La grande paura, il timore di non farcela a Milano al primo turno come chiesto a gran voce dal presidente del Consiglio, si materializza tra le file dei maggiorenti del Pdl lombardo, quando gli orologi segnano un quarto alle 18. Silvio Berlusconi sul palco del Palasharp, spostato in avanti di almeno un trentina di metri per far apparire il palazzetto più affollato, si è fatto serio. Dopo il consueto one man show dell’inizio, condotto a colpi di battute (poche) e di domande retoriche (molte), il premier per mezz’ora ha ritirato fuori tutti i vecchi cavalli di battaglia: i comunisti, i giudici, tasse, Gianfranco Fini. E, rispetto al solito, ha alzato di poco l’asticella arrivando a definire tutti “i pm di Milano un cancro da estirpare”, per poi prendersela con il presidente della Camera. È in quel momento che tra il pubblico si registrano le prime defezioni. Sarà stato per il fatto che Berlusconi stava parlando ormai da 45 minuti, o sarà stato perché un contestatore lo ha interrotto ed è stato portato via dalla security, ma all’improvviso il popolo azzurro si distrae. Annoiato. E così dagli spalti la gente comincia a sfollare. Escono subito in trecento, poi a poco a poco in tanti altri. Tra i sedili restano bandiere e foulard azzurri abbandonati alla rinfusa.
Un brutto segnale. Se davvero si dovesse giudicare da qui la campagna del Pdl a Milano, ci sarebbe da scommettere che il ballottaggio tra il sindaco uscente Letizia Moratti e il candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia, è sicuro. Del resto anche riempire (a metà) la tensostruttura di Lampugnano (un quartiere della periferia) era stata una faticaccia. Il 21 aprile, con una dichiarazione al Corriere, il coordinatore del Pdl lombardo, Mario Matovani, aveva annunciato l’arrivo di “diecimila persone sotto il tendone del Palasharp, lo stesso di Eco, Saviano e del Popolo Viola”. Insomma aveva lanciato un guanto di sfida a quelli di Libertà e Giustizia che il 5 febbraio da lì avevano gridato: “Berlusconi dimettiti”.
Risultato: la sfida è stata persa per 10 mila a 4 mila . E adesso anche la battaglia elettorale si fa davvero dura. Il leader del Pdl pure ieri ha caricato di valore politico le amministrative. “Dobbiamo convincere gli indecisi”, ha detto, “è importante spiegare come il voto di Milano sia fondamentale per dare sostegno e forza al governo del paese. Milano con Letizia Moratti farà da spinta alla nostra maggioranza per poter governare ancora due anni. Non possiamo nemmeno immaginare che Milano cada nelle mani delle opposizioni”. Ma all’ombra della Madonnina c’è chi ormai lo immagina. Sulla base dei numeri.
Nel 2006 Letizia Moratti ha vinto al primo turno con il 51,9 per cento dei voti contro il 47 per cento dell’anonimo sfidante, l’ex prefetto Bruno Ferrante, Tra i due c’erano 34 mila voti di differenza. Solo che oggi, anche a non voler considerare lo scarso appeal della Moratti nei confronti dei suoi concittadini e le tante inimicizie che si è fatta nel partito, il centrodestra corre senza l’appoggio dell’Udc e di un pezzo di An, quella che se ne è andata con Fini. Così Berlusconi ha un bel dire di voler superare la quota di 53 mila preferenze personali toccata cinque anni fa. L’impresa è difficile dicono i sondaggi. Forse ancor più che la vittoria della Moratti al primo turno. Per farcela, il premier ha rinforzato la scorsa settimana lo staff del suo quartier generale in viale Monza. Ha aperto i cordoni delle borsa aggiungendo 3 milioni di euro del partito ai circa 9 stanziati dal sindaco (Giuliano Pisapia complessivamente spende un milione e mezzo). Ha appositamente reclutato i portavoce dei suoi ministri lombardi e, all’ultimo momento, ha deciso di tentare di oscurare con un open bar non stop, il comizio di Pisapia – e relativo concerto di Roberto Vecchioni – previsto per venerdì in piazza del Duomo. “Quel giorno”, ha detto Ignazio La Russa, “occuperemo via Dante con tanti aperitivi e musica dal vivo dalle 18 alle 23”. Insomma, più alcol per tutti.
Nella speranza che gli avventori si spostino con il bicchiere in mano nella vicinissima piazza Castello dove, alle 18:30 , la Moratti parteciperà a un comizio di Umberto Bossi. Per il Pdl, del resto, una delle incognite vere è la Lega. Alle comunali del 2006 ha preso pochissimo (poco più del 3 per cento), ma alle provinciali di tre anni dopo è quadruplicata. E oggi minaccia di fare ancor di più.
Tanto che il suo uomo di punta, Matteo Salvini, attacca ogni giorno i cugini azzurri. “Escludo che i milanesi possano votare una persona del genere”, ha addirittura detto venerdì riferendosi a Marco Clemente, un candidato Pdl che, parlando con un presunto boss della ‘ndrangheta, augurava a un imprenditore vittima di estorsione “di morire come un cane”. E, sempre guardando alle ultime provinciale, l’altro timore degli azzurri è il risultato del centro-sinistra che nel 2009, con Filippo Penati riuscì a spuntarla di un soffio a Milano città. Certo oggi c’è una differenza. In molti scommettono che il Movimento 5 Stelle, con il giovanissimo aspirante sindaco Matteo Calise, farà il pieno di voti. Beppe Grillo mercoledì ha riempito piazza Duomo. Ma se Pisapia deve fare i conti con Calise, la Moratti teme Manfredi Palmeri, l’uomo del Terzo polo. In caso di ballottaggio è possibile che parte dei voti di entrambe i candidati (i due elettorati sono fortemente anti-berlusconiani) finiscano a Pisapia. E se i 5 Stelle rifiutano gli apparentamenti, con Palmeri il dialogo è già ampiamente avviato. Per questo Berlusconi lotta per vincere al primo turno. L’ordine di scuderia è convincere gli indecisi. E l’attacco forsennato alla magistratura serve anche a questo.
Per non parlare delle questioni locali, o degli incerti risultati di governo, e per riporre invece le elezioni come un referendum personale: o io, o loro, le toghe rosse. In viale Monza sostengono che il caso di Roberto Lassini (l’aspirante consigliere comunale sotto inchiesta per i manifesti in cui la magistratura era paragonata alle Brigate Rosse) abbia permesso di guadagnare 5 punti. Tanto che ieri Lassini (non presente al Palasharp) è stato lasciato libero di distribuire per la città i propri santini elettorali. Berlusconi punta insomma a ricompattare lo zoccolo duro dei suoi sostenitori. Solo che ieri, dopo 45 minuti discorso, identico agli interventi del passato, molti di loro hanno cominciato a dare evidenti segni stanchezza. E a poco, a poco, hanno lasciato il Palasharp.
di Peter Gomez e Davide Vecchi
Un brutto segnale. Se davvero si dovesse giudicare da qui la campagna del Pdl a Milano, ci sarebbe da scommettere che il ballottaggio tra il sindaco uscente Letizia Moratti e il candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia, è sicuro. Del resto anche riempire (a metà) la tensostruttura di Lampugnano (un quartiere della periferia) era stata una faticaccia. Il 21 aprile, con una dichiarazione al Corriere, il coordinatore del Pdl lombardo, Mario Matovani, aveva annunciato l’arrivo di “diecimila persone sotto il tendone del Palasharp, lo stesso di Eco, Saviano e del Popolo Viola”. Insomma aveva lanciato un guanto di sfida a quelli di Libertà e Giustizia che il 5 febbraio da lì avevano gridato: “Berlusconi dimettiti”.
Risultato: la sfida è stata persa per 10 mila a 4 mila . E adesso anche la battaglia elettorale si fa davvero dura. Il leader del Pdl pure ieri ha caricato di valore politico le amministrative. “Dobbiamo convincere gli indecisi”, ha detto, “è importante spiegare come il voto di Milano sia fondamentale per dare sostegno e forza al governo del paese. Milano con Letizia Moratti farà da spinta alla nostra maggioranza per poter governare ancora due anni. Non possiamo nemmeno immaginare che Milano cada nelle mani delle opposizioni”. Ma all’ombra della Madonnina c’è chi ormai lo immagina. Sulla base dei numeri.
Nel 2006 Letizia Moratti ha vinto al primo turno con il 51,9 per cento dei voti contro il 47 per cento dell’anonimo sfidante, l’ex prefetto Bruno Ferrante, Tra i due c’erano 34 mila voti di differenza. Solo che oggi, anche a non voler considerare lo scarso appeal della Moratti nei confronti dei suoi concittadini e le tante inimicizie che si è fatta nel partito, il centrodestra corre senza l’appoggio dell’Udc e di un pezzo di An, quella che se ne è andata con Fini. Così Berlusconi ha un bel dire di voler superare la quota di 53 mila preferenze personali toccata cinque anni fa. L’impresa è difficile dicono i sondaggi. Forse ancor più che la vittoria della Moratti al primo turno. Per farcela, il premier ha rinforzato la scorsa settimana lo staff del suo quartier generale in viale Monza. Ha aperto i cordoni delle borsa aggiungendo 3 milioni di euro del partito ai circa 9 stanziati dal sindaco (Giuliano Pisapia complessivamente spende un milione e mezzo). Ha appositamente reclutato i portavoce dei suoi ministri lombardi e, all’ultimo momento, ha deciso di tentare di oscurare con un open bar non stop, il comizio di Pisapia – e relativo concerto di Roberto Vecchioni – previsto per venerdì in piazza del Duomo. “Quel giorno”, ha detto Ignazio La Russa, “occuperemo via Dante con tanti aperitivi e musica dal vivo dalle 18 alle 23”. Insomma, più alcol per tutti.
Nella speranza che gli avventori si spostino con il bicchiere in mano nella vicinissima piazza Castello dove, alle 18:30 , la Moratti parteciperà a un comizio di Umberto Bossi. Per il Pdl, del resto, una delle incognite vere è la Lega. Alle comunali del 2006 ha preso pochissimo (poco più del 3 per cento), ma alle provinciali di tre anni dopo è quadruplicata. E oggi minaccia di fare ancor di più.
Tanto che il suo uomo di punta, Matteo Salvini, attacca ogni giorno i cugini azzurri. “Escludo che i milanesi possano votare una persona del genere”, ha addirittura detto venerdì riferendosi a Marco Clemente, un candidato Pdl che, parlando con un presunto boss della ‘ndrangheta, augurava a un imprenditore vittima di estorsione “di morire come un cane”. E, sempre guardando alle ultime provinciale, l’altro timore degli azzurri è il risultato del centro-sinistra che nel 2009, con Filippo Penati riuscì a spuntarla di un soffio a Milano città. Certo oggi c’è una differenza. In molti scommettono che il Movimento 5 Stelle, con il giovanissimo aspirante sindaco Matteo Calise, farà il pieno di voti. Beppe Grillo mercoledì ha riempito piazza Duomo. Ma se Pisapia deve fare i conti con Calise, la Moratti teme Manfredi Palmeri, l’uomo del Terzo polo. In caso di ballottaggio è possibile che parte dei voti di entrambe i candidati (i due elettorati sono fortemente anti-berlusconiani) finiscano a Pisapia. E se i 5 Stelle rifiutano gli apparentamenti, con Palmeri il dialogo è già ampiamente avviato. Per questo Berlusconi lotta per vincere al primo turno. L’ordine di scuderia è convincere gli indecisi. E l’attacco forsennato alla magistratura serve anche a questo.
Per non parlare delle questioni locali, o degli incerti risultati di governo, e per riporre invece le elezioni come un referendum personale: o io, o loro, le toghe rosse. In viale Monza sostengono che il caso di Roberto Lassini (l’aspirante consigliere comunale sotto inchiesta per i manifesti in cui la magistratura era paragonata alle Brigate Rosse) abbia permesso di guadagnare 5 punti. Tanto che ieri Lassini (non presente al Palasharp) è stato lasciato libero di distribuire per la città i propri santini elettorali. Berlusconi punta insomma a ricompattare lo zoccolo duro dei suoi sostenitori. Solo che ieri, dopo 45 minuti discorso, identico agli interventi del passato, molti di loro hanno cominciato a dare evidenti segni stanchezza. E a poco, a poco, hanno lasciato il Palasharp.
di Peter Gomez e Davide Vecchi
Nessun commento:
Posta un commento