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sabato 10 maggio 2025

Filosofia storica. - Andrea Milanesi

 

Immagina di entrare nel buio e nel silenzio di una grotta e di trovarti di fronte alle possenti forme di bisonti, scolpite nell'argilla da mani che vissero e respirarono 14.000 anni fa. Il tempo si dissolve, la pietra e l’ombra diventano custodi di un messaggio ancestrale.

https://x.com/histories_arch/status/1921145923947610551?s=46

Nelle profondità della grotta di Le Tuc d’Audoubert, nell’Ariège, nel cuore dei Pirenei francesi, si cela una delle testimonianze più straordinarie della creatività umana del Paleolitico superiore: due bisonti d’argilla modellati intorno al 12.000 a.C., durante l’apogeo della cultura magdaleniana 🦬.

Un capolavoro magdaleniano.

La scoperta delle sculture, avvenuta nel 1912 grazie all’esplorazione di Max, Jacques e Louis Begouën — giovani figli del conte Henri Begouën — rappresentò una rivoluzione nell’archeologia preistorica. Non si trattava più soltanto di pitture rupestri, come quelle di Lascaux o Altamira, ma di veri e propri altorilievi, opere tridimensionali che suggerivano una sensibilità artistica e una capacità di osservazione fuori dal comune.

La cultura magdaleniana (17.000-12.000 a.C.), fiorita nell’Europa occidentale alla fine dell’ultima era glaciale, ci ha lasciato un patrimonio inestimabile: utensili raffinati in osso e pietra, ornamenti personali, ma soprattutto esempi di arte rupestre e plastica che ancora oggi suscitano meraviglia e interrogativi.

Il rituale nascosto nella roccia.

Le Tuc d’Audoubert, insieme alle vicine grotte di Trois-Frères e Enlène, costituisce un complesso sotterraneo di oltre 4 km, un vero e proprio “santuario paleolitico” la cui funzione resta oggetto di studio e mistero. Le incisioni, le impronte di piedi di bambini e la complessità della decorazione suggeriscono che questi luoghi fossero riservati a pratiche rituali, forse legate alla caccia, alla fecondità o alla trasmissione di saperi mitici. La leggenda locale parla di “animali nascosti che vegliano sul mondo sotterraneo”.

La maestria dell’argilla.

I due bisonti, lunghi circa 60 cm, sono modellati con un’attenzione incredibile ai dettagli: la pelliccia resa con la pressione delle dita, i muscoli tesi, la postura attenta. Si pensa che gli artisti abbiano utilizzato non solo le mani e le unghie, ma anche strumenti di osso e pietra per creare texture e profondità. Il risultato è una rappresentazione dinamica, quasi viva, che supera la mera imitazione della natura e si fa espressione di una relazione profonda tra uomo e animale.

Questi bisonti, avvolti nel buio eterno della grotta, sembrano dialogare tra loro e con l’osservatore, proiettando domande sull’identità, la memoria e la spiritualità dei loro creatori.

L’arte come ponte tra mondi.

Quale significato avevano queste sculture per i magdaleniani? Erano offerte agli spiriti della caccia, tentativi di propiziarsi la fortuna, oppure semplici esercizi estetici? Forse tutte queste cose insieme: l’arte paleolitica, come ci insegna André Leroi-Gourhan, unisce in sé funzione, magia e comunicazione, rendendo visibile l’invisibile.

L’eredità di Le Tuc d’Audoubert ci ricorda che l’impulso artistico è antico quanto l’umanità stessa. Da millenni, l’uomo cerca di lasciare tracce di sé, di dialogare con il mistero dell’esistenza, di connettersi col mondo naturale e col sacro attraverso la creazione artistica. Queste opere sono, ancora oggi, finestre aperte sull’enigma del pensiero simbolico e della coscienza umana.

Interrogativi per il presente e il futuro.

L’arte nasce dal bisogno di sopravvivere, di comunicare o di trascendere la realtà quotidiana?
Qual è il confine tra funzionalità e spiritualità nella creazione artistica?
Quali messaggi lasciamo oggi per i nostri discendenti, e quali saranno compresi tra 14.000 anni?

Nel silenzio della grotta, tra luce e ombra, le forme dei bisonti ci invitano a riflettere su ciò che ci rende profondamente umani: il desiderio di comprendere, di esprimere, di ricordare.

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@ndrea Milanesi

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