Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 19 maggio 2023
Archeologi scoprono tunnel durante la ricerca della tomba di Cleopatra: ‘È un miracolo geometrico’. - Angelo Petrone
Amore - Simposio di Platone sul tema.
Riassunto del Simposio di Platone — Fonte: Getty-Images |
Presso i greci era prassi comune, infatti, scegliere un tema di cui ogni ospite doveva dare una propria opinione, facendolo un piccolo monologo. Il tema era sempre scelto dall'ospitante.
A questo banchetto partecipano oltre a Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Agatone (dopo di lui c'è un piccolo intervento di Alcibiade, ex allievo di Socrate) e infine Socrate, il maestro tanto lodato di Platone.
I DISCORSI DEGLI OSPITI
Il primo a parlare e a scegliere il tema è Fedro: secondo lui Eros è un dio antichissimo (come Gea, Urano e Cromo) ed è annoverato nei miti di creazione; è molto importante poiché ha proporzionato e armonizzato il mondo (lo ha abbellito).
Il secondo è Pausania: egli distingue un Eros buono, quello di Afrodite-Urania (misurato, senza eccessi o difetti) e un eros cattivo, venereo, passionale ed eccessivo.
Per il medico Erissimaco, il terzo, Eros è un sentimento (paragonato a un farmaco) che cura le anime più inquiete e travagliate, ma può renderle folli: bisogna quindi usarlo con il giusto dosaggio.
Il commediografo Aristofane è il quarto a prendere parola e racconta il mito dell'androgino.
Prima degli uomini c'erano degli altri esseri, i mostri androgini (due esseri umani attaccati tra loro, attraverso il petto), i quali potevano essere composti da due uomini, due donne oppure un uomo e una donna.
Erano molto veloci e potenti perciò sfidarono gli dei; Zeus però non fu d'accordo, li divise in due (l'ombelico è il segno di questa divisione) e disse se non avessero smesso li avrebbe divisi ulteriormente.
La conclusione è la seguente: l'amore non è altro che la ricerca dell'altra metà, la nostalgia dell'unità perduta.
Il tragediografo Agatone è il quinto a parlare e fa un discorso serio che però non ha molto effetto sui presenti.
Egli afferma che: l'amore può avere come oggetto solo il bene e chi ama deve per forza essere bellissimo; bene e bello sono identici e chi è bello ama il bene: tipica concezione del mondo greco, dove la persona più bella e più virtuosa di quella fisicamente brutta, l'aspetto esteriore “mostra” quello interiore.
A questo punto irrompe nella sala Alcibiade che, ubriaco, afferma il suo odio per il maestro: dichiara di averlo amato; Socrate aveva avuto atteggiamenti ambigui, lo aveva illuso ma non si era concesso.
E' l'unico a non fare un discorso su eros. L'ultimo e proprio Socrate, il quale, dopo essersi attirato la simpatia dei commensali, riferisce cosa gli aveva detto Diotima, sacerdotessa di Mantinea: l'amore è una relazione, un rapporto, e in quanto tale prevede la partecipazione di un amante (A) e un amato (B).
L'amore è soprattutto nell'amato che non è bello, perché all'amante manca qualcosa (l'amato). Perciò per Socrate l'amore è la ricerca continua nell'altro di ciò che non si ha.
All'inizio, l'amante ama il corpo, l'anima e le idee dell'amato, quindi l'amore è l'ascesa intellettuale della bellezza di un corpo (anche definita “Scala di Eros”), anche secondo Platone.
Altro argomento contenuto nel Simposio è il mito dell’origine di Eros, secondo il quale questo dio è nato in un giorno di festa (il compleanno di Afrodite) da Poros e Penia (due dèi poco noti).
Poros gli ha dato l’intelligenza e la sagacia, mentre Penia gli ha dato la bruttezza, quindi Eros è sempre alla ricerca della bellezza.
Perciò riassumendo i discorsi degli ospiti:
Fedro: argomento mitologico (un dio antichissimo),
Pausania: Civico politico-etico (eros buono e cattivo),
Erissimaco: scientifico (farmaco),
Aristofane: mitologico (il mito dell'androgino, amore=desiderare),
Socrate: relazione tra l'amante e l'amato (ricerca continua).
https://www.studenti.it/riassunto-del-simposio-di-platone.htm
giovedì 18 maggio 2023
El Tajín, La città perduta di un popolo misterioso. - Ed Welan
Il mistero di El Tajín
La città fu costruita e abitata tra l'800 a.C. e il 1200 d.C. da una cultura molto probabilmente influenzata dagli Olmechi , anche se chi fossero esattamente rimane sconosciuto. Alcuni credono che fossero gli antenati dei Toltechi o che fossero un ramo del potente popolo Maya . Alcune prove suggeriscono che i costruttori di El Tajín fossero gli antenati del popolo Huastec , che vive ancora nello stato di Veracruz.
Le prove archeologiche suggeriscono che la città fosse ricca e che fosse la capitale di un regno che dominava gran parte del sud-ovest del Messico. Si trovava a cavallo di importanti reti commerciali ed era una città multietnica.
Al suo apice, a El Tajín vivevano circa 20.000 persone, principalmente nelle colline circostanti. La città e il suo entroterra sono sopravvissuti al crollo sociale del periodo classico, ma El Tajín ha continuato a prosperare. Nel 1300, tuttavia, la città fu invasa da un popolo nomade noto come Chitimec, che viveva nell'attuale Messico settentrionale. Fu parzialmente distrutto e abbandonato e gli abitanti stabilirono un'altra città a una certa distanza. La città abbandonata era nota ai Toltechi e successivamente agli Aztechi , che associarono le rovine al soprannaturale e al regno dei morti. Dopo la conquista spagnola la città fu dimenticata. Questo era probabilmente collegato al crollo del popolo Huastec a causa di guerre e malattie.
La riscoperta della città perduta di El Tajín
El Tajín si trova su un altopiano semi-tropicale e fu presto ricoperto da alberi. Era nascosto nella fitta giungla e fu scoperto solo nel 1785 da un funzionario del governo alla ricerca di piantagioni di tabacco illegali.
Modello in scala di El Tajín (Dodd, G / Public Domain )
La notizia della scoperta della città perduta fece scalpore, ma fu solo nel XX secolo che la città fu scavata. La scoperta del petrolio ha aperto l'area agli archeologi che, insieme ad altri, hanno ripulito la giungla dalla città perduta. Ad oggi solo il 50% del sito è stato indagato ed è stato dichiarato parco archeologico nazionale per proteggere le sue numerose rovine.
Le meraviglie di El Tajín, Messico
La parte più antica della città è il Gruppo Aroyo, che è una piazza circondata da una disposizione di piramidi a gradoni che sono state recuperate dalla giungla. In cima ci sono i templi.
Fino alla caduta della città, la piazza fu utilizzata come mercato che ospitava anche molte statue. Forse l'edificio più importante di El Tajín è la Piramide delle Nicchie. La piramide prende il nome dalle numerose nicchie in ogni livello e rappresentava le grotte che simboleggiavano le porte degli inferi. Questa costruzione è fatta di lastre di pietra ed è alta sette piani. Si compone di tre lati inclinati e una parete verticale, tipica della Mesoamerica .
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Piramide delle nicchie, El Tajín ( Pubblico dominio )
Ciò che contraddistingue questa piramide, oltre a quelle più piccole, è l'uso di archi rampanti. Molti esperti ritengono che una volta la piramide fosse dipinta di rosso e fosse sormontata da un'enorme statua di una divinità. A differenza di tutti gli altri, il Tempio Azzurro, così chiamato perché dipinto con pigmento blu, non ha archi rampanti .
Un'altra area importante è il Tajín Chico, che è un complesso di edifici alcuni dei quali erano amministrativi. Questi sono tutti ben conservati e anche realizzati con lastre di pietra.
Campo da ballo El Tajín ( Pubblico dominio )
Ci sono almeno 17 campi da baseball in città, dove i concorrenti hanno giocato un gioco che aveva un grande significato religioso. Si ritiene che questa tradizione derivi dai Maya poiché i perdenti del gioco della palla venivano decapitati e sacrificati alle divinità.
Come visitare El Tajín
Gli autobus collegano Poza Rica/Papantla alla città di El Tajín e sono disponibili alloggi nelle vicinanze della città antica. È possibile organizzare un tour a piedi del parco archeologico, ma i visitatori possono anche assumere una guida.
C'è un eccellente museo con molti manufatti come gli altari. I rilievi di monumenti come la Piramide delle Nicchie offrono una visione unica della società mesoamericana e delle sue credenze. Ogni anno a marzo c'è un festival che celebra la cultura e la musica indigene e la moderna città di Tajín ha punti di riferimento notevoli come la chiesa di Iglesias de la Asuncion.
Immagine in alto: El Tajín Fonte: Swigart / CC BY-NC-ND 2.0
Di Ed Whelan
Socrate e la presunzione. - G.Middei,
Lo sapevate che… Socrate aveva una tecnica per smascherare la presunzione.
Come potete riconoscere un presuntuoso? Semplice, è sempre convinto di avere ragione. E i presuntuosi ad Atene non mancavano. Socrate però avvicinava il suo interlocutore, confessando la sua ignoranza. Il famoso detto socratico «so di non sapere» è il presupposto di ogni confronto. Se sei convinto di sapere qualcosa, perché mai dovresti metterti in discussione?
Socrate lasciava parlare il suo interlocutore, lo ascoltava con attenzione e poi gli poneva una semplice domanda: «ti esti?» Che cos’è? Questa domanda, questa semplicissima domanda, apparentemente innocua, inoffensiva, riusciva a far crollare qualsiasi retorica. Va bene parlare di giustizia, bene, ricchezza, onore, morte, ma cosa sono? Grazie a questa domanda venivano fuori uno ad uno pregiudizi, supponenza, vanità.
Ma ciò che davvero interessava a Socrate era la ricerca, tramite il dialogo, di una verità a cui il suo interlocutore doveva giungere da solo. «Io non sono stato maestro mai di nessuno; ma se c’è una persona che quando parlo, desidera ascoltarmi, non mi sono mai rifiutato.» Cosa vi sta dicendo Socrate? Non sono un maestro, non mi sento superiore a nessuno, accetto il confronto con chiunque, non importa chi sia il mio interlocutore: ricco o povero, ignorante o istruito. Credo nel dialogo e il dialogo era per Socrate l’essenza della filosofia, del pensiero.
È la parola stessa a dirvelo: dialogo viene da dia che significa “in mezzo a” e logos che significa “pensiero/ragione.” Dialogo significa che la ragione non sta mai solo da una parte, non è monopolio di questa o quella fazione, se qualcuno è convinto a priori di essere in possesso di una qualche verità assoluta, quella persona semplicemente non sta dialogando con voi e non sta pensando. Socrate invece voleva far pensare la gente, per questo era odiato dalla classe governante. Stimolava nei suoi interlocutori il dubbio e il senso critico, li spingeva a porsi continue domande. Tutto qui. Era pericoloso? A quanto pare sì, perché hanno voluto ammazzarlo per questo.
Ripubblicato per i nuovi lettori
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X
https://www.facebook.com/photo?fbid=804230647737376&set=a.655388085954967
mercoledì 17 maggio 2023
Il Rosiconista - Marco Travaglio
Non tutti sanno che c’è un giornale, più che altro un ciclostile, con un editore imputato, Alfredo Romeo, e un direttore editoriale imputato, Matteo Renzi: il Riformista. Però va detto che la linea editoriale non risente minimamente dello status dell’editore e del direttore editoriale: infatti si dedica precipuamente a bombardare i magistrati che processano l’editore e il direttore editoriale, ma anche, ad abundantiam, quelli che non processano l’editore e il direttore editoriale (o non ancora: hai visto mai). L’editore è coimputato del padre del direttore editoriale, perché aveva scritto su un pizzino la cifra che intendeva devolvergli mensilmente in cambio di aiutini per gli appalti Consip: “30mila per T.”. Purtroppo fu beccato prima del bonifico, ma ora potrà pagare legalmente il figlio direttore editoriale, a sua volta imputato per i finanziamenti illeciti alla fondazione Open. Costui però, allergico com’è ai conflitti d’interessi, sta bene attento a non confondere la sua veste di direttore editoriale da quella di imputato: ieri, per dire, ha scritto un editoriale (“Open to Meraviglia”) per avvisare gli eventuali lettori che “anche oggi mi presenterò in tribunale, a Firenze, nell’ambito del ‘processo Open’”, frutto di “un’inchiesta nata da un pregiudizio ideologico” e da “scandalosi sequestri show”. Ma solo per precisare che “il Riformista non seguirà questa udienza preliminare”, nata peraltro da “una indagine assurda”. Infatti “questo giornale non è il luogo della mia difesa. Mi difendo da solo”: sul giornale che non è il luogo della sua difesa.
“Il Riformista parlerà invece degli altri errori giudiziari, quelli che riguardano cittadini comuni”, tipo lui che, “citando lo straordinario discorso di Enzo Tortora, so di essere innocente e spero che lo siano anche i magistrati che mi indagano ingiustamente”. Ma, sia chiaro, “questo giornale non può servire per regolare i miei conti”. Dunque nessuno, sul Riformista, si azzardi a parlare di lui, a parte lui, che si limita a precisare di aver “denunciato i magistrati che ritenevo responsabili”. Silenzio stampa assoluto anche sui suoi libri: sì, è vero, il suo libro “Il Mostro è stato un best seller”, ma non sta certo a lui dirlo, tantomeno sul suo giornale. Quindi, ricapitolando: a parte l’editoriale dell’imputato, “questo giornale non si occupa del processo Open perché parla di tutto il resto”. Un esempio a caso di tutto il resto: “le vergognose indagini fiorentine” sul caso Open, che “sarà ricordato come uno dei tanti flop”, anzi “più grave degli altri” perché l’imputato è il direttore editoriale.
Però ora basta parlare di Open. Sennò qualcuno penserà che il Riformista si occupi di Open, che il direttore editoriale sia imputato e che non l’abbia presa proprio benissimo.
FQ 13 maggio
La spaventosa scoperta dell’artiglio di Mount Owen. - Lucia Petrone
Ecco la storia di questo incredibile ritrovamento.
Nel 1980, un team di archeologi stava effettuando una spedizione all’interno di un grande sistema di grotte sul Monte Owen in Nuova Zelanda quando si sono imbattuti in qualcosa di spaventoso e insolito. Con poca visibilità nella caverna buia, si chiedevano se i loro occhi li stessero ingannando, poiché non riuscivano a capire cosa si trovasse davanti a loro: un enorme artiglio simile a un dinosauro ancora intatto con carne e pelle squamosa. L’artiglio era così ben conservato che sembrava provenire da qualcosa che era morto solo di recente. Il team archeologico ha recuperato con entusiasmo l’artiglio e lo ha preso per delle analisi. I risultati sono stati sorprendenti; il misterioso artiglio è risultato essere i resti mummificati di 3.300 anni fa di un moa di montagna, un grande uccello preistorico scomparso dall’esistenza secoli prima. Il moa di montagna (Megalapteryx didinus) era una specie di uccello moa endemico della Nuova Zelanda. Un’analisi del DNA pubblicata negli Atti della National Academy of Sciences ha suggerito che il primo moa è apparso circa 18,5 milioni di anni fa e c’erano almeno dieci specie, ma sono si sono tutte estinte. Con alcune sottospecie di moa che raggiungono un’altezza di oltre 3 metri, il moa era una volta la più grande specie di uccelli del pianeta. Tuttavia, il moa di montagna, una delle specie di moa più piccole, non superava i 1,3 metri. Aveva piume che coprivano tutto il corpo, tranne il becco e la pianta dei piedi, e non aveva ali né coda. Come suggerisce il nome, il moa di montagna viveva nelle parti più alte e più fresche del paese. La prima scoperta del moa avvenne nel 1839 quando John W. Harris, un commerciante di lino e appassionato di storia naturale, ricevette un insolito osso fossilizzato da un membro di una tribù indigena Māori, che disse di averlo trovato sulla riva di un fiume. L’osso fu inviato a Sir Richard Owen, che lavorava all’Hunterian Museum del Royal College of Surgeons di Londra. Owen è rimasto perplesso dall’osso per quattro anni: non si adattava a nessun altro osso che aveva incontrato. Alla fine, Owen giunse alla conclusione che l’osso apparteneva a un uccello gigante completamente sconosciuto. La comunità scientifica ha ridicolizzato la teoria di Owen, ma in seguito è stata dimostrata corretta con le scoperte di numerosi campioni ossei, che hanno permesso la ricostruzione completa di uno scheletro di moa. Dalla prima scoperta delle ossa di moa, ne sono state trovate altre migliaia, insieme ad alcuni notevoli resti mummificati, come l’artiglio di Mount Owen dall’aspetto spaventoso. Alcuni di questi campioni mostrano ancora tessuti molli con muscoli, pelle e persino piume. La maggior parte dei resti fossilizzati è stata rinvenuta in dune, paludi e grotte, dove gli uccelli potrebbero essere entrati per nidificare o per sfuggire alle intemperie, conservatisi per disseccamento quando l’uccello è morto in un luogo naturalmente asciutto (ad esempio, una grotta con una costante brezza secca che vi soffia attraverso).
Quando i polinesiani migrarono per la prima volta in Nuova Zelanda a metà del XIII secolo, la popolazione di moa era fiorente. Erano gli erbivori dominanti nelle foreste, negli arbusti e negli ecosistemi subalpini della Nuova Zelanda per migliaia di anni e avevano un solo predatore: l’aquila di Haast. Tuttavia, quando i primi esseri umani arrivarono in Nuova Zelanda, il moa divenne rapidamente in pericolo a causa della caccia eccessiva e della distruzione dell’habitat. “Poiché hanno raggiunto la maturità così lentamente, [essi] non sarebbero stati in grado di riprodursi abbastanza velocemente da mantenere le loro popolazioni, lasciandole vulnerabili all’estinzione”, scrive il Natural History Museum di Londra . “Tutti i moa erano estinti quando gli europei arrivarono in Nuova Zelanda nel 1760”.
L’aquila di Haast, che faceva affidamento sul moa per il cibo, si estinse poco dopo.Il moa è stato spesso citato come candidato alla rinascita attraverso la clonazione poiché esistono numerosi resti ben conservati da cui è possibile estrarre il DNA. Inoltre, poiché si è estinto solo diversi secoli fa, molte delle piante che costituivano l’approvvigionamento alimentare del moa sarebbero ancora esistenti. Il genetista giapponese Ankoh Yasuyuki Shirota ha già svolto un lavoro preliminare verso questi obiettivi estraendo il DNA dai resti di moa, che intende introdurre negli embrioni di pollo.
martedì 16 maggio 2023
Irritazione della Santa Sede dopo il no di Zelensky alla mediazione del Papa per la pace. Francesco: “Con le armi si continuerà a distruggere ogni speranza” - Francesco Antonio Grana
“Con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace”. Il giorno dopo l’udienza in Vaticano con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è arrivato il duro monito di Papa Francesco che, al Regina Caeli recitato con i fedeli presenti in piazza San Pietro, è tornato a condannare il ricorso alle armi. Parole molto eloquenti che confermano la volontà di Bergoglio di continuare sulla sua strada anche per quanto riguarda la guerra in Ucraina, nonostante la netta chiusura di Zelensky a ogni possibile mediazione, non solo vaticana, con la Russia. In particolare, due affermazioni del presidente hanno, almeno per il momento, vanificato l’offerta di mediazione che il Papa gli ha rinnovato anche nell’udienza di ieri: “Non si può fare una mediazione con Putin, nessun Paese al mondo lo può fare” e “per me è stato un onore incontrare Sua Santità, però lui conosce la mia posizione, la guerra è in Ucraina e il piano deve essere ucraino. Siamo molto interessati a coinvolgere il Vaticano nella nostra formula per la pace”. In che cosa consiste il “piano di pace” presentato da Zelensky? Si tratta di 10 punti in cui si chiede il ritiro delle truppe russe, il ripristino dei confini, la firma russa di un trattato per l’integrità territoriale di Kiev e un accordo con i paesi Occidentali affinché forniscano strumenti di difesa all’Ucraina. In pratica, non una mediazione, ma una serie di condizioni che portino alla vittoria.
Parole che non potevano non irritare la diplomazia della Santa Sede. Non a caso all’incontro con Zelensky si è notata l’assenza del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, a Fatima per presiedere le celebrazioni del giorno in cui la Chiesa ricorda la prima apparizione della Madonna, nel 1917, ai tre pastorelli. È evidente a tutti che sarebbe potuto rientrare in anticipo e partecipare all’udienza dei vertici della Segreteria di Stato con il presidente ucraino, immediatamente successiva a quella con Francesco. Udienza nella quale Parolin è stato sostituito dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali della Segreteria di Stato. Uno scenario che conferma la solitudine di Bergoglio nel tentativo, tutt’altro che scontato, di arrivare a una mediazione che ha come primo obiettivo il cessate il fuoco, oltre ovviamente allo scambio dei prigionieri e al rientro a casa dei bambini portati con la forza in Russia. Trattative, queste ultime due, chieste esplicitamente dall’Ucraina al Papa.
“In questi giorni – ha affermato Francesco al Regina Caeli – abbiamo assistito di nuovo a scontri armati tra israeliani e palestinesi, nei quali hanno perso la vita persone innocenti, anche donne e bambini. Auspico che la tregua appena raggiunta diventi stabile, che le armi tacciano, perché con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace”. Con l’immancabile preghiera per la fine dei conflitti: “A lei (Maria, ndr) ci rivolgiamo chiedendo di alleviare le sofferenze della martoriata Ucraina e di tutte le nazioni ferite da guerre e violenze”. Nella meditazione sul Vangelo domenicale, il Papa ha ricordato che lo Spirito Santo “non ci lascia soli mai, sta vicino a noi, come un avvocato che assiste l’imputato stando al suo fianco. E ci suggerisce come difenderci di fronte a chi ci accusa. Ricordiamo che il grande accusatore è sempre il diavolo, che ti mette dentro i peccati, la voglia di peccato, la malvagità. Riflettiamo su questi due aspetti: la sua vicinanza a noi e il suo aiuto contro chi ci accusa”.
Francesco ha aggiunto: “Lo Spirito Santo vuole stare con noi: non è un ospite di passaggio che viene a farci una visita di cortesia. È un compagno di vita, una presenza stabile, è Spirito e desidera dimorare nel nostro spirito. È paziente e sta con noi anche quando cadiamo. Rimane perché ci ama davvero: non fa finta di volerci bene per poi lasciarci soli nelle difficoltà. No, è leale, è trasparente, è autentico. Anzi, se ci troviamo nella prova, lo Spirito Santo ci consola, portandoci il perdono e la forza di Dio. E quando ci mette di fronte ai nostri sbagli e ci corregge, lo fa con gentilezza: nella sua voce che parla al cuore ci sono sempre il timbro della tenerezza e il calore dell’amore”. Quindi, ha concluso il Papa, “se invochiamo lo Spirito, impariamo ad accogliere e ricordare la realtà più importante della vita, che ci protegge dalle accuse del male”.