Visualizzazione post con etichetta oceani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta oceani. Mostra tutti i post

domenica 30 dicembre 2018

Il più grande sistema di pulizia degli oceani ha finalmente preso il largo: dimezzerà l’inquinamento marino in soli 5 anni.

L’enorme isola di plastica che si è accumulata nell’Oceano Pacifico, frutto dei rifiuti plastici di oltre 60 anni, sembra avere le ore contate. Il progetto dell’organizzazione no-profit olandese Ocean Cleanup sta finalmente prendendo il largo per segnare un momento storico nella lotta all’inquinamento ambientale. Le proiezioni dei dati di raccolta dei rifiuti sono stupefacenti e lasciano ben sperare gli addetti ai lavori e il mondo intero…



Il Pacific Trash Vortex, conosciuta anche come Grande Chiazza di Immondizia nel Pacifico(Great Pacific Garbage Patch), è un’enorme accumulo di spazzatura (in particolare plastica) che si trova nell’Oceano Pacifico. Questo fenomeno è talmente grande da essere considerato uno stato grande due volte il Texas contenente 1,8 trilioni di pezzi di detriti. Per anni si è pensato che non potessero esserci soluzioni a questo problema, perlomeno fino ad oggi.
Avevamo già parlato del progetto Ocean Cleanup di un’organizzazione no-profit olandese, che ha studiato e messo in azione il primo sistema di pulizia guidato degli oceani al mondo. È stato da poco messo in funzione nella baia di San Francisco, con tanto di diretta streaming mondiale, il System 001, il primo sistema di pulizia degli oceani al mondo.
Si tratta di una struttura tubolare lunga 600 metri a forma di U, costituito da una barriera galleggiante e una fascia di tessuto che trattiene i rifiuti alta 3 metri, posizionata al di sotto dei galleggianti. È stata progettata in modo da essere trasportata dal vento e dalle onde del mare per tutto il suo tragitto autonomo, alla ricerca dei componenti inquinanti presenti nell’oceano.
Come si può leggere sul sito dell’organizzazione, questa struttura si comporta come un gigantesco Pac Man: muovendosi più velocemente della plastica spinge i rifiuti al centro della barriera galleggiante. L’enorme struttura sta raggiungendo il punto in cui inizierà una sperimentazione finale della durata di due settimane a 240 miglia al largo della costa.
Finito questo periodo e raccolti i dati necessari, sarà pronta per viaggiare verso il Garbage Patch, dove inizierà il lavoro per cui è stato progettato. Il System 001 è al momento trainato da un rimorchiatore di un’azienda partner del progetto Ocean Cleanup, e inizierà a raccogliere i primi detriti dell’enorme isola di plastica entro 6 mesi. I rifiuti raccolti verranno riciclati dalla stessa organizzazione e saranno venduti in prodotti che finanzieranno il progetto e le future piattaforme.
Durante il viaggio il System 001 sarà tenuto d’occhio per diverse settimane dal Maersk Launcher, la nave rimorchio, che svolgerà la duplice funzione di  raccolta dei dati utili progetti futuri, oltre che fungere da piattaforma di osservazione.
L’obiettivo dichiarato di Ocean Cleanup è quello di ridurre drasticamente l’inquinamento marino causato dalla plastica nei prossimi anni. Il raggiungimento è legato all’aumento della flotta, dove è prevista un’espansione di circa 60 sistemi per dimezzare le dimensioni del Garbage Patch in circa 5 anni. Entro il 2040 l’obiettivo è quello di ridurre del 90% la plastica presente in tutti i nostri oceani.
Attendiamo con ansia che il System 001 raggiunga il luogo previsto per la raccolta dei rifiuti, questo momento segnerà una svolta epocale nella lotta all’inquinamento marino!

domenica 5 agosto 2018

I diamanti blu colorati dagli antichi oceani.

Un diamante blu (fonte: pixabay) © Ansa
Un diamante blu (fonte: pixabay)RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/Ansa

Ulteriore prova del riciclo della crosta terrestre.


diamanti blu, come il famoso Hope appartenuto alla regina Maria Antonietta, sono stati colorati dagli antichi oceani e sono l'ulteriore prova dell'enorme meccanismo di riciclo della crosta terrestre. Queste gemme sono infatti tinte da un elemento presente nell'acqua degli oceani, il boro, che scivola alla profondità nella quale sono prodotti questi diamanti, compresa fra 410 e oltre i 660 chilometri grazie al movimento delle placche terrestri

La dimostrazione, alla quale la rivista Nature dedica la copertina, si deve al gruppo coordinato da Evan Smith, dell'americano Gemological Institute of America, e parla anche italiano con Fabrizio Nestola, dell'università di Padova. "Questi diamanti sono estremamente preziosi ed è difficile ottenerli a scopi di ricerca", ha osservato Smith. Inoltre, ha aggiunto "è molto raro trovarne uno che contenga inclusioni di minerali". Questi minerali sono i resti della roccia in cui il diamante si è formato e contengono informazioni cruciali su come le gemme sono nate. E' stato proprio l'italiano Nestola a identificare molte delle inclusioni presenti nei 46 diamanti analizzati e a calcolare la profondità a cui si sono formate, grazie a una strumentazione per analizzare i materiali con i raggi X, acquistata con i fondi di un progetto del Consiglio europeo della ricerca (Erc) vinto nel 2013. 

L'analisi dei minerali intrappolati nei diamanti blu, provenienti da Africa, India, Sud America e Borneo, è durata due anni e indica che le pietre si sono formate nelle rocce esposte a condizioni estreme di pressione e temperatura, come quelle che si trovano alla profondità compresa tra 410 e oltre 660 chilometri, ossia al confine tra mantello superiore e inferiore, che sono gli strati compresi tra la crosta e il nucleo terrestre. La maggior parte degli altri diamanti si forma, invece, a profondità di circa 150-200 chilometri

Secondo l'ipotesi dei ricercatori, il boro degli antichi oceani "è stato incorporato nelle rocce chiamate serpentiniti", ha detto Nestola. Le rocce sarebbero successivamente state portate in profondità dai movimenti delle placche terrestri e lì avrebbero rilasciato tutta l'acqua incorporata. "La maggior parte di quest'acqua - ha proseguito l'esperto - risale verso la superficie terrestre, ma una piccola frazione viene intrappolata in altri minerali che a loro volta vengono trasportati a profondità ancora più elevate, dove ad un certo punto rilasciano un fluido contenente il boro degli oceani antichi e altri elementi". Se tra tali elementi vi è sufficiente carbonio, l'elemento di cui sono fatti i diamanti, si generano pietre blu, perché in esse il boro sostituisce alcuni atomi di carbonio

Le gemme giocano quindi un ruolo cruciale nel comprendere come la Terra si sia trasformata nel tempo e sono un ulteriore prova del riciclo della crosta nel mantello. Mostrano inoltre che i minerali ricchi di acqua viaggiano molto più in profondità nel mantello rispetto a quanto si credesse e ciò indica che esiste riciclo dell'acqua anche nelle profondità della Terra.


http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/terra_poli/2018/08/02/i-diamanti-blu-colorati-dagli-antichi-oceani_db34d068-1c80-422b-983b-abcca0571354.html