Non sono in grado di giudicare la rielezione di Giorgio Napolitano. Non sono un politologo, né un grande elettore. E le passioni coltivate – o forse le ossessioni – mi hanno portato a essere un fanatico di storie criminali, non di politica.
Però ho sperato veramente che il mio Paese potesse essere rappresentato da Stefano Rodotà. Ho voluto crederci. Illudermi, al di là dei partiti o dei movimento. E’ andata male, ma è stato bello. Perché l’Italia, quella delle piazze, ha dimostrato di avere ancora una coscienza civile. Ed è un gran risultato dopo un ventennio culturalmente devastante, in questo Paese messo in ginocchio dalla distruzione socio-culturale imposta dal berlusconismo.
Ora, da italiano, sono tremendamente preoccupato. Tira una brutta aria, qua fuori. La stessa aria che i partiti sembrano non percepire. Ogni giorno in Italia ci sono 2000 nuovi disoccupati. Giovani, ma anche cinquantenni. Italiani senza più sogni, persone che fino a ieri si nascondevano nella normalità dei giorni: il panettiere dove compravi il pane, l’impiegato che trovavi dietro allo sportello, il maestro di tennis che voleva che cambiassi impugnatura, il barista che ti serviva il cappuccino ogni mattina, l’estetista di tua moglie, quell’anziano signore che parcheggiava la sua auto sempre vicina alla tua, il pizzaiolo che era tornato dal Nord per vivere nella sua Calabria, il giornalista che incontravi la domenica allo stadio, il meccanico al quale portavi lo scooter di tuo figlio, il fruttivendolo che aveva sempre gli occhi gonfi perché la sveglia all’alba lo distruggeva. Sono loro i nuovi poveri. Siamo noi.
Dai sempre troppo pochi libri letti nella mia vita ho imparato che un popolo che ha fame è un popolo irrazionale. O forse tremendamente lucido. Tira una brutta aria qua fuori. Tira una brutta aria.
Buona fortuna Italia.
Buona fortuna Italia.
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