mercoledì 10 aprile 2013

Prodi fa jogging a villa Borghese. Con l'auto di servizio dentro il parco.




L'ex premier "beccato" dal fotografo mentre l'autista e la scorta lo aspettano nei viali della villa. In barba ai divieti.


Prodi fa jogging di prima mattina a Villa Borghese. Ma non come un cittadino qualunque. Perché il candidato per il Quirinale che tanto piace alla sinistra e ai *grillini era accompagnato dalla macchina di servizio e dall'autista che lo ha seguito fin dentro il parco, cioè dove normalmente non si può arrivare. Alla faccia di chi lo vede come garante dell'anticasta. Una mezz'oretta di corsa, per scaricare la tensione accumulata forse dal fatto che il suo nome, dopo l'incontro di ieri tra Berlusconi e Bersani, non è più in cima alla lista dei papabili per il Colle, poi l'ex presidente del Consiglio è tornato alla sua macchina (di servizio) che lo ha riaccompagnato a casa.

Maxi sequestro in tutta Italia di shampoo lisciante altamente tossico: può causare tumori e sclerosi.



La procura di Brescia ha chiesto l’immediato ritiro in tutta Italia di circa 50mila prodotti cosmetici per capelli che contengono formaldeide, una sostanza chimica che rende i capelli lisci ma che è tossica ed in grado di favorire malattie come i tumori e la sclerosi.
Sono state denunciate 21 persone e rinviate a giudizio i rappresentanti legali delle aziende coinvolte.
Queste le dichiarazioni ufficiali dei pm: “L’attenzione dei militari  è stata inizialmente destata da fatti di cronaca che avevano registrato il ricovero di alcune donne dopo che si erano sottoposte al trattamento di lisciatura dei capelli in alcuni saloni di parrucchiere”. Nel comunicato si legge poi:”Da quel momento sono state avviate indagini sul prodotto in questione, presto estese a tutti i prodotti importati e commercializzati in Italia fino ad arrivare a un campione di oltre 70 differenti prodotti . Gli inquirenti hanno concentrato l’attenzione su un elemento chimico presente negli stessi, la formaldeide, in grado di aumentare temporalmente l’effetto lisciante, anche fino a sei mesi. La formaldeide è inserita nella lista mondiale delle sostanze più pericolose e tossiche per l’uomo”. 

STAMINALI, COSA CAMBIA COL DECRETO BALDUZZI.



Dopo il via libera della commissione speciale, il Senato sta licenziando il provvedimento sulle staminali presentato dal Ministro Balduzzi, ecco cosa cambierà nella travagliata vicenda delle cure compassionevoli proposte dalla Stamina Foundation.


Staminali non è una parola magica, le staminali non sono tutte uguali, e le cellule staminali non vanno bene per curare qualunque malattia: questo la comunità scientifica vuole sia ben chiaro, dopo l’ulteriore compromesso raggiunto al Senato sulla utilizzazione per uso compassionevole di staminali mesenchimali, ed anche se nel decreto non è nominata, si staglia nitida la figura della Stamina Foundation e dei suoi due padri, Davide Vannoni, professore associato di Psicologia all’Università di Udine, e Marino Andolina, pediatra-immunologo in pensione. Che attraverso un metodo di selezione e coltura mai reso noto, perchè dicono è stata presentata la richiesta di brevetto negli Stati Uniti, hanno elaborato la loro “cura” con staminali mesenchimali, quelle dello scheletro, donate da un parente ed infuse a bambini affetti da varie e gravissime malattie genetiche. Nessun miglioramento dopo sei mesi di trattamento su 5 bambini, e due sono morti, si legge in una relazione pubblicata su Neuromuscolar disease fatta da ricercatori del Burlo Garofalo, lo scorso dicembre: ma la grana era scoppiata un anno prima, quando il procuratore torinese Guariniello aveva indagato per truffa 12 membri della Stamina Foundation, e i Nas avevano sequestrato il laboratorio presso gli Spedali riuniti di Brescia dove si preparavano quelle staminali: non a norma, ed il prodotto potenzialmente dannoso. Ma poi ci sono state campagne in tv e sui giornali, bambini mostrati alla curiosità e alla pietà di tutti, le sentenze contraddittorie di molti Tribunali che concedevano o negavano quella “cura”, la protesta di chi a tutti i costi la voleva, per i propri figli. Se anche la Camera convertirà in legge il decreto Balduzzi, di staminali si potrà parlare solo in strutture pubbliche, l’Istituto Superiore di Sanità deve sapere di cosa si tratti, deve essere coinvolto il centro nazionale trapianti. Soprattutto, devono essere trattamenti a titolo gratuito, chiunque li proponga. E poi il compromesso: sotto la responsabilità del medico prescrittore, chi è già “in cura” col metodo Stamina può terminare il ciclo. Ma come ci chiede la comunità scientifica internazionale, si deve tornare alla sicurezza, ai controlli, a protocolli chiari a tutti. Perchè le staminali non sono tutte uguali, e non servono purtroppo per tutte le malattie.

http://ippocrate.blog.rainews24.it/2013/04/10/staminali-cosa-cambia-col-decreto-balduzzi/

Serravalle, l’uomo di Penati: “Azioni in sovrapprezzo? Me lo chiese D’Alema”.

Serravalle, l’uomo di Penati: “Azioni in sovrapprezzo? Me lo chiese D’Alema”


Renato Sarno, già in carcere, riporta le frasi - raccontate da Il Corriere - del presidente della Provincia che nel 2005 comprò a prezzo maggiorato il pacchetto azionario di Gavio. L'ex braccio destro di Bersani, nega ogni addebito. Così come l'ex ministro degli Esteri che annuncia querela al quotidiano milanese.

“Le esatte parole di Penati furono: ‘Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio. Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l’acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D’Alema‘”. A riportare la frase – secondo la ricostruzione del Corriere della Sera – è Renato Sarno, l’architetto 67enne già incriminato dai pm di Monza come “collettore di tangenti e uomo di fiducia di Penati nella gestione di Milano-Serravalle“. 
Il pacchetto di azioni della società autostradale Milano-Serravalle cui fa riferimento Sarno sono quelle che la Provincia di Milano, presieduta dal ds Filippo Penati, acquista nel 2005 dal costruttore Marcellino Gavio a prezzo gonfiato. 
Il Corriere ha interpellato sulla vicenda lo stesso Filippo Penati che ha negato di aver fatto a Sarno il nome di Massimo D’Alema. “Costretto da D’Alema a strapagare le azioni di Gavio? – ha detto Penati – Non l’ho mai detto a Sarno, né avrei mai potuto dirglielo perché non è vero: difendo l’operazione Serravalle fatta nell’interesse della Provincia e destinata ancora oggi a procurarle una plusvalenza”. L’ex presidente della Provincia di Milano ha anche aggiunto che “non c’era alcuna ragione per la quale io dovessi parlare con lui dell’operazione Milano-Serravalle”.
“Leggo con stupore, in un lungo articolo a firma Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, alcune dichiarazioni che sarebbero state rilasciate dall’architetto Renato Sarno in merito ad un mio presunto interessamento, nei confronti dell’allora presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, nell’acquisto delle quote azionarie dell’autostrada Milano-Serravalle, oggetto di indagine da parte della Procura di Monza”. E’ quanto afferma Massimo D’Alema. “Nel rilevare che tutta la ricostruzione della vicenda è stata già smentita da Penati, ovvero colui che avrebbe riferito quelle evidenti sciocchezze all’architetto Sarno, mi sconcerta il fatto che i due giornalisti del Corriere della sera non abbiano avvertito l’esigenza di chiedere la mia versione prima di dare diffusione a dichiarazioni inventate di sana pianta, pubblicandole con straordinario e immotivato risalto”, continua il presidente della fondazione Italianieuropei. D’Alema conclude: “Nel ribadire di non essermi mai interessato a quella vicenda, comunico di aver incaricato il mio legale, avvocato Gianluca Luongo, di assumere ogni più idonea azione a tutela della mia immagine e della mia onorabilità nei confronti di tutti coloro che, nel corso delle indagini o nel riportarne in modo distorto o parziale le risultanze, si sono resi protagonisti di una deliberata azione di calunnia e disinformazione ai miei danni”.

Come riutilizzare i fondi di caffé.


Un’alternativa alla cosmesi tradizionale? Utilizziamo un prodotto “green” davvero sorprendente: i fondi del caffé.
Proprio così, i fondi di caffé non sono solo rifiuti organici da buttare nell’umido ma si prestano a molteplici utilizzi dal compostaggio alle creme anticellulite!
I fondi di caffé sono ottimi come fertilizzanti naturali perché sono ricchi di sostanze nutritive ma si può anche preparare un’ottimo esfoliante per la pelle. Basta applicarli sulla pelle umida mentre si fa la doccia e poi massaggiare energicamente e risciacquare bene.
Come impacco, rendono i capelli scuri più luminosi. Basta applicare il caffè avanzato sui capelli prima dell’ultimo risciacquo ed il risultato è davvero meraviglioso!
Aiutano a combattere la cellulite. Ecco una ricetta percombattere la cellulite con il caffé.
Ma i modi di impiego sono tantissimi e possono, senz’altro, contribuire a tenere pulito l’ambiente. Eccone alcuni esempi.
Si possono eliminare i cattivi odori, spargendo la polvere sul fondo del bidone della spazzatura così come nel frigo, se ci avete messo un cibo un pò puzzolente, una ciotolina con i fondi li spazzerà via.
Inoltre si possono tenere lontani formiche e altri animaletti, lasciando una “traccia” di caffé nei buchini dove si pensa che si annidino. Ne hanno paura perché “annegano” dentro la polvere finissima.
Per distogliere i gatti dall’orinare nei vasi di fiori, spolverizzare la terra con il caffé. Non ne sopportano l’odore pungente.
Come anti-macchia sono molto efficaci, basta cospargere il punto dove c’è lo sporco e strofinare. Se poi avete un bel mobile in legno scuro che si è graffiato, il fondo ridotto ad una pasta se mescolato ad una crema, servirà a coprire i segni.
Senza contare le virtù dei fondi di caffè per rendere più acido il terreno per le piante di tipo acidofilo (ideale come additivo per esempio per chi ha le rose sul balcone o in giardino).
Guarda la Gallery sulle applicazioni dei fondi di caffé!
Ma non finisce qui. Da alcune ricerche è emersa la possibilità di utilizzo per la produzione di un bio-combustibile e la possibilità di realizzare dispositivi per la rimozione dei metalli pesanti da acque contaminate.
Anche il design però vuol dire la sua: è il caso dell’olandese Matthijs Vogels, uno studente dell’Accademia di Design di Eindhoven, dai fondi di caffé ricava persino le tazzine ed i piattini (vedi immagine sotto). I piattini e le tazzine sono ovviamente compostabili.
Infine, l’azienda londinese Re-worked ha sperimentato un metodo per trasformare i fondi di caffé in oggetto di arredamento come tavoli e sedie. Il materiale ecologico, inventato dal gruppo di designer dell’azienda, si chiama Curface, ottenuto mescolando al caffé la plastica riciclata.
Insomma, i fondi di caffé sono un materiale davvero eclettico e sono certa che, dopo avere letto queste poche righe su alcune sorprendenti modalità di riuso, non li vedrete più come rifiuto, ma come vera risorsa!

Caro PD, fuori tutti i nomi di chi ha preso mutui agevolati da Monte dei Paschi.




Quirinale, gli 11 presidenti – Enrico De Nicola, il monarchico col paltò rivoltato - Marco Travaglio

Quirinale, gli 11 presidenti – Enrico De Nicola, il monarchico col paltò rivoltato


Bizzarro e bizzoso, arriva da Napoli a Roma sull'auto privata e rifiuta l'assegno e l'alloggio al Quirinale. Fra 10 giorni le camere si riuniranno per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, il 12esimo. Finora ne abbiamo avuti 11 in 67 anni. Il Fatto Quotidiano li racconta a puntate.

Il primo presidente della neonata Repubblica Italiana è un monarchico e ha 69 anni: Enrico De Nicola, napoletano, politico liberale, avvocato penalista e insigne giurista, che eccezionalmente detesta la retorica (“è il cloroformio delle Corti d’Assise”), ma bada molto alle forme. Ed è proprio per una questione di forme che, il 28 giugno 1946, viene eletto capo provvisorio dello Stato. All’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno, che ha sancito per un soffio e tra mille polemiche di brogli la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, le massime cariche dello Stato sono occupate da due settentrionali fieramente repubblicani: il trentino Alcide De Gasperi al governo, il piemontese Giuseppe Saragat alla Costituente. Bisogna dare un contentino al Sud, che ha votato in massa per Casa Savoia e si sente più che mai estraneo alla vita politica, tutta dominata dal “vento del Nord” resistenziale. I candidati alla presidenza sono tutti “revenants” (fantasmi, come li chiamava in dialetto piemontese Vittorio Emanuele III, memore dei loro trascorsi nell’Italietta prefascista): la Dc tifa per Vittorio Emanuele Orlando, i socialisti per Benedetto Croce. Ma tra i papabili c’è pure De Nicola, ex deputato liberale e ministro giolittiano, anche se nessuno è disposto a scommettere su di lui, per via del suo pedigree non proprio antifascista.
RITARDO DI 1 ORA E MEZZA AL GIURAMENTO IL 1° LUGLIO ’46. Qualcuno lo rammenta ancora presidente della Camera nel 1922, quando non fece una piega di fronte ai pesanti insulti del cavalier Mussolini a quell’“aula sorda e grigia”, e anzi zittì bruscamente il socialista Modigliani che tentava di protestare e votò la fiducia al primo governo del Cavalier Benito. Qualcun altro giura che don Enrico rifiuterà la candidatura, essendo noto più per le sue rinunce che per le sue investiture: quattro volte ha rifiutato la presidenza del Consiglio, una la nomina a senatore, una l’elezione a deputato, una la poltrona a sindaco di Napoli. Ma alla fine è proprio il gioco dei veti incrociati a catapultarlo sul Colle più alto. La Dc impallina Croce: troppo “laico”, il filosofo partenopeo, che comunque declina l’invito “per evitare lo scandalo e il chiasso”. Fuori uno. Il Pci boccia pure Orlando: ha sponsorizzato un po’ troppo i Savoia nella recente campagna referendaria. Fuori due. Sulle prime, Togliatti pensa ad Arturo Toscanini, poi ripiega su De Nicola. Gli altri si adeguano. Don Enrico viene eletto il 27 giugno, al primo scrutinio, con il 73,7 per cento dei suffragi: 397 voti su 501. Contrari soltanto i repubblicani, il Partito d’azione e la Concentrazione democratica di Ferruccio Parri, che danno 40 voti a Cipriano Facchinetti (Pri), candidato di bandiera. Anche l’Uomo Qualunque non ci sta e sostiene bizzarramente la baronessa catanese Ottavia Penna da Caltagirone nata Buscemi, antifascista, anticomunista e monarchica, candidata apposta – spiega Guglielmo Giannini – come “condanna di un mondo politico incancrenito”, (32 voti). Orlando non lo votano che in 10. Un monarchico sfegatato scrive sulla scheda “Umberto II di Savoia”.
Ma accetterà l’incarico, don Enrico? È noto che adora farsi pregare. Manlio Lupinacci lo canzona sul Giornale d’Italia: “Onorevole De Nicola, decida di decidere se accetta di accettare”. Lui infatti, alle prime avvisaglie della sua elezione, è subito fuggito da Roma rintanandosi nella sua casa di Torre del Greco. Saragat tenta di avvertirlo che sta cominciando la votazione decisiva, ma trova il telefono staccato. Qualche ora dopo ci riprova De Gasperi, per comunicargli l’esito finale. E finalmente il bizzarro e bizzoso neoeletto risponde: “M’inchino alla volontà popolare”. Neppure un cenno di ringraziamento ai deputati che l’hanno issato alla più alta carica dello Stato. L’Alcide ci rimane male, ma prosegue con una punta di ironia: “Auguri, presidente. Se lei è d’accordo, il 1° luglio alle ore 12 dovrebbe giurare fedeltà alla Repubblica…”. “Presidente provvisorio, prego”, lo tronca scontroso l’interlocutore. E il 1° luglio, tanto per non smentirsi, si fa attendere non poco. Fa un caldo africano, quel giorno, a Roma. Davanti al palazzo di Montecitorio una folla di parlamentari, giornalisti e semplici curiosi aspetta con ansia il suo arrivo. Rintanati nell’atrio per ripararsi dalla canicola opprimente, Saragat, presidente dell’assemblea, Orlando, decano del Parlamento, e il conte Carlo Sforza, ex-presidente della Consulta (l’assemblea che dalla liberazione di Roma ha svolto funzioni di organo non elettivo dei governi del Cln) si asciugano il sudore e guardano nervosamente l’orologio. Lo stesso fanno il resto dei parlamentari, assiepati nella Sala della Lupa e, nell’attigua Sala Gialla, De Gasperi, con il governo al gran completo.
Davanti al portone, un picchetto d’onore di vigili urbani a cavallo e un duplice schieramento di carabinieri in alta uniforme si sciolgono sotto il sole che picchia. Ma don Enrico non arriva. Qualcuno, in avanscoperta in piazza Colonna, lancia falsi allarmi: “Arriva, è lui… no, non è lui”. “Doveva esser qui a mezzogiorno ed è già la mezza. La Repubblica è già in ritardo”, sghignazzano i monarchici. Ritardo imbarazzante: un’ora e mezza. Solo alle 13.30 il corteo presidenziale sbuca finalmente dall’ultima curva e avanza lentamente verso la piazza. Un corteo piuttosto scarno, formato da una sola automobile nera, quella privata di De Nicola, senza scorta: i sei poliziotti in motocicletta che l’hanno accompagnato da Napoli li ha licenziati lui personalmente alle porte diRoma. Al suo fianco, oltre all’autista, lo accompagna un nipote (il neopresidente è scapolo). Ma la valigia di cuoio, suo unico bagaglio, pretende di portarsela da solo. Quella che segue, più che una cerimonia ufficiale, è una bicchierata fra vecchi amici. Dopo il giuramento, un telegrafico discorso di presa d’atto dell’incarico. Poi tante pacche sulle spalle, abbracci e salutoni da fiera paesana. A un certo punto gli si fa incontro la democristiana Angela Maria Cingolani Guidi, una sorta di Paola Binetti ante litteram. E gli stampa un bacio sulla guancia: “A nome di tutte le donneitaliane”. Lui, imperturbabile, ringrazia. E restituisce uno smack sulla guancia della timorata signora.
I CONTRASTI CON IL DETESTATO DE GASPERI. Quando gli descrivono gli appartamenti presidenziali approntati per lui al Quirinale, non li visita neppure: essendo “provvisorio”, non può risiedere nella dimora dei Re. Dunque si fa condurre a Palazzo Giustiniani, uno dei luoghi più bassi e più bui di Roma (“ogni mattina al primo visitatore devo chiedere se fuori piove o c’è il sole…”). Nei due anni scarsi del suo mandato, farà in tempo ad apporre la sua firma sulla Carta costituzionale. Scostante, umorale e sempre più stizzoso, arriva a dimettersi “per ragioni di salute” nel maggio del 1947, terrorizzato dalle possibili conseguenze della rottura fra De Gasperi e le sinistre dopo lo storico viaggio a Washington. La Costituente, non potendo respingere le sue dimissioni, lo rielegge il giorno dopo. Un’altra volta minaccia di andarsene perché il procuratore generale della Cassazione, inaugurando l’anno giudiziario, non gli ha rivolto un saluto sufficientemente ampolloso. Epici i suoi scontri con De Gasperi, che detesta cordialmente: nel maggio del ’47, pur di non ridargli l’incarico, convoca Francesco Saverio Nitti e financo l’ottantottenne Orlando. Quattro mesi dopo l’Alcide va a fargli firmare il trattato di pace, ma lui non ne vuole sapere: monta su tutte le furie, afferra le carte diplomatiche e le scaraventa sul pavimento, tra lo sgomento di funzionari e ministri presenti. Solo dopo lunghe insistenze riusciranno a strappargli la firma di ratifica.
Per mesi, poi, De Gasperi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giulio Andreotti tenteranno di convincerlo a firmare il decreto che gli attribuisce la “lista civile”, cioè l’appannaggio presidenziale (12,5 milioni di lire). Ma invano. De Nicola è quasi povero (ha perduto tutti i suoi risparmi professionali investendoli in buoni del Tesoro all’inizio della guerra), ma rifiuta l’appannaggio presidenziale. Celeberrimo il suo cappotto rivoltato, sempre lo stesso, con cui partecipa alle cerimonie ufficiali: un giorno, su insistenza degli imbarazzati collaboratori, lo manda al suo sarto di Napoli per la riparazione, ma quello gli fa il lavoro gratis e rifiuta i soldi, allora lui gli leva il saluto. Maniaco delle dimissioni e allergico al denaro e al potere: il più antitaliano dei presidenti. Infatti non sarà riconfermato. Due anni di De Nicola possono bastare.
(1. Continua)
Altri tempi, altri Uomini.