lunedì 13 maggio 2013

MICHELLE CONCEICAO E LA SUA AGENDA


Tra i numeri telefonici compare anche il numero di "Papi Silvio". La prova che dimostrerebbe i rapporti tra la escort, Silvio e Ruby



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Da un po' di giorni non si fa altro che sentire parlare di "Agenda Monti". Per non essere troppo ripetitivi, grazie aNonleggerlo.blogspot.it oggi vi proponiamo un altro tipo di agenda e cioè la rubrica telefonica di Michelle Conceicao, escort brasiliana protagonista dello scandalo Ruby. 

Quello che vedete in foto si trova nelle 400 pagine inviate dai Pm di Milano al Parlamento italiano, gennaio 2011, affaire Rubacuori, fonti di prova che dimostrerebbero, secondo i Pm milanesi, i rapporti stretti tra Silvio, la minorenne Ruby e la brasiliana che la ospitava. Sottolineati in rosso la prova dei contatti con Papi Silvio, tra cellulare privato e casa. 


http://www.cadoinpiedi.it/2013/01/03/michelle_conceicao_e_la_sua_agenda_-_foto.html

Caso Ruby, il grande inganno di Canale 5: scomparsi i fatti sgraditi a Berlusconi. - Gianni Barbacetto



Lo speciale andato in onda in prima serata sulla tv di famiglia è stato il peggiore flop della stagione, con meno di un milione e mezzo di spettatori e solo il 5,84% di share. Trasmesso alla vigilia della requisitoria di Ilda Boccassini, racconta solo la versione dell'imputato, in uno stile da propaganda sovietica. Nessuna immagine delle ragazze coinvolte, censurate le intercettazioni telefoniche più esplicite su quanto succedeva davvero nelle notti di Arcore.

Strano modo di fare televisione: neanche una foto delle ragazze protagoniste del caso Ruby. Ecco il grande inganno del programma di Canale 5 “Ruby ultimo atto. La guerra dei 20 anni” (guarda il trailer) che per la rete, peraltro, si è rivelato il più grande flop della stagione in prima serata, con meno di un milione e mezzo di telespettatori e il 5,88% di share. Uno speciale degno di entrare nei manuali di storia di giornalismo. Sarebbe bastata una scelta delle foto delle ragazze del bunga-bunga per far capire agli spettatori di che cosa si stesse parlando. Invece niente. Una poderosa, quanto faticosa macchina della disinformazione. Ad avere voce, presentati come attendibili, itestimoni utili alla difesa: quelli che dicono che ad Arcore si svolgevano “cene eleganti“. Ragazze tutte pagate da Silvio Berlusconi, da anni da lui mantenute e ancora oggi regolarmente stipendiate con 2.500 euro al mese, più auto e case. Oppure camerieri, pianisti, cantanti, che devono a Silvio tutto quello che hanno.
Dei racconti fatti nelle intercettazioni, nessun accenno (si possono però ascoltare qui nel montaggio di ilfattoquotidiano.it). Eppure erano cose pesanti, tipo: “Più troie siamo e più bene ci vorrà“. Tutte parlavano di soldi, vera ossessione delle serate di Arcore. Addirittura alcune raccontavano di aver fatto l’esame del sangue per sapere se avessero contratto l’Aids. Nessuna traccia neppure delle testimonianze delle ragazze che hanno rivelato che alle feste avvenivanospogliarellidanze erotiche, toccamenti alle parte intime, simulazione di atti sessuali. Poi, le prescelte all’X Factor del bunga-bunga (qui il video della sala del bunga bunga nella villa di Berlusconi) potevano passare la notte con il presidente, ottenendo un compenso più alto. Niente di tutto ciò nel programma presentato da Andrea Pamparana, che un tempo faceva il giornalista. Voce all’avvocato Niccolò Ghedini. A Ruby. E a Berlusconi, naturalmente.
L’unica teste d’accusa a cui il programma ha dato voce: Ambra Battilana, la cui credibilità è subito smontata con la lettera che ha poi mandato a Berlusconi. E Ruby? Pagata con 57 mila euro “per avviare un centro estetico” (mai visto). Ragazza che ha “commosso tutti raccontando la sua storia”. Altro che sesso: non poteva spingere “ad altro che a commiserazione”. Ammette di essere bugiarda, ma il programma di Mediaset sa distillare le sue verità. Panzane sul numero dei processi di Berlusconi e sul numero di intercettazioni di questo processo. Ma nessuna voce a contraddire, a rettificare, a inserire un minimo di verità dei fatti in un programma di regime sovietico prima di Breznev.
Sul reato più grave di cui Berlusconi è accusato (la concussione), la trasmissione dà il meglio di sé. Afferma che nessuna pressione è stata fatta da Silvio, nella notte del 27 maggio 2010, per far uscire Ruby dalla questura di Milano, nel timore che potesse rivelare l’altro reato (la prostituzione minorile). Dà per certo che Berlusconi non sapesse la vera età della ragazza. Che la credesse davvero nipote di Mubarak. E che l’intervento di quella notte di frenetiche telefonate tra Parigi e Milano fosse solo di evitare un incidente diplomatico. Garantisce che Berlusconi parlò di Ruby direttamente a Mubarak, in un precedente incontro internazionale: circostanza smentita dai testimoni presenti, secondo cui il rais egiziano non capì neppure la battuta di Silvio su una ragazza egiziana di sua conoscenza.
La pm dei minori ha ribadito in aula che le sue disposizioni erano chiare: tenere la ragazza in questura finché non si fosse trovato un posto in comunità. Il programma se la cava sostenendo che i funzionari di polizia potevano decidere di loro iniziativa che cosa fare. E si guarda bene dal dire in che mani finì quella notte: a casa di una prostituta brasiliana, dopo essere stata affidata a Nicole Minetti, compagna di bunga-bunga, insignita per una notte dell’inesistente qualifica di “consigliera ministeriale”.
Gli ascolti – Un programma fatto di ricostruzioni che gli spettatori non hanno gradito. Infatti “Ruby ultimo atto. La guerra dei 20 anni” è stato il meno seguito tra le reti Rai e Mediaset, ad eccezione della puntata della seconda stagione di “Tierra de Lobos – L’amore e il coraggio” su Rete4, che ha registrato 1.331.000 telespettatori e uno share del 5,38%. Ma è stato battuto dalle due puntate di Un medico in famiglia 8 su Rai1 (rispettivamente 5.685.000 telespettatori, share 20,72% e 5.944.000, 24,92%), da Ncis (2.642.000, 9,74%) e Elementary (2.406.000, 8,85%) su Rai2. E ancora Report (2.730.000, 10,74%) e Le Iene Show su Italia1 (1.416.000, 5,16% nella presentazione e 2.591.000, 13,09% nel programma).

Politiche giovanili, la beffa del fondo per l’occupazione svuotato dai partiti. Thomas Mackinson


Politiche giovanili, la beffa del fondo per l’occupazione svuotato dai partiti


Letta ha dichiarato che sostenere il lavoro dei giovani sarà la sua "ossessione". Ma gli stanziamenti dedicati, falcidiati dagli ultimi governi, vanno a iniziative opache e non sono monitorati. La Compagnia delle Opere, ad esempio, si accaparra un importo superiore al costo del suo progetto e si tiene il resto. Poi c'è il sito per giovani imprenditori, che costa 350mila euro e fa 20 utenti al mese.

Un fondo per i giovani che non ha più fondi, gestito in modo caotico e opaco, che premia progetti a volte misteriosi e spesso non rendicontati. E che in cinque anni ha visto scivolare via oltre 500 milioni di euro. E’ il ramo secco dello Stato su cui Enrico Letta punta per legittimare ulteriormente il suo governo di larghe intese, con tanto di impegno pubblico a fare dell’occupazione giovanile la sua “ossessione”. Le radici le ha proprio in ufficio, nella presidenza del Consiglio, titolare del “Fondo politiche giovanili”, una cassa di finanziamento falcidiata dai tagli e da cui più soggetti hanno attinto. C’è, ad esempio, la Compagnia delle Opere che si fa finanziare un progetto, spende meno del previsto, e si tiene la differenza. Ci sono le domande di partecipazione a un bando da un milione di euro che nessuno si è premurato neppure di aprire e restano lì, sigillate, a invecchiare come il vino. Un museo che organizza master per under 30 ma ci mette le sue guide e ci realizza un cofanetto promozionale. E poi c’è un sito, giovaneimpresa.it, che doveva diventare il punto di riferimento per tutte le iniziative pubbliche di sostegno all’imprenditorialità giovanile. Ma, in realtà, è divenuto l’emblema di come vanno le cose quando la politica mette il cappello sui giovani: è costato 350mila euro, attinti sempre dal fondo di cui sopra, ma è un relitto nella rete che totalizza 200 visitatori in dieci mesi, 20 al mese, meno di uno al giorno.
Tutto con il logo della Presidenza del Consiglio, quella che – in continuità tra centrosinistra e centrostra – ha formalmente elevato il tema dell’occupazione giovanile, issandolo come una bandiera sul tetto di Palazzo Chigi. Enrico Letta era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio quando Romano Prodi, il 17 giugno del 2006, un mese dopo l’insediamento, istituiva il primo fondo. Per due anni, però, rimase dormiente: i decreti attuativi arrivarono tardi, quando il governo dell’Unione si era già polverizzato. Nel 2008 Berlusconi se li ritrovò predisposti e pensò bene di crearci attorno perfino una delega ad hoc, quella di Giorgia Meloni, rigorosamente senza portafoglio. Tutti, sinistra e destra, a dire che l’importante è investire sui giovani. Ma i numeri dicono il contrario, raccontano un’altra storia: i fondi per le politiche giovanili sono stati via via svuotati e tagliati negli anni fino a lasciare le briciole. Molti programmi, in nome dei vincoli di spesa e dell’austerità, dovranno presto limitarsi a utilizzare i residui passivi delle gestioni precedenti, altri non riceveranno più un euro. Nel complesso la “dote” giovani è calata di due terzi in quattro anni.
Il capitolo di missione dedicato allo sport e al servizio civile, ad esempio, è sceso da 173 a 71 milioni (nella nota di previsione del 2013 a 64) con un taglio del 60%. Tanto che è appena stata depositata un’interrogazione per chiederne l’integrazione. Scorrendo poi le singole voci del bilancio della Presidenza si capisce meglio cosa intendesse Mario Monti quando un anno fa parlava di una “generazione perduta sulla quale mi chiedo se valga la pena investire”. Già nella nota di bilancio 2011 si spiegava che sul “Fondo di credito ai giovani” (cap. 848) “non è possibile allocare alcuna nuova disponibilità”. Idem per il “Fondo di garanzia per l’acquisto prima casa” (cap. 893), istituito nel 2008, che tre anni dopo non sarà neppure finanziato. Stesso destino per il “Fondo per le comunità giovanili” (cap.884).
La Corte dei Conti, a marzo, ha cercato di capire come sono stati spesi i soldi per il “Fondo per le politiche giovanili”. I magistrati contabili rilevano alcune “criticità” evidenti , sia in ordine ai progetti finanziati, sia alla loro successiva gestione e rendicontazione, perlopiù sparpagliate su diversi ministeri, enti locali e di diritto pubblico come Invitalia o l’Agenzia nazionale per i Giovani. Il fondo, questo è certo, sta toccando il fondo: nel 2008 erano stati stanziati 150 milioni, che sono divenuti 100 l’anno successivo, poi 81 e infine 12 per il 2011. Insomma, l’investimento sui giovani anche per questo capitolo è decisamente in picchiata.
Le iniziative finanziate sono spesso opache e a volte del tutto “disallineate” agli scopi del finanziamento. Alcuni esempi? Un bando del 30 dicembre 2008 da 4,8 milioni ha finanziato un portale (www.giovaneimpresa.it) che alla fine della fase di test non ha superato i 200 accessi in 10 mesi ma è costato la bellezza di 350mila euro. “In seguito – scrivono i magistrati – si è fermato per la mancanza di ulteriori fonti di finanziamento, ed il portale è diventato, in sostanza, uno strumento ad uso della Comunicazione istituzionale del Ministro della Gioventù”. Una scatola vuota “il cui quadro complessivo evidenzia una sostanziale incorenza anche per la falcidia che ha subito nel tempo il Fondo per le politiche giovanili, il cui stanziamento per il 2012 è limitato a 8 milioni di euro”.
Un altro bando sotto la lente è quello del 23 gennaio 2008 per la “legalità e crescita della cultura sportiva”. Importo, 1 milione di euro. L’amministrazione non ha mai trasmesso il decreto di approvazione dell’iniziativa alla Corte in quanto “irreperibile”, con buona pace della legalità in calce al bando. Si scoprirà che non era mai stato emanato. Le domande di partecipazione erano però arrivate in plichi sigillati, numerate e catalogate. Alla fine vengono ammessi 55 progetti, ma quelli che hanno ricevuto il finanziamento, a tempo scaduto, saranno solo due.
“Manca un reale monitoraggio”, infine sui cofinanziamenti per 19 milioni di euro gestiti in compartecipazione con sei regioni. “I progetti si concludono con una mera presa d’atto delle relazioni che ne indicano la conclusione”. Tra questi il progetto della Compagnia delle Opere da 710mila euro dal nome emblematico: “Potter – Progetto e occasione per tessere trame educative”. I soldi servono a finanziare esperienze di lavoro e attività extrascolastiche. La nota si chiude con un rilievo non da poco: tra le fonti di finanziamento e la spesa effettiva c’è uno scostamento significativo, ma la quota pubblica che doveva essere pari al 70% non è stata rimodulata sulla spesa effettiva e la restituzione della somma eccedente non è mai avvenuta. In pratica la Cdo ha messo a carico del pubblico quanto avrebbe dovuto finanziare in proprio. Tanto pagano i giovani.
465mila euro messi a disposizione della Fondazione Centro Studi G.B. Vico per giovani imprenditori si scoprirà che sono andati a beneficio di un’altra categoria. Con quei soldi la Fondazione pagherà l’instradamento a 47 potenziali guide turistiche per il proprio museo vichiano (oltre a un confanetto promozionale sul filosofo di cui porta il nome). “Evidente che l’attività realizzata dal soggetto attuatore si focalizzano su tematice e azioni legate ai propri interessi che non ripondono a quelli del bando”. Anche per l’età dei destinatari della formazione: il bando indicava una fascia d’età compresa tra i 15 e i 30 anni, delle 47 unità che hanno ricevuto formazione, 21 superano i 30 anni ed in alcuni casi i 50 “e comunque non si forniscono notizie circa gli ulteriori sviluppi sotto il profilo dell’inserimento lavorativo dei soggetti coinvolti nella formazione”. Li chiamavano giovani. E gli sottraevano il futuro.

domenica 12 maggio 2013

Brescia, il ‘sovrano’ Berlusconi e l’assordante silenzio di Napolitano. - Domenico Valter Rizzo


Brunetta vuole sapere cosa dice Sel delle proprie bandiere  tra i manifestanti che a Brescia contestavano il senatore Silvio Berlusconi. Il senatore Berlusconi era in quella piazza e in quella città, che forse dovrebbe rispettare un po’ di più per via del passato, per rivendicare un assunto contenuto nella Fattoria degli Animali, scritto da George Orwell, ovvero che “tutti gli Animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
In buona sostanza il senatore Berlusconi (non risultano altre cariche istituzionali) rivendica il diritto di essere al di sopra della legge, in quanto capo di uno schieramento politico. Ritiene di essere, come i sovrani dell’Ancien Regime, irresponsabile di fronte alla legge. Un’idea balzana, se fosse espressa dal signor Rossi al bar del Giambellino, ma che sostenuta da un parlamentare che è anche capo assoluto di un partito, in una piazza con accanto membri del governo in carica, assume un carattere eversivo. Eversivo non nei confronti dei magistrati, ma nei confronti di un principio che accettiamo tutti; che hanno accettato persino il vituperato Giulio Andreotti e l’esiliato Bettino Craxi.Ovvero che tutti siamo uguali di fronte alla legge. Tale principio, che sta alla base della democrazia liberale, ci impone, se siamo chiamati a rispondere di un reato, di presentarci davanti ai giudici, esercitando, in quella sede e solo in quella sede, nel migliore dei modi il diritto a difenderci. Diritto assai largo nel nostro ordinamento, tra i più garantisti del continente.
Berlusconi lamenta due cose. In primis che qualcuno lo abbia portato in tribunale, atto che considera una indebita intromissione della magistratura nella politica. Si potrebbe rispondere, in maniera quasi ovvia, che sarebbe bastato non porsi nella condizione di commettere reati per evitare  questa imbarazzante posizione. Non è certo colpa dei magistrati, se lui e i suoi sodali hanno truccato le carte nella vicenda Mondadori, hanno barato sui diritti tv, se qualcuno del suo entourage ha mollato una consiste e cifra a senatori dell’opposto schieramento per tradire Romano Prodi, e l’elenco potrebbe continuare. I magistrati se riscontrano una notizia di reato, hanno il dover di procedere, ma secondo Berlusconi, se tali reati lo coinvolgono, i pubblici ministeri dovrebbero arrestarsi come avveniva davanti ai sovrani assoluti.
La seconda cosa che Berlusconi lamenta è che i giudici non gli hanno consentito di truccare il processo, non hanno accolto le sue scuse da scolaretto impreparato per allungare il dibattimento fino alle Calende greche, arrivando all’agognata prescrizione. Si sono invece permessi di applicare la legge, emettere una sentenza e condannarlo. Berlusconi non contesta un solo fatto processuale. Dice solo i maniera apodittica: “io subisco una persecuzione” e si accosta a Enzo Tortora, finendo per essere trattato da miserabile dalle figlie del povero Tortora. 
Brescia è dunque un momento eversivo al quale si sono uniti, con atto gravissimo il vice presidente del Consiglio, Angelino Alfano e altri membri dell’esecutivo. Brunetta vuole, sapere cosa dice Sel delle sue bandiere tra i contestatori.
Io vorrei invece sapere cosa dice il Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio superiore della Magistratura, Giorgio Napolitano, della presenza del Ministro dell’Interno e degli altri ministri ad una manifestazione che attacca la Costituzione e la Magistratura. Giorgio Napolitano ha il dovere di parlare e ha il dovere di farlo adesso, dicendo cose forti e chiare. Il suo silenzio sarebbe complicità, verso chi oggi attenta palesemente ad uno dei capisaldi di quella Carta Costituzionale che questo signore poche settimane fa ha di nuovo giurato di difendere. 
Ebbene  lo faccia!

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Foto: Aveyron, France.
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Posted By Reem Koronfel

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Ieri a Brescia.



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Tutti i processi del (l’ex) Presidente.


Nell'arco della sua carriera politica (e non solo) Berlusconi è stato indagato e processato almeno 20 volte
Nell’arco della sua carriera politica (e non solo) Berlusconi è stato indagato e processato almeno 20 volte.
Sembrava che fosse invincibile, invece mister B. è crollato. Distrutto non dal logoramento fisico (come ci si sarebbe aspettato per un uomo in età avanzata) ma dai pm. Quella “magistratura politicizzata”, quella giustizia comunista che l’ha perseguitato durante tutta la sua carriera politica, infestandogli probabilmente anche i sogni, con immagini sfocate di toghe macchiate di rosso (comunista, non sangue) minacciose e incombenti sul suo impero mediatico e sulla vita privata.
Alla fine la legge l’ha incastrato nonostante tutti i legittimi impedimenti del caso, i rinvii a giudizio e i rischi di prescrizione, le indagini durate anni e gli appelli, i tempi biblici della giustizia italiana. La condanna è a 4 anni di reclusione e 5 di interdizione dai pubblici uffici per una “presunta” (come dice lui) evasione fiscale di 3 milioni di euro (e proprio “nell’anno in cui il mio gruppo ha versato all’erario 567 milioni di euro”) nell’ambito della compravendita dei diritti televisivi per Mediaset.
Non sono serviti né il lodo Schifani né il lodo Alfano a salvarlo, né la richiesta di spostamento del procedimento a Brescia, fortino pidiellino, per la presenza a Milano di 54 magistrati possessori di azioni Mediaset che, secondo la difesa, “avrebbero potuto figurare come parti offese”; non sono serviti nemmeno i rinvii e i legittimi impedimenti per malattia dell’ex premier né per gli impegni elettorali. Alla fine la giustizia ha fatto il suo (lento) corso e ha condannato mister B.
Ma il processo Mediaset non è l’unico che negli anni ha pesato sulle spalle del Cavaliere. In 20 anni di governo più o meno incontrastato, l’ex Premier ha collezionato oltre una ventina di procedimenti a carico, 2 dei quali estinti per amnistia, 6 caduti in prescrizione, 5 assoluzioni di cui 2 per sopraggiunta legge con valore retroattivo sulla depenalizzazione del falso in bilancio (insussistenza di reato), peraltro introdotta proprio durante il Berlusconi II, e ancora 9 processi archiviati, 1 condanna in primo grado (da sommare a quest’ultima dell’8 maggio) e 3 procedimenti ancora in corso.
AMNISTIE – Tutto inizia nell’anno 1989, quando nell’ambito di un processo per diffamazione avviato da una querela dello stesso Berlusconi contro i giornalisti di Epoca, mister B. afferma sì di essersi arruolato nella P2, ma di non aver corrisposto nessuna somma di denaro per l’iscrizione al famigerato Licio Gelli. A chiusura del processo per diffamazione, che vide assolti tutti i giornalisti, Berlusconi fu da loro accusato di falsa testimonianza, ma il processo non si celebrò mai per sopraggiunta amnistia.
Amnistia che lo salvò anche nel 1999, quando il Cavaliere fu accusato di appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio per l’acquisto dei terreni intorno alla sua villa di Macherio.
ASSOLUZIONI – Nel novembre 1994 Berlusconi riceve un invito a comparire davanti al pm Antonio Di Pietro (!) per un’indagine sulle presunte tangenti versate ad alcuni ufficiali della Guardia di Finanza che stavano svolgendo dei controlli su alcune aziende milanesi (tra cui ovviamente quelle di mister B. da Mondadori a Mediolanum). Il Cavaliere fu assolto in quel caso grazie alla testimonianza dell’avv. David Mills (un nome che suona familiare in anni più recenti, senza dubbio: vedi il processo Mills nella sezione PRESCRIZIONI).
Ancora, nel 1996 viene accusato di falso in bilancio nell’acquisto di Medusa, l’azienda cinematografica, ma viene assolto nel 2001 perché “per la sua ricchezza avrebbe potuto non essere al corrente dei fatti contestati“.
A fine 2005 si conclude per assoluzione (per sopraggiunta depenalizzazione del reato di falso in bilancio) anche l’annosa vicenda All Iberian, società dietro la quale pare si celasse la Fininvest. Il primo capo d’accusa, risalente al 1996, imputava alla berlusconiana Fininvest il finanziamento illecito del PSI di Bettino Craxi attraverso una serie di società off-shore, tra cui appunto la All Iberian, che avevano il compito di prelevare denaro dai fondi oscuri dell’azienda e versarli su conti esteri intestati al partito socialista. Nel 1998 il procedimento fu diviso in due tronconi: uno riguardante il finanziamento illecito ai partiti (All Iberian 1), l’altro il falso in bilancio Fininvest (All Iberian 2). Il primo cadde in prescrizione nel 2000 (vedi sezione PRESCRIZIONI), il secondo si concluse (ingloriosamente) per insussistenza del reato a seguito della famosa legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio varata dal Berlusconi II.
Nel 2000 iniziò il processo Sme, relativo alla vendita della stessa Società Meridionale per l’Elettricità: nell’ ’85 Romano Prodi, in qualità di presidente dell’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale possessore della SME, aveva “promesso” la società a Carlo De Benedetti, presidente Buitoni, firmando la stipula di un accordo preliminare per l’acquisto del pacchetto di maggioranza. L’accordo non piacque a Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, che spinse per la riapertura delle trattative. Comparvero allora altre 3 offerte di acquisto, una proprio di Fininvest. De Benedetti chiese il ripristino dell’accordo, ma il tribunale civile di Roma respinse la richiesta, e le azioni della Sme furono poi vendute in pacchetti più piccoli. Nel 2000 iniziò il processo a carico di Berlusconi, che lo accusava di aver corrotto il presidente del Gip del tribunale di Roma nonché un giudice, allo scopo di ritoccare la sentenza del tribunale civile di Roma. Il processo Sme subì una battuta d’arresto nel 2003 “grazie” al lodo Schifani, e infine si concluse nel 2008 con l’assoluzione di mister B.
PRESCRIZIONI – Sono 6 i reati imputati al Cavalier Berlusconi e caduti in prescrizione negli anni. Il primo processo ad essere annullato nel 2000 fu l’All Iberian 1, relativo all’accusa di finanziamento illecito ai partiti.
Il secondo procedimento ad andare in prescrizione (con non poche polemiche, e sempre per il sopraggiungere della depenalizzazione del falso in bilancio) è quello relativo al caso Lentini: l’accusa è sempre di falso in bilancio, perpetrato attraverso il versamento “in nero” di 10 mld di lire, lira più, lira meno, dalle casse del Milan a quelle del Torino per l’acquisto del giocatore Gianluigi Lentini.
Poi è il turno del Lodo Mondadori, che segna l’inizio di una nuova battaglia nell’ambito della guerra tra mister B. e Carlo De Benedetti, uno dei tre azionisti di maggioranza della casa editrice. In questa occasione Berlusconi è accusato di concorso in corruzione giudiziaria, ovvero di aver pagato i giudici di Roma,  insieme al fido Cesare Previti, avvocato della Fininvest, per far pendere in suo favore la decisione circa l’impugnazione del lodo Mondadori. Come si sa, la Mondadori andò in mano a mister B., provocando la ribellione di non pochi giornali; nel 2003 il processo per corruzione a carico del Cavaliere cadde in prescrizione per “non luogo a procedere per attenuanti generiche”.
Ancora: tra il 2003 e il 2004 Berlusconi viene prosciolto anche dall’accusa di falso nei bilanci della Fininvest: nel 2000 era stato accusato, insieme al fratello Paolo, di aver “alterato” le dichiarazioni relative alle spese per i diritti tv tra il 1988 e il 1992, intascando un bel po’ di quattrini, mentre nel 2001 il Cavaliere era stato indagato dal pm Greco con l’accusa di falso in bilancio (consolidato Fininvest) e utilizzo di società estere per creare un fondo “nero” di 1550 mld di lire, che poi sarebbero stati reinvestiti nelle operazioni più varie: per risanare le casse del Milan, per operare in borsa sui titoli Rinascente, Standa, Mondadori e Sbe, per liquidare vari pagamenti sottobanco, a Craxi, Previti etc., e per farsi un fondo pensione alle Bahamas.
Infine nel 2012, bloccato dal Lodo Alfano e dal legittimo impedimento durante il Berlusconi IV, va in prescrizione anche il processo Mills, che vedeva mister B. imputato per la corruzione dell’avvocato inglese che testimoniò (secondo i pm dietro profumato pagamento, 600mila dollari) in favore di Berlusconi nei processi All Iberian e per la corruzione della Guardia di Finanza (vedi sopra).
Tutto questo senza voler scendere nei dettagli dei procedimenti archiviati, che vanno dall’imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro sporco (caso Dell’Utri), alle tangenti fiscali sulle Pay tv, all’accusa di essere mandante delle stragi tra il ’92 e il ’93 , al traffico di sostanze stupefacenti, all’abuso dei voli d’ufficio, e ancora alla diffamazione per mezzo televisivo, alla spartizione pubblicitaria Rai – Mediaset, al caso Saccà (2007), allora presidente di Rai Fiction pressato da B. per far entrare in Rai le sue attrici, all’inchiesta di Trani sulle pressioni esercitate per la chiusura della trasmissione Anno Zero di Santoro.
Ma veniamo ora alla parte più interessante e purtroppo meno succosa: quella relativa alle condanne. Per ora, a pendere effettivamente sul capo di mister B. sono soltanto due sentenze.
La prima è relativa al caso Unipol, che in primo grado ha condannato l’ex Premier a un anno di galera per aver rivelato intercettazioni protette dal segreto di ufficio in occasione del tentativo (2005) da parte dell’Unipol di dare la scalata alla Bnl (roba che scotta, mica bazzecole!: le rivelazioni riguarderebbero infatti una telefonata tra Piero Fassino e la moglie, in cui l’allora segretario Ds lasciava intendere che la scalata fosse stata politicamente appoggiata dal suo partito; per l’occasione Fassino ha chiesto un risarcimento di 1 mln di euro).
La seconda condanna è quella dell’altro ieri, relativa alla frode fiscale Mediaset, mentre altri 3 processi sono ancora in corso. Il caso Ruby, che vede mister B. imputato per prostituzione minorile e concussione aggravata, (dopo aver intrattenuto rapporti sessuali con lei Berlusconi avrebbe fatto pressione sui funzionari della questura di Milano per ottenerne il rilascio – la ragazza era stata fermata per sospettato furto – e affidarla poi alle sapienti braccia di Nicole Minetti, secondo lui perché la ragazza era la nipote di Mubarak e il suo arresto avrebbe provocato un incidente diplomatico, secondo gli inquirenti per coprire il reato di prostituzione minorile consumatosi durante i festini a luci rosse di Arcore…) si avvia ormai al giudizio di primo grado; ma il Cavaliere dovrà rispondere ancora per la corruzione del senatore Giorgio De Gregorio (pagato 3 mln di euro per “migrare” nel Pdl) e la diffamazione di Antonio Di Pietro, che, come Berlusconi ha più volte dichiarato in pubblico, si sarebbe comprato la laurea con i punti del latte o giù di lì.
Lui invece, mister B., i suoi “punti del latte” li ha usati decisamente meglio. Sarà per questo che è ancora lì. Ma non tocca a noi dirlo. Bisognerà attendere i verdetti, quelli ufficiali, della magistratura dalla rossa chioma. Sempre che, dopo questa stoccata, mister B. ci arrivi ancora in piedi.
G.G