tutte le misure necessarie per frenare la corsa al consumismo, che si riteneva avrebbe minato la solidità finanziaria di Turku». Che sia una lezione ancora valida?

Gli apostoli della povertà altrui. By ilsimplicissimus


Lo so che la Chiesa è afflitta da un irrefrenabile maschilismo, ma di fronte a certe manifestazioni di fede nella santissima ipocrisia potrebbe pure fare qualche eccezione: perché ad esempio non concedere lo zuccotto da cardinale ad Emma Marcegaglia che interpreta così bene il sentire delle gerarchie?

Pochi giorni fa la papessa di Confindustria aveva sostenuto che i ricchi non possono dare nulla, visto che già pagano troppe tasse e due giorni dopo i vescovi italiani dalle colonne di Avvenire hanno detto che anche a loro non si può chiedere niente, perché già pagano. E poco importa se il gruppo Marcegaglia aveva fondi neri in Svizzera oltre che un gigantesco contenzioso giudiziario in tutta Italia, cosi com’è altrettanto marginale che la Chiesa paghi in regime di esenzione e con il trucco delle cappelline messe a santificare il commercio.

Certo siccome i porporati chiedono che venga colpita l’evasione altrui, com’è d’uso in questo Paese di morale doppia e tripla, si potrebbe intravvedere anche la possibilità di uno scisma fra Emma e il Vaticano, ma in realtà l’evasione di cui parlano questi tosatori di pecore più che pastori è quella dell’idraulico, mica quella dei vlasti, sempre ben accolta dall’ Istituto per le Opere di Religione, alias banca vaticana, che promette un sereno e fervido cammino verso il paradiso fiscale.

No l’identità di linguaggio e di spirito è il medesimo, una rigorosa convergenza sull’etica dell’approffito: in fondo cosa cambierebbe se la Marcegaglia presiedesse la Cei e Bagnasco Confindustria? Forse che alle assemblee di viale dell’Astronomia farebbe la sua apparizione un acquasantiera e alla Cei si distribuirebbero cronografi Hamilton, ma tutto rimarrebbe come prima perché entrambi predicano i pregi della povertà degli altri, come solleciti apostoli. Sì, sarebbe un bel coro che si leva carico di echi nella navata principale, Tantum ergo circonventum, veneremur cernui.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/08/29/gli-apostoli-della-poverta-altrui/#comment-3370


La P3, la P4 e quei milioni regalati la pista del denaro porta al Cavaliere. - di Concita De Gregorio


La P3, la P4 e quei milioni regalati  la pista del denaro porta al Cavaliere

Sei procure, sei filoni d'indagine, migliaia di pagine agli atti. Tutte le inchieste che negli ultimi mesi hanno intrecciato il mondo della politica hanno un filo conduttore comune. Fatto di bonifici, assegni e faccendieri.


QUELLO CHE abbiamo smesso di chiederci è perché, per conto di chi. Assuefatti all'omeopatico dilagare della corruzione che ha trasformato l'Italia nel paese del "che male c'è, così fan tutti", tutti colpevoli nessun colpevole, scivoliamo distratti sui resoconti di giornata dei giornali, tanto si sa come va il mondo.

Sei Procure, sei filoni di indagine, migliaia e migliaia di pagine agli atti. Berlusconi ha regalato a Dell'Utri dieci milioni di euro? Un uomo generoso, beato lui che ce li ha. Angelucci ha estinto il mutuo da otto milioni di Denis Verdini? Ah. Walter Lavitola, curatore testamentario della un tempo gloriosa testata L'Avanti! paga uno stipendio mensile al procacciatore di protesi e di prostitute Tarantini, rimborsato dal presidente del Consiglio? Era prevedibile, Tarantini del resto ("le donne e la cocaina favoriscono gli affari", un maestro del pensiero) in qualche modo doveva essere messo in salvo. Meglio soldi che un seggio in parlamento, in fondo.

Fu Verdini ad avvisare Caldoro, allora candidato alla presidenza dalla regione Campania, che c'era un dossier "tipo Marrazzo" sul suo conto? Gentile. Del resto fu Berlusconi in persona ad avvisare Marrazzo. Voleva aiutarlo, certo. Un gruppo di faccendieri scambia le sorti politiche di Cosentino con la legge sull'età pensionabile dei giudici. Normale. Si attiva per far pagare alla Mondadori solo il 5 per cento di quel che deve alla Agenzia delle entrate? Gianni Letta segue la vicenda di persona? Vabbè, se è per pagare di meno, chi non lo farebbe, potendo.

Ecco, bisognerebbe ritrovare lo stupore, almeno. Se non l'indignazione la consapevolezza dell'enormità di ciascuna di queste notizie. Ricominciare a chiedersi: ma perché? Per conto di chi? Il Grande Corruttore ha comprato ogni cosa, persone e beni, ha disinnescato alla fine l'unica arma per lui davvero letale: l'intelligenza, la capacità di ciascuno degli italiani di darsi risposte in proprio, senza delegare.

Eppure non è difficile, basterebbe riportare tutto alla dimensione propria e ragionare sui soldi. Come se fossero i nostri, i vostri. Può una persona che guadagna 4000 euro al mese, come dice di sé uno degli indagati P3, spenderne 1000 per invitare ogni giovedì a cena degli amici? Non può, voi non potreste.

Dunque chi lo ripaga, per conto di chi lo fa, e perché? Quando qualcuno vorrà scrivere finalmente in chiaro la storia di come affondò nel pantano da lui stesso progettato l'impero di Silvio B. dovrà raccontare non di donne e di magio e, il collante del ricatto che tutti ammutolisce. Vediamo.

I PRESTITI INFRUTTIFERI
Vuol dire regalo. Non rendono niente, soldi a perdere. Abbiamo qui, venti pagine di relazione della GdF, la relazione sui soldi regalati negli ultimi tre anni da Berlusconi a Dell'Utri. Dieci milioni in tre parti: il 22 maggio 2008 attraverso il Monte dei Paschi, filiale di Segrate (la stessa che stipendiava le Olgettine), febbraio e marzo 2011 su Banca Intesa. Coprono uno scoperto di oltre 3 milioni di euro di Dell'Utri, e sette avanzano.

A cosa servono quei soldi? Perché il presidente del consiglio in carica finanzia con una somma così ingente un suo vecchio amico, certo, un uomo che in questo momento non ha altri incarichi se non la presidenza dei Circoli del Buon Governo, ironia delle parole, oltre ad una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa? Il procuratore Giancarlo Capaldo ha chiesto lo stralcio di questa parte dell'inchiesta P3. Il resto andrà a giudizio a metà ottobre, sui bonifici si continuerà ad indagare. Capaldo si è chiesto perché, in definitiva.

Si deve lavorare ancora per spiegare perché, in cambio di cosa Berlusconi paga l'uomo che gli presentò lo stalliere Mangano. Immaginarlo, indovinarlo non basta a certificare che si tratta di un compenso. Nel faldone bonifici c'è un'altra vicenda per lo meno curiosa: villa Gucci a Firenze, comprata da Denis Verdini per 8 milioni di euro - che non aveva - e in effetti pagata in tre rate dal re delle cliniche private Angelucci, denaro transitato da una società Lussemburghese sulla filiale Roma 5 del banco di Brescia.

Perché Angelucci paga i debiti di Verdini? Non basta accertare il passaggio di denaro, bisogna "chiarire senza equivoci la natura dello scambio". In questo caso, lo scambio tra due uomini che si sono fatti da soli, proprio come il Principale. Un ex portantino del San Camillo il primo, il titolare di una macelleria divenuto presidente di banca, Credito cooperativo fiorentino, il secondo.

Un miglioramento di status, quello di Verdini, che si riverbera anche nella natura dei reati che negli anni, una ventina di procedimenti, gli sono stati contestati. Dallo stupro alla concussione, che è più elegante. Chissà quanti bei ricordi di gioventù, con l'ex barelliere Angelucci, tra un passaggio di milioni e un altro. E comunque perché corrono questi denari e favori? Nell'interesse di chi?

I LUOGOTENENTI
C'è qualcuno che comanda, qualcuno che esegue gli ordini o addirittura li indovina, addestrato a prevenire i desideri. La storia del Grande Corruttore passa per le vicende dei suoi uomini, quelli che si sporcano le mani e qualche volta le lasciano in pasta, il sentimento di impunità e di onnipotenza essendo lo spirito del tempo. Le inchieste di questa stagione passano di qui, conviene conoscerli.

Sono, dirà la storia, tre modesti faccendieri. Quello di Berlusconi si chiama Denis Verdini, era in principio un macellaio di Fivizzano, divenne infine il dominus della sorte politica del suo signore per via dei denari, ovviamente: aveva una banca, teneva i cordoni della borsa e le fila dei moltissimi famigli e questuanti, dei finanziatori venuti da lontano, dalle epoche sepolte del craxismo degli esordi, delle massonerie degli affari, dei faccendieri piduisti da cui tutta questa storia trae origine.

Poi c'è Luigi Bisignani, in stretti rapporti con Gianni Letta: era un ragazzino all'epoca di Licio Gelli, è un crocevia degli affari trent'anni dopo.

Il luogotenente di Tremonti è Marco Milanese, irpino di Cervinara, una laurea assai tardiva, ombra silenziosa e avida del ministro dell'economia.

Le sei inchieste che nel 2011 minano come cariche di tritolo l'edificio già pericolante del Sistema si occupano di loro: i lobbisti a capo di una corte di figurine minori - Fofò, Mimì, Gegè, magistrati e presidenti, imprenditori e aspiranti scudieri - che parlando stretto dialetti di diversi entroterra si riuniscono indifferentemente tra gli stucchi di palazzo Pecci Blunt o sotto una tettoia di un'area di servizio autostradale, fanno a gara ad acquisire credenziali presso "Cesare", lo chiamano così, l'imperatore che tutto muove, per passare poi all'incasso.

Premono sulle corti di giustizia per favorire il lodo Alfano, dunque la di lui impunità; facilitano la nomina di un magistrato amico; fabbricano dossier su un candidato nemico, governano miliardi di appalti pubblici, si regalano barche, macchine e ville, se il mutuo è scoperto arriva presto un imprenditore in debito di gratitudine ad estinguerlo.

Sei inchieste: Milano, Monza, Firenze, Perugia, Napoli, Roma. E sullo sfondo la guerra per la successione: Gianni Letta e Giulio Tremonti, gli eredi naturali, si contendono da mesi, in verità da anni, l'eredità del berlusconismo. Letta è l'Andreotti del Duemila. Ecumenico, trasversale, amico di tutti, destra e sinistra, mediatore congenito fin dal tono di voce. Tremonti è l'uomo del Nord, pratico, antipatico, sodale della Lega di Bossi, la foglia di fico efficiente - a suo modo - in un governo di ventriloqui di modesta competenza. L'uomo dei conti.

E' dunque la storia, questa, della guerra fra Letta e Tremonti: una battaglia che oggi, estate 2011, li vede entrambi in ginocchio, azzoppati dalle inchieste in procinto di andare a dama. Fra settembre e ottobre le procure depositeranno le richieste di rinvio a giudizio dei loro uomini. Il pallino torna nelle mani di Silvio B., Cesare ormai diffidente di entrambi, mentre l'impero costruito negli anni Ottanta sul mattone e poi sulle tv, diventato infine politica allo scopo di mantenere intatte ricchezze e privilegi, tutto intorno si sfarina.

GLI ASSEGNI
La storia è scritta in un vortice di assegni e bonifici firmati da Berlusconi nell'arco di trent'anni. Il primo riemerge dalle nebbie degli esordi, è nelle mani dell'avvocato Stefano Gullo da Agrigento, classe 1923, biografia che incrocia quella di Sindona negli anni della P2. Gullo prestò, allora, un miliardo di lire a Flavio Carboni e Silvio Berlusconi ottenendo in cambio come garanzia assegni da non incassare. Non ha recuperato che 200 milioni, oggi reclama il resto esibendo - appunto - gli assegni firmati Berlusconi. Gli ultimi sono i bonifici di Berlusconi a Dell'Utri di cui si diceva. Prestiti infruttiferi.

Le carte sono agli atti, le fotocopie degli assegni e gli estratti conto in uno dei faldoni sulla scrivania del procuratore Giancarlo Capaldo. P4, P5, P55. Potremo andare avanti all'infinito ma la storia è sempre la stessa. Il sistema è quello, e non è neppure nuovo. Ricordate Evangelisti, "a Frà che te serve?". Era così ai tempi di Andreotti, che del resto è ancora assai presente sulla scena, è così oggi. Solo: a beneficio di un uomo solo.

Possiamo chiamarla P5 o P55 ma per capire il senso della sigla bisogna risalire alla P2, in fondo anche Licio Gelli era un impiegato della Permaflex, Berlusconi allora un giovane affiliato alla Loggia. "Dovrebbero pagarmi i diritti d'autore", disse Gelli anni fa a proposito di Berlusconi e Cicchitto. Più di recente, dei nuovi faccendieri sulla scena: "Dilettanti".

Anche Berlusconi ha detto di loro "pensionati sfigati". Della sfortuna si può discutere, che siano pensionati è una menzogna. Flavio Carboni, signore di Sardegna, viene direttamente dagli anni di Andreotti e di Sindona, crocevia di morti sparizioni e misteri. Arcangelo Martino, socialista napoletano, viene dagli anni craxiani del Raphael. Fu proprio al Raphael, racconta, che presentò negli anni Ottanta a Berlusconi il suo collaboratore Elio Letizia, presente Craxi. Elio Letizia, padre di Noemi. Ricordate cosa disse Berlusconi il primo giorno? "E' la figlia dell'autista di Craxi". Non proprio l'autista, qualcosa del genere.

I soldi, di nuovo - non le donne - sono la pista. I soldi e gli affari. Soldi di antica origine, debiti e sodalizi vecchi di decenni. Le radici alle origini. I frutti, poi, sono i Tarantini di Puglia, gli imprenditori sardi dell'eolico, gli Anemone dei grandi appalti e delle case ad altrui insaputa. E' come se sulla scena delle inchieste, oggi, ci fossero la prima e la terza generazione di affaristi. I "pensionati" della Prima repubblica e i giovani affaristi rampanti dell'ultima. Un passo indietro, nell'ombra, la generazione di mezzo quella delle grandi fortune: il ragazzo sveglio di allora, anziano Cesare oggi.

UNA SOLA STORIA
Il "sistema gelatinoso" dei grandi appalti, la fabbrica del fango della P3, le pressioni sui magistrati e sulla Guardia di Finanza della P4: è una sola unica storia, la storia della corruzione eletta a sistema. Quando Caldoro dice: "Mi convocò Verdini alla Camera, mi disse che c'erano storie di sesso sul mio conto. Mi disse che si sentiva in dovere di informare Berlusconi" siamo tutti in grado di leggere il sottotesto di queste parole.

Perché, in favore di chi? E quando si incontrano poi a casa Verdini per definire la candidatura di Arcibaldo Miller, l'interessato presente, Dell'Utri e Carboni. Per conto di chi? In un interrogatorio di sette ore Verdini è chiamato a dar conto di 2 milioni e 600 mila euro transitati dalla sua banca, in seguito oggetto di un'ispezione della Banca d'Italia che ne denuncia le molte irregolarità e la condanna a pagare una multa. Soldi che arrivavano da un imprenditore romagnolo dell'eolico, Fabio Porcellini. E finivano dove? "A finanziare il Giornale", risponde Verdini. Il Giornale di Paolo Berlusconi, edizione Toscana. E perché un imprenditore dell'eolico con interessi in Sardegna, regione guidata dall'amico Cappellacci, dovrebbe pagare i debiti del Giornale. Per favorire chi, oltre a se stesso?

NELL'OMBRA
Dice Arcangelo Martino di Pasquale Lombardi, il socialista e il democristiano campani protagonisti dell'inchiesta P3: "Lombardi aveva rapporti con Gianni Letta, più volte ho sentito le loro telefonate. Disse che stava aggiustando la faccenda Mondadori perché fosse trasferita alle sezioni unite della Corte". I nomi di Letta e di Tremonti - nelle 66mila pagine di un'inchiesta, le 80mila di un'altra - compaiono così, interlocutori invisibili all'altro capo del telefono. Beneficiari sedicenti inconsapevoli di appartamenti di gran lusso, mandanti mai espliciti.

Cesare è il convitato di pietra. Quando in una nota in calce a uno dei fascicoli resta l'appunto dei Carabinieri - "Cesare è il nome in codice che gli interlocutori telefonici danno a Silvio Berlusconi" - succede la fine del mondo. Per il metodo, non per il merito. Formalmente quella postilla doveva essere secretata, è rimasta per errore.

Leggiamo dagli atti. La cricca si attiva per la riammissione della lista Formigoni in Lombardia, per il dossier sul Caldoro che intralciava Cosentino in Campania, per la nomina di Alfonso Marra e il tentativo di candidatura di Arcibaldo Miller, questi ultimi magistrati perché le carte pullulano di giudici non ascrivibili alle toghe rosse, al contrario, giudici amici e compiacenti che volentieri partecipano a convegni 'all inclusive' nei più esclusivi resort della penisola, paga Carboni, paga il presidente della regione Cappellacci. Perché, nell'interesse di chi? Chi è l'utilizzatore finale?

CADUTI SUL CAMPO
Il primo a cadere, tra gli uomini di Gianni Letta è Guido Bertolaso, inviso assai a Tremonti. Il sistema gelatinoso degli appalti, il G8 e i mondiali di nuoto, Balducci, Anemone, De Santis, Della Giovanpaola, il procuratore Achille Toro, le aragoste per pranzo e l'eolico per cena, i centri benessere e gli evviva la notte del terremoto. Bertolaso declina.

Tremonti gioisce, ma subito l'inchiesta Finmeccanica - false fatturazioni, fondi neri - in un filone secondario, Eurotec, porta in luce la strana storia del suo consigliere Milanese. Questa è la vicenda di una barca ma sullo sfondo c'è un giro vorticoso di benefici galattici, di regali stellari, una vita vissuta nello sfarzo supremo mentre il paese intero si accinge a metter mano al portafogli per risanare la voragine del debito in cui è precipitato. Il ministro dell'Economia chiede enormi sacrifici agli italiani e il suo braccio destro veleggia di regalo in privilegio.

Lui stesso, il ministro, abita un appartamento da Milanese procurato. L'inchiesta, a parte i Rolex, parla di tre milioni e mezzo di tangenti per assicurarsi appalti assai più redditizi. Letta assesta un colpo alla Rai morente - perché, nell'interesse di chi? - piazza la cattolicissima Lorenza Lei alla direzione generale piuttosto che il candidato di Tremonti, Angelo Petroni. Subito Bisignani, uomo di fiducia di Letta a Palazzo Chigi, già lobbista ai tempi del tangentone Enimont e delle vicende Ior-Vaticano, finisce nell'inchiesta napoletana P4, altro giro di corruzione altre pressioni altri regali.

Il 2 agosto l'aula di Montecitorio autorizza l'acquisizione degli atti su Milanese (corruzione, associazione a delinquere, favoreggiamento) e non per Verdini su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per tentato abuso d'ufficio nella ricostruzione dell'Aquila. Un colpo a Tremonti, senz'altro: Verdini salvo, Milanese no.

Il 3 agosto Capaldo lascia l'inchiesta Enav-Finmeccanica per la storia del pranzo con Tremonti e Milanese , il 4 chiude le indagini sulla P3 e stralcia la posizione Berlusconi-Dell'Utri quanto ai bonifici di cui sappiamo. Su quelli si indagherà ancora. Intorno a Ferragosto emerge che Tarantini, il procacciatore di prostitute pugliese, è pagato un tanto al mese da Walter Lavitola, direttore de l'Avanti!, a sua volta rimborsato da Berlusconi. Per cosa? "Per generosità, perché Tarantini era disperato", risponde Cesare.

Lavitola, attivissimo nel procurare documenti sul caso appartamento di Montecarlo-Gianfranco Fini nei giorni della rottura politica tra i due fondatori del Pdl, conferma che si tratta di beneficienza. "Un uomo disperato", Tarantini. I molti disperati d'Italia sanno ora a chi rivolgersi. A patto di avere qualcosa da offrire in cambio, è ovvio. "La generosità di per sé non è un reato, bisogna certificare con precisione in cosa consiste il do ut des". Immaginarlo non basta. Un assegno, un bonifico, un prestito infruttifero. Cesare paga, in questo scorcio di fine epoca. Generosamente, "disinteressatamente".

Peccato per la concomitanza con la manovra, che gli italiani pure pagheranno un conto. Che sappiano almeno con esattezza per coprire cosa, per salvare chi. Il pantano è un pozzo senza fondo, non basteranno pochi miliardi a risanarlo. Il Grande Corruttore sarà al sicuro fino al minuto esatto in cui non cominceremo tutti a chiederci perché, a favore di chi. Senza lasciare alla magistratura la supplenza, che prima del reato c'è il delitto politico. La responsabilità morale e materiale dello scempio.


Manovra, Marcegaglia durissima "Gara a chi inventa la tassa più esotica".


Manovra, Marcegaglia durissima "Gara a chi inventa la tassa più esotica"

Il presidente della Confindustria critica con toni accesi le indiscrezioni delle ultime ore: il provvedimento è "certamente depressivo" e "in peggioramento". E insiste sulla necessità di intervenire sulle pensioni. Bonaiuti: "Intesa vicina, con ogni probabilità sarà perfezionata lunedì da Berlusconi e Bossi".


CAPALBIO - Una manovra "in peggioramento" e "certamente depressiva", con una "gara a chi si inventa la tassa più esotica". Duro il giudizio di Emma Marcegaglia, sulle voci che continuano a rincorrersi riguardo alle misure che entrebbero nel decreto all'esame del Senato. Misure sulle quali nella maggioranza ci sono profonde divisione, ma sulle quali, secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, l'intesa è vicina e sarà "con tutta probabilità perfezionata" lunedì nell'incontro tra Berlusconi e Bossi.

Le critiche di Marcegaglia. "Sono preoccupata - dice del presidente di Confindustria a margine di un premio letterario a Capalbio - perché con questa manovra la crescita sarà ancora più bassa. E' chiaro che una manovra di questo tipo è certamente depressiva e tutto quello che vediamo non va in direzione di una migliore crescita".

Nel provvedimento, così come si va delineando, "c'è un continuo aumento di tasse", prosegue il numero uno degli industriali. C'è ormai la gara a chi si inventa la tassa più esotica. E' una manovra fatta sostanzialmente di aumento di tasse". Secondo Marcegaglia, nel decreto "c'è molto poco di strutturale e niente per la crescita", mancano "le riforme che ci chiedeva la Bce e non sono state trovate le risorse per la crescita".

"Parliamo sempre con i se - sottolinea il presidente di Confindustria - perché vedremo alla fine lunedì (giorno dell'incontro tra Berlusconi e Bossi, ndr), ma se quello che si sente sarà vero pare che la manovra non vada nella direzione giusta. C'è un continuo aumento di tasse mentre la parte sulle pensioni che noi, una parte della maggioranza e moltissimi osservatori consideravano fondamentale per liberare risorse per la crescita non c'è più". Quindi Marcegaglia punta il dito sui mancati tagli ai costi della politica: "C'è una riduzione dei tagli ai Comuni. Man mano che andiamo avanti si riduce la quota dei tagli alla spesa pubblica, si aumenta la quota di tasse e quel poco di tagli alla politica, come per le province, sembra che verrà stralciata". Di fronte a quello che emerge in questi giorni c'è dunque "una preoccupazione forte", prosegue rimarcando che l'articolo 8, quello che prevede la retroattività delle norme sui contratti aziendali, "deve rimanere" nel testo perché "coerente con l'accordo raggiunto il 28 giugno 1".

In termini più generali Marcegaglia pensa che "non siamo davanti a una catastrofe, ma la situazione è ancora complicata, la crisi non è passata". E "questo chiama decisioni forti, anche impopolari, da parte dell'Europa e dei singoli governi".

Bonaiuti: "Intesa vicina". "L'intesa è vicina. Sarà perfezionata, con tutta probabilità, dopodomani da Berlusconi e da Bossi nel loro incontro. E' un'intesa che rispetta quei due paletti fondamentali, che sono tempi rapidi e saldi invariati", assicura il sottosegretario alla presidenza del Consiglio a margine di un'intervista pubblica al Caffè della Versiliana. Sui cambiamenti che ne deriverebbero, Bonaiuti anticipa che "quello che appare è il salvataggio dei piccoli Comuni, il demandare la questione delle Province, soprattutto, ad un disegno costituzionale più ampio, che includa tutta la riforma dell'architettura istituzionale, con dentro anche il dimezzamento dei parlamentari, e anche la revisione del contributo di solidarietà".

Il sottosegretario parla anche delle divisioni emerse in queste settimane all'interno della maggioranza. A proposito del rapporto tra il Pdl e la Lega afferma che "ogni volta che si parla di questa incrinatura poi non succede niente". "E' giusto che si vada ad un confronto. Ma, al finale, l'intesa tra Lega, Pdl e Responsabili ci sarà in tutta tranquillità come sempre", continua.

Per Bonaiuti "c'è molto romanzo..." anche sui presunti dissidi tra Berlusconi e il ministro Tremonti. "Io li sento tutti i giorni - aggiunge - Come accade nei migliori matrimoni si litiga, anche se alla fine sono i matrimoni che durano di più".