martedì 14 giugno 2011

Fusione fredda: il 1° ottobre il primo reattore in Grecia. - di Susanna Grego


La fusione fredda è diventata una realtà. L’esperimento condotto qualche mese fa presso l’università di Bologna pare proprio che funzioni: è arrivata anche l’approvazione dalla Nasa americana, tramite Dennis Bushnell, scienziato capo dell’agenzia, che spiega però che si tratta in realtà di qualcosa di leggermente diverso: di una reazione nucleare a bassa energia, chiamata Lern, le cui basi teoriche furono gettate vent’anni fa dai due scienziati americani Widom e Larson. Per fusione fredda invece si intende precisamente un processo che dovrebbe produrre reazioni di tipo nucleare attraverso lo scontro degli atomi a temperature molto inferiori rispetto alla classica fusione nucleare a caldo. La cosa più curiosa è che i due scienziati non sono ancora in grado di spiegare del tutto da un punto di vista teorico cosa succede nel corso della reazione a bassa energia.

Ma poco importa: il 1° ottobre prossimo verrà attivato il primo reattore a fusione fredda. Non in Italia però: sarà la Grecia a utilizzare per prima lo sfruttamento dell’invenzione che, pur fatta a Bologna, non ha trovato in Italia i finanziatori. Una società greca, la Defkalion green Tecnology, impresa di cui ChristosStremmenos, scienziato ed ex ambasciatore, è vicepresidente, dopo aver acquistato i diritti di sfruttare l’invenzione, metterà in funzione il primo reattore da 1 MW in collaborazione con gli Stati Uniti e la Cina a Xanthi, un paese nel nord della Grecia, con un investimento di 200 milioni di euro, per la creazione dell’unità industriale dove si produrranno apparecchiature per la produzione di energia termica ed elettrica a basso costo.

Le reazioni a bassa energia sono molto promettenti come energie alternative, infatti sono in cima alla lista di tecnologie emergenti come i pannelli solari, le sorgenti geo-termiche, le turbine eoliche e i supercondensatori. «La più interessante fra tutte è proprio questa aveva – ha detto Bushnell durante un’intervista - Probabilmente se venisse utilizzato su scala mondiale, non ci sarebbero bisogno di altre fonti alternative, perché la nostra società potrebbe benissimo alimentarsi solamente tramite questo tipo di reattori». Forse le dichiarazioni di Bushnell spingeranno molti altri ricercatori ad avventurarsi in questo campo di ricerca, aprendo nuove strade verso la produzione di energia pulita ad impatto zero per tutta la società contemporanea.

http://www.nuovasocieta.it/scienze/27441-fusione-fredda-il-1d-ottobre-il-primo-reattore-in-grecia.html



Rai: Santoro si candida a dg, ma intanto tratta con La7.



Roma, 14 giu (Il Velino) - Una provocazione, “mi candido a direttore generale della Rai”; una stoccata al nemico Masi, “non sapeva distinguere tra una tv e un aspirapolvere”; e infine una conferma sul futuro, “valutiamo con molta attenzione le proposte de La7, aspettiamo di essere tranquillizzati sotto il profilo delle libertà”. Michele Santoro non si smentisce e - presentando la serata “Signori, entra il lavoro - tutti in piedi!” che venerdì 17 giugno celebrerà a Bologna i 110 anni della Fiom – non ha mancato di regalare qualche titolo alla platea di giornalisti. Sogna una Rai in cui chi paga il canone possa esprimersi sulla governance e soprattutto con lui al timone. E in palinsesto? “Adriano Celentano, Sabina e Corrado Guzzanti e Beppe Grillo. Alla Gabanelli – ha aggiunto - chiederei cosa le serve per andare in onda tutto l'anno”. Tra i direttori di rete, poi, piazza pulita e ritorno al modello “Guglielmi, Freccero, Gori”.

Lasciando i sogni e guardando alla realtà, Santoro ha confermato che la trattativa con La7 c’è eccome, e il popolare anchorman non chiede neanche “garanzie economiche” che “non possono essere molto allettanti”. Senza contare che la sua “fabbrica” sembra “entusiasta” per il trasloco in quella emittente che può “diventare il terzo polo televisivo in Italia”. “Io un po’ meno – ha ammesso - sono l'unico che ha velleità rivoluzionarie. Grazie alla liquidazione della Rai potrei decidere di fare due anni da pazzo. Mettermi in proprio e pagare gli stipendi”.



Spiagge ai privati per 20 anni, salta la norma.


Salta dal decreto sviluppo la norma sui diritti di superficie delle spiagge. Governo e relatori alla Camera hanno infatti accolto alcuni emendamenti soppressivi della norma che portava a 20 anni il diritto di superficie sugli arenili. La materia potrebbe essere affrontata in un altro provvedimento.

IL PD ESULTA
«Abbiamo ottenuto la soppressione dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 3 del Decreto Sviluppo, quelli relativi alle spiagge. Come richiesto dal Pd, quindi, le norme vengono eliminate:dopo aver generato un enorme confusione, governo e maggioranza sono state costrette ad un passo indietro. Ora si dovrà lavorare a una legge questo per affrontare la questione». Lo rende noto Alberto Fluvi, capogruppo Pd nella commissione Finanze di Montecitorio.

«Esprimiamo soddisfazione per lo stralcio del diritto di superficie dal Decreto sviluppo che pone fine all'enorme pasticcio che era stato creato. Il Pd ha proposto di modificare l'art. 3 per renderlo compatibile con le normative europee, con le aspettative degli operatori e dei consumatori», ha commentato Armando Cirillo, responsabile turismo del Pd. Cirillo. «Per il settore turistico- balneare il Partito Democratico chiede: a) varo di una norma per archiviare la procedura d'infrazione aperta nei confronti dell'Italia dalla Commissione europea; b) una legge quadro, in collaborazione con le Regioni e le principali organizzazioni degli imprenditori, per affidare le concessioni demaniali marittime e contrastare gli interventi speculativi, tutelare gli investimenti effettuati ed incentivare investimenti aggiuntivi -in servizi qualità e compatibilità ambientale- attraverso una adeguata durata delle concessioni; c) la riapertura del confronto in sede UE per affermare le peculiarità delle imprese del settore turistico-balneare in Italia ed individuare soluzioni diverse da quelle previste dalla Direttiva servizi o escludere le concessioni demaniali marittime dal campo di applicazione della stessa; d) l'approvazione del Piano nazionale per il turismo. Il governo si impegni per dare piena attuazione alla mozione unitaria approvata dal Senato e voluta fortemente dai senatori del Partito Democratico».

IL BRACCIO DI FERRO
Dopo un lungo braccio di ferro tra Pdl e Lega il diritto di superficie delle spiagge entrerà nel disegno di legge della Comunitaria 2010. Lo conferma il relatore sul provvedimento, Gianluca Pini (Lega). I due partiti di maggioranza hanno quindi raggiunto un accordo su un tema, e non è l'unico, su cui si trovavano in forte contrasto. Il Carroccio puntava a regolare la questione nel decreto legge sviluppo, mentre il Pdl voleva un provvedimento ad hoc sulla materia, rinviando all'esito del tavolo gestito dal ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto.

A questo punto le misure sulle spiagge verranno soppresse dal decreto sviluppo e inserite nella Comunitaria dove Pini cercherà di recuperare il testo dell'emendamento presentato al dl.
14 giugno 2011

C’è un problema: il Berlusconi sconfitto. - di Emanuele Macaluso


Nell’editoriale di domenica scorsa scrivevo: «L’esito del referendum peserà certamente sulla bilancia della politica: è stato lo stesso Berlusconi a dare un segnale forte quando ha detto che non andrà a votare. È come dire ai suoi avversari: andate alle urne per chiudere la partita». E così sono andate le cose: la partita è chiusa, anche se il Cavaliere tenterà di restare in sella. Ieri, sul Foglio, Giuliano Ferrara chiedeva: «È possibile un giudizio equanime sul berlusconismo?».

Come si fa ad elaborare un giudizio “equanime” nel momento in cui il presidente del Consiglio, anziché chiudere una fase della politica italiana, si ostina a “resistere” danneggiando il paese? Inevitabilmente la lotta politica sarà sempre più aspra. È stato lui, prima con il voto a Milano e Napoli e poi con il referendum, a chiedere un giudizio su di sé e il suo governo. E ha avuto risposte inequivoche. La stella di Berlusconi, e anche quella di Bossi, sono in caduta. Il dramma di questo paese è dovuto al fatto che sia il Pdl che la Lega non hanno quell’interna dialettica democratica che consente un normale avvicendamento alla guida dei partiti.
E non ci sono giornali amici che abbiano quel minimo di indipendenza e di dignità da dire: «Grazie presidente, ora tocca ad altri!».
Su questo fronte è impressionante l’articolo di ieri del direttore del Tempo, Mario Sechi. Il quale fa un analisi spietata e acuta sulla guida disastrosa della recente versione della politica berlusconiana.
Ma, dopo avere detto che «non serve a niente nascondere la sabbia sotto il tappeto», come conclude?
Ecco: «In assenza di una correzione di rotta da parte di Berlusconi», il centrodestra nostrano farà la fine dei conservatori inglesi dopo la Thatcher «una traversata nel deserto durata quindici anni».
Ancora una volta, quindi, è Berlusconi, solo lui, nessun altro, che possa fare ripartire la macchina del centro destra.
Anche Sechi non capisce (o meglio capisce e non riesce a dirlo) che oggi il problema è proprio il Cavaliere, il quale non è più un motore ma un freno, un inceppo. E con lui Bossi, il quale a Pontida sarà applaudito e osannato dalle camicie verdi, ma ha perso credibilità nell’elettorato largo e moderato che la Lega aveva conquistato. Stando così le cose, si apre una partita politica aspra. Il Cavaliere infatti vuole rilanciarsi con manovre demagogiche, come quella su fisco; Bossi lo fa chiedendo il ritiro delle nostre missioni all’estero, mentre La Russa le esalta; Maroni respingendo gli immigrati (come?) ecc.. Insomma, non è difficile prevedere che la crisi politica si acuirà. E il centrosinistra dovrebbe fare quel che saggiamente suggerisce oggi nella sua rubrica Marco Follini: lanciare una chiara e concreta proposta alternativa di governo. Subito. Se non lo farà ci sarà solo una guerriglia senza sbocco e guai per il paese.





DICIAMO LA VERITA’: NON AVEVAMO CAPITO NIENTE. - di Roberto Giacchetti



Qualcuno di voi mi ha chiesto cosa penso dei risultati referendari e più in generale del momento politico. Senza avere la pretesa di fare un’analisi appropriata (difficile per tutti, a mio avviso, in questo momento) vi dico alcune cose che penso.

Il postulato di partenza rappresenta, secondo me, una grande verità: NESSUNO AVEVA CAPITO NULLA DI QUELLO CHE STAVA ACCADENDO IN ITALIA. Non l’avevano capito i partiti ed i propri leaders, non l’avevano capito i giornalisti, gli analisti, i sondaggisti. Il circo della politica, tutto, si è trovato nel giro di un mese tra le mani una realtà nuova ed inaspettata; uno scossone imprevisto del quale ho la sensazione che un po’ tutti facciano fatica a prendere le misure.

I risultati elettorali degli ultimi due mesi sanciscono la fine del berlusconismo (la fine di Berlusconi è altra cosa), di una cultura e di un modo di interpretare la politica che è stato dominante per oltre 15 anni. La fine di questa cultura arriva inesorabile nel momento di rottura tra le aspettative e le suggestioni create da Berlusconi all’avvio del suo ingresso in politica e la mancata realizzazione, direi il fallimento, del suo progetto politico. Penso che la maggioranza del Paese gli abbia dato fiducia fino all’ultimo momento possibile, poi ad un certo punto ha detto basta.

Se questi risultati elettorali segnano la fine del berlusconismo sarebbe sbagliato pensare che aprano la strada ad un progetto alternativo, chiaro, credibile in grado di suscitare lo stesso interesse, la stessa partecipazione e la stessa adesione che hanno caratterizzato il consenso all’idea berlusconiana.

Guardando i risultati delle Amministrative in valori assoluti e non percentuali si capisce chiaramente che il centrodestra perde le elezioni e che grazie a questo il centrosinistra vince le elezioni. Ma quei voti persi, che significano disincanto, disaffezione, disillusione, rimangono in un limbo elettorale che prende le distanze dal passato ma non sceglie per il futuro: si pone in una situazione di attesa, resta a guardare. Il risultato referendario conferma, a mio avviso, questa situazione. Il quorum si è raggiunto perché in un ideale abbraccio trasversale gli elettori, a prescindere dalla loro appartenenza politica o partitica, hanno voluto riappropriarsi del diritto di decidere su questioni concrete che riguardano la loro vita, il futuro loro e dei propri figli.

Non credo che la vittoria dei referendum rappresenti la vittoria del centrosinistra, quanto piuttosto di alcuni valori e paradigmi democratici che certamente il centrosinistra, ed il Pd in particolar modo, dovrebbe rivendicare come elementi costitutivi. Dico dovrebbe perché fino ad oggi non tutto è stato così scontato. Faccio solo un esempio: qualcuno ha davvero il coraggio di dire che, esclusi i radicali, nel centrosinistra il referendum è stato considerato un fondamentale strumento di verifica del consenso popolare anche sulle proprie scelte di governo? Qualcuno potrebbe affermare che nella storia dei referendum, tolti ancora i radicali, solo il centrodestra abbia tradito la volontà popolare in non poche occasioni emanando leggi (vedi il finanziamento pubblico dei partiti o la responsabilità civile dei magistrati) che andavano palesemente contro la volontà popolare? Sappiamo tutti che non è così.

Allora forse la nostra riflessione deve essere più ampia ed anche più aperta per individuare un progetto di cambiamento che tenga davvero conto di quello che sta accadendo sotto i nostri occhi e che non rischi di portare ad una delegittimazione totale della politica e dei partiti. Rischio che mi appare crescente e che ritengo pericolosissimo per la vita democratica del nostro paese.

Quello che sta succedendo mi preoccupa moltissimo. Qualunque cosa accada viene utilizzata quasi da tutti come occasione per gettare fango sulla politica e sui partiti. I primi a creare le condizioni perché questo accada sono proprio i partiti e le loro classi dirigenti. E’ una spirale pericolosissima che tende ad indebolire (direi quasi a demolire) un tipo di “potere” , parafrasando Montesquieu, a favore di altri (compreso quello dei media che si è aggiunto nel corso del tempo) e che, rompendo quel diaframma di separazione, porta i secondi ad assumere una forza decisionale che non compete loro e che distrugge quel fondamentale equilibrio nell’indirizzo e nel controllo alla base di ogni democrazia.

Come dicevo la responsabilità nostra di classe dirigente di partito è enorme e drammatica e se non cogliamo l’occasione che ci è stata data con questi risultati elettorali - almeno come centrosinistra -per cambiare radicalmente rotta, rischiamo di passare alla storia come principali attori del peggior danno procurato a questo paese dal dopoguerra in poi.

Sono consapevole (e gli elettori di centrodestra che hanno partecipato alle recenti competizioni elettorali ne sono la testimonianza più evidente) che il problema è dei partiti tutti e delle classi dirigenti tutte, ma mi scuserete se io mi dedico ad un invito che riguarda la mia parte, quella del centrosinistra.

Occorre rapidamente assumere decisioni e mettere in campo scelte che siano in grado non solo di rispondere alla domanda di cambiamento che giunge chiara anche dal nostro elettorato ma di rimodellare un assetto che riesca a ricreare nella gente la voglia di partecipare, cioè sentirsi parte, di uno strumento indispensabile per il buon governo di un Paese: la politica. Questo venticello, ormai direi un tornado, che spinge sempre più forte e che mira alla mortificazione dei partiti va immediatamente ricondotto e considerato per ciò che è: un fenomeno naturale e legato ad una minoranza fisiologicamente presente in ogni democrazia.

Ma per farlo bisogna smettere di lamentarsi e continuare a procedere fregandosene di quel che non va. Occorre cambiare in positivo, interpretare, raccogliere e trasformare in azioni positive e concrete l’insoddisfazione popolare, per usare un eufemismo.

Dopo quasi venti anni in cui i partiti (grazie anche a questa legge elettorale) hanno pensato che una enclave ristretta di fortunati e “migliori” potesse andare avanti – per puro spirito di autoconservazione - agendo a prescindere dalle spinte e dai sentimenti del proprio elettorato, è giunto il momento di voltare pagina. La fotografia nitida che emerge dai risultati elettorali ci dice che le cose sono cambiate, sostanzialmente cambiate. Il fenomeno internet ad esempio rivela chiaramente che se la politica non sembra più in grado di rappresentare la volontà e gli interessi dei cittadini, questi non si rassegnano più ma agiscono in proprio riuscendo, a differenza del passato, a condizionare non solo i risultati ma anche la vita interna dei partiti.

Il fatto che nel popolo italiano, almeno in una parte molto rilevante, sia maturata la consapevolezza di poter tornare a contare, di poter tornare a decidere direttamente se i partiti rappresentano un impedimento invece che un’opportunità, deve essere per noi l’occasione per una rinascita e, soprattutto, per una seria alternativa non solo al centrodestra ma anche a tutto quello che di sbagliato noi stessi abbiamo fatto in questi anni.

Se è vero, come è vero, che la volontà decisionale delle persone può arrivare ad esprimersi anche attraverso forme alternative - se ciò non avviene attraverso i partiti – mi piacerebbe che il Partito Democratico se ne facesse carico avviando iniziative conseguenti che abbiano la forza di creare un raccordo serio e convinto col sentimento popolare su proposte che vadano nel senso giusto.

Provo ad immaginare quattro proposte non certo nuove, ma che in questo momento - se veicolate con convinzione - possono diventare un fattore esplosivo:

1) abolizione del quorum referendario con conseguente aumento del numero delle firme da raccogliere;

2) ancoraggio al maggioritario per la legge elettorale: collegi uninominali in modo che le persone possano scegliere chiaramente non solo le diverse opzioni politiche ma anche direttamente tra le persone;

3) la possibilità di contribuire alla scelta delle candidature nel partito: le primarie? Un'altra soluzione? Discutiamone. Ma se non vogliamo essere ipocriti è chiaro che anche su questo la gente ci interroga;

4) una riforma dei partiti che garantisca una vera democrazia interna, un fisiologico ricambio, una partecipazione che non sia solo di facciata.

So bene che ad un fatto così enorme come quello che scaturisce dai recenti risultati elettorali non si risponde solo con proposte organizzative, ma penso che le prime due non siano affatto solo questo, anzi: io credo che possano rappresentare di per se stesse un fatto politico essenziale e che, in ogni caso, tutte possano contribuire a legare le nostre decisioni in maggiore sintonia con la domanda degli elettori rispetto a quanto accaduto fino ad oggi. Soprattutto ciò non esclude e non può escludere la formulazione di una proposta programmatica alternativa al centrodestra divenuta ormai non rinviabile, ma questo ci aiuterebbe a metterla in campo partendo da basi più concrete e pertanto più convincenti.

C’è poi bisogno che la mobilitazione delle persone non solo non si interrompa, ma anzi approfitti di questo momento per mettere a segno altri successi. Mi piacerebbe molto immaginare una nuova battaglia, magari veicolata e supportata in Rete, che abbia come obiettivo i punti o solo alcuni tra quelli che ho proposto. Mi piacerebbe infine constatare che la trasformazione e la crescita del mio partito sia avvenuta proprio perché, quasi miracolosamente, è riuscito a farsi permeare dal suo popolo.


http://www.facebook.com/notes/roberto-giachetti/diciamo-la-verita-non-avevamo-capito-niente/10150208803259227



Ruby, Boccassini ai legali del premier "In questura quasi un attacco militare".


Il pm replica alle eccezioni presentate dalla difesa del premier. E rilancia: "La competenza sul processo è solo milanese".

E ancora: "Palesi casi di prostituzione nella villa di Arcore".



La notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, quando Ruby venne rilasciata in seguito alle telefonate di Silvio Berlusconi, in questura a Milano si è verificato "come un attacco militare", perché in successione negli uffici di via Fatebenefratelli si sono presentate prima la consigliera regionale Nicole Minetti e poi la brasiliana Michelle Conceicao. Lo ha detto il pm Ilda Boccassini, davanti ai giudici della quarta sezione penale, replicando alle eccezioni presentate dalla difesa del premie e sostenendo che "era palese che c'erano persone che si prostituivano" nel corso "delle serate nella residenza del premier" ad Arcore.

"Accerchiamento militare". Secondo il procuratore aggiunto, dunque, la notte in cui Ruby venne rilasciata e poi affidata alla consigliera regionale "abbiamo avuto un accerchiamento militare e si è diretto tutto in questura". Il processo è stato poi aggiornato al 18 luglio: nello stesso giorno è in calendario anche un'udienza del processo Mills. E il nuovo avvocato di Ruby, Egidio Verdini, ha annunciato che "faremo una conferenza stampa nel mio studio entro la fine del mese, per ora non posso dire altro".

La competenza. "Il processo deve restare al tribunale ordinario di Milano, non deve essere trasferito né al tribunale dei ministri per competenza funzionale nè a quello di Monza per competenza territoriale", aveva detto ancora il pm Boccassini spiegando che non c'è alcun reato ministeriale, commesso cioè da Berlusconi nell'esercizio delle sue funzioni. Il pm ha ribadito che il premier abusò della qualità del suo incarico, non delle sue funzioni. No anche al trasferimento a Monza. "E' vero che il funzionario di polizia Ostuni ricevette la telefonata del premier al fine di far affidare la minorenne Ruby nella sua casa a Sesto San Giovanni. Ma ciò non significa, come sostiene la difesa, che il reato si consumò A Sesto, distretto giudiziario di Monza. La minore venne affidata a Nicole Minetti, che si recò in questura a Milano,e quindi il reato si consumò a Milano".

Le procedure. Le indagini sono state fatte nel rispetto delle regole e della Costituzione, ha sostenuto ancora il pm Boccassini. La Procura è certa di aver rispettato le regole, anche nella scelta del rito immediato chiesto "nei tempi dei 90 giorni dall'iscrizione dell'indagato e con l'evidenza della prova" , eguendo per di più l'indirizzo costituzionale sulla base del quale "i processi devono durare poco. Il rito immediato - ha rimarcato il magistrato - ha proprio questa funzione, fare presto, nel rispetto del diritto della difesa".

Le intercettazioni. "Non è stata utilizzata alcuna intercettazione con Berlusconi. Nel tabulato cartaceo si fa riferimento a 64 contatti di Ruby con utenze riferibili al presidente del Consiglio, ma nessuno di questi 64 contatti è stato usato come elemento di prova", ha assicurato la Boccassini. "Negli elementi di prova che sono stati evidenziati in parte nell'invito a comparire, e comunque nella richiesta di decreto di giudizio immediato, troverete solo i dati delle telefonate con il presidente del Consiglio confermate dai testi che hanno ammesso di aver parlato con lui". Per cui, secondo la Boccassini, affermare che si è intercettato il premier senza l'autorizzazione prevista dalla legge "è una circostanza che è fuori dalle carte processuali: tutti sono legittimati a pensarlo, altra cosa è quel che emerge dalle carte".

La difesa del premier. "La tardiva iscrizione nel registro degli indagati determina l'inammissibilità del rito: se la procura avesse iscritto Berlusconi a luglio, non avrebbe potuto chiedere il giudizio immediato". Così l'avvocato Giorgio Perroni, sostituto processuale dei legali del premier, ribadisce a margine del processo sul caso Ruby perché ad avviso del collegio difensivo i giudici della quarta sezione penale devono accogliere le eccezioni preliminari sollevate la scorsa udienza. A giudizio di Perroni la Procura "ha voluto giustificare l'iscrizione tardiva di Berlusconi (il 21 dicembre 2010) nella propria propria ottica, ma quando Karima El Mahroug (ovvero Ruby) ha rilasciato le prime dichiarazioni agli inquirenti, non ha parlato solo di Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede, ma anche di Berlusconi. Per cui mi sembra naturale che la sua iscrizione avrebbe dovuto avvenire insieme con gli altri indagati perché o ritieni che non ci sono riscontri, oppure iscrivi subito tutti".


http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/06/14/news/boccassini-17675064/?ref=HREC1-3



Referendum, ecco ora che cosa cambia. - di Chiara Paolin



Tra rimedi e scappatoie: legge sull'acqua e prescrizione breve

E adesso che i referendum sono passati, cosa cambia davvero? Le reazioni a catena dei quattro sì anticipano qualcosa di nuovo sul futuro dell’Italia. E del governo: a partire dal suo primo ministro.

Non c’è più il legittimo impedimento

“Qui a Milano vogliono fare quattro processi contemporaneamente. Ma dovranno adeguarsi un po’ anche loro alle esigenze del premier. E soprattutto della difesa”. Come ogni lunedì, giorno fissato per le udienze dei processi milanesi a carico di Berlusconi, ieri Niccolò Ghedini era in aula. Stakanovista, persino erculeo nel gestire tutti i filoni di difesa, deve anche pensare a fare il deputato. E adesso, senza legittimo impedimento, cosa cambierà? “Niente – cantilena Ghedini –, con la corte continueremo a comportarci secondo il principio della leale collaborazione suggerito dalla Consulta”. Insomma, chiedere di giustificare le assenze per impegni di governo ormai non si può più, e il rischio è che qualche processo possa andare a sentenza prima del previsto. A meno che, circumnavigando il referendum, si agisca su altri fronti. Per esempio, già oggi la conferenza dei capigruppo al Senato potrebbe decidere di calendarizzare in aula il disegno di legge sulla prescrizione breve: dopo tre letture è praticamente pronto per andare al voto al Senato (dove la maggioranza non ha problemi di quorum). Se dopo il 22 giugno la Camera si assestasse, magari puntellata da nuove nomine governative, le carte in tavola cambierebbero a favore di Berlusconi. Ancora una volta.

Niente nucleare: più rinnovabili e carbone

Al contrario, mani legatissime per esecutivo e Parlamento sulla questione nucleare. Almeno nei prossimi cinque anni non sarà possibile proporre né legiferare sul tema, rispettando la volontà popolare che si è appena espressa. Quindi, più investimenti sulle fonti energetiche tradizionali come carbone e gas (sempre caro a Berlusconi, specie quando arriva dall’amico Putin) e anche sulle rinnovabili. Sarà tutto un fiorire di – inquinantissime – centrali a carbone o sboccerà una vera passione ecologista? La Borsa di Milano ieri ha puntato sulla seconda ipotesi: in una giornata negativa per il mercato, Enel Green Power ha guadagnato bene, e tutto il comparto ha funzionato sull’onda del voto.

In difficoltà le utilities

Negativo invece in Piazza Affari l’andamento delle compagnie che gestiscono l’acqua: già nelle ultime settimane il mercato aveva subodorato la tendenza facendo perdere a titoli come Acea, Hera e Iren valori tra il 5 e il 10 per cento. “Ed è solo l’inizio – spiega Ugo Mattei, del Comitato acqua –. Nel momento in cui la Gazzetta Ufficiale pubblicherà l’esito del risultato, dandogli valore di legge, noi chiederemo ai Comuni un calo immediato del 7 per cento sulle bollette emesse dalle società secondo la previsione del decreto Ronchi. Dubito però sullo spirito collaborativo, i contratti firmati non prevedono l’ipotesi del cambio di legge in corsa, quindi le varie amministrazioni dovranno cercare una soluzione”. Per i comitati, dunque, è già ora di pensare al dopo: abolito il concetto di rendimento garantito sugli investimenti, cancellato il pericolo di obbligo di gara per i servizi pubblici (inclusi trasporti e rifiuti) o di rafforzamento dei privati nell’azionariato, si ragiona sulle prospettive. “Abbiamo restituito un pezzo di Italia agli italiani – chiude Mattei –. E vigileremo perché nessuno faccia marcia indietro. C’è il disegno della Commissione Rodotà in Senato, abbiamo una nostra proposta da offrire, l’importante è ci sia una volontà seria di affrontare queste tematiche. Nell’interesse comune, non di chi vuol far fruttare i capitali”.