Non era mai accaduto prima che l’Associazione nazionale magistrati decidesse di espellere un suo ex presidente. Il pm, cacciato per quanto emerso nell’indagine di Perugia, ha diffuso il testo del suo intervento, che non c’è stato perché è stata respinta la richiesta di poter parlare. "Non mi sottrarrò alle responsabilità politiche del mio operato per aver accettato regole del gioco sempre più discutibili. Ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo. La responsabilità non era soltanto mia. Non farò il capro espiatorio di un sistema", scrive.
Luca Palamara ha commesso gravi e reiterate violazioni del codice etico. Per questo motivo l’Associazione nazionale magistrati ha decretato l’espulsione del pm al centro dell’inchiesta che imbarazza il mondo delle toghe . È la prima volta che un provvedimento così drastico viene assunto nei confronti di un ex presidente dell’Anm: Palamara, infatti, ha guidato il sindacato delle toghe tra il 2008 e il 2012. “Oggi non abbiamo bisogno di capri espiatori, abbiamo bisogno di tornare a prendere coscienza della diffusività di comportamenti che dimostrano un modo distorto di formazione del consenso in magistratura – non intorno ad idee e valori – ma sulla base di interessi strettamente individuali, su impropri rapporti tra consiglieri o esponenti di correnti e magistrati aspiranti ad un incarico”, ha detto il segretario dell’Anm Giuliano Caputo al Comitato direttivo centrale prima del voto sull’espulsione. Un riferimento, quello ai “capri espiatori“, ripetuto anche dal presidente Luca Poniz e che non è casuale. Nessuna vittima sacrificale, ma “solo alcuni colleghi a cui sono stati stati addebitati specifici fatti”, ha detto il numero del sindacato delle toghe. Fonti di via Arenula fanno sapere che il guardasigilli Alfonso Bonafede rispetta “il percorso di rinnovamento dell’Anm” e “non entro nel merito delle loro scelte“. Il ministro ha raccomandato di mantenere il massimo impegno e concentrazione sul progetto di riforma del Csm: “Questa – ha detto – sarà la vera rivoluzione “.
L’espulsione – Nel giorno in cui i suoi colleghi decidevano di cacciarlo, infatti, il magistrato indagato a Perugia avrebbe voluto pronunciare davanti a loro un discorso. Quattro pagine in cui compaiono allusioni, avvertimenti, rivendicazioni. E anche qualche ammissione di colpa. L’Anm, però, ha rigettato la richiesta di audizione all’unanimità. “Mi è stato negato il diritto di parola e di difesa, nemmeno nell’Inquisizione”, commenta il pm di Roma. “La richiesta del collega Palamara di rendere dichiarazioni davanti dal Cdc non è stata accolta ai sensi di Statuto, giacché esso assegna non alla fase decisoria, bensì a quella istruttoria, affidata ai probiviri, l’ascolto dell’incolpato e la possibilità di raccogliere sue memorie e documenti. Di tali facoltà il dottor Palamara ha potuto avvalersi compiutamente in quella sede, venendo convocato allo scopo più volte, come da sue richieste”, spiega una nota del Comitato direttivo centrale.
“Non farò il capro espiatorio di un sistema” – Palamara, però, ci teneva parecchio a parlare davanti all’intero parlamentino delle toghe. La sua non sarebbe stata una difesa tecnica sulle contestazioni, ma un discorso il cui senso è riassumibile nella chiusa: “Non farò il capro espiatorio di un sistema”. Bocciata la sua richiesta di audizione, Palamara ha quindi girato alle agenzie di stampa il testo del suo intervento. “Ognuno – scrive il magistrato – aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti, penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ancora oggi ricoprono ruoli di vertice all’interno del gruppo di Unità per la Costituzione, o addirittura ad alcuni di quelli che ancora oggi siedono nell’attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento. Sarebbe bello che loro raccontassero queste storie. Non devo essere io a farlo. Io ascoltavo sempre tutti”.
“Io non ho agito da solo” – Una vera e propria messa in stato d’accusa dei suoi stessi accusatori. Palamara, infatti, riconosce di aver “fatto parte del sistema delle correnti, quel sistema che ora mi condanna, spesso mi insulta, perché a torto o a ragione individua in me l’unico responsabile di tutto. Io – dice l’ex presidente dell’Anm – non mi sottrarrò alle responsabilità politiche del mio operato per aver accettato regole del gioco sempre più discutibili. Ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo. Sarebbe troppo facile pensare questo“. Il magistrato al centro dell’inchiesta che imbarazza tutto il mondo delle toghe, insomma, rivendica un passaggio fondamentale: non è solo lui l’artefice della degenerazione rappresentata dal sistema delle correnti. “All’inizio – sostiene il pm – ero animato dal sacro fuoco del cambiamento, perché ovviamente anche io mi rendevo conto che era un meccanismo infernale, dal quale però mi sono lasciato inghiottire. Ma ciò non per sete di potere”, bensì in una logica – che oggi riconosco, comunque, erronea – secondo cui il rafforzamento della posizione, mia e del mio gruppo di appartenenza, avrebbe potuto assicurare opportunità di avanzamento di colleghi meritevoli. Ma il fine, ora non posso non ammetterlo, non giustifica mai i mezzi”.
“Responsabilità non è soltanto mia”- Nel suo discorso Palamara rivendica: “Le nomine dei dirigenti giudiziari sono il frutto di estenuanti accordi politici. Talvolta essi conducono alla designazione di persone degnissime e meritevoli di ricoprire i posti per cui hanno fatto domanda. Nella consiliatura a cui ho preso parte, sono stati nominati più di mille nuovi dirigenti. E tra essi – alla guida delle Procure di Milano, Napoli, Palermo (solo per citarne alcune) – magistrati di grande valore come Francesco Greco, Giovanni Melillo, Franco Lo Voi“. Poi, però, Palamara ammentte che “alcuni casi le nomine hanno seguito solo logiche di potere, nelle quali il merito viene sacrificato sull’altare dell’appartenenza. Dei risultati virtuosi di quella esperienza consiliare non ho la presunzione di dirmi l’artefice, ma solo un testimone. Degli altri che non hanno risposto a questa logica sento, invece, il peso della responsabilità. Che però non è soltanto mia”.
Le altre decisioni su Ferri e Criscuoli – Al centro dell’indagine che imbarazza il mondo della magistratura, Palamara è stato sospeso in via cautelare da funzioni e stipendio dalla sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli. La contestazione all’ex pm di Roma riguarda l’episodio dell’incontro in un albergo romano con i consiglieri del Csm, poi dimissionari, Luigi Spina, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre, e i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri (poi passato a Italia viva), per discutere di nomine ai vertici delle principali procure italiane, in primo luogo quella di Roma. In quel momento Lotti era indagato dalla procura capitolina per l’inchiesta Consip. Subito tutti i magistrati coinvolti vennero deferiti ai probiviri, e la richiesta di espulsione è stata formulata per tutti, ma la maggior parte di loro si sono nel frattempo dimessi dall’Anm. Non lo aveva fatto Paolo Criscuoli, che oggi è stato sospeso per 5 anni. Diversa la posizione di Ferri, che è magistrato in aspettativa. Secondo il Comitato direttivo centrale, Ferri è ancora socio dell’Anm a differenza di quanto sostenuto dal diretto interessato e almeno da una parte dei probiviri: per questo sono stati rinviati gli atti al collegio dei probiviri, che ora dovranno procedere con una proposta.
Le accuse e l’hotel Champagne – Neanche Palamara ha voluto dimettersi dall’Anm: adesso è il primo ex presidente ad esserne espulso. Probabilmente lo sarebbe stato anche se avesse potuto parlare davanti al comitato centrale. Nel suo discorso, infatti, il pm non si difende da queste contestazioni: “Sugli aspetti deteriori del correntismo e sulle vicende che mi hanno riguardato all‘hotel Champagne devo potermi difendere nella competente sede disciplinare e spiegare quando sarà il momento a tutti i magistrati le mie ragioni e lo stato d’animo che mi ha accompagnato in quei giorni. Non posso farlo oggi perché per difendermi ritengo di dover utilizzare tutti gli strumenti processuali che l’ordinamento mette a mia disposizione. Non mi sottrarrò alle mie responsabilità su questi fatti: oggi posso dire che ho sottovalutato le mie frequentazioni di quel periodo perché in me prevaleva l’idea di schivare qualsiasi pericolo e di essere un incorruttibile”. I pm di Perugia, però, non la pensano così.
La riforma del Csm e la fine della crisi dell’Anm- Il comitato direttivo centrale ha all’ordine del giorno anche la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Nelle bozze che sono circolate della riforma sono state recepite molte delle nostre proposte”, ma “dobbiamo stare attenti che questa non sia l’occasione per un attacco all’indipendenza della magistratura“, ha detto il segretario dell’Anm Giuliano Caputo. Un concetto su cui ha insistito anche il presidente Luca Poniz: “Speriamo di non dover ricordare il principio di autonomia che il Csm è chiamato a tutelare e che ha legame con la democrazia”. Poniz e Caputo, tra l’altro, hanno chiesto una “rinnovata fiducia” e un “mandato politico pieno” alla giunta dell’Associazione nazionale magistrati per affrontare l’interlocuzione sulle riforme e la ripresa dell’attività giudiziaria dopo lo stop dovuto all’emergenza coronavirus. La richiesta arriva dopo la crisi che, per effetto delle nuove chat emerse dagli atti dell’inchiesta di Perugia sul caso Palamara, aveva portato lo scorso 23 maggio alle dimissioni della giunta. Poi, in una successiva riunione due giorni dopo, in assenza di un accordo “politico” si decise che sarebbe rimasta in carica per l’ordinaria amministrazione e per arrivare alle elezioni, rinviate a ottobre a causa dell’emergenza sanitaria. “Ho chiesto, dopo che ci siamo scontrati anche aspramente e abbiamo affrontato una crisi politica un nuovo mandato sui punti essenziali – ha spiegato Caputo, intervenendo al Cdc – riforme, per affrontare la ripresa totale dell’attività nei tribunali, per l’organizzazione delle elezioni telematiche che è complessa e rispetto alla quale non possiamo permetterci errori o disguidi. È necessario perché la sostanza dell’accordo e della ritrovata concordia tra di noi e l’appoggio dei gruppi all’attività della giunta sia percepito in modo chiaro e lineare anche all’esterno”. Poco dopo il mandato a Caputo e Poniz è stato votato dal comitato centrale. La crisi interna all’Anm, dunque, sembra essere rientrata nel giorno dell’espulsione di Palamara.
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