mercoledì 24 ottobre 2012

Grandi rischi, la scienza non c’entra. I sismologi “condannati” dalla politica. - Mario Portanova


Grandi rischi, la scienza non c’entra. I sismologi “condannati” dalla politica


Dopo la sentenza dell'Aquila, il mondo della ricerca si mobilita in favore degli esperti della Commissione: "Sentenza ingiusta, i terremoti non si possono prevedere". Ma l'accusa è esattamente opposta: aver fatto filtrare alla popolazione messaggi tranquillizzanti. In "un'operazione mediatica" per "tranquillizzare la gente" voluta dal capo della Protezione civile Bertolaso.

C’è persino chi tira in ballo Giordano Bruno e Galileo Galilei per commentare la sentenza contro i membri della Commissione grandi rischi per l’ormai famosa riunione indetta pochi giorni prima del terremoto in Abruzzo. Lo fa il presidente della Toscana Enrico Rossi, che parla di una sentenza che “lascia sconcertati”, perché la scienza “non si processa in tribunale”. E agli esperti condannati a sei anni di reclusione arriva la solidarietà della comunità scientifica internazionale, in difesa dei colleghi colpevoli “di non aver previsto il terremoto”. Accusa che giustamente appare assurda alla stragrande maggioranza dei sismologi, tutti concordi nel dire che allo stato attuale delle conoscenze fissare sul calendario la data anche approssimativa di un sisma è semplicemente impossibile.
Peccato che le cose non stiano affatto così, e probabilmente chi ha diffuso appelli per la libertà della ricerca non ha letto le carte dell’inchiesta. A partire dalla memoria del pm dell’Aquila Fabio Picuti, depositata il 13 luglio 2010 e quindi ben nota, dove si legge: “L’intento non è quello di muovere agli imputati un giudizio di rimprovero per non aver previsto la scossa distruttiva del 6 aprile 2009 o per non aver lanciato allarmi di forti scosse imminenti o per non aver ordinato l’evacuazione della città”. Proprio perché, è lo stesso sostituto procuratore a scriverlo, “la scienza non dispone attualmente di conoscenze e strumenti per la previsione deterministica dei terremoti”. A inguaiare gli esperti capitanati dal presidente dell’Ingv Enzo Boschi non è stato il presunto oscurantismo dei giudici, ma l’esigenza tutta politica di “rassicurare” gli abitanti del capoluogo abruzzese, allarmati da una lunga sequenza di scosse e dai primi danneggiamenti di edifici, a partire da una scuola.
LE TESTIMONIANZE: “MORTE PERCHE’ RASSICURATE DA QUELLA RIUNIONE”. L’accusa è opposta a quella evocata negli appelli a difesa degli imputati: da quella riunione sono filtrati messaggi tranquillizzanti, tesi a escludere una scossa devastante. Agli atti dell’inchiesta ci sono le testimonianze che raccontano come la vulgata mediatica di quella riunione abbia convinto molte future vittime a metter da parte ogni preoccupazione. “Placentino Ilaria, deceduta nel crollo dell’abitazione di Via Cola dell’Amatrice n.17, e Rambaldi Ilaria, deceduta nel crollo dell’abitazione di Via Campo di Fossa n.6/B”, secondo le testimonianze dei parenti, “erano studentesse universitarie fuori sede che all’indomani del 31 marzo 2009 avevano scelto di rimanere a L’Aquila e di restare in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile facendo affidamento sulle conclusioni della riunione della Commissione grandi rischi”. 
La Commissione grandi rischi si riunisce a L’Aquila (scelta irrituale, dirà poi Boschi, visto che di solito gli incontri avvenivano a Roma) alle 18,30 del 30 marzo 2009, una settimana prima del terremoto notturno che avrebbe provocato più di 300 morti, devastando la città e diversi centri della provincia. Oltre al presidente dell’Ingv arrivano diversi pezzi grossi della Protezione civile e della sismologia nazionale, tra i quali Franco Barberi, presidente vicario della Commissione grandi rischi, Gian Michele Calvi, presidente dell’Eucentre di Pavia, anche loro condannati per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose.
LA TELEFONATA DI BERTOLASO: “DEVONO DIRE CHE LA SCOSSA NON CI SARA’”. La ragione di quel vertice lo racconta Guido Bertolaso, allora capo della Protezione civile, dipartimento della presidenza del consiglio, con Palazzo Chigi occupato al tempo da Silvio Berlusconi: “Ti chiamerà De Bernardinis, il mio vice, al quale ho detto di fare una riunione lì all’Aquila domani su questa vicenda di questo sciame sismico che continua, in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni, eccetera”, spiega Bertolaso a Daniela Stati, assessore regionale abruzzese alla Protezione civile, in una telefonata intercettata per un’altra inchiesta (quella sugli appalti del G8). Si tratta soprattutto di rintuzzare gli allarmi lanciati da Giampaolo Giuliani, un ricercatore che si diceva in grado di prevedere ulteriori scosse sulla base dell’analisi del gas radon, metodo noto ai sismologi, ma giudicato inaffidabile. “Io non vengo, ma vengono Zamberletti, Barberi, Boschi, quindi i luminari del terremoto d’Italia”, continuava Bertolaso. “Li faccio venire all’Aquila o da te o in prefettura, decidete voi, a me non frega niente, di modo che è più un’operazione mediatica, hai capito? Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti diranno: è una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano 100 scosse di 4 scala Richter piuttosto che il silenzio perché 100 scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa, quella che fa male”. Quindi la conclusione: “Parla con De Bernardinis e decidete dove fare questa riunione domani, che non è perché siamo spaventati e preoccupati, ma è perché vogliamo tranquillizzare la gente“.
L’operazione mediatica per “tranquillizzare la gente” ha successo. Sono presenti amministratori locali, a partire dal sindaco Massimo Cialente, e molti giornalisti attendono fuori dalla porta. “La mattina del primo aprile incontrai in Piazza palazzo il sindaco”, spiega ai pm l’allora presidente della Provincia Stefania Pezzopane. “Mi confermò che secondo la Commissione la situazione era sotto controllo e che sostanzialmente non c’erano pericoli imminenti. Tant’è vero che già dal primo aprile decidemmo di riaprire le scuole che erano state chiuse precauzionalmente un paio di giorni”. Tra le tante dichiarazioni rasserenanti rilasciate dopo la riunione, i magistrati ricordano in particolare quella di Bernardo De Bernardinis, vicecapo settore tecnico operativo della Protezione Civile. Intervistato da Tv Uno, parla di “una situazione favorevole“, dato lo “scarico di energia continuo”. 
BOSCHI E IL VERBALE POSTDATATO. Il risultato della riunione del 30 marzo è riassunto in uno stringato verbale, nel quale Boschi definisce “improbabile una scossa come quella del 1703″, pur rimarcando che “non si può escludere”. Dal testo si deduce che i massimi sismologi italiani si riuniscono a L’Aquila per dirsi  quel che per loro ovvio, e cioè che i terremoti non si possono prevedere. Ma l’imprinting di Bertolaso ottiene il suo effetto, se all’opinione pubblica passa un messaggio rasserenante. Ma c’è di più. Il 16 settembre Boschi denuncerà in una lettera che quel verbale è stato redatto e firmato non la sera dell’incontro, ma in una nuova riunione convocata a L’Aquila il 6 aprile, subito dopo il sisma. E’ Mauro Dolce, capo dell’Ufficio rischio sismico della Protezione civile, anche lui condannato al processo, a mostrargli “un testo che riporta in maniera confusa cose dette nella riunione del 31 marzo”. Qualcuno, continua Boschi, “corregge il testo alla meno peggio e Dolce ce lo fa firmare per ‘ragioni interne’”. In quel momento il presidente dell’Ingv apprende anche che il 30 marzo e il primo aprile “dalla Protezione civile sono stati diramati due comunicati (recanti anche il mio nome) ‘tranquillizzanti’ di cui non sapevo niente”. 
I successivi gradi di giudizio diranno se i condannati in primo grado sono davvero colpevoli di quei reati e se i sei anni di reclusione sono proporzionati ai fatti attribuiti a ciascuno. Ma a trascinarli in tribunale è stato il pasticcio politico-mediatico di quella riunione, non certo il presunto attacco alla libertà scientifica da più parti evocato. E’ la dolorosa consapevolezza espressa dopo la sentenza da Giustino Parisse, il caporedattore del Centro che alle 3.32 del 6 aprile 2009 ha perso due figli: “Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai”, scrive sul suo blog. “Certo fra le tante colpe che ho c’è anche quella di essermi fidato della commissione Grandi rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo del 2009 rinunciò a essere scienza”.

Monza, traffico di sangue infetto in ospedale: indagato primario. - di Olga Fassina


Monza, traffico di sangue infetto in ospedale: indagato primario

I reati contestati vanno dal peculato (se si accertasse il prelievo in eccesso) alla falsificazione di cartelle cliniche, ma si valuta anche l’ipotesi della truffa. Tutto è partito da una denuncia ai Carabinieri di Seregno che ha poi portato i Nas di Milano ad effettuare due blitz nel nosocomio brianzolo.

Sacche di sangue infetto dei malati di Hiv che partivano dall’ospedale di Monza e venivano trasportate in motorino a Milano. E ancora prelievi di plasma in quantità superiore a quanto previsto dai protocolli per ottenere rimborsi più corposi dalla Regione. Sono questi alcuni degli elementi che la Procura di Monza ha contestato ad Andrea Gori, primario di Malattie infettive al San Gerardo di Monza e fratello del più noto Giorgio Gori, imprenditore e produttore tv. Il luminare, molto conosciuto soprattutto perché sta sperimentando il primo vaccino contro l’Hiv, è stato travolto dalla bufera che si è abbattuta sul reparto che dirige e che ha visto in tutto nove persone ricevere inviti a comparire in Procura firmati dai sostituti procuratori di Monza Salvatore Bellomo e Caterina Trentini.
I reati contestati vanno dal peculato (se si accertasse il prelievo in eccesso) alla falsificazione di cartelle cliniche, ma si valuta anche l’ipotesi della truffa. Tutto è partito da una denuncia ai Carabinieri di Seregno che ha poi portato i Nas di Milano ad effettuare due blitz nel nosocomio brianzolo. Il primo, sei mesi fa, aveva portato anche ad alcune indagini interne da parte della direzione ospedaliera. “Avevamo eseguito delle verifiche, Gori sta seguendo una trentina di sperimentazioni, ma tutto era risultato regolare e mi sembrerebbe strano che un medico della sua levatura vada a rischiare e per che cosa? – ha spiegato il direttore del San Gerardo Francesco Beretta – I protocolli hanno iter molto precisi e rigorosi per l’approvazione, ma se qualcuno preleva sangue in eccesso, di quello la direzione non riesce ad accorgersi”.
Giovedì mattina gli uomini del Nucleo anti sofisticazioni sono tornati in azione. Non solo in ospedale, ma anche nell’automobile e nell’abitazione di Gori a Lecco, dove hanno rovistato anche nel frigorifero per cercare eventuali provette di sangue. Poi, hanno sequestrato un faldone di documenti e fotocopie, tra cui tutte le sperimentazioni che sta seguendo Gori, oltre ad aver scaricato decine di file dai computer. Sotto la lente degli inquirenti sono finiti i prelievi effettuati dal reparto di Malattie infettive che sembrerebbero troppo numerosi rispetto a quanto previsto dai protocolli medici che stabiliscono regole ferree durante le sperimentazioni. Dove finisse poi questo sangue prelevato non è ancora stato chiarito ed è proprio quello che stanno cercando di verificare gli inquirenti. Probabilmente veniva spostato con motorini verso Milano, ma per quale destinazione non è chiaro. “La questione mi sembra molto confusa”, ha ribadito il direttore dell’ospedale, mentre Gori si è limitato a commentare quanto successo con poche parole: “Nessun illecito”. L’infettivologo ha poi confermato quanto detto al direttore Beretta che ha incontrato il personale coinvolto dall’inchiesta rassicurandolo che non sarebbe stato sospeso.

martedì 23 ottobre 2012

Sallusti, la Cassazione: «Spiccata capacità a delinquere».



Il giornalista furioso insulta il magistrato: i giudici ne risponderanno.
ROMA - Nei confronti di Alessandro Sallusti la Cassazione motiva la condanna al carcere per la sua «spiccata capacità a delinquere», dimostrata da tanti precedenti e dalla «gravita» della «campagna intimidatoria» e «diffamatoria» condotta nei confronti del giudice Giuseppe Cocilovo quando nel 2007 dirigeva 'Libero'. «La Cassazione ne risponderà», è la replica del giornalista. Intanto il ddl diffamazione passa all'esame del Senato.

Le motivazioni. 
Nella sentenza 41249, la Suprema Corte spiega perché, lo scorso 26 settembre, ha confermato la condanna a 14 mesi per diffamazione e omesso controllo a carico di Sallusti per due articoli - uno firmato 'Dreyfus' - pubblicati il 17 febbraio 2007. «Gli atti processuali - scrive la Cassazione - danno un quadro di forti tinte negative sulle modalità della plurima condotta trasgressiva» di Sallusti ai danni non solo di Cocilovo ma anche dei genitori adottivi e di una minorenne «sbattuti in prima pagina».

«Non esiste il diritto di mentire». 
«In ordinamento e in una società, che vivono e si sviluppano grazie al confronto delle idee, non può avere alcun riconoscimento l'invocato diritto di mentire, al fine di esercitare la libertà di opinione», sottolinea la Cassazione replicando alla tesi difensiva di Sallusti. «L'affermato intreccio del dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e come finalità la verità e la sua diffusione. Se manca questa base di lancio, se non c'è verità, ma calcolata e calibrata sua alterazione, finalizzata a disinformare e a creare inesistenti responsabilità e ad infliggere fantasiose condanne agli avversari, il richiamo a nobili e intangibili principi di libertà è intrinsecamente offensivo per la collettività e storicamente derisorio, beffardo per coloro che, in difesa della libertà di opinione, hanno sacrificato la propria vita». La sentenza si compone di 26 pagine.

«Illecita strategia intimidatrice».
 «Forma, sostanza, modalità, tecnica di informazione impiegati ed esibiti dal quotidiano, in persona del direttore Sallusti, dimostrano l'assenza di un leale confronto di idee e di una lecita critica» alla legge sull'interruzione di gravidanza, scrive poi la Cassazione, aggiungendo che i due articoli incriminati «dimostrano invece la presenza (nell'ambito di un lecito quadro di dissenso per la disciplina legislativa dell'aborto) di una illecita strategia di intimidatrice intolleranza, di discredito sociale, di sanzione morale diretta contro un magistrato». Sallusti, per i Supremi giudici, ha attribuito al giudice tutelare Cocilovo «un inesistente ruolo di protagonista nella procedura dell'aborto, rappresentata come cerimonia sacrificale di una vita umana, in nome della legge». A Cocilovo, inoltre, Sallusti ha attribuito «una funzione e una immagine di crudele e disumano giustiziere, meritevole di essere posto nella gogna mediatica con la qualifica di assassino». Per la Cassazione Sallusti ha pubblicato in maniera «deliberata» la notizia falsa e diffamatoria.

La «mancata concessione delle attenuanti generiche» a favore di Alessandro Sallusti, per la «dimostrata gravità» dei fatti da lui commessi, è «già sufficiente a configurare un'ipotesi eccezionale, legittimante l'inflizione della pena detentiva», sottolinea infine la Cassazione.

La replica di Sallusti. 
«Non si può giocare con la vita delle persone, il presidente della Cassazione dovrà risponderne anche a mio figlio», replica Alessandro Sallusti, reagendo con parole durissime alle motivazioni della sentenza di condanna. «Non si può dare del delinquente - conclude - a un giornalista che non ha mai subito altre condanne». Il direttore del Giornale si lascia andare anche a qualche insulto nei confronti di Aldo Grassi, presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione. «Il mio non è uno sfogo - spiega - ma un giudizio sereno che sarà oggetto di un mio editoriale che sarà pubblicato domani. Mi auguro che questo giudice venga cacciato dalla magistratura. Non si può giocare con la vita delle persone». «Non c'è nessuna reiterazione del reato, c'è solo un articolo, neanche scritto da me, che a ben guardare non è neanche diffamatorio perché non si cita nessuno e si parla per assurdo».

Scajola, l'uomo delle armi. - Gianluca Di Feo




L'indagine sulle forniture Finmeccanica in Brasile (nella quale l'ex ministro è indagato) alza il velo sull'incredibile giro d'affari che ha creato dal 2008: aerei per un miliardo, navi per 461 milioni e mezzi terrestri per 404 milioni.

Tutti guardano al cielo, ai voli del supercaccia F-35 ma il programma più costoso della Difesa italiana è un altro: si chiama Forza Nec e si prevede che farà spendere ai cittadini ben 22 miliardi di euro nei prossimi venti anni. 

Un progetto che vuole forgiare il "soldato del futuro", rendendolo pedina di una rete satellitare integrata, ma che permette di finanziare un po' di tutto: dentro il concetto di Nec ossia network enabled capability si sono infilati fucili d'assalto e software, mezzi blindati e apparati spaziali. 

Con due caratteristiche: i contratti fanno tutti capo a Selex, l'azienda elettronica di Finmeccanica, e a pagare non è la Difesa ma il Ministero dello Sviluppo Economico.

L'indagine napoletana che coinvolge Claudio Scajola apre un faro sull'importanza che questo dicastero ha assunto nelle commesse militari. E' lo Sviluppo Economico a decidere e finanziare i programmi più rilevanti, che si tratti proprio dell'F-35 o dell'altro supercaccia Eurofighter Typhoon, delle autoblindo Freccia o delle fregate Fremm, finite adesso al centro dell'inchiesta per le trattative con il Brasile. 

Ogni anno circa un terzo dei fondi per nuovi armamenti arrivano dalle casse dallo Sviluppo Economico e servono per sovvenzionare prototipi o l'acquisto di strumenti bellici, secondo l'antica teoria che vede la ricerca militare come propulsore della crescita economica. In Italia però questa equazione si è trasformata in una pioggia di denaro per Finmeccanica, e secondariamente per Fincantieri sulla parte navale, senza gare di appalto né possibilità di verifica sui costi reali delle forniture. 

Gli importi sborsati sono sempre consistenti. Nel 2005 il Ministero dello Sviluppo Economico ha messo a disposizione 1490 milioni per armamenti, un miliardo per ciascuno dei due anni successivi. Poi nel 2008, con l'arrivo di Scajola, c'è il boom: ben 2037 milioni. In quest'annata ricca, il dicastero ha finanziato aerei per un miliardo, navi per 461 milioni e mezzi terrestri per 404 milioni. Singolare notare come nemmeno un euro è andato ai piani di ricerca. Nel 2009 c'è una lieve riduzione con il totale di 1906 milioni.


Ma il record viene toccato nel 2010, l'ultimo bilancio impostato da Scajola prima delle dimissioni per la casa con vista sul Colosseo pagata dal giro di Anemone «a sua insaputa»: il suo ministero investe 2 miliardi e 267 milioni in programmi bellici. 

Il salto maggiore riguarda proprio le fregate Fremm, quelle oggetto delle indagini napoletane, che ricevono altri 330 milioni, portando lo stanziamento annuale a 510 milioni. Queste navi da guerra di ultima generazione, concepite assieme alla Francia, stanno da sempre a cuore a Scajola: la produzione di scafi, radar e cannoni è infatti concentrata in Liguria, la terra dove si radica il suo potere elettorale.

Alcuni di questi investimenti sono stati più graditi dai manager di Finmeccanica che non dai generali. Ad esempio quando è nato il programma per l'aereo d'addestramento Aermacchi M346, inizialmente progettato insieme ai russi sulla scia dell'intesa Berlusconi-Putin, l'Aeronautica non sentiva la necessità di un nuovo velivolo scuola. 

Ma l'intera operazione è stato finanziata dal ministero dello Sviluppo Economico, che sta pagando anche per i 14 jet destinati alla nostra aviazione. Per carità, si tratta di un ottimo mezzo, il più avanzato della sua categoria, che però stenta a imporsi sui mercati internazionali. E quindi finora ha pesato soprattutto sui contribuenti. 

Anche la galassia di satelliti spia Cosmo-Skymed, che ha reso l'Italia una potenza dell'intelligence spaziale, è stata messa in orbita grazie ai fondi dello Sviluppo Economico, che si è fatto carico della fetta più consistente dei 1137 milioni usati per costruire i primi quattro occhi elettronici. 

Lo stesso dicastero dovrebbe contribuire con quasi 400 milioni alla realizzazione di due nuovi satelliti spia. Soldi, pure in questo caso, assegnati per trattativa diretta: senza gare, senza vigilanza sulle spese e senza un reale dibattito parlamentare per capire se in tempi di crisi il nostro Paese abbia bisogno di un simile arsenale stellare.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scajola-luomo-delle-armi/2193462/8

Io ce lo vedrei bene nelle patrie galere.
- Responsabile dei fatti di Genova durante il G8;
- levò la scorta a Marco Biagi suo consulente, che poi fu ucciso;
- si fece istituire un volo giornaliero Alitalia Albenga-Roma;
- dice di non sapere di essere possessore di una casa pagata da altri.
E se non è da patrie galere è da ricovero coatto in strutture per cerebrolesi....

Cetta.

Altra chicca famiglia Scajola risalente al 2009:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scajola-dinasty/2116358

Morti dell’Aquila, uccisi dalla burocrazia. A ‘Presa di posizione’ l’analisi di Peter Gomez



C’è un’intercettazione che riassume bene quello che è accaduto a L’Aquila una settimana prima del sisma del 2009. Su ordine di Guido Bertoloso, ex numero uno del Dipartimento della Protezione civile, si riuniscono gli esperti componenti della Commissione Grandi Rischi con il chiaro scopo di tranquillizzare la popolazione ed evitare il panico. E’ per ragioni squisitamente politiche che viene organizzata questa operazione mediatica o meglio una grande sceneggiata, così come l’ha definita un testimone durante il processo. Ma ora quegli stessi tecnici, al contrario di quello che scrive la maggior parte della stampa, non sono stati condannati per non aver saputo prevedere il terremoto, ma per aver svolto con negligenza il proprio compito. Gli imputati – secondo l’accusa – erano tecnici, ma non hanno svolto il proprio dovere. Esattamente come in queste ore stanno facendo alcuni giornalisti che non possono ignorare i fatti, rischiano così di svolgere con negligenza il proprio compito. A ‘Presa di posizione’, l’analisi di Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it (riprese e montaggio Paolo DimalioSamuele Orini e Lorenzo Galeazzi, elaborazione grafica Pierpaolo Balani)

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/23/morti-dellaquila-uccisi-dalla-burocrazia-presa-posizione-lanalisi-peter-gomez/208371/

Anonymous viola il sito della Polizia, 3500 documenti finiscono in Rete


Anonymous viola il sito della Polizia, 3500 documenti finiscono in Rete


Il gruppo di hacker, come riportato dall'Espresso, è riuscito ad entrare nei server della Polizia di Stato, scaricando e diffondendo 1,3 giga di dati. Dentro c'è di tutto: dalle buste paga ai numeri di telefono di alcune squadre, dal monitoraggio della galassia no tav ai codici di comunicazione. Un leak in piena regola.


“Da settimane ci divertiamo a curiosare nei vostri server, nelle vostre e-mail, i vostri portali, documenti, verbali e molto altro. Siamo in possesso di una notevole mole di materiale: ad esempio documenti sui sistemi di intercettazioni, tabulati, microspie di ultima generazione, attività sotto copertura; file riguardanti i Notav e i dissidenti; varie circolari ma anche numerose mail, alcune delle quali dimostrano la vostra disonestà (ad esempio una comunicazione in cui vi viene spiegato come appropriarvi dell’arma sequestrata ad un uomo straniero senza incorrere nel reato di ricettazione). Il livello di sicurezza dei vostri sistemi, al contrario di quanto pensassimo, è davvero scadente, e noi ne approfittiamo per prenderci la nostra vendetta. Is there any problem, Officer?”.
Si apre con questo messaggio la schermata del blog di Anonymous Italia con cui si annuncia una azione contro il sito della polizia di Stato. L’intrusione, anticipata dal sito dell’Espresso, ha portato a violare, e mettere in rete, circa 3500 documenti, 1,3 gigabyte di dati, ora “tranquillamente” consultabili dal sito del gruppo hacker. Dentro si può trovare veramente di tutto. Dai moduli pre-stampati per gli stipendi fino alle liste di agenti, i numeri di telefono (cellulari) dei componenti di alcune squadre, persino le mail personali degli agenti alle loro mogli o fidanzate. Insomma, un leak in piena regola. I cui elementi più significativi riguardano la sfera No-Tav, i suoi attivisti e il loro monitoraggio. Come nella relazione inviata dalla Questura di Torino al ministero dell’Interno in cui si descrivono le varie entità politiche dell’area. Sigle, ma anche nomi dei leader e informazioni su di essi. Come Luca Abbà, l’attivista precipitato da un traliccio dell’alta tensione nello scorso febbraio. Proprio la dinamica della caduta figura in una relazione di un dirigente di polizia presente sul posto.
Senza contare i materiali sugli agenti sotto copertura. Uno in particolare, riporta l’Espresso, si intitola “agente provocatore”. E sembra essere l’esame, scritto da un giurista, della posizione giuridica degli infiltrati delle forze dell’ordine qualora prendano parte attiva in azioni illecite. E poi disposizioni sulle comunicazioni, comunicati di protesta dei sindacati interni, dettagli su visite dell’Interpol: il mondo della polizia aperto e reso pubblico. 

Lo spot del ministero sulla scuola pubblica? Girato in una privata.



Polemiche in rete per il nuovo spot del ministero dell’Istruzione sulla scuola pubblica: “E’ uno scandalo”, “Siete degli ipocriti”, sentenzia il popolo di Internet. Perché? Perché la location scelta dal Miur è una scuola privata. E neanche italiana. E’ la “Deutsche Schule Mailand”, la scuola tedesca di Milano. Un bel modo per “portare a scuola i tuoi sogni”, come recita lo slogan. “Cerchiamo con tutte le forze di cambiare ciò che non va”, dice la voce del testimonial Roberto Vecchioni. Forse la prima cosa da fare sarebbe cambiare spot.

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/23/spot-ministero-sulla-scuola-pubblica-girato-privata/208373/