martedì 24 luglio 2012

Elezioni, Alfano contro il voto in autunno Dal Senato ok al semipresidenzialismo.


A Palazzo Madama passa l'emendamento alla riforma costituzionale che prevede l'elezione diretta del Capo dello Stato. Pd e Idv abbandonano l'Aula, contrari Udc, Fli e Api. E Alfano blinda Monti: "Al voto nel 2013, con nuova legge elettorale". Bersani: "Pronti a votarla anche ad agosto".


ROMA - Angelino Alfano sbarra la strada all'ipotesi di un voto anticipato all'autunno e rilancia la necessità di riscrivere la legge elettorale, ma tra Pdl e Pd il barometro segna di nuovo tempesta dopo la prova di forza sulla riforma costituzionale. "Non poniamo termine a questa legislatura, crediamo che la priorità sia l'economia e pensiamo anche che vi sia la necessità di approvare subito una legge elettorale e di andare al voto la prossima volta con un Paese in cui i cittadini possano scegliere il proprio deputato e il proprio senatore", afferma il segretario del Pdl.

Ambizione, quella di Alfano, ribadita ieri sia dal presidente del Consiglio Mario Monti sia dal leader democratico Pierluigi Bersani 1, ma che si scontra con i crescenti malumori in casa del Pd. I democratici sono convinti infatti che a remare contro il raggiungimento di un'intesa sia proprio la rigidità del Pdl. "La legge elettorale va fatta subitissimo e noi ci presentiamo in modo assolutamente flessibile. Il problema non è quale riforma si fa, ma se si vuol fare. Questo è il punto", avverte Bersani. E ancora: "Noi siamo pronti anche domani mattina e già in agosto a passare in parlamento per un primo ok della riforma elettorale. I mesi del governo tecnico hanno Insegnato che la politica deve prendersi le sue responsabilità".

Ma a far salire la tensione all'interno della maggioranza è anche la questione della riforma costituzionale, con Pdl e Lega che anche oggi sono andate avanti malgrado le proteste di Pd e Idv. "E' un diversivo senza costrutto", sottolinea il segretario del Pd. "Spero solo che con questo gesto irresponsabile, inutile e del tutto inconcludente, non si faccia deragliare quello che dobbiamo fare subitissimo, che è la riforma della legge elettorale", mette in guardia. 

Sulla stessa lunghezza d'onda Pier Ferdinando Casini. "Il voto al Senato non mi sorprende, ma è una sorta di vorrei ma non posso: non esiste il tema del semipresidenzialismo ma la necessità di fare la legge elettorale", dice il leader dell'Udc che propone di "chiudersi in una stanza fino a che non abbiamo la nuova legge elettorale, almeno in un ramo del Parlamento" anche "senza andare in vacanza".

Bersani e Casini si riferiscono a quanto accaduto stamane al Senato, dove l'aula grazie alla ritrovata intesa tra Pdl e Lega ha approvato alcuni punti fondamentali della riforma Costituzionale, a cominciare dal semipresidenzialismo (con l'introduzione dell'elezione a suffragio universale del capo dello Stato) e dall'abrogazione del bicameralismo perfetto. Norme che hanno ottenuto il via libera senza il voto di Pd e Idv, assenti per protesta.

"Stiamo facendo - ha detto Anna Finocchiaro, capogruppo dei senatori democratici motivando la sua richiesta di stop - una discussione senza esito. Qui si celebra non l'interesse generale ma quello particolare di due forze politiche e questo mentre in Commissione bilancio si parla di spending review. Questa riforma costituzionale non mai vedrà mai la luce" nonostante ciò "noi andremo avanti fino all'articolo 9, fino a quando non sarà restaurato il sinallagma (un contratto vincolante, ndr) tra Pdl e Lega mentre i colleghi della commissione bilancio dovranno o assentartsi dall'aula e lavorare clandestinamente oppure rinviare ad altre ore e tempi più ristretti l'esame della spending review".

"E' sempre più intollerabile - ha aggiunto Finocchiaro - che l'aula e i colleghi siano impegnati in una discussione che non ha sorte solo perché Pdl e Lega devono cavarsi lo sfizio di avere una ragione in più per tappezzare l'Italia di manifesti sul semipresidenzialismo. E' inconcepibile e oltraggioso nei confronti degli italiani e che non giova allo sforzo che insieme stiamo facendo su un'altra barricata per ridare slancio all'Italia e ridarle forza".

Critiche condivise da Beppe Pisanu, che ha votato in dissenso con il suo gruppo del Pdl. "Sono favorevole al semi presidenzialismo, ma ritengo che la via seguita in questa sede sia sbagliata. Nella migliore delle ipotesi essa ci porterà a una bandiera da sventolare, posto che trovi vento e non a un progetto da realizzare", commenta.

Preme invece per elezioni a novembre Antonio Di Pietro. "Prima che scoppi la rivoluzione e la gente scenda di piazza coi forconi andiamo a votare", afferma il leader dell'Idv. "Non esiste più una maggioranza, ma solo un gruppo di morti viventi e noi li sfidiamo", aggiunge.

Tra i tanti articoli da votare, Palazzo Madama ha però fatto uno scivolone sul Senato federale caro alla Lega. Nei giorni scorsi  aveva approvato la norma che lo istituisce, ma oggi l'Aula ha messo ugualmente ai voti l'articolo 12 del ddl che parla ancora di "Commissione paritetica per le questioni regionali". Un articolo da considerare decaduto ma finito erroneamente al voto, che potrebbe mettere a rischio proprio l'esistenza del Senato federale stesso.


Incidente in Namibia, muore gip Barillaro. Si occupò dei processi Falcone e Borsellino.



Una decina di giorni fa aveva ricevuto minacce di morte in una lettera anonima recapitata alle redazioni fiorentine di due quotidiani e dell’agenzia di stampa Adnkronos. A Firenze si era occupato degli anarco-insurrezionalisti.

Il gip del tribunale di Firenze, Michele Barillaro, è morto in un incidente stradale in Africa. Il giudice, in vacanza in Namibia, era alla guida di una jeep che si è scontrata con un camion. Barillaro si era occupato, quando era giudice a Nicosia (Enna) e Caltanissetta, dei processi sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. A Firenze si era occupato degli anarco-insurrezionalisti, ma prima di arrivare nel capoluogo fiorentino  era stato per 10 anni giudice a Nicosia (Enna) e Caltanisetta, si era occupato anche del processo Borsellino ter e del processo per l’attentato a FalconeUna decina di giorni fa aveva ricevuto minacce di morte in una lettera anonima recapitata alle redazioni fiorentine di due quotidiani e dell’Adnkronos.

Trattativa Stato-mafia, i pm: “Processate Riina, Mori, Dell’Utri e Mancino”. Giuseppe Pipitone

ingroia interna nuova


Gli imputati sono 12: rischiano di finire a giudizio i vertici dello Stato insieme a quelli di Cosa Nostra. L'accusa è per tutti minaccia a un corpo dello Stato, tranne che per Mancino, che deve rispondere di falsa testimonianza al processo all'ex comandante del Ros e che replica: "Dimostrerò la mia estraneità". Secondo i pm la trattativa sarebbe stata avviata da Mannino, poi dai carabinieri infine da Dell'Utri, tramite per arrivare al capo del governo Berlusconi.

L’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia è al giro di boa. La procura di Palermo ha infatti depositato la richiesta di rinvio a giudizio per le 12 persone iscritte nel registro degli indagati per il patto sotterraneo che portò pezzi delle istituzioni a sedere allo stesso tavolo della mafia nel periodo 1992-94. Lo stesso potrebbe accadere se finissero tutti a processo da coimputati.
Tra questi i mafiosi Salvatore RiinaNino CinàBernardo ProvenzanoLeoluca Bagarella e Giovanni Brusca, gli alti ufficiali del Ros Mario MoriGiuseppe De Donno e Antonio Subranni e gli esponenti politici Calogero ManninoMarcello Dell’Utri e Nicola Mancino. Per tutti l’accusa è di attentato a corpo politico dello Stato, tranne che per Mancino, accusato di falsa testimonianza dopo la sua audizione al processo Mori-Obinu del 24 febbraio scorso.  ”Hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato” si legge nel provvedimento dei magistrati palermitani. Secondo la stessa richiesta di rinvio a giudizio tutti coloro che parteciparono alla trattativa agirono “in concorso con l’allora capo della polizia Parisi e il vice direttore del Dap Di Maggio, deceduti”: loro avrebbero ammorbidito la linea dello Stato contro la mafia, revocando centinaia di 41 bis.
Mancino: “Estraneo, lo dimostrerò”. Mancino ha parlato a stretto giro di posta: “Preferisco farmi giudicare da un giudice terzo – ha dichiarato – Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato”. ”Dopo la comunicazione della conclusione delle indagini sulla cosiddetta trattativa fra uomini dello Stato ed esponenti della mafia – spiega l’ex titolare del Viminale – ho chiesto inutilmente al pubblico ministero di Palermo di ascoltare i responsabili nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica (capi di gabinetto, direttori della Dia, capi della mia segreteria, prof. Arlacchi, ad esempio), i soli in grado di dichiarare se erano mai stati a conoscenza o se mi avessero parlato di contatti fra gli ufficiali dei carabinieri e Vito Ciancimino e, tramite questi, con esponenti di Cosa Nostra”. A questo punto, continua l’ex ministro, “ho rinunciato al proposito di farmi di nuovo interrogare e di esibire documenti. Preferisco farmi giudicare da un giudice terzo”.
Mannino: “E’ un capriccio di Ingroia”. Non ci sta invece l’ex ministro e ora senatore Calogero Mannino. “Questa richiesta di rinvio a giudizio è un capriccio di Ingroia – afferma intervistato dall’Agi – Capovolge la mia posizione: da minacciato prolungatamente dall’incombenza di un’attentato mafioso, ad accusato. Insomma, da vittima vengo trasformato da Ingroia in ben altro”. “Il vero problema della giustizia a Palermo – insiste – è proprio Ingroia”. “Da 21 anni vado e vengo dal Palazzo di giustizia di Palermo, risultando alla fine innocente – conclude – Ma affronterò anche questa storia e affronterò Ingroia che, invece di cercare la verità, l’affossa con questo processo”.
La ricostruzione dei pm. La richiesta di rinvio a giudizio è stata vistata anche dal procuratore capo Francesco Messineo, che invece non aveva firmato l’avviso di conclusione delle indagini. Secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Antonino Di MatteoLia Sava e Francesco Del Bene, il primo contatto con Cosa Nostra sarebbe stato cercato da Mannino, che dopo l’omicidio di Salvo Lima era impaurito dall’offensiva mafiosa nei confronti dei politici, rei di non aver saputo bloccare le sentenze del maxi processo.
La trattativa sarebbe stata poi avviata da Mori e De Donno che incontrarono più volte don Vito Ciancimino per arrivare a Riina. Il dialogo tra mafia e Stato sarebbe poi proseguito fino al novembre del 1993 quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso non rinnovó oltre 300 provvedimenti di 41 bis per detenuti mafiosi.  L’apice dei contatti tra Stato e anti Stato sarebbe invece stato raggiunto nel 1994 quando Bagarella e Brusca, luogotenenti di Riina (arrestato un anno prima) manifestarono al nuovo premier Silvio Berlusconi “per il tramite di Vittorio Mangano e Dell’Utri” una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura.
Secondo i magistrati sarebbero stati reticenti anche Conso e l’ex capo del Dap Adalberto Capriotti, accusati di false informazioni al pm. Per loro peró il codice prevede che il reato contestato rimanga “congelato” fino al primo grado di giudizio dell’indagine principale. 

L'Italia è con l'alleato sbagliato nella terza guerra mondiale. Vito Lops


Sensazioni. Sensazioni di terza guerra mondiale, quella che si combatte fra le trincee della finanza internazionale. Dopo un po' di tregua gli eserciti adesso sono nuovamente schierati. Da un lato l'Eurozona, dall'altro un club di investitori stranieri che, forti di un'assenza normativa che pone la finanza mondiale in condizioni di far west, puntano a ribasso contro l'euro  (sceso oggi ai minimi da due anni e secondo alcuni esperti diretto a 1,16 dollari).
Da un lato i politici dell'Eurozona che continuano a difendere un'area euro che fa acqua da tutte le parti: lingue diverse, così come fiscalità, bilanci, culture e titoli governativi. In comune c'è solo la valuta. Ma che senso ha avere una stessa valuta se i debiti (e i rendimenti dei titoli di Stato) sono diversi, con quelli dei Paesi più deboli aperti al fuoco della speculazione? E non è solo una questione di speculazione. E' una questione di investitori stranieri che ogni giorno credono sempre meno, e meno ancora, al progetto euro. Perché è un'unione costruita dal tetto mentre si cerca disperatamente, al netto di campanilismi suicidi, di progettare (con drammatico ritardo) le fondamenta.
Dall'altro lato quindi, di quelli che vendono euro e titoli di Stato della periferia, c'è chi inizia a sentire puzza di bruciato in casa euro. Anche se, da questo punto di vista, un segnale indica che c'è ancora una speranza per l'euro. E quel segnale arriva dal Bund tedesco, che oggi ha toccato il minimo storico a 1,13% sulla scadenza a 10 anni. Se l'euro implode anche la Germania, con quella sua economia basata sulle esportazioni, va immediatamente in profonda recessione. Il supermarco che seguirebbe al crollo dell'euro avrebbe infatti una rivaluzione anti-competitiva che metterebbe in ginocchio Berlino. Per cui, se in queste ore in molti si rifugiano sul Bund (e quindi su quella Germania che fa parte dell'Eurozona) vuol dire che le ipotesi catastrofiste sono ancora fortunatamente lontane.
Ciò che è chiaro, però, è che la Germania sta dimostrando una visione distorta e di breve periodo con il suo piano. Piano che più o meno, analizzando quello che sta accadendo, suona così: "mentre gli altri mettono i conti a posto noi compriamo aziende a sconto in tutta Europa e ci indebitiamo a costo zero per i prossimi anni". La scommessa è che gli altri, però, riescano a mettere i conti a posto nel bel mezzo di una guerra finanziaria.
Come è possibile mettere i conti a posto se l'Italia dopo maxi manovre lacrime e sangue da 65 miliardi quest'anno pagherà 85 miliardi solo di interessi sul debito pubblico che schizzano in scia alle cavalcate allarmanti degli spread? Come è possibile rimettere i conti a posto se questa settimana l'Italia chiederà al mercato 40 miliardi di euro emettendo nuovi titoli di Stato e sarà presumbilmente costretta a farlo con spread oltre 500 punti (oggi ha superato la soglia di 520 punti)?
E allora il piano tedesco rischia di fare acqua, come l'euro. E quando la Germania se ne accorgerà potrebbe essere troppo tardi.-Come troppo tardi potrebbe essere salvare la Grecia (adesso occorrono 300 miliardi quando due anni fa ne bastano meno di 100).
La preoccupazione di fondo è che la nostra alleata in questa terza guerra mondiale (in quanto nello stesso calderone dell'Eurozona) non ha affatto un bel curriculum nei conflitti internazionali avendo straperso, a causa di una testardaggine robotica e senza precedente, i due precedenti.
Sono solo sensazioni, certo. Speriamo restino tali.
Giovanni Ruffini dice:
Dall'articolo: E' una questione di investitori stranieri che ogni giorno credono sempre meno, e meno ancora, al progetto euro. - C'e' un DETTAGLIO che all'autore dell'articolo sfugge... il PROGETTO EURO, per chi per mezzo dell'EURO sta mandando avanti AFFARONI da FANTASCIENZA ma non FANTASCIENTIFICI, e' una MANNA caduta dal cielo.... dalla SVALUTAZIONE di una sola MONETA... si traggono sostanziali benefici da tutti i VALORI della Vecchia Europa e loro Paesi a SOVRANITA' in DUBBIO....Finanziariamente, detta SOVRANITA' e' una IRREALTA'... e la MASCCHINA del DEBITO PRESSANTE, non sorte l'effetto di una ATOMICA o DUE..ma i DANNI SOFT sono del tutto non trascurabili...e' in EFFETTI una nuova forma di GUERRA, quella ESCLUSIVAMNTE economica o finanziaria.... il DIRETTO spargimento di sangue, non si vede....

Borse europee incerte Spread oltre 523 punti.




Moody's gela Germania, Olanda e Lussemburgo: rivisto l'outlook dei Paesi tripla A, è negativo.
Seduta sull'ottovolante per i Btp italiani, con uno spread in forte oscillazione dopo l'avvertimento lanciato ieri da Moody's sul rating della Germania. Il premio di rendimento dei Btp decennali viaggia a 523 centesimi dopo un minimo stamani alle 9,15 sotto quota 505, mentre la Spagna è a 636. I titoli italiani rendono il 6,46%
EUROPA IN LIEVE RIALZO DOPO ASTA SPAGNA; MILANO -0,8% - Si portano in rialzo le principali borse europee dopo l'asta dei titoli di stato spagnoli. Londra, Francoforte e Parigi guadagnano lo 0,1%, Milano cede lo 0,8% e Madrid lascia sul campo l'1,6%. Di seguito, gli indici dei titoli guida delle principali borse europee. - Londra +0,14% - Parigi +0,13% - Francoforte +0,10% - Madrid -1,64% - Milano -0,83% - Amsterdam +0,07% - Amsterdam +0,06% - Stoccolma +0,07% - Zurigo +0,04% - Atene +1,23%.
EURO ANCORA DEBOLE - Resta debole l'euro in apertura di giornata: la moneta unica segna 1,2121 dollari, praticamente sugli stessi livelli di ieri sera dopo la chiusura di Wall street . L'euro vale 94,96 yen (94,49 ieri).
GERMANIA: MOODY'S? NESSUN DRAMMA, NE ABBIAMO PRESO ATTO  - "Nessun dramma. I media cercano l'enfasi, ma noi non vediamo motivo per drammatizzare". Lo ha detto all'ANSA il portavoce del governo tedesco Georg Streiter all'indomani della spia rossa accesa da Moody's sull'outlook della Germania. "Ne abbiamo preso atto e non diamo alcuna valutazione di questo annuncio. Il giudizio di Moody's colpisce un Paese, la Germania, dal quale stanno provenendo gli aiuti. E posso solo aggiungere che la cancelliera ha più volte detto che le forze della Germania non sono illimitate". Dopo l'annuncio di Moody's sull'outlook della Germania la cancelliera resta in vacanza? "Certo, non c'é da preoccuparsi che debba interrompere le sue ferie per questo", ha risposto Streiter. "Si tratta solo di un'agenzia di rating", ha aggiunto. La cancelliera è in ferie da sabato scorso
JUNCKER: 'FERMO IMPEGNO PER STABILITA' EUROZONA' -'Riaffermiamo il nostro impegno a garantire la stabilita' dell'Eurozona nel suo insieme". E' quanto ha affermato il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker dopo la revisione del'outlook di Germania, Olanda e Lussemburgo da parte di Moody's, in una nota nella quale precisa che: "i fondamentali di questi paesi sono sani".
GEITHNER: 'DA UE RISCHI, USA RALLENTANO' - La crisi europea presenta significativi rischi per gli Stati Uniti. Lo afferma il segretario al Tesoro americano, Timothy Geithner, in un'intervista al Charlie Rose Show, sottolineando che l'economia americana ha rallentato e si trova a dover fronteggiare "forti venti contrari".
L'Europa ha bisogno di un'unione fiscale. Le soluzioni europee alla crisi del debito richiederanno molto tempo, afferma inoltre Geithner.
TOKYO CHIUDE IN RIBASSO - La Borsa di Tokyo termina la seduta in ribasso dello 0,24% con l'indice Nikkei che segna 8.488 punti.
IL LUNEDI' NERO DELLE BORSE - E' lunedì nero per i listini europei, trainati da Madrid e Milano che sul finale, dopo perdite di oltre il 5%, hanno limitato i danni grazie allo stop alle vendite allo scoperto deciso dalle autorità di borsa nazionali. Il provvedimento non ha impedito agli spread di raggiungere livelli record per la Spagna e sfondare i 520 punti per l'Italia, mentre l'euro è piombato ai minimi da due anni sotto 1,21 dollari. Un'ulteriore doccia fredda arriva da Moody's: l'agenzia internazionale rivede al ribasso l'outlook di Germania, Olanda e Lussemburgo a 'negativo' da 'stabile' in seguito all'incertezza sul risultato della crisi e anche per l'aumento del rischio che Italia e Spagna possano avere bisogno di aiuti dato il deterioramento macroeconomico.
E per oggi potrebbe prepararsi un'altra giornata difficile per i titoli di Stato iberici e per i Btp italiani: Lch Clearnet, la principale cassa di compensazione titoli europea, ha deciso di alzare nuovamente i suoi margini di garanzia richiesti per le transazioni su alcuni titoli di Stato italiani e spagnoli. La clearing house londinese ha rivisto i parametri per i Btp con scadenze comprese tra i 2 e 3,25 anni dal 4,80% al 5,55%, per quelli tra i 7 e 10 anni dal 9,50% all'11,65%, e tra i 15 e 30 anni dal 18% al 20%. L'agenzia, con effetto da oggi, ha rivisto anche i margini per i Bonos con maturità comprese tra i 7 e 10 anni dal 11,80% al 12,20% e quelle tra i 15 e 30 anni fino al 20%. Dopo un inizio in profondo rosso, la borsa di Milano ha chiuso limitando le perdite con un -2,76% a 12.706 punti per il Ftse Mib, dietro Madrid (-1,1%) che stamani, sui timori di un salvataggio necessario per le finanze pubbliche della Spagna, ha fatto da innesco per la forte correzione sui listini europei.
La Consob, dopo la sospensione per eccesso di ribasso di istituti come Banco popolare, Mediobanca e Mps, è corsa ai ripari reintroducendo il divieto delle vendite allo scoperto sui titoli bancari e assicurativi, per essere seguita a stretto giro dall'authority spagnola. E' andata peggio per le altre principali piazze europee (lo Stoxx 600 ha segnato il calo più forte da tre mesi a questa parte) che, in assenza del riparo delle 'Consob' nazionali, chiudono con cali del 2,89% (Parigi), 2% (Londra) e 3,18% per Francoforte.
L'intervento delle autorità di borsa non ha impedito un vero e proprio tracollo sul fronte dei titoli di Stato periferici, alimentato dai dubbi sulla tenuta della Spagna e dalle indiscrezioni, circolate nel weekend e poi rientrate, secondo cui il Fondo monetario internazionale sarebbe pronto a lasciare la Grecia al suo destino. Da Soci, in Russia, il premier Mario Monti ha detto che il "grande nervosismo" sui mercati e sullo spread "ha poco a che fare con i problemi specifici dell'Italia", ma piuttosto dipende dalle "notizie, dichiarazioni e indiscrezioni sull'applicazione" delle decisioni prese dal vertice Ue di fine giugno, che dovrebbero "essere implementate senza rumore e in tempi brevi".
Toni forti dal leader della Cisl Raffaele Bonanni: "A Monti diciamo che il tempo è scaduto. Deve convocarci subito. Serve un nuovo patto sociale" contro "l'attacco speculativo, lo sciacallaggio" in corso. Fatto sta che, mentre i rendimenti di Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna scendevano a minimi record a testimoniare la fuga generalizzata dal rischio, in una seduta ad alta volatilità la Spagna ha visto il proprio premio di rendimento decennale sfondare la soglia de 630 punti con un rendimento decennale record del 7,40%: un livello che, in precedenti come quello greco, ha fatto da apripista a un salvataggio europeo.
Il rischio di default per il Paese iberico, misurato dai contratti derivati 'credit-default swap', è volato di 28,5 centesimi a 634, segnando anche qui un massimo storico. E a pagare il prezzo dell'incertezza sulle misure europee anti-crisi e sulla capacità degli Stati di rimettere in ordine i conti pubblici è stato anche l'euro, scivolato ai minimi dal giugno 2010 sul dollaro, a 1,2067, un livello inferiore alla media storica dei dodici anni di vita della divisa unica.

Sardegna, soldi pubblici a Santanchè e modelle per promuovere il territorio. Monia Melis

cappellacci interna nuova


La presidenza della giunta Cappellacci (Pdl) ha stanziato senza bando 796mila euro a circa trenta società, emittenti e associazioni senza passare dal Consiglio regionale. Tra questi, oltre 141mila alla società Visibilia della deputata di centrodestra e 15mila euro per il volume del cappellano militare a Herat.

Un po’ qui e un po’ lì. Anzi, tanto ad alcuni e poco ad altri. Con criteri sconosciuti che fanno discutere soprattutto in tempi di crisi per l’Italia e ancor più per la Sardegna. Così diventa un caso l’assegnazione di “contributi e l’attivazione di servizi” con lo scopo di promuovere e valorizzare “l’immagine della Sardegna”. I soldi pubblici distribuiti senza alcun bando o gara sono quelli della presidenza della giunta regionale di Ugo Cappellacci (Pdl) che, attraverso il piano di comunicazione 2011-2012 (da 26 milioni di euro), ha assegnato 796mila euro a circa trenta società, emittenti e associazioni per altrettante iniziative.
Una delle voci più consistenti, 141mila e 200 euro (Iva inclusa), va alla Società Visibilia s.r.l., di proprietà di Daniela Santanchè (Pdl) “in qualità di concessionaria esclusiva per la raccolta pubblicitaria per il Giornale”, il giornale della famiglia Berlusconi. Contributo per la pubblicazione di 6 inserti di 4 pagine l’uno interamente dedicati alla Sardegna”. In tutto 24 pagine per tanti temi: turismo, ambiente, trasporti, economia, ma anche innovazione digitale e agricoltura. La delibera con cui la giunta ha dato l’ok è del 26 giugno (n. 28), quasi un mese fa, ma è stata resa visibile sul sito istituzionale solo la scorsa settimana. La denuncia arriva dal blog della scrittrice, premio Campiello, Michela Murgia che in un post contesta le spese definite “un elenco di indecenze”. E rileva tra tutti quattro “casi più scandalosi”, mentre, ricorda che “la Regione ha decurtato di 94mila euro i fondi alla tutela dei beni librai della Sardegna e ha tagliato del 20% tutte le risorse per le manifestazioni culturali ”. Poi si chiede: “Come è possibile che cifre di questa importanza vengano elargite in maniera discrezionale laddove a iniziative di ben altro spessore e importanza sono richieste decine di moduli, documenti, attestazioni e garanzie?”.
Tra i contributi più pesanti anche i 120mila euro tondi tondi (Iva inclusa) per l’acquisto dei diritti per 10 anni in favore della casa editrice sarda Delfino Editore. I cinque volumi del “Dizionario Storico – Geografico dei Comuni della Sardegna” con “stemmi dei paesi, cartine, immagini a colori ed in bianco e nero e foto d’epoca” saranno pubblicati nel “sistema integrato dei portali della Regione”. Non è l’unica iniziativa editoriale: per la Poligrafix di Sassari saranno stanziati 15mila euro, a favore della pubblicazione del volume “Preghiere di un Cappellano militare in Afghanistan” di don Gianmario Piga, cappellano militare del contingente italiano della brigata Sassari a Camp Arena, a Herat. Raccolta di preghiere scritta nel corso delle missioni nel 2011 e nel 2012 in Afghanistan dal 151° Reggimento di Fanteria Sassari. Opera ritenuta dal Presidente “meritevole di sostegno”. Dalle preghiere alle modelle: la promozione passa anche per l’Associazione Venus Dea per un progetto dal titolo generico “Conoscere la Sardegna” (a cui vanno 7mila euro) che si propone di “coniugare le bellezze paesaggistiche e monumentali del territorio regionale con il fascino delle ragazze sarde”. Ossia, si animeranno alcuni luoghi “con dei set video fotografici che daranno vita a delle cartoline televisive che verranno mandate in onda sulla emittente Videolina sul canale 519 di Sky”. Con un target soprattutto locale: come promuovere la Sardegna ai sardi. Altri soldi pubblici alle emittenti private: come i 72 mila e 600 euro a Sardegna Uno, di proprietà dell’imprenditore e presidente del Banco di credito sardo, Giorgio Mazzella, per una trasmissione in dieci puntate di 45 minuti l’una sulle aree naturalistiche dal titolo “Di parco in parco”. E poi ancora pubblicità su un quotidiano nazionale, Il Sole 24 ore, ma con una cifra che sfiora un ventesimo di quelle disposta per il Giornale: 6.050 euro per “l’acquisizione dello spazio di due pagine “passanti” nel focus Sardegna distribuito nel Lazio e in Toscana.
C’è spazio anche per gli eventi culturali, ma sempre in ordine sparso. E con cifre diverse. All’European jazz Expo 2012 che si svolgerà a Cagliari a settembre, con un taglio ecologico, vanno 130mila euro in virtù, si legge, nella delibera “dell’impatto sia di promozione della Sardegna che di sensibilizzazione su temi ambientali”. Senza dimenticare i golfisti con un contentino da 5mila euro: per i quattro campionati e due trofei regionali, organizzati dalla Federazione italiana golf-sezione Sardegna. Lo stanziamento, da quasi 800mila euro, non passa per il consiglio regionale e rientra nel poderoso piano della comunicazione istituzionale della Regione, approvato dalla giunta lo scorso dicembre. Circa 26 milioni di euro per quattro progetti. Di cui metà, 13 milioni, solo per uno: “Riscopri il mito della Sardegna”.

Bersani contrattacca: “Da progressista parlo con Vendola e guardo ai moderati”. Martina Castigliani



Alla festa del Pd di Imola il segretario risponde ai rottamatori di Civati che hanno evocato una scissione nel caso di un'alleanza con Casini: "In una situazione europea di populismo e recessione il nostro partito deve rivolgersi a tutte le forze democratiche per un patto di legislatura". E sulle unioni gay: "Sono io ad averne parlato".

“Io organizzo i progressisti quindi io parlo con Vendola”. È secco il segretario Pierluigi Bersani e non lascia spazio a commenti quando, arrivato alla Festa dell’Unità di Imola le domande rimandano alla minaccia del consigliere regionale Pippo Civati di uscire dal partito in caso di alleanza con Casini. E se Civati dice, “se andassimo a votare oggi il Pd perderebbe le elezioni”, Bersani risponde: “A Monza le abbiamo stravinte, non so se se n’è accorto Civati?”.
“Lasciamo stare queste polemiche, pensiamo ad organizzare i progressisti” – continua il segretario Pd – “Io chiedo solo che i progressisti si rendano conto che in una situazione europea ed italiana in cui c’è rischio di populismo e di regressione, bisogna rivolgersi a tutte le forze moderate, democratiche ed europeiste per un patto di legislatura. Io sono progressista, io spero che sia chiaro, non posso passar la vita a rispondere sempre alla stessa domanda”.
Sono passati dieci giorni dall’Assemblea del Partito Democratico e i postumi del non voto sull’Ordine del giorno riguardante i matrimoni gay continuano a farsi sentire. Un’amarezza che in alcune correnti del partito non è mancata, ma che il Segretario nega con fermezza: “Sono io ad aver parlato di unioni gay. E dovrei preoccuparmi che sia una mossa verso i moderati? Ai nostri elettori ci pensiamo noi”. Le domande girano tutte intorno alle polemiche, alle paure che il Pd stia affrontando una crisi interna o che ancora una volta mostri le sue debolezze.
“Discutiamo certo, – continua il segretario del Pd, – ma nei punti essenziali siamo compattissimi. Noi siamo un partito. Solo in Italia si è pensato che mettersi nelle mani di un uomo solo ci portasse da qualche parte. Bisogna stare attenti e assomigliare di più alle democrazie del mondo, perché questa eccezionalità italiana dove c’è uno che decide, uno che è là in fondo che comanda ma non si candida, l’altro che si inventa la lista con un nome di fantasia, sono cose sconosciute alla democrazie del mondo. Noi siamo un partito e partiamo dall’idea di partecipazione”.
Un’immagine di partecipazione e normale discussione quella che Pierluigi Bersani ha dato, a Imola nella serata di chiusura della Festa dell’Unità, dove non è mancato il tradizionale giro tra stand e ristoranti. Prima tappa al bar You Future dei Giovani Democratici dell’Emilia Romagna, che per la prima volta hanno organizzato la loro festa regionale proprio ad Imola. Strette di mano e sorrisi, quasi fosse una prova di campagna elettorale per quelle primarie che ancora non hanno una data certa. “Io sto girando- dice Bersani, – come ho sempre girato tutte le feste dell’unita, non c’entra niente con primarie o con campagne elettorali. È la nostra tradizione. Le primarie ci saranno sì. E prima o poi si andrà anche a votare. La nostra priorità è fare una nuova legge elettorale. La legge elettorale è al primo posto. Le elezioni anticipate sono chiacchiere. Noi non possiamo certo andare a votare con la legge che abbiamo, uno dei disastri del nostro paese. Noi siamo pronti ad accellerare”.
Bersani parla a Imola a pochi passi da quella terra emiliana colpita dal terremoto, per la quale lancia una promessa di tempestività e ricostruzione che in tanti stavano aspettando. “Il nostro patto con gli amministratori emiliani – conclude il Segretario, – è che non si farà quello che si è fatto a l’Aquila. Si collegherà l’emergenza con la ricostruzione. Io ce la metto tutta, però non da solo. E io ho molta fiducia nel fatto che nella crisi e nelle difficoltà che ci saranno, noi troveremo grande forza nel rinnovamento. Toccherà a me, la ruota girerà. I nuovi non ce li porterà la tv. I nuovi verranno fuori per capacità, esperienza e rispetto per tutti quelli che ci hanno portati fin qui. Abbiamo bisogno di forze fresche e giovani ma anche esperte”.