domenica 25 dicembre 2011

Caro Monti, è uno schifo. - di Antonio Padellaro







Caro presidente Monti, sappiamo che le lettere aperte ai potenti, in genere, finiscono nei cestini dei suddetti potenti troppo presi dai grandi affari di Stato per dare retta a giornalistici piagnistei.
Ma se ci permettiamo di importunarla è perché nella memorabile conferenza stampa sulla manovra (quella che passerà alla storia più per le lacrime della ministra Fornero che per il sangue spillato a contribuenti e pensionati), Lei annunciò immediati tagli ai costi della politica, poiché si rendeva conto che a un Paese costretto a subire l’arroganza della cosiddetta casta non si poteva chiedere di svenarsi senza prima avere tagliato un po’ le unghie ai rapaci in auto blu.
Non parleremo della strombazzata abolizione delle province, poi rinviata alle calende greche (è solo da mezzo secolo che se ne parla), che attribuiamo al suo candore tecnico.

Il fatto è che ciò che resta dell’Italia tramortita dallo spread viene spolpato allegramente da quei plotoni di cavallette fameliche che prosperano indisturbate nei bassifondi dei Palazzi. Ci domandiamo come Lei e il suo governo possiate rimanere insensibili di fronte a quanto, per esempio, sta accadendo alla Regione Lazio, dove gli onesti amministratori guidati dalla proba Polverini con una mano frugano nelle tasche dei cittadini che dovranno pagare ancora di più benzina, bollo auto e Irpef; mentre con l’altra regalano fior di pensioni e di vitalizi ad assessori “esterni” e consiglieri decaduti, senza dimenticare di arrotondarsi le indennità, cosicché lo stipendio di un consigliere arriva a 10 mila euro più diaria mensile più spese di segreteria.

Caro Presidente, è solo l’esempio più macroscopico e indecente di una casta che ingrassa sulla pelle dei più deboli. Fino a quando saremo costretti a sopportare una tale vergogna, approvata per giunta con tale protervia? Se Lei non ha il potere per intervenire (conosciamo l’obiezione), faccia almeno sentire la sua voce. È così difficile?



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/24/caro-monti-uno-schifo/179766/

NATIVITÀ (Annunciazione, annunciazione).

venerdì 23 dicembre 2011

Accusato di riciclaggio, affittava la casa in centro a Roma ad Alfano.




Il segretario nazionale del Pdl pagava per un appartamento di 60 metri quadri nel centro di Roma appena 485 euro. Il proprietario era Roberto Saija, finito nell’inchiesta sulla maxi evasione fiscale di Vito Nicastri, il ras dell'eolico arrestato in Sicilia nel 2009.

Angelino Alfano
 occupava la casa per pochi giorni la settimana, si era impegnato a lasciarla subito libera se fosse stato necessario, e la faceva visitare ad eventuali acquirenti: era, insomma, una persona di fiducia e per questo ha pagato solo 485 euro per stare in affitto, dal 2006 al 2008, in un appartamento di 60 mq dietro campo de Fiori, a Roma, valore di mercato 1400 – 2000 euro. Il suo padrone di casa era Roberto Saija, oggi accusato di riciclaggio, finito nell’inchiesta sulla maxi evasione fiscale di Vito Nicastri, lo sviluppatore siciliano di parchi eolici arrestato in Sicilia nel 2009.  Lo ha scoperto la procura di Milano che ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini a nove indagati, tra cui Nicastri e Saija, accusati di avere riciclato, cercando di camuffarne la provenienza, 13 milioni di euro frutto di una maxi truffa allo Stato nel settore dell’eolico. Indagando sulla sparizione del “fondo nero” di 12,9 milioni, frutto di una truffa compiuta nei confronti del Fisco “sull’ammontare di una plusvalenza tassabile” sparita  tra Lussemburgo eMalta, gli 007 delle Fiamme Gialle hanno puntato l’attenzione su alcune email relative alla locazione dell’appartamento romano che la società Immobiltel riconducibile a Saija aveva preso in Leasing da Banca Italease spa, e che da metà febbraio 2006 alla fine del 2008  affittò appunto ad Alfano (e dal 2009 ad un suo collaboratore) per  485 euro al mese.



Alfano e Saija si conoscevano da tempo, ha spiegato l’indagato. Per giustificare il basso canone di locazione ha detto che preferiva tenere in casa una persona di fiducia. Nessun rilievo penale e’ stato attribuito alla vicenda dai pm che non hanno ritenuto di ascoltare il segretario nazionale del Pdl. Nell’indagine milanese compare il nome di un altro parlamentare siciliano, il vice-presidente  dei deputati di Fli Carmelo Briguglio, protagonista di una transazione economica con una società di un indagato: anche qui infine nessun rilievo  penale, perché il passaggio di denaro inizialmente sospetto, attorno ai 100mila euro, e’ stato giustificato dalla compravendita di un terreno di Briguglio in Sicilia.

Divario salari-prezzi, nuovo record. E crolla la fiducia dei consumatori.


L'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie e il livello d'inflazione tocca una differenza pari a 1,8 punti percentuali.

MILANO - Retribuzioni ferme a novembre rispetto a ottobre. È quanto emerge dai dati Istat, secondo i quali l'incremento delle retribuzioni su base annua è stato dell'1,5%. La crescita tendenziale è la più bassa dall'ottobre del 2010, ovvero da oltre un anno, quando si registrò lo stesso dato che risulta il minimo da marzo 1999. Sempre a novembre, e su base annua, la forbice tra l'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e il livello d'inflazione (+3,3%), su base annua, ha toccato una differenza pari a 1,8 punti percentuali. Si tratta del divario salari-prezzi più alto almeno dal 1997, che aggiorna il precedente record.
ATTESA DEI RINNOVI - Nel penultimo mese dell'anno risultavano in attesa di rinnovo 30 accordi contrattuali, di cui sedici appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a 4,1 milioni di dipendenti (circa 3 milioni nel pubblico impiego). Lo comunica l'Istat, precisando che la quota di dipendenti che aspettano il rinnovo è pari al 31,4%. È quasi raddoppiata poi la media dei mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto. A novembre 2011 l'attesa è di 23,9 mesi, in deciso aumento rispetto allo stesso mese dello scorso anno (13,4).
CONSUMI - Quanto al clima di fiducia dei consumatori, l'indice, secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica, crolla a dicembre da 96,1 a 91,6. È il livello più basso dal 1996, ovvero da quando sono disponibili le serie destagionalizzate. Il peggioramento è diffuso a tutte le componenti ed è particolarmente marcato per il clima economico generale con il relativo indice che passa da 83,1 a 77,2. L'indicatore relativo alla situazione personale degli intervistati scende da 101,6 a 97,3. Anche le previsioni a breve termine registrano un marcato calo, diminuendo da 88,9 a 82,9. In flessione l'indice sulla situazione corrente, che passa da 102,2 a 98,4. Calano, inoltre, i saldi relativi alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -72 a -85) e sulla convenienza all'acquisto di beni durevoli (da -87 a -99). E ancora, si deteriorano le aspettative di disoccupazione (il saldo passa da 80 a 86) e quelle generali sull'economia italiana (da -46 a -55). Aumenta da 57 a 65 il saldo dei giudizi sull'evoluzione recente dei prezzi al consumo e cresce da 12 a 58 quello sull'evoluzione nei prossimi dodici mesi. A livello territoriale, il peggioramento della fiducia è diffuso in tutte le ripartizioni ed è particolarmente marcato nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno.

Perché tutti odiano le banche. - di Paola Pilati






Nate per favorire l'impresa e quindi il benessere, si sono trasformate in enormi divoratrici dei soldi dei contribuenti. E quello che sta succedendo in queste ore sui mercati le rende ancora più impopolari.


Insaziabili come i grassoni in marsina disegnati da Grosz negli anni Venti o poveri cristi col cappello in mano in cerca di 100 miliardi di euro (108, secondo l'ultima stima, ma c'è chi dice 200) per tenere in piedi le loro disastrate baracche, prima che prendano fuoco e arrostiscano tutta l'economia continentale? Visti dai contestatori di Occupy Wall Street o dai governi che continuano a dargli soldi, i banchieri non sono mai stati così screditati. 

L'ultimo scandalo, quello della banca franco-belga Dexia, salvata già una volta a spese del contribuente e ora statalizzata con 4 miliardi di euro, è - più che un campanello d'allarme - una campana a morto per la trasparenza dei governi e per la credibilità dei regolatori: l'opinione pubblica è stata imboccata con qualche dolcetto, rassicurata con una ninna nanna, ma sostanzialmente intortata. Gli stress test, le prove di sforzo che dovevano reclamizzare la robustezza del sistema bancario, si sono rivelati una bufala. I tentativi di imporre regole, rigore, limiti etici, al rischio che le banche amavano intrepidamente affrontare, sono stati aggirati con un gioco di lobby. E in questo mestiere le banche francesi sono state all'avanguardia. Come ha ricostruito il "Wall Street Journal", due anni fa un banchiere francese si recò a Washington per convincere il capo del Fondo monetario di allora, Dominique Strauss-Kahn, che le sue preoccupazioni sulla salute del sistema bancario europeo erano infondate. Ci riuscì. Ma questa mossa ebbe solo l'effetto di far sottovalutare il rischio, e di rallentare la messa in campo di misure di emergenza. 

Oggi le tre maggiori banche francesi, Bnp, Crédit Agricole e Société générale sono tra le cause della crisi che ha paralizzato il sistema nervoso bancario europeo, dove il denaro non circola più, cosicché venerdì 21 ottobre i depositi della Bce di Francoforte hanno ospitato "overnight" una montagna di denaro, per la cifra record di 255 miliardi di euro (oltre i 100 è già zona rossa), che nessuno si fida di mettere altrove. Non basta: anche nelle riunioni con la European banking authority per definire gli stress test di quest'anno, racconta sempre il "Wall Street Journal", francesi e tedeschi hanno ottenuto , contro il parere di altri paesi, di non contemplare la variante "default di un paese dell'eurozona". Tutte le maggiori banche europee hanno passato i test: eppure, oggi Dexia è fallita. Retroscena inquietanti. Fatto sta che la francese oggi a capo del Fmi, Cristine Lagarde, ha cambiato idea rispetto al suo predecessore, sentenziando che le banche europee si devono mettere in cerca di 200 miliardi per rafforzare il loro capitale. 



Ma chi li pagherà? Si accettano scommesse: a pagare saranno ancora una volta i cittadini contribuenti. E questo dopo che un fiume di denaro pubblico è già defluito nei forzieri bancari: tra settembre 2008 e la fine del 2010 nell'Europa a 27 i governi hanno messo a disposizione del mondo del credito 4.285 miliardi di euro, di cui 1.240 effettivamente erogati, per 300 miliardi sotto forma di ricapitalizzazioni. La parte del leone l'hanno fatta le banche inglesi, tedesche e francesi. Non è bastato. 

Oggi l'incubo di tutti si chiama Grecia: il debito greco acquistato dalla Francia è di 92 miliardi di dollari, quello in mano alla Germania 69 miliardi (contro i 20 per il Regno Unito e i 43 per gli Usa), allegramente comprati per via dei tassi più che succulenti. Ora è veleno iniettato in vena. "La verità è che, secondo i criteri di Basilea 2 (il corpus di regole e parametri adesso aggiornato in Basilea3, ndr.) acquistare titoli del debito pubblico non comportava un aumento del rischio per le banche", spiega l'economista Marcello Messori. Poi lo scenario è cambiato, e il rischio di default di Atene ha diffuso il panico. "Se si fosse intervenuti sul focolaio greco subito, oggi non ci troveremmo di fronte alla prospettiva di dover pagare molto di più: gestire il salvataggio bancario ci costerà molto più caro", conclude Messori. Oltre che di titoli greci le banche si sono imbottite di bond del debito pubblico un po' di tutti i paesi. Salvarle vuol dire salvare gli Stati. Ed è per questo che la mission è sostenuta da tutti i governi, Merkel e Sarkozy in prima fila, e che su questo obiettivo si potrà chiedere l'intervento del Fondo salvastati, l'Efsf.



La ricerca dei capitali necessari, infatti, per le banche da sole non sarà facile. Il mercato non si fida, e in molti casi ha già fatto la sua parte: dall'inizio dell'anno ha scucito per aumenti vari più di 47 miliardi (7 miliardi per Intesa, 16 per Commerzbank). Ma, in particolare per le grandi banche "di sistema" non c'è scampo: dovranno portare al 9 per cento il coefficiente patrimoniale. La richiesta ha scatenato l'ira del primo banchiere di Germania, Josef Ackermann: "Questa gente", ha detto il Ceo di Deutsche Bank rivolgendosi al governo di Berlino, "ci attacca in tutti i modi. Ma noi siamo ben capitalizzati e rifiutiamo a tutti i costi interventi statali". A smentirlo "Handelsblatt", il quotidiano finanziario tedesco, prevede che non solo la Francia, ma anche la locomotiva tedesca sia "in procinto di perdere la tripla A". I più accorti investitori americani ne hanno già tratto le debite conseguenze: da maggio allo scorso settembre, calcola l'agenzia Fitch, i fondi americani hanno ritirato dalle banche tedesche il 23 per cento dei loro investimenti. 
Certo, la locomotiva tedesca ancora fila che è una bellezza. A fine settembre, record dal 1991, c'erano meno di 2,8 milioni di disoccupati in Germania. Ma il risparmiatore tedesco è teso per la crisi delle sue banche: Commerzbank oggi vale in Borsa sugli 8 miliardi, 17 in meno di quattro anni fa. Peggiori le prestazioni di Deutsche Bank: l'istituto di Ackermann è valutato sui 25 miliardi, ma nei suoi tempi d'oro ne valeva oltre 60. Débâcle che condividono con i risparmiatori di tutta europa. 

Non tutti naturalmente concordano che occorra svenarsi per le banche: "I regolatori hanno dato molto peso al requisito del capitale ma è un errore: è insito nel sistema capitalistico che la banca lavori con poco capitale proprio e intermediando quello altrui. Per me è più importante il fattore liquidità", afferma Mario Sarcinelli, presidente di Crediop ed ex banchiere centrale. Anche Messori avanza dubbi, ma con un diverso obiettivo: "Se l'Unione europea fosse intervenuta per evitare il fallimento dei paesi periferici con azioni credibili per i mercati, oggi il settore bancario non avrebbe necessità di salvataggi. E l'occasione ci avrebbe fatto fare un passo avanti verso un'istituzione europea per la gestione del debito pubblico.



Le resistenze del fronte bancario sono comprensibili: non solo il capitale costa caro, ma certe volte richiede passaggi dolorosi, per esempio un cambio di gruppo di controllo, come è avvenuto per l'italiana Popolare di Milano. Più grave è che si minaccino effetti disastrosi sulla crescita, già minata, dell'economia, e che si prevedano, come ha fatto recentemente la Confindustria, brusche riduzioni del credito per le imprese causate dalle nuove regole. Argomenti che un report della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea smonta senza difficoltà: modestissimo impatto sul prodotto, grandissimo beneficio per la sicurezza del sistema, ha appena scritto. Dunque, la medicina del nuovo capitale andrà inghiottita. "Non dico che le banche siano perfette, ma sono il sistema cardiocircolatorio del capitalismo: non si può non intervenire", riflette Sarcinelli. 

Già, ma allora chi deve intervenire? "Le regole non sono ancora fissate, ma prima dovranno intervenire i privati, solo dopo lo Stato, e infine il Fondo", spiega Stefano Micossi, direttore generale dell'Assonime, "di certo questa è la prima mossa per affrontare successivamente senza effetti catastrofici la ristrutturazione del debito greco", aggiunge. Infatti nel mirino dei regolatori, Bce in testa, sono soprattutto le banche il cui peso ha un forte impatto su una singola economia nazionale, o contemporaneamente su più economie, come per esempio è Unicredit. "Le banche grosse sono molto pericolose", conferma un banchiere che segue il dossier da cui dovranno arrivare le nuove regole. "La prima misura da prendere sarà un "capital surcharge", cioè un requisito di capitalizzazione più alto. La seconda misura sarà più delicata, perché dovrà disegnare i meccanismi di intervento in caso di difficoltà: per esempio si potranno tagliare dei segmenti di attività per evitare il contagio, cacciare il management, farle addirittura a pezzi, ma salvare i rapporti creditizi, cioè i risparmiatori". E' questo il boccone indigesto che i superbanchieri abituati a fare il bello e il cattivo tempo, temuti dai governi come vero contropotere non vogliono inghiottire: essere salvati e nello stesso tempo ingabbiati. 


hanno collaborato Giacomo Leso e Stefano Vastano



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perche-tutti-odiano-le-banche/2165190//1

Lo studio per prevenire l'Hiv è la ricerca scientifica 2011.


In pole position nella top ten degli studi scientifici dell'anno c'è lo studio sull'Aids. Secondo la rivista Science è questo il più grande passo in avanti compiuto dalla ricerca. Si posiziona decima la scoperta in tema di longevità.  

TEMPO di bilanci, tempo di classifiche. Anche la ricerca scientifica traccia la sintesi di un anno di attività in laboratorio ed elegge la migliore scoperta del 2011. Il titolo, secondo quanto riporta la rivista scientifica 'Science', va allo studio sul trattamento antiretrovirale per la prevenzione dell'Hiv. Ma nella top ten dei passi avanti della scienza non appare solo il settore medico -sanitario.   

Lo studio sull'Aids. E' stato dimostrato che il trattamento con farmaci antiretrovirali riduce il 96% il rischio di contagio tra un paziente infettato e il partner. Science ha messo sul podio questa ricerca, frutto del lavoro di Myron Cohen del'università della Carolina del Nord a Chapel Hill e di una equipe internazionale, perché i risultati chiudono il lungo dibattito sulla doppia utilità del trattamento antiretrovirale sia per curare i pazienti sia per ridurre il tasso di trasmissione della malattia. 

La ricerca è stata avviata nel 2007 reclutando 1.763 coppie eterosessuali di nove Paesi, tutte con uno dei partner sieropositivo. Le osservazioni avevano un riscontro talmente positivo che l'organismo di controllo della ricerca ha deciso, quattro anni prima della fine del programma, che tutti i partecipanti dovevano ricevere il trattamento antoretrovirale. I dati raccolti sono stati poi pubblicati l'11 agosto sul New England Journal of Medicine.

Le altre nove scoperte. Seconda in classifica compare la missione della sonda giapponese Hayabusa, tornata sulla terra con la polvere di un grande asteroide che rappresenta il primo campione diretto di un corpo planetario dopo 35 anni; terzo lo studio su come il sistema immunitario dell'uomo si sia adattato nel tempo. Quarta la scoperta di una proteina fotosintetica, usata dalle piante per dividere gli atomi di idrogeno da quelli di ossigeno: ora, infatti, gli scienziati conoscono un meccanismo essenziale per la vita sulla terra ed è quindi aperta la strada verso lo sviluppo di nuove forme di energia. 

Al quinto posto la scoperta di idrogeno primordiale, individuato ai confini dell'universo grazie al telescopio Keck nelle Hawaii. Gli astronomi hanno osservato due nuvole di idrogeno che hanno conservato la loro composizione originale a due miliardi di anni dal Big Bang. 

E ancora: l'analisi di tutti i microbi che popolano l'intestino ha dimostrato che ogni individuo ha un batterio dominante. Un'indicazione fondamentale per capire meglio le relazioni tra alimentazione e microbi sia nelle persone sane che in caso di malattia. 

Poi un vaccino antimalarico che promette sviluppi interessanti grazie ai primi risultati della sperimentazione, in corso su 15 mila bambini in sette paesi africani. 

La classifica continua con il telescopio spaziale Kepler della Nasa che ha scoperto i primi sistemi planetari al di fuori del sistema solare e alcuni pianeti simili alla Terra. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto un pianeta gassoso gigante con un'orbita bizzarra. In pratica, un pianeta che gira attorno a un sistema di stelle doppio e 10 pianeti che sembrano galleggiare liberamente nello spazio. 

La creazione di zeoliti è al nono posto: i chimici hanno concepito una gamma di questi minerali porosi - usati come catalizzatori, per purificare l'acqua, l'aria, produrre essenze - meno cari, più fini e adatti per trattare molecole organiche più grandi. 

Ultima ma non senza un forte appeal è una scoperta in tema di longevità: eliminando nei topi le cellule senescenti che smettono di dividersi, possono essere ritardati i sintomi della vecchiaia, come cataratta e debolezza muscolare. Una speranza per allungare, in salute, la vita.



http://www.repubblica.it/scienze/2011/12/22/news/antiretrovirali_prevenzione_hiv-27062332/?ref=HREC2-9 

Quando Fido diventa un bambino tanti regali ma rischio depressione. - di SARA FICOCELLI


Oltre un americano su due parla del cane e del gatto più che di sesso o di politica, dice una ricerca Usa. Il 58 per cento si avvicina al proprio animale chiamandalo daddy o mommy. E il 77 per cento gli compra un dono nell'anniversario della nascita. Ma l'etologo Alleva spiega: "I nostri amici a quattro zampe così sono vittime"

CAPPOTTINI, sciarpe, lettori mp3, collane: lo shopping natalizio è una tradizione che non conosce crisi. E sempre più spesso sotto l'albero, tra una cravatta e uno smartphone, si materializzano regali per gli amici a quattro zampe. Cani, gatti, tartarughe, criceti e furetti vengono omaggiati con abitini di lana su misura, ossa di gomma, ruote colorate per correre, spicchi di frutta pregiata.

Inutile dirlo, per i "pets" il Natale è un giorno come un altro, forse solo un po' più caotico e strano. E per quanto possa essere esilarante vedere un cane che "scarta" un regalo facendo a brandelli la confezione, quel momento per lui avrà sempre un significato diverso da quello che possiamo attribuirgli noi.

Malgrado questa consapevolezza, l'abitudine di trattare gli animali domestici come membri di famiglia è sempre più diffusa in Europa, anch'essa come Halloween e il fast food importata dagli Stati Uniti. Nelle case italiane, in particolare, vivono circa 20 milioni di pets e per il loro benessere i padroni spendono due miliardi di euro l'anno. Oltreoceano il fenomeno è talmente esasperato da aver di recente conquistato anche le pagine di Usa Today, che denuncia come siano sempre di più gli americani che trattano l'animale di casa come un essere umano.

Secondo un'indagine dell'American Pet Products Association, il 53 per cento dei proprietari di un cane e il 38 per cento di quelli di un gatto fa loro abitualmente regali per Natale e secondo un sondaggio della Kelton Research commissionato dalla Milo's Kitchen, l'81 per cento dei cittadini Usa considera il pet un membro di famiglia, il 58 per cento li chiama a sé con nomignoli come "mommy" o "daddy", il 77 per cento fa loro regali per il compleanno e più della metà ammette di parlare di loro più spesso di quanto non faccia di sesso o politica.

Niente paura, però: gli esperti avvertono che i "pet-obsessed" non hanno nulla che non va. "La cosa peggiore che può succedergli - spiega Stanley Coren, professore emerito di psicologia presso la University of British Columbia - è arrivare a spendere 20 dollari per un collare". Il problema riguarda gli animali. Che, come spiega il il Presidente della Società Italiana di Etologia, Enrico Alleva, soffrono di queste situazioni.

"Quelli che vengono trattati come persone - commenta l'esperto - sono vittime dell'egoismo e dell'arroganza dei proprietari, che non a caso definisco così e non padroni. Il cane è un lupo addomesticato e pensare che possa trovare piacevole guardare la televisione come noi non ha senso. Situazioni di questo tipo spesso portano l'animale a sentirsi depresso, apatico e a ingrassare. Infondono in lui un profondo senso di malessere".

Secondo l'etologo, la cosa migliore che si può fare per andare incontro ai bisogni dell'amico domestico è leggere libri scientifici che parlino della sua specie e che spieghino come rispettarne al massimo la natura. Perché se è vero, come dice una ricerca della Miami University in Ohio, che chi ha un animale è più sereno di chi non lo ha, è anche attendibile quanto sostiene uno studio pubblicato su Public Health Nutrition, secondo cui i problemi psicofisici dei padroni contagiano velocemente gli amici a quattro zampe, portando ad esempio un cane ad ingrassare se anche il proprietario aumenta di peso.

Il legame tra essere umano e animale di casa è dunque talmente stretto e delicato che - precisano gli esperti - va maneggiato con cura. Senza dimenticare che per loro l'unico regalo appetibile, al di là di una ciotola di cibo, è la nostra compagnia.



http://www.repubblica.it/ambiente/2011/12/23/news/animali-27009879/?ref=HRERO-1