mercoledì 19 settembre 2012

LA MOGLIE DI GESÙ IN UN FRAMMENTO ANALIZZATO A HARVARD.


Gesù moglie

Un frammento di papiro scritto in lingua copta, analizzato da alcuni storici della prima cristianità di Harvard, parla di Gesù che si rivolge ai discepoli parlando di sua "moglie".
La professoressa di teologia Karen L. King ha mostrato il piccolo frammento di papiro (solamente 8 centimetri di larghezza per 4 di altezza) in un meeting internazionale di studiosi di lingua copta a Roma.

Il New York Times riporta la notizia: il pezzo di papiro riporta, tra le altre, le frasi “Gesù disse loro: 'Mia moglie'” e “Ella potrà essere mia discepola”. Finora il proprietario del frammento lo aveva consegnato alle mani della professoressa King, e questa lo aveva mostrato solamente a professori di Harvard esperti di lingua copta e di papirologia, che hanno concluso che molto probabilmente è un frammento reale e non un falso: il frammento è scritto in copto saidico, un dialetto dell’Egitto del Sud, e le lettere sono scritte dalla mano di una persona non troppo colta, e il papiro e il tipo di inchiostro utilizzato fanno presumere risalga attorno al quarto secolo dopo cristo. Il modo di scrivere sembra ricondurre a una scrittura “non professionista”, compilata da una mano di credenti che si sarebbero tramandati la dottrina cristiana in epoca di persecuzione. 
La professoressa associata di teologia alla Princeton University, AnneMarie Luijendijk, dichiara che “Sarebbe impossibile falsificarlo”, anche per via del retro del papiro che riportasegni di deterioramento notevole e solamente pochissime lettere visibili e frammenti di parole. Un falsario dovrebbe essere esperto di grammatica copta, scrittura manuale, teologia e cultura dell’epoca in determinate zone dell’Egitto.
L’autrice della diffusione del frammento non vuole, però, utilizzare il frammento a mezzo strumentale e afferma, ironica: “Questo non prova che Dan Brown avesse ragione”.

Il Times cerca di focalizzare l’attenzione sull’importanza della “scoperta”, visto che l’eventuale configurazione di una moglie di Gesù e la possibilità di “allievi” femminili potrebbero aprire gli orizzonti dell’organizzazione cristiana, come riporta anche Vittorio Zucconi durante la sera del 18 settembre. Tuttavia, alcune testate come “the Atlantic” hanno già cercato di “smontare” l’articolo del NYT: sia il nuovo, che l’antico testamento parlano di “moglie” riferita a profeti. Nel vecchio testamento la “moglie” dei profeti è la terra d’Israele, mentre nel nuovo testamento la moglie di Gesù è raffigurata come la Chiesa.
La bellezza di internet sta nel confronto, e nei commenti all’articolo dell’Atlantic compare una ragazza che fa presente come la trascrizione delle fonti e le traduzioni dalle lingue antiche a quelle moderne siano inappropriate e possano esistere più termini atti a rappresentare la figura della moglie simbolicamente o fisicamente.

A parere dello scrivente, stando fuori dalle conseguenze che può avere un eventuale dibattito teologico, nel caso il frammento dovesse rivelarsi reale fornirebbe un tassello per incorniciare i mutamenti reali di una religione nel tempo e nello spazio. Ma questo non farebbe vendere copie al New York Times.

Consulta: ammesso conflitto Napolitano-pm Palermo


  

ROMA - La Consulta ha giudicato ammissibile il ricorso del Quirinale contro la Procura di Palermo. Il Colle aveva presentato ricorso dopo le intercettazioni indirette di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato effettuate nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. L'ordinanza della Corte sarà depositata domani.
I giudici della Consulta riunitisi in camera di consiglio per il primo vaglio del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, lo hanno ritenuto fondato sotto il profilo soggettivo, perché Capo dello Stato e Procura di Palermo sono qualificabili come poteri dello Stato, e sotto il profilo oggettivo, rispetto cioè al conflitto sollevato. Il Colle sostiene che il Presidente non poteva essere intercettato e le registrazioni andavano distrutte; secondo i pm la distruzione può essere disposta solo da gip.

Sanità, Tagliacozzo batte Regione e Governo: l’ospedale non sarà chiuso. - Gabriele Paglino


Ospedale Tagliacozzo


I comitati locali vincono al Tar e al Consiglio di Stato contro i provvedimenti del presidente dell'Abruzzo Chiodi e del governo Berlusconi. Le sentenze potrebbero ora essere utilizzate da qualunque paese che ha una struttura a rischio taglio.

Un importante precedente giuridico, grazie al quale potrebbe essere scongiurata l’eventuale chiusura – già paventata in estate – di tutte le piccole strutture ospedaliere, presenti sul territorio italiano. Il caso destinato a far da apripista ad una serie di ricorsi, da parte di quei tanti piccoli centri che potrebbero vedersi chiudere i loro ospedali, è quello di Tagliacozzo (in provincia dell’Aquila).
Nel 2010 il presidente della Regione Abruzzo e commissario ad acta per la Sanità, Gianni Chiodi, predispone un nuovo “programma operativo” per ristrutturare la sanità abruzzese. In altre parole, tentare di rientrare da un debito di 360 milioni di euro, accumulato negli ultimi dieci anni. E questo significa altri tagli – in aggiunta a quelli effettuati già in passato dalla precedente giunta, guidata da Ottaviano Del Turco –, a partire dalle “strutture ospedaliere che non risultano coerenti, sotto un profilo sia quantitativo sia qualitativo, con il fabbisogno di prestazioni della popolazione”. Tra queste rientra anche l’ospedale del comune di Tagliacozzo, che serve un bacino di circa 30mila persone (frazioni e paesini limitrofi compresi). Non tantissime.
Ma, se si considera il notevole afflusso turistico nel periodo estivo e soprattutto il fatto che quello è l’ospedale di riferimento di una zona montuosa mal collegata con il resto della regione, l’esistenza dell’Umberto I diventa essenziale. E così gli abitanti del territorio, supportati dall’amministrazione comunale, si organizzano immediatamente in un comitato per salvare la struttura.
Iniziano presidi e manifestazioni di protesta, ma la posizione del governatore Chiodi è inamovibile: “Il piano non si tocca” e poco importa se i cittadini dissentono. Loro però vanno avanti e insieme al Comune presentano ricorso al Tar dell’Abruzzo. A dicembre del 2010 arriva il primo importante risultato: il Tar sospende la “deliberazione per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo”.
Incoraggiati in qualche modo dalla (prima) vittoria ottenuta da Tagliacozzo, decidono di ricorrere al tribunale amministrativo anche gli altri piccoli comuni abruzzesi, che hanno visto la scure dei tagli regionali abbattersi pure sui loro nosocomi. Nei mesi successivi i pronunciamenti contro il piano Chiodi arrivano uno dopo l’altro. Le principali motivazioni sono due: nel tentativo di risanare i conti, il “programma operativo 2010” non tiene in considerazione il diritto della salute dei cittadini. L’altra motivazione mette invece in discussione il ruolo stesso del commissario, nominato per esercitare poteri amministrativi e non legislativi-normativi. Perciò il nuovo piano sanitario non può sostituire quello del 2008, approvato – al contrario del piano Chiodi – con legge regionale.
Vedendosi bloccato, Chiodi tenta di correre ai ripari e si rivolge direttamente al Governo. In pochi mesi da Roma arriva la soluzione per mettere in cassaforte – e quindi al riparo da ricorsi – il programma di tagli del commissario-governatore. Nonostante le varie bocciature arrivate dal Tar, il superministro Giulio Tremonti inserisce infatti il controverso “programma operativo della sanità abruzzese” nel decreto 98 del 2011, concernente la stabilizzazione finanziaria, che dopo pochi giorni viene convertito in legge. “Il Commissario ad acta per la sanità della regione Abruzzo – si legge nella manovra approvata a luglio 2011– dà esecuzione al programma operativo 2010 che è approvato con il presente decreto”.
Gli stop del Tar sono superati e adesso il piano sanità di Chiodi è una legge di stato. Ma i comitati non si arrendono. Ricorrono nuovamente al Tar, stavolta contro quell’articolo, contenuto nella manovra di Tremonti, che “sana” i provvedimenti in materia di sanità presi da Chiodi. E vincono, un’altra volta: per il giudice amministrativo abruzzese, la norma del governo si pone in contrasto con ben sette articoli della Costituzione nonché con la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Gli atti quindi passano alla Consulta, che dovrà decidere sull’incostituzionalità della legge.
Nel frattempo però la Regione Abruzzo ha adottato un nuovo atto aziendale (relativo alla Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila) che riguarda “i provvedimenti tecnici attuativi per la razionalizzazione della rete ospedaliera”, contenuti in quel famoso programma operativo 2010: il nosocomio di Tagliacozzo è trasformato in un presidio territoriale di assistenza, privo persino di pronto soccorso. Il braccio di ferro continua e il comitato pro-ospedale presenta l’ennesimo ricorso al Tar, che dà loro ragione anche questa volta. “E’ necessario assicurare la piena funzionalità del pronto soccorso dell’ospedale”, si legge nell’ordinanza pronunciata dal tribunale amministrativo lo scorso maggio.
La Regione Abruzzo non si dà per vinta e propone appello davanti al Consiglio di Stato. Per il supremo organo di giustizia amministrativa non è però “ravvisabile alcuna ragione” per l’annullamento dell’ordinanza del Tar. Ospedale e pronto soccorso rimangono dunque aperti. “E’ un’ordinanza storica quella arrivata poche settimane fa– afferma il legale del comitato pro ospedale, Paolo Novella, contattato da ilfattoquotidiano.it – Anche perché visto che c’è ancora in pendenza la questione di incostituzionalità, per evitare dei conflitti solitamente si aspetta il parere della Corte Costituzionale. E invece sia il Tar che il Consiglio di Stato non hanno indugiato a pronunciarsi”.
Ma soprattutto è un’ordinanza che costituisce un principio giurisprudenziale, al quale potrebbe rifarsi qualsiasi altro ospedale – di qualsiasi altra regione – che rischia la chiusura. Come ad esempio i tanti nosocomi calabresi. Non sembrerebbe un caso che nei giorni scorsi la Presidenza della Regione Calabria abbia contattato l’avvocato Novella, per aver informazioni dettagliate in merito al provvedimento. “Presumo che se, come qui, stanno portando avanti una politica di tagli – fa notare l’avvocato Novella – cercheranno di capire perché è stata bocciata la delibera di Chiodi, per poi riscriverne una diversa che non rischi la bocciatura”. Insomma meglio giocare di anticipo.

L'Istituto Antonio Provolo.


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Questa denuncia di Federico Tulli sugli abusi a dei minori sordomuti non è uno scoop. I fatti sono già stati oggetto di numerose lettere ai giornali, al Vaticano e persino citati in una proposta parlamentare di Maurizio Turco, Farina Coscioni e altri il 15 dicembre del 2010. Sulla vicenda c'è però un silenzio irreale, tranne pochissime eccezioni come l'Espresso. Dopo aver letto l'articolo sono rabbrividito. Non ho parole. Questi orrori non devono più succedere.
Testo di Federico Tulli, giornalista.
"Masturbazioni, sodomizzazioni, rapporti orali forzosi. Tra le mura dell’Istituto religioso per bambini e bambine sordomuti “Antonio Provolo” di Verona, dagli anni Cinquanta fino al 1984 si è consumata una agghiacciante vicenda criminale ai danni di circa 40 giovani ospiti, di cui ancora oggi troppo poco si parla. Fondato nel 1830 da don Antonio Provolo, l'istituto è stato considerato per decenni tra i più rinomati centri a livello internazionale nel campo dell'educazione scolastica per minori sordomuti. Una fama crollata miseramente nel giro di qualche anno quando a poco a poco la forza vitale delle vittime è riuscita ad aprire delle crepe sempre più ampie nel muro dell'omertà dietro cui la Curia veronese ha tentato di celare gli abusi compiuti nei loro confronti da alcuni sacerdoti e fratelli laici dipendenti dell'Istituto. 
Dopo aver tentato per anni, inutilmente, di ottenere ascolto prima ancora che giustizia dalla diocesi locale, in particolare dal vescovo Giuseppe Carraro (deceduto nel 1981), e cozzando contro la prescrizione del reato stabilita dalla legge sia italiana che vaticana, una quindicina di vittime più forti psicologicamente, ha deciso di cambiare strategia e denunciare pubblicamente la vicenda sui media nazionali. 
Era l'inizio del 2009 e la loro storia ebbe anche un discreto risalto. È dovuto però passare ancora un anno prima che il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, si decidesse ad accogliere una delegazione degli ex studenti abusati. 
Una scelta obbligata, quasi sofferta quella di Zenti, maturata sulla scia delle nuove indicazioni che giungevano dalla Santa Sede. 
Si era infatti nel pieno dell'onda lunga di indignazione popolare montata durante la prima metà del 2010 in seguito all'impressionante serie di scandali pedofili che via via venivano alla luce dagli istituti religiosi cattolici di mezza Europa, isole comprese. 
Dopo infinite trattative col vescovo, le vittime ottennero - per la prima e unica volta in Italia - l'istituzione di una commissione curiale presieduta da un laico, che accertasse la veridicità delle loro denunce. 
La commissione, incaricata dal Vaticano e guidata dall’ex presidente del Tribunale di Verona, Mario Sannite, ha finito il proprio lavoro a febbraio 2011, dopo aver raccolto e videoregistrato le testimonianze sia delle vittime che di sacerdoti e fratelli laici presenti nell’Istituto all’epoca dei fatti contestati. 
È passato un anno e mezzo, che ne è dei risultati di quella inchiesta? Ancora oggi le vittime, riunite nell'associazione sordi Provolo, attendono di conoscere le conclusioni come convenuto con le autorità vaticane. Di certo si sa che la documentazione fu consegnata dopo pochi mesi a monsignor Giampietro Mazzoni, il magistrato del Tribunale ecclesiastico della diocesi di Verona. 
Ma nessuno dei testimoni è stato informato o ha ricevuto una copia della sua audizione. Eppure qualcosa è già trapelato e ha del clamoroso. Intervistato a Matrix su Canale 5 il 24 maggio 2011, il presidente Sannite, dichiarò che «almeno tre, tra sacerdoti e fratelli laici, hanno ammesso gli abusi». Da allora più nulla. Non un cenno, non una comunicazione. Niente. Un'omertà totale da parte di Mazzoni che nemmeno i proverbiali tempi biblici della Chiesa possono ormai più giustificare.
Testimonianze (espandi | comprimi)
«Guarda là! Quella finestra, che s’affaccia verso il cortile interno, un po’ stretta ma alta con un muro divisorio dove ci sono i gabinetti … non lo vedi all’interno lo sciacquone?» «Si è lì, e allora?». «È lì che dopo essere stato violentato ...
Non è ancora dato di conoscere i risultati della commissione curiale sul Provolo, ma testimonianze come quella di Bosoli, tutte in grado di descrivere dettagliatamente la stanza del vescovo, hanno provocato nel 2011 il blocco della procedura di beatificazione di Giuseppe Carraro, il vescovo di Verona al tempo dei crimini." Federico Tulli, giornalista, autore nel 2010 del saggio “Chiesa e pedofilia” edito da L'Asino d'Oro
Proposta di legge di Maurizio Turco per l'istituzione della Giornata della memoria
Lettera al Papa, a Bertone e Bagnasco in cui le vittime del Provolo chiedono la sconsacrazione dei luoghi in cui sono avvenute le violenze
Lettera ai principali quotidiani locali e nazionali

M5S e Liquid Feedback, come funziona la piattaforma online. - Marco Schiaffiono


Movimento 5 Stelle Liquid Feedback

Al via i primi test con il software sviluppato dal “Partito dei Pirati” che permette di prendere decisioni attraverso discussioni e votazioni democratiche su Internet. In Sicilia è già stato usato per definire il programma per le prossime regionali, ma con alcune limitazioni.

Poca democrazia nel MoVimento 5 stelle? Beppe Grillo, dopo l’accusa fuori-onda del consigliere emiliano Giovanni Favia sulla scarsa democrazia interna, ha affrontato la questione con un post sul suo blog. Nel suo intervento, Grillo ha annunciato che “per le prossime elezioni politiche i candidati del M5S saranno scelti on line e il programma sarà discusso e completato attraverso una piattaforma in Rete. In modo trasparente”. Come? A spiegare quali potrebbero essere le modalità delle consultazioni è Mattia Calise, consigliere per il M5S al Comune di Milano, che conferma l’interesse del movimento per Liquid Feedback, la piattaforma software creata dai “pirati” tedeschi di Interaktive Demokratie.
Il software è stato tradotto in italiano dai militanti del MeetUp (i “circoli” del movimento, ndr.) di Bergamo con l’obiettivo di integrare il sistema di comunicazione via Internet dei 5 Stelle e consentire di prendere decisioni condivise. Non è detto però che sia questo lo strumento a cui si riferisce Grillo nel suo messaggio. “I test si stanno svolgendo in diversi MeetUp, ma non si tratta ancora di un progetto a livello nazionale” spiega Calise. “Si tratta più che altro in un percorso di sperimentazione che gli attivisti stanno portando avanti in maniera indipendente”.
Come funziona - Liquid Feedback è un progetto open source che permette alle associazioni di offrire ai suoi membri uno spazio libero per prendere parte ai processi decisionali. L’idea è quella di approvare (o indirizzare) le singole decisioni attraverso un dibattito Web. Il processo è distinto in due fasi: discussione e votazione. Se la prima ricorda da vicino il funzionamento di un qualsiasi forum Internet, la parte più interessante è quella che riguarda la fase decisionale. La votazione avviene infatti secondo il cosiddetto “metodo Schulze”, che prevede la possibilità di esprimere la propria opinione su un quesito in maniera articolata, creando una gerarchia di preferenze delle varie soluzioni. Il metodo è spiegato in maniera piuttosto intuitiva in un video pubblicato su YouTube dagli stessi sviluppatori di Liquid Feedback. Semplificando, ogni mozione riceve un punteggio di preferenza da parte di ogni partecipante e quella che ottiene il punteggio migliore viene approvata. Un sistema che potrebbe essere utilizzato non solo per la scelta dei candidati alle prossime elezioni o per la definizione del programma, ma anche nei casi di democrazia interna più spinosi, come quello della “scomunica” recapitata da Grillo al consigliere ferrarese Valentino Tavolazzi attraverso un post sul blog e messa all’indice dai dissidenti del M5S come dimostrazione della scarsa democrazia interna al movimento.
Delegati virtuali - L’adozione di Liquid Feedback rappresenterebbe quindi la messa in pratica di quella democrazia diretta e partecipativa che il M5S sostiene fin dalla sua nascita. Pronti dunque per una partecipazione “orizzontale” e per la scomparsa del concetto di delega? Non proprio. Anzi: la delega, sia nella discussione che nella votazione, sarebbe parte integrante e fondamentale del sistema della liquid democracy. Secondo gli autori del software, infatti, non tutti i partecipanti possono avere il tempo e le competenze necessarie per dire la loro su un argomento. Per ovviare al problema, Liquid Feedback permette di delegare il proprio voto a un altro partecipante. La delega è valida solo per ogni singolo argomento (topic ndr) e può essere revocata in qualsiasi momento. Insomma: a prima vista il sistema non sembrerebbe molto diverso da quello utilizzato all’interno di un partito tradizionale, attraverso i vari direttivi o circoli provinciali, regionali e nazionali, con l’eccezione che tutto avviene tramite Web. Alfonso Moscato, del MeetUp di Palermo, sottolinea però la diversa natura che assume la delega nella liquid democracy: “Limitandosi ad argomenti specifici, la delega permette di affidare le decisioni a chi dimostra di avere una buona competenza sul tema trattato. Visto che può essere revocata in maniera istantanea, poi, rappresenta uno strumento di controllo estremamente efficace: se il delegato esprime opinioni contrastanti con le mie, posso sfiduciarlo con un clic. Proprio lo strumento che ci vorrebbe per garantire il rispetto del mandato tra eletti ed elettori”.
Quali controlli? - L’utilizzo di Internet come strumento per il processo decisionale pone nuovi problemi, soprattutto per quanto riguarda i controlli sull’identità e la genuinità degli iscritti. Secondo quanto dichiarato da Grillo sul suo blog, infatti, il processo dovrebbe essere “aperto a tutti”. Ma con quali controlli e quali garanzie? Quando si parla di numeri su Internet, infatti, le cose si fanno piuttosto complicate. Non a caso per i controlli si parla di firme digitali o posta certificata. Una soluzione che potrebbe permettere di evitare casi come quello scoppiato a luglio, dopo la polemica di Marco Camisani Calzolari - docente dello IULM e tra gli autori del sito forzasilvio.it - secondo il quale molti dei follower di Beppe Grillo su Twitter sarebbero dei “bot”, utenti fantasma generati automaticamente e gestiti via computer. Nello scorso luglio il tutto si è risolto con un botta e risposta al vetriolo tra il professore e gli attivisti del movimento, ma in tempi di liquid democracy dubbi del genere potrebbero avere ripercussioni molto più ampie e minare il sogno di una partecipazione orizzontale sul Web. In Sicilia, dove Liquid Feedback è stato utilizzato per definire il programma alle prossime regionali, l’accesso è stato limitato agli attivisti. “Per la partecipazione abbiamo chiesto l’invio di una copia della carta d’identità e l’URL (il collegamento Internet ndr) del profilo MeetUp di appartenenza” spiega Moscato. Per alcune decisioni viene anche fissato un quorum, del 20%, il cui raggiungimento è vincolante per la validità della votazione. 

Il “saldo” Fiat: 7,6 miliardi di euro ricevuti dallo Stato, investiti 6,2 miliardi.


disoccupazione dati ocse


Uno studio della Cgia di Mestre fornisce le cifre su un tema di cui si torna a discutere spesso: gli aiuti pubblici ricevuti dalla casa di Torino, dal 1977 a oggi, a fronte dei benefici restituiti all'economia. Esclusi dal conto gli ammortizzatori sociali.

Dal 1977 a oggi, la Fiat ha ricevuto l’equivalente di 7,6 miliardi di euro dallo Stato, e ne ha investiti 6,2 miliardi: è la Cgia di Mestre a fornire le cifre su tema spesso dibattuto a proposito della casa torinese, cioè il “saldo” tra aiuti pubblici ricevuti e capitali impiegati nell’economia nazionale. “Una somma importante – segnala il segretario di Cgia Giuseppe Bortolussi – che comunque è stata integrata, tra il 1990 e i giorni nostri, da oltre 6,2 miliardi di investimenti realizzati dalla Fiat sui progetti per i quali ha ottenuto i 7,6 miliardi presi in considerazione. Va anche detto che gli aiuti più significativi – continua – sono avvenuti negli anni ’80, quando tutti i Governi dei Paesi occidentali sono intervenuti massicciamente per sostenere le proprie case automobilistiche”.
Tra gli aiuti elargiti alla Fiat, l’analisi della Cgia non ha tenuto conto degli ammortizzatori sociali impiegati in questo periodo né gli ultimi contratti approvati dal Cipe nel biennio 2010-2011. In assoluto, l’investimento più importante è stato quello che si è reso necessario per la costruzione degli impianti produttivi di Melfi e Pratola Serra (1990-1995) che sono costati alle casse dello Stato quasi 1,28 miliardi di euro. Per contro, la Fiat ha investito in questo nuovo sito 2 miliardi di euro. Di un certo rilievo anche le ristrutturazioni che hanno interessato la Sata di Melfi (1997-2000) e l’Iveco di Foggia (2000-2003). Se nel primo intervento lo Stato ha investito 151 milioni di euro, nel secondo sono stati spesi 121,7 milioni di euro pubblici. La Fiat, comunque, per entrambi i siti ha messo sul tavolo una cifra complessiva di poco inferiore agli 895 milioni di euro.
“Da sempre – conclude Bortolussi – la politica italiana ha guardato con grande attenzione e una certa indulgenza alla più grande industria privata italiana. Ora che soldi pubblici non ce ne sono più, ognuno deve correre con le proprie gambe e affrontare la concorrenza internazionale con i propri mezzi. Se, in una fase estremamente delicata come quella che stiamo vivendo, dovessimo perdere un marchio che ha fatto, nel bene e nel male, la storia industriale del Paese sarebbe un grave danno per tutta l’economia italiana”.
La Fiat è dello Stato, cioè nostra! Riprendiamocela, sicuramente sapremmo gestirla meglio!
Cetta.

Come la mettiamo? Questi li conosciamo tutti!



(AGI) - Roma, 17 set. - Va condannato chi fa il saluto romano, inneggiando al razzismo e al fascismo. 
La sesta sezione penale della Cassazione ha per questo confermato la pena inflitta dalla Corte d'appello di Firenze ad un 50enne che, in concorso con altre persone, durante una "pubblica riunione", aveva effettuato il saluto romano scandendo "slogan inneggianti al razzismo e al regime fascista". 
La Suprema Corte, con la sentenza n.35549 depositata oggi, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'uomo, secondo cui non vi era certezza che il soggetto ritratto nelle foto da cui era scaturita l'indagine fosse proprio lui. Nelle fotografie, infatti, era raffigurato un uomo con il "capo coperto da un cappello, una sciarpa sul volto e un giubbotto imbottito": il riconoscimento dell'imputato si era basato sulla testimonianza di un poliziotto, che aveva dichiarato di conoscerlo "dal 1990". La Cassazione, confermando la condanna, ha rilevato che "il giudice d'appello ha fondato il proprio convincimento sulla circostanza che gli imputati erano soggetti gia' noti alle forze di Polizia (in particolare alla Digos e alle Questure della Toscana) per la loro partecipazione ad altre manifestazioni del genere" e che il ricorrente "era pluripregiudicato e, percio', anche sotto questo profilo, era noto alle forze di Polizia". I giudici del merito, conclude la Suprema Corte, "hanno poi posto in rilievo come l'imputato avesse la parte inferiore del volto (dal naso in giu') coperta da una sciarpa, che non ne impediva il riconoscimento da parte di chi gia' lo conoscesse".

http://www.agi.it/cronaca/notizie/201209171543-cro-rt10160-cassazione_e_reato_fare_il_saluto_romano