sabato 6 marzo 2021

Il modello Bertolaso, Renzi d’Arabia. Ma c’è chi rischia la vita e viene lasciato per strada: i post di Scanzi. - Andre Scanzi

 

Il modello Bertolaso.

La capacità di Salvini di sbagliarle tutte mi commuove.
“Il modello Bertolaso”… fa già ridere anche solo a sentirlo.
Mah.

Il genio di Crozza.

Un Crozza semplicemente geniale racconta, in quattro minuti, tutto quello che non torna nella fase politica dei 5 Stelle.
Genio puro!

(il video)

Rischia la vita e lo lasciano senza lavoro.

Questa storia è allucinante. Riccardo Munda, 39 anni, ha preso il posto dei colleghi ammalati come medico di base. E ha seguito oltre 1.400 positivi.
Ora la sua sostituzione è finita: “Sia a Selvino sia a Nembro sono stati nominati i titolari. Sloggio perché non ho mai fatto il corso per la specializzazione in medicina generale”.
Ha rischiato la vita. E ora lo lasciano senza lavoro. Ma dove vogliamo andare?

Gli irricevibili.

Ah, l’Italia. Ricapitolando: Conte era un dittatore perché faceva i dpcm, chiudeva le scuole, chiudeva i teatri, chiudeva le palestre, chiudeva i bar e i ristoranti. Eccetera.
Ora Draghi fa lo stesso (e neanche ci mette la faccia, perché in tivù manda Gelmini e Speranza).
Però adesso va tutto bene. E quei fenomeni di Renzi, Salvini e Meloni (in ordine decrescente di gravità politica) non parlano più di “dittatura sanitaria” e “vulnus per la democrazia”.
Siete politicamente irricevibili.

L’intervista.

Una bella chiacchierata con un rocker vero, in testa alle classifiche anche con il suo ultimo libro Spacca l’infinito (Giunti).

La guerra è un’altra cosa.

Appunto. Cerchiamo di ridare il giusto peso alle cose. È un momento drammatico, ma evitiamo parallelismi con la guerra.
Ci stanno chiedendo di tenere la mascherina, lavarsi le mani e stare a distanza, non di andare al fronte.
Piero Angela ottimo come sempre.

La parabola della Bonino.

Sull’operato di Arcuri ho molti dubbi. Non ne ho invece nessuno sulla parabola politica della Bonino: triste, malinconica, imbarazzante.
E questo post, puerile e patetico, ne è ulteriore prova.
Che brutta fine, “compagni” radicali.

Renzi chieda scusa agli italiani.

Renzi? Chieda scusa agli italiani. Si dimetta dal Board saudita, o se preferisce da senatore. E restituisca i soldi presi per quella “conferenza” in Arabia Saudita.
(a Otto e mezzo)

Il rinascimentale bin Salman.

Riguardatevi questo video. Riascoltate bene le parole di Renzi sull’immacolato rinascimentale Bin Salman. Incredibile.

(il video)

Ironia macraba.

L’ironia macabra dei servizi funebri Taffo, purtroppo, è perfetta.
Non ne usciamo mica mai, se continuiamo così.

Conte, l’unica chance per il Movimento.

Tutto come previsto (almeno da queste parti).
Per i 5 Stelle, che ora devono creargli un ruolo ad hoc e dargli il potere di rivoltare il Movimento come un calzino, era l’unica chance di rilanciarsi.
Per Conte, che non è mai stato un leader di partito, è una sfida molto difficile (ma molto meno difficile rispetto a quella di creare un partito tutto suo).
I prossimi mesi, politicamente parlando, daranno parecchi spunti. Ma proprio parecchi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/05/il-modello-bertolaso-renzi-darabia-ma-ce-chi-rischia-la-vita-e-viene-lasciato-per-strada-i-post-di-scanzi/6122152/

Sono pure io un coglione come Nicola. - Antonio Padellaro

 

In fondo, nel Pd, le frequenti decapitazioni e gli autoaffondamenti dei segretari (7 dal 2007) appartengono alla natura stessa di un partito che nella guerriglia tra le diverse tribù trova la sua ragione d’essere. Per cui nelle dimissioni di Nicola Zingaretti la vera novità è più che altro il modo, colpiscono le parole usate, quel “provo vergogna” verso chi si dedica alla caccia alle “poltrone” quando fuori “c’è la pandemia”. Che cosa doveva dire di più per essere creduto nel suo sdegno visto che l’atto d’accusa verso il partito che dirige è così feroce che forse perfino Salvini e Meloni avrebbero qualche problema a sottoscriverlo? E invece no, non è bastato a evitargli il sarcasmo dei tanti retroscenisti di palazzo, che a furia di frugare nei ripostigli del Nazareno devono aver trovato i costumi di Arlecchino e di Pulcinella comprovanti che quelle di Zingaretti sono classiche dimissioni mascherate.

Altrimenti perché scrivere che il segretario “si è dimesso a sorpresa nella speranza di raggiungere una tregua interna ed essere così riconfermato per acclamazione nell’Assemblea nazionale già convocata per il 13 marzo” (Il Giornale)? Oppure chiedersi: “Zingaretti, dimissioni o finta?” (La Verità). O aggiungere un beffardo “per ora” alla notizia che il fratello di Motalbano “lascia la guida del Pd” (Libero). Sulla stampa nazionale è tutto un ammiccare, un darsi di gomito quasi fosse scontato che le pagliacciate fanno parte del gioco e che stare al gioco significa spiegare al popolo bue, in questo caso gli incolpevoli elettori Pd, di non allarmarsi più di tanto. Perché poi, come sempre, finisce tutto a tarallucci e vino. Una reazione comprensibile dopo che un predecessore di Zingaretti giurò e spergiurò che davanti alla sconfitta del suo referendum avrebbe abbandonato la politica per sempre, e invece eccolo ancora lì che fa saltare in aria i governi altrui e ci sputtana nel mondo omaggiando (a gettone) principi arabi poco raccomandabili. Del resto, la costante assenza di verità ha fatto sì che mentre una certa politichetta da marciapiede spera di sopravvivere continuando a turlupinare i gonzi (il leader leghista che si scopre filo Ue, per dire l’ultima), a Palazzo Chigi è arrivato nel frattempo un signore che se volesse potrebbe governare da solo, senza perdere tempo con i partiti bari. Ragion per cui se Zingaretti mantenesse (come sono convinto che manterrà) la sua decisione, passerà, con il vigente sistema di valori, per un coglione inadatto alle asprezze e ai cinismi della politica. In tal caso, per quel che vale, sarò lieto di sentirmi un coglione anch’io. Orgogliosamente.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/06/sono-pure-io-un-coglione-come-nicola/6124089/

Graviano “canta” coi pim: nuova indagine su B. - Marco Lillo

 

Le origini. I soldi del capo di Forza Italia. Cose loro “Mio nonno era in contatto con l’ex Cavaliere”: e i pm di Firenze scavano sui patrimoni iniziali di Silvio. Volano a Palermo. Risentono l’ex gelataio Baiardo.

Si muove come un fiume carsico l’ inchiesta fiorentina per strage su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. L’ipotesi più volte sollevate e più volte scartata è che ci siano stati rapporti tra Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, poi condannati definitivamente per le stragi del 1992 e 1993.

Berlusconi e Dell’Utri sono stati già indagati e archiviati negli anni novanta e duemila. Sono di nuovo indagati da più di tre anni per le parole dette contro Berlusconi in carcere da Giuseppe Graviano nel 2016 e 2017 poi ribadite dal boss con affermazioni, tutte da riscontrare, sui suoi rapporti con Berlusconi risalenti al 1993 in aula al processo Ndrangheta Stragista.

L’indagine è stata rivitalizzata dalle dichiarazioni di Giuseppe Graviano del febbraio 2020 in aula sugli investimenti fatti negli anni settanta dalla sua famiglia materna nelle imprese milanesi di Berlusconi. Parole di un boss che non è un collaboratore e non si è mai pentito e sembrano più messaggi minacciosi che rivelazioni. Al Fatto risulta che nell’ inchiesta è stato sentito anche Salvatore Baiardo, l’ex gelataio ad Omegna, condannato per favoreggiamento più di venti anni fa perché ospitò quando erano latitanti i due fratelli di Brancaccio, arrestati nel gennaio 1994.

Dopo la scossa della trasmissione Rai Report che ha intervistato a gennaio il favoreggiatore sui presunti rapporti tra Berlusconi e dell’Utri con i due boss, qualcosa si muove. Anche Baiardo è un soggetto dalle rivelazioni carsiche. Nel 1995 aveva accennato qualcosa sui rapporti tra il gruppo Berlusconi e i Graviano ai Carabinieri che avevano arrestato i due boss a Milano. Fu ritenuto inattendibile. Poi l’inchiesta passò a Francesco Messina, attuale Direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato, allora capo della Dia di Milano. Messina andò a sentire Baiardo e scrisse un’informativa basata sulle sue rivelazioni che Baiardo non firmò per paura. Baiardo parlava vagamente dei rapporti tra dell’Utri e i Graviano, mai riscontrati. Messina in tv a Report ha detto che non ricevette nemmeno un impulso a indagare dai magistrati su quell’informativa. Era il novembre del 1996, quasi 25 anni fa.

Poi Salvatore Baiardo, ormai una decina di anni fa si è fatto vivo con Il Fatto, che lo ha intervistato. Tirò il sasso alludendo alle vacanze in Sardegna nel 1992 e 1993 dei fratelli Graviano a poca distanza dalla villa di Berlusconi, facilmente raggiungibile via mare da villa Certosa. Poi tirò indietro la mano dicendo che comunque da lì a dire che si erano incontrati “c’è di mezzo il mare”.

Infine Baiardo ha parlato a Report nell’intervista trasmesa due mesi fa. Secondo lui i rapporti finanziari tra i Graviano e Berlusconi sarebbero stati reali ma più importanti di come li racconta Giuseppe Graviano. Affermazioni non riscontrate e talvolta fumose e discordanti che sono senza alcun fondamento per i legali di Berlusconi. Al Fatto risulta che, dopo quelle affermazioni a Report, Baiardo è stato sentito a verbale dai pm di Firenze. Di nuovo. Era già stato sentito in gran segreto nei mesi scorsi altre tre volte e avrebbe parlato a lungo.

Secondo L’espresso i pm fiorentini sarebbero scesi in trasferta a Palermo per cinque giorni tra 8 e 12 febbraio per fare verifiche sul territorio proprio nel filone dell’inchiesta che riguarda i presunti rapporti economici del passato tra la famiglia Graviano e il gruppo Berlusconi. Inoltre i pm di Firenze prima sono andati a interrogare in carcere a Terni Giuseppe Graviano per chiedergli conto delle sue rivelazioni fatte al processo Ndrangheta Stragista su suoi presunti rapporti con Silvio Berlusconi. Il boss di Brancaccio è stato ascoltato il 20 novembre e il giorno prima era stato ascoltato il fratello Filippo Graviano nel carcere di L’Aquila. Da più di dieci anni Filippo a differenza di Giuseppe dice di essersi dissociato. Il boss ha ammesso di essere stato un associato a Cosa Nostra anche se nega di essere mai stato il capo del mandamento o di aver preso parte alle stragi del 1992 e 1993 per le quali è stato condannato.

I due fratelli Graviano sono stati condannati per le stragi del 1992 (costate la vita ai giudici Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta e al giudice Paolo Borsellino con 5 agenti di scorta) nonché per le stragi del 1993 a Firenze e Milano, costate la vita a 10 persone in tutto tra le quali due bambine, nonché per gli attentati contro le basiliche e contro il conduttore Maurizio Costanzo e la moglie Maria De Filippi, nonché per l’esecuzione del beato don Pino Puglisi, parroco del loro quartiere Brancaccio. Nonostante tutte le condanne definitive i due fratelli che hanno ormai 57 (Giuseppe, il boss vero del clan) e 59 anni (Filippo, il più grande che però era in realtà più l’uomo dei conti) continuano a sperare di potere uscire. Filippo Graviano ha chiesto recentemente un permesso premio motivandolo con la sua dissociazione. Nel 2010 Giuseppe Graviano e Filippo Graviano furono convocati al processo di appello contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno. Alla domanda se lo conoscessero, Filippo ha risposto di no raccogliendo i complimenti di dell’Utri sul suo ravvedimento mentre Giuseppe si è avvalso della facoltà di non rispondere. Dell’Utri, che era stato ritenuto colpevole in primo grado anche per la fase politica del suo impegno pubblico, in appello è stato assolto anche perché il racconto di Spatuzza in quel processo non è stato ritenuto attendibile.

Nell’agosto del 2013 Giuseppe Graviano scrisse dal carcere una lettera all’allora ministro Beatrice Lorenzin, che al Fatto disse di non averla letta. Nella lettera, svelata ieri da L’espresso, chiedeva un miglioramento delle sue condizioni carcerarie e sosteneva di essere in carcere “perché dal primo giorno del mio arresto mi è stato detto che se non avessi accusato il presidente di Forza Italia e collaboratori venivano accusato di tutte le stragi del 1993 in poi, lo stesso i miei fratelli, per i parenti altre accuse di 416 bis”. Il boss sosteneva di esser stato spinto “a confermare le accuse dei collaboratori di giustizia nei confronti del senatore Berlusconi, (…) per la provenienza dei capitali per formare il patrimonio della famiglia Berlusconi e in questi ultimi 20 anni altri che conoscete anche tramite i mass-media per ultimo Spatuzza che accusa il senatore Berlusconi e l’ex senatore dell’Utri delle stragi del 1993 e il senatore Renato Schifani per affari con i fratelli Graviano”. Il boss però scriveva “ho la forza di non cedere ai ricatti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/06/graviano-canta-coi-pim-nuova-indagine-su-b/6124069/

La variante saudita. - Marco Travaglio

 

I sogni, vedi quello di Padellaro e quello mio su Conte, portano sfiga. Ma nessuno li può controllare, né costringere a un minimo di attendibilità. Infatti l’ultimo è quanto di più fantasioso si possa immaginare. C’erano tutti i capitribù del Pd (che è peggio della Libia) in conclave nei loro caratteristici costumi e copricapi. Era giovedì sera e s’interrogavano sul da farsi dopo le dimissioni di Zingaretti. Ciascuno sfornava il nome del suo segretario preferito, un po’ come Guzzanti-Veltroni che cercava il candidato premier del 2001 (Heidi, Topo Gigio, Napo Orso Capo, Amedeo Nazzari…). E col medesimo effetto-risata. Guerini? “E chi è?”. Bonaccini? “Sta in zona rossa e poi è già mezzo imparolato con Salvini”. Franceschini? “Aridaje!”. Lotti? “È inquisito e a quel punto tanto vale richiamare Matteo”. Pinotti? “Dài, è uno scherzo!”. Di nuovo Zinga? “Ma se dice che si vergogna di noi!”. Zanda? “Tanto vale chiamare De Benedetti”. Fassino? “Seee, serve giusto un portafortuna”. Gentiloni? “Meglio la melatonina”. Orfini? “Piuttosto un cappio”. Marcucci e Delrio? “Allora meglio Fassino!”.

Il barista che portava le tisane aveva La7 sullo smartphone e guardava uno strano tipo dall’accento emiliano che spiegava a un misirizzi due o tre cose sulla sinistra. Che non può innamorarsi di Draghi. Che non può farsi fare di tutto senza reagire, tipo la cacciata di Arcuri (“Con lui eravamo primi in Europa per i vaccini e dopo il taglio siamo ancora ai livelli di Germania, Francia e Spagna: fra sei mesi vedremo dove siamo”). Che non può rinunciare a Conte, massacrato e poi silurato non certo perché poco di sinistra, semmai troppo. Che deve lavorare a un campo largo progressista col M5S e col 40-45% di incerti, delusi e astenuti, anziché ammucchiarsi con Lega e Forza Italia Viva. Che deve battersi per i brevetti liberi dei vaccini e dei farmaci salvavita e contro l’ennesimo condono fiscale. A quelle parole, i capitribù ebbero una strana sensazione, come di déjà vu. “Queste cose mi pare di averle già sentite da qualche parte”. “Anch’io, ma tanti anni fa”. “Pure a me sono familiari, forse mio nonno, la maestra, chissà…”. “Una volta, in un incubo terribile, ho sognato che le dicevo anch’io”. “A me quel tipo pare tanto di averlo già visto, ma non mi ricordo dove!”. Il barista li interruppe: “Coglioni, quello è Bersani, il vostro ex segretario, che avete lasciato andare via perché non piaceva a quello di Rignano! Fatevi curare”. Lo presero in parola e chiamarono un virologo. Il quale li visitò, diagnosticò a tutti una nuova mutazione del Covid e dettò una terapia d’urto: mettersi in quarantena per 10 anni e richiamare Bersani come segretario. Quelli, terrorizzati, obbedirono. Poi lessero il referto: “Variante saudita”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/06/la-variante-saudita/6124048/

Tumori, anticorpi intelligenti li colpiscono al cuore.

Una cellule tumorale del pancreas (fonte: Min Yu,USC Norris Comprehensive Cancer Center)


Incoraggianti i test sui topi, verso terapia più facile e sicura.

Si può mandare il tumore al tappeto, anche sferrando colpi considerati finora proibiti, grazie ai nuovi anticorpi a doppia azione che gli esperti chiamano 'bispecifici'. La loro peculiarità è quella di poter legare la cellula tumorale e allo stesso tempo anche i linfociti T del sistema immunitario, diventando una sorta di ponte che facilita il riconoscimento e l'eliminazione delle cellule malate risparmiando quelle sane. La validità di questo approccio, che potrebbe aprire la strada a una nuova immunoterapia più facile e sicura, è dimostrata su cellule umane e modelli animali in tre diversi studi, guidati dalla Johns Hopkins University e pubblicati sulle riviste Science, Science Immunology e Science Translational Medicine.

Nel primo lavoro, i ricercatori hanno messo nel mirino un bersaglio tumorale molto sfuggente, localizzato per lo più nel nucleo delle cellule e per questo irraggiungibile per molte terapie: si tratta della proteina p53, un oncosoppressore che in molti tumori risulta mutato e spento. Nei topi malati di mieloma multiplo, gli anticorpi bispecifici sono riusciti a riconoscere e legare la proteina mutata anche quando era presente in minime quantità sulla superficie delle cellule tumorali, inducendo i linfociti T a eliminarle in modo selettivo.

Nel secondo studio, condotto su cellule umane prelevate da tumori di polmone e pancreas, gli anticorpi hanno dimostrato di poterle distruggere in maniera mirata colpendo un altro target molto elusivo, la proteina mutata RAS.

Infine l'ultimo studio, realizzato su cellule umane e topi con diversi tipi di leucemia e linfoma, ha dimostrato l'efficacia di anticorpi bispecifici diretti contro due bersagli molecolari presenti sui linfociti T malati, che in questo modo vengono colpiti risparmiando quelli sani.

Questi risultati indicano che la ricerca sugli anticorpi bispecifici ha imboccato una strada promettente, che potrebbe portare a una nuova immunoterapia più facile da usare perché non richiede di essere personalizzata, a differenza per esempio delle terapie Car-T basate sui linfociti T del paziente stesso modificati in laboratorio e poi reinfusi. Per realizzare appieno il potenziale di questi nuovi anticorpi, però, ci sono ancora diversi problemi da risolvere, come sottolinea Jon Weidanz, immunologo dell'Università del Texas e imprenditore biotech. Nel suo editoriale su Science osserva ad esempio che gli anticorpi sono piccole molecole che finiscono per essere eliminate in fretta dal sangue: per questo motivo bisognerà immaginare una formulazione o un metodo di somministrazione (ad esempio attraverso una piccola pompa impiantata) che permetta di mantenere nel tempo una concentrazione adeguata del farmaco in circolazione.

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2021/03/05/tumori-anticorpi-intelligenti-li-colpiscono-al-cuore_73a38ef6-e042-45d0-92e2-83372502b29b.html

venerdì 5 marzo 2021

Draghi cancella il bollo auto! Una mossa senza precedenti! - Pierpaolo Molinengo

 

Con un vero e proprio colpo di teatro, Mario Draghi cancella il bollo auto. Il Dl sostegno prevede l'azzeramento dei debiti emessi nel 2015. Questo significa che quanti abbiano dimenticato nel cassetto il bollo auto o si siano dimenticati di pagare una multa, possono stracciare completamente le cartelle esattoriali e dimenticarsi una volta per tutte quei debiti.

Con un vero e proprio colpo di teatro, Mario Draghi cancella il bollo auto. Il Dl sostegno prevede l'azzeramento dei debiti emessi nel 2015. Questo significa che quanti abbiano dimenticato nel cassetto il bollo auto o si siano dimenticati di pagare una multa, possono stracciare completamente le cartelle esattoriali e dimenticarsi una volta per tutte quei debiti.

Il Dl Sostegno, che nelle intenzioni del nuovo Governo, andrà a sostituire il tanto atteso Ristori quinques, dovrebbe portarsi dietro tutta una serie di nuove iniziative in soccorso di lavoratori, imprese e disoccupati. L'intenzione è quella di dare un concreto aiuto alle famiglie che sono in difficoltà: proprio per questo si è pensato di cancellare il pagamento del bollo auto e delle multe arretrate.

Bollo auto, un bella sorpresa, ma non per tutti!

Al momento deve arrivare ancora la firma definitiva sul nuovo Dl Sostegno. Ma le informazioni iniziano a trapelare abbastanza velocemente. Il nuovo Governo guidato da Mario Draghi sembra intenzionato a muoversi all'insegna della tolleranza fiscale. Il primo passo è stato quello di aver procrastinato l'invio delle cartelle esattoriali in sospeso. Il secondo passo è stato quello di occuparsi del bollo auto e delle multe non pagate dal 2015. Per il momento si sta parlando ancora di indiscrezioni e per le certezze del caso è necessario attendere che il decreto sia varato.

Nel momento in cui si inizia a parlare di saldo e stralcio, ci si riferisce ad un accordo tra creditore e debitore, nel quale quest'ultimo ha la possibilità di usufruire di una riduzione dell'importo dovuto, nel caso in cui abbia intenzione di risolvere in via bonaria immediatamente il debito. Un pace fiscale che arriverebbe in un momento molto delicato ed importante. Ma che soprattutto andrebbe incontro un po' a tutti i contribuenti, automobilisti compresi, che potrebbero vedere il saldo e lo stralcio dei debiti generati da un bollo auto od una multa scaduta, purché l'importo sia inferiore ai 5.000 euro.

Cartelle esattoriali sopra i 5.000 euro.

Altro discorso, invece, e se le cartelle esattoriali superino il valore dei 5.000 euro. In questo caso si prevede una rottamazione che permetterà al debitore di pagare solo e soltanto l'importo reale della cartella. In estrema sintesi verranno sottratti gli interessi e le sanzioni, che spesso e volentieri fanno lievitare il totale del debito a cifre astronomiche. Fortunatamente, però, se ci soffermiamo a parlare di bollo auto, difficilmente le cartelle esattoriali superano i 5.000 euro. Nel caso in cui il debito superasse questa cifra sarà possibile regolarizzare la propria posizione in due anni: si avrà, quindi, la possibilità di rateizzare il debito.

Ricordiamo, comunque, che il Dl Sostegno non è ancora stato ufficializzato. Quindi, per il momento, è ancora troppo presto per cantare vittoria e sperare che il bollo auto e la multa dimenticati nel cassetto siano stati già cancellati.

I furbetti del bollo auto sono già stati graziati!

Già in passato i cosiddetti furbetti del bollo auto sono stati graziati. Un decreto fiscale del 2019, subito battezzato strappa-carte, aveva cancellato tutti i debiti con il fisco, fino ad un importo massimo di 1.000 euro. Tra questi, ovviamente rientrava anche il bollo auto. Il decreto, entrato in vigore nel 2019, non si riferiva direttamente al bollo auto: un vuoto normativo che aveva portato a continuare a richiedere il pagamento delle tasse scadute, fino a quando gli automobilisti non hanno provveduto a fare ricorso alla Commissione Tributaria, chiedendo la cancellazione delle cartelle, visto che l’Agenzia delle Entrate continuava a sollecitare il pagamento degli arretrati.

A fare chiarezza era poi intervenuto il Ministero dell'Economia, che aveva reso noto che chi non avesse pagato il bollo auto tra il 2000 ed il 2010 non era più obbligato a pagare quanto dovuto, purché la cifra rimanesse al di sotto dei 1.000 euro. 

https://www.trend-online.com/fisco-tasse/bollo-auto-mario-draghi/.

Faide Pd: Zinga si dimette Conte: “Un leader leale”. - Wanda Marra

 

Lo “stillicidio”, come lo definisce lui, andava avanti da giorni e giorni. E con quello, un rimuginare sull’addio che non trovava pace. Alla fine, Nicola Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni. Quasi a freddo nei tempi e inconsuete nei modi, scegliendo un post Facebook. “Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”. Ma poi è stato ancora più diretto: “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione”. Non una fredda comunicazione, ma un messaggio fortissimo, polemico, prima di tutto emotivo, da cui trapela la difficoltà dell’uomo di fronte a un tiro al piccione quotidiano. Ma anche uno scatto di orgoglio.

Non ha avvertito praticamente nessuno, se non il suo inner circle, che il dado era tratto, Zingaretti. Chi ci aveva parlato mercoledì sera e ieri mattina racconta che il quasi ex segretario (le dimissioni saranno formalizzate con una lettera alla presidenza del partito) pareva convinto ad andare avanti. Magari a presentarsi come traghettatore, fino al congresso in autunno, all’assemblea del 13 e 14 marzo. Oppure ad arrivare fino al 2023, sfidando le minoranze. Anche se negli ultimi due giorni, il passo indietro prendeva consistenza davanti al rinvio delle Amministrative a ottobre, con l’idea di candidarsi sindaco. L’annuncio ha lasciato tutti nella costernazione generale: non lo sapeva Goffredo Bettini, che spingeva per un rilancio; non lo sapeva Dario Franceschini, che la lavorato in queste settimane per convincerlo a rimanere.

D’altra parte, “Zinga” di sconfessioni implicite ed esplicite ne ha collezionate parecchie. Ha dato il via a malincuore al governo giallorosa per poi inchiodarsi al “Conte o voto” fino al momento in cui ha sentito dalle parole di Sergio Mattarella nella sala alla Vetrata che Mario Draghi era in campo. Ha accettato il governo con la Lega ed è dovuto restare fuori, per non far entrare Matteo Salvini. Ha visto praticamente fallire l’ipotesi dell’alleanza organica M5S, Pd, LeU con Giuseppe Conte federatore. E sull’“identità” del Pd era già pronta una battaglia sul sistema elettorale, che mezzo partito vuole più maggioritario di lui, per preservare l’idea di un partito plurale. Tutto questo, tra gli attacchi quotidiani di Base Riformista (la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti) e dei sindaci. Poi c’è stata la débâcle sui sottosegretari e la scivolata del tweet in sostegno di Barbara D’Urso. E la fatica di mandare giù l’indifferenza del premier e la freddezza di Mattarella nei suoi confronti.

“Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità”, scrive. Senza un percorso, il Pd rischia davvero l’implosione. E lui lo sa. Che questo basti a convincerlo a ripensarci è da vedere. Nonostante la richiesta che dopo un paio d’ore arriva praticamente da tutti a ripensarci. Da Franceschini a Guerini, da Andrea Orlando ad Andrea Marcucci. Amici e nemici. Oltre ai messaggi di solidarietà che il responsabile Organizzazione, Stefano Vaccari, raccoglie con cura. Non parla Stefano Bonaccini, il principale candidato alla successione. Giuseppe Conte gli telefona, per ribadire l’apprezzamento delle sue qualità umane e della sua lealtà. In fondo, i due condividono la stessa sorte: sono fuori, come voleva Matteo Renzi. Nel governo guardano con una certa preoccupazione a un Pd senza controllo, ma da quando è arrivato Draghi, a implodere sono stati i dem e i Cinque Stelle.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/05/faide-pd-zinga-si-dimette-conte-un-leader-leale/6122766/