Questo è un referendum di tipo “confermativo” (Valerio Onida, Domani, 13.09.20)
Quello del 20 e 21 settembre non è un referendum confermativo (Nadia Urbinati, Domani, 16.09.20)
Nelle ultime due settimane, la discussione pubblica sul referendum mi pare non abbia aggiunto nulla di significativo a quanto mi disse, il 25 agosto scorso, la cuoca cinese di zia: nipote di Qing Jiang e Mao, di politica ci capisce, e quando ho dei dubbi le chiedo lumi, anche se in un piede porta il 32 e nell’altro il 45. Dopo di lei, la maggioranza dei costituzionalisti e degli opinionisti italiani ha dovuto convenire che la decisione per il Sì e per il No, alla fin fine, è solo di natura politica (le cui tendenze estreme sono votare No contro il governo, e Sì pro): la motivazione economica del risparmio non regge (si risparmierebbe molto di più tagliando le spese per il personale di Camera e Senato, e i compensi dei parlamentari e dei loro assistenti). Nessuno, poi, è riuscito a spiegare (perché è impossibile) in che modo una riduzione del numero dei parlamentari migliori le prestazioni del Parlamento; e quanto alla rappresentanza, solo la cuoca di zia ha distinto quella territoriale (per la quale il numero dei parlamentari è arbitrario: si tratta puramente di decidere, su un ipotetico cursore che va da 1.000 parlamentari a zero, a che punto la democrazia finisce) e quella politica (il taglio lineare ottenuto con i Sì penalizzerà i partiti piccoli, specie al Senato: servirà un’altra legge costituzionale). La cuoca di zia, in più, faceva una premessa: la proposta Ferrara-Rodotà del 1985 (una sola Camera di 500 deputati eletti con una legge proporzionale) era perfetta perché riaffermava la centralità del Parlamento contro la sua sudditanza ai governi che decretano d’urgenza, e non creava scompensi come il taglio lineare ora in palio. Inoltre, notava con malizia che meno parlamentari ci sono più sembra naturale il vincolo di mandato che piacerebbe ai fautori della cosiddetta “democrazia diretta” (“Una dittatura della maggioranza che azzera la voce delle opposizioni”, dice Yu, sbocconcellando una frisella intinta nel Fernet), dopo il quale si potrebbero far votare solo i capigruppo, una vecchia idea di Berlusconi.
Sostenere il Sì dicendo che il fronte del No raggruppa un sacco di gente che in passato era per il Sì lascia il tempo che trova: innanzitutto perché, come già detto, la scelta è politica, e in politica il contesto è dirimente (ogni voto è sempre usato per altri interessi, oltre a quelli nominali); poi perché lo stigma su chi cambia idea implica che sia sempre spregevole farlo, e che non si debba imparare dall’esperienza, o approfittare di un’occasione, una cosa che fanno tutti. Infine, sostenere il Sì dicendo che votano No Berlusconi e Formigoni è la classica fallacia del contagio, come lo è usare l’endorsement dei vip; paventare l’arrivo delle destre se vince il No, invece, è la fallacia del bastone (e istiga chi è di destra a votare No). È giusto auspicare riforme che rendano il sistema parlamentare meno confuso. “Ma dopo le Regionali chissà cosa succederà”, commenta Yu, bravissima a cucinare pugliese, crede lei, mentre prepara una puccia per la mia colazione (è un panino di semola senza mollica, farcito con un soffritto di melanzane, pomodorini e aglio). “Per sanare le disfunzioni attuali, dovreste rivedere un po’ di cose: le commissioni parlamentari, i tempi contingentati, lo squilibrio fra il triciclo concesso agli emendamenti dei parlamentari e la Porsche di cui godono i maxi-emendamenti del governo”. Poco dopo, ho dovuto ammettere a me stesso che una puccia come quella non l’ho mai mangiata in vita mia. E non la mangerò mai più.
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