mercoledì 15 maggio 2013

Riforme, Palazzo Chigi chiama Rodotà. Quagliariello: correggerò il Porcellum. - Goffredo De Marchis


Apertura del Pdl al giurista nel comitato saggi. Già venerdì il governo darà l'ok alla commissione. I gruppi faranno una rosa di nomi. In corsa Violante e Ainis.

Palazzo Chigi vuole coinvolgere Stefano Rodotà nel processo di riforma costituzionale e reclutarlo nella commissione governativa di saggi che affiancherà il lavoro delle commissioni Affari costituzionali. Gaetano Quagliariello si prepara a chiamare nelle prossime ore l'ex garante della Privacy. Il ministro delle Riforme è uno degli sponsor del giurista divenuto la bandiera dei 5stelle nella battaglia per il Quirinale. Con lui ha condiviso da subito il giudizio sulla Convenzione così com'era stata immaginata inizialmente: incostituzionale per la "strana" presenza paritaria di eletti ed esterni.

Può essere un punto di partenza. Ma certo rimane una telefonata difficile perché Rodotà, oltre a bocciare lo strumento, ha detto a più riprese che la Costituzione non andrebbe toccata, tanto più dalla maggioranza delle larghe intese. Però Enrico Letta e Quagliariello intendono offrire il massimo di apertura per consentire a tutte le forze politiche di misurarsi con una riforma epocale. Una sfida che potrebbe essere accettata anche da Rodotà. 

Già venerdì il consiglio dei ministri darà il via libera alla commissione. Nel giro di dieci giorni, si procederà alla composizione. Il ministro dei Rapporti col Parlamento Dario Franceschini ha chiesto ai gruppi parlamentari di fornire una rosa di nomi scelti tra costituzionalisti e giuristi. Alla fine, la commissione dovrebbe contare 20 membri. In corsa ci sono i democratici Stefano Ceccantie Luciano Violante, i costituzionalisti Nicolò Zanon e Tommaso Edoardo Frosini che collaborano alla fondazione di Quagliariello Magna Carta, Michele Ainis che è considerato vicino a Scelta civica. 

Il modello resta quella della commissione Balladour, dal nome dell'ex primo ministro francese che la presiedette. Fu varata da Nicolas Sarkozy nel 2008, le sue proposte non rimasero lettera morta. Nello stesso anno l'assemblea nazionale varò una grande riforma costituzionale seguendo l'impianto del progetto Balladour. 

Ma prima dei nomi, della commissione e della Convenzione parlamentare, va sciolto il nodo di una modifica rapida della legge elettorale. Letta e i ministri ne hanno parlato all'Abbazia di Spineto. Il premier chiede una messa in sicurezza di alcune piccole modifiche al Porcellum, utili nel caso di un ritorno alle urne in tempi brevi. Le correzioni sono due: introduzione delle preferenze e riduzione dell'abnorme premio di maggioranza attuale. Il Pdl ha subito risposto di no. Ma ieri Quagliariello, che di quel partito è espressione, ha confermato il lavoro in corso sul sistema di voto. "La prossima settimana - ha spiegato al Tg3 - avvieremo i contatti con i partiti per approvare una clausola di salvaguardia che consenta di votare in qualsiasi momento". 

Il ministro però non pensa di tradire l'impresa di una revisione complessiva della Costituzione e dei modelli di governo. È questo il vero obiettivo, al di là della polemica scoppiata subito tra Pd e Pdl intorno al Porcellum. "Prima di scegliere la legge elettorale - chiarisce Quagliariello - bisognerà scegliere la forma di governo. Dobbiamo decidere se andare a Parigi, Berlino o Londra". Che non significa prepararsi al Grand Tour in voga nei secoli scorsi, ma capire se ci ispira ai sistemi di governo francese (semipresidenzialismo), tedesco (Cancellierato e legge proporzionale) o britannico (uninominale secco). 

La clausola di salvaguardia non è comunque un tema irrilevante. Letta ha promesso: mai più al voto con le liste bloccate, con i nominati. Però il Pdl frena mentre il Pd spera in uno spiraglio che consenta il ritorno al Mattarellum. Due posizioni oggi inconciliabili. Resta fuori dal dibattito invece la riforma della giustizia, la vera mina per il governo e per la commissione. Francesco Nitto Palma, il presidente della commissione al Senato (Pdl), garantisce: "Non è il momento di parlarne. Ora gli equilibri sono delicati". 


E' una mossa confezionata ad arte dal Pdl. Ma non sortirà, credo, nulla di concreto. Il loro intento è solo far credere, a chi li sostiene, e probabilmente con il beneplacito del PD (entrambi i partiti temono il m5s), di essere ben disposti verso il giurista e il m5s. Ma nè il giurista, nè il m5s accetteranno. Sarà, pertanto, un altro motivo per attaccare e denigrare il movimento e il giurista. Tutto calcolato. Come da copione.

Lo “strano” caso dei senatori che strappano le multe e non le pagano: truffa per 1 milione di euro.


L’allarme viene lanciato dal segretario regionale di diritto e libertà Stefano Podica: “Vogliamo i nomi dei senatori che non hanno pagato le multe e hanno truffato il Comune di Roma. A chi appartengono quei 1745 verbali stracciati e mai pagati? I reati vanno puniti”. 

multe_non_pagate_dai_senatori_romaMolto spesso i politici predicano bene e razzolano male, issano bandiere contro l’evasione fiscale (la piaga più grande del nostro paese) salvo poi loro stessi girarsi dall’altra parte quando si tratta di pagare qualche infrazione.
Infrazioni che possono essere anche delle semplici multe: “Vogliamo i nomi dei senatori che non hanno pagato le multe e hanno truffato il Comune di Roma. A chi appartengono quei 1745 verbali stracciati e mai pagati? I reati vanno puniti”. È quanto afferma, in una nota, il segretario regionale di Diritti e libertà Stefano Pedica.
“Immagino che anche questa volta Alemanno farà il pesce in barile e dirà che di questo scandalo non ne sapeva niente – osserva Pedica -. Noi, invece, ci teniamo a sapere chi sono i politici che non hanno pagato le multe e hanno evaso una somma che potrebbe superare un milione di euro.
“Chiediamo – aggiunge – che vengano resi pubblici i 21 fogli dei ricorsi pilotati, perché è ora di tirare fuori tutta la verità. Nei prossimi giorni Diritti e Libertà manifesterà davanti al Campidoglio contro un’amministrazione che in questi anni ha portato la città sull’orlo della bancarotta.
“Il Comune – spiega Podica – deve tornare ad essere una casa di vetro. Basta con gli scandali dell’era Alemanno. In questi ultimi giorni di campagna elettorale gli esponenti di Diritti e libertà candidati nella Lista Marino saranno ancora più presenti sul territorio per denunciare il marcio che si è annidato in questa città”.

LA CASA E’ UN PROBLEMA? MACCHE’. ECCO I “FIGLI DI” CHE L’HANNO AVUTA DA UN ENTE PUBBLICO. - Mario Giordano


E mentre la gente si dà fuoco perché non riesce a pagare il mutuo della casa,  mentre le famiglie italiane non riescono più a comprarsi un appartamento, lo scandalo delle case degli enti concesse ai vip risuona ancora più clamoroso
 Ecco dunque alcuni figli di che hanno ottenuto casa dagli enti o dalle assicurazioni con lo sconto:
-          Le figlie di Pierferdinando Casini
-          I figli di Clemente Mastella
-          Il figlio di Vincenzo Visco
-          La figlia di Pietro Ingrao
-          Il figlio di Andreotti
-          Il figlio di Cossiga
-          Il figlio di Cossutta
Altri figli celebri hanno ottenuto case degli enti in affitto (a tariffe agevolate):
-          Il figlio dell’ex prefetto di Milano Lombardi
-          Il figlio del segretario della Cisl Bonanni
-          La figlia dell’ex assessore alla Regione Lazio Stefano Cetica
Tutti i dettagli nel libro: “Tutti a casa”

Berlusconi, il silenzio del Pd è assordante. - G. Bianchimani


#Berlusconi, il silenzio del Pd è assordante
La notizia della settimana è stata senza ombra di dubbio la condanna in appello del Caimano.
Senza entrare nel merito, poiché si è già scritto abbastanza a riguardo, sarebbe meglio riflettere sul post-sentenza e  sulle ambiguità comportamentali della coppia Pd-Napolitano. Il loro silenzio è rumoroso, è   assordante, è come un frastuono che distrugge i timpani di quella fetta di elettorato, la quale tra la scelta 5stelle ed il voto  Pd-Sel (parliamo della maggioranza tra coloro che si sono recati alle urne) ha espresso un no secco alla politica clientelare, corrotta e ad personam,che va sotto il nome diberlusconismo .
Perché il punto è che un parlamentare, ex presidente del Consiglio e leader di una consistente forza politica che sorregge l’attuale governo, ha ricevuto una condanna in appello, per aver commesso il reato di evasione fiscale, “architettato e progettato “, secondo le motivazioni dei magistrati.
Un soggetto, sempre a detta dei giudici ,che possiede una” naturale predisposizione a delinquere”, e che elude il fisco per centinaia di milioni di euro (da ben notare che la condanna è per un evasione pari a 7 milioni di euro, ma che agli albori era tutt’altra cifra, rimaneggiata dalle consuete leggi ad hoc firmate Alfano).  Perché allora di fronte a  questo abominio il Capo dello Stato non si pronuncia?
Eppure il Presidente della Repubblica, rappresenta o comunque dovrebbe rappresentare una figura di garanzia costituzionale,  un custode del nostro bene più prezioso, la costituzione appunto, seviziata e violentata in questi ultimi venti anni. Ciò non sarebbe mai accaduto, se il Custode di tale bene avesse vigilato adeguatamente. E’ dimostrato dal silenzio in momenti come questo, che la nostra carta costituzionale è sotto attentato.
Il Pd, che dell’ antiberlusconismo aveva fatto un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale, ora è più preoccupato a sottolineare le uscite di Grillo e a dimostrare la propria scelta perché “necessaria per il bene del paese”. Di colpo ha smesso di sostenere la battaglia per la legalità, perché condividere un governo con Berlusconi vuol dire sospendere la legalità, e tutto ciò perché il governo con il pdl era necessario “per il bene del paese”, come se il bene del Paese fosse l’abiura della legalità. Il rammarico è tanto ma come ha affermato Michele Serra su Repubblica:
“Almeno a una cosa, questi giorni tristissimi, sono serviti. Sono serviti a chiarire una volta per tutte che nella sinistra parecchie persone odiano la sinistra. Nel senso che la combattono e forse la temono. Quando si tratterà di tornare al voto ce ne ricorderemo. Eccome se ce ne ricorderemo”.

Austerity? Bisogna fare sacrifici? …E allora beccatevi quest’ultima porcata: Lombardia, i consiglieri regionali si aumentano lo stipendio !!

zzz


Dice un noto giornalista, riferito ai politici: “Ci pisciano in faccia e ci dicono che piove”. Sbagliato. Perché i politici ci pisciano sì in faccia, ma ci dicono che è champagne.
Da quanto tempo si parla di riduzione dei costi della casta per eccellenza? Almeno da sei anni, quando uscì il famoso libro di Stella e Rizzo. Le promesse si sono rincorse. Alla fine sembrava che Monti fosse riuscito a mettere mano agli stipendi folli della classe politica. Ma era solo una bufala, nient’altro che una bufala, l’ennesima bufala. Solo che, a forza di ripeterle, le bufale, la gente finisce per crederci davvero.
La realtà è ben altra. Gli stipendi di parlamentari e consiglieri regionali continuano a essere faraonici. Non solo. Invece di diminuire, sono anche aumentati! Gli scandali Lusi, Fiorito, Bossi, Maruccio, ecc. ecc. non hanno spostato le cose di un millimetro. Anzi, no. Le cose sono addirittura peggiorate. Il tutto col consenso del mainstream che, come vuole il Colle, “deve cooperare”.
E allora è probabile che il 90% di chi sta leggendo questo post ancora non sa nulla di quanto di scandaloso è appena avvenuto in Lombardia. Ve lo diciamo noi, chiarendo subito la fonte: Il Sole 24 Ore. Non esattamente il quotidiano dei contadini, degli operai e dei disoccupati rivoluzionari, ma l’organo di Confindustria.
Col decreto Monti, l’indennità lorda dei consiglieri regionali lombardi è passata da 8.531 a 6.600 euro. Una bella sforbiciata allo stipendio, penserete. E invece no. Fatta la legge, trovato immediatamente l’inganno. Come scrive Il Sole 24 Ore, infatti, contestualmente, i cosiddetti rimborsi (ma in verità le spese non vanno effettuate per forza, né documentate) sono passati da 2.341 a 4.500 euro. Soldi rigorosamente al netto visto che, appunto, si tratta di presunti rimborsi. Calcolatrice alla mano, riepiloghiamo: i consiglieri regionali della Lombardia hanno visto l’indennità diminuire di 1.931 lordi. In compenso, i rimborsi sono lievitati di 2.159 euro netti! Per la casta lombarda, il guadagno è di 228 euro. Ma la cifra aumenta ancora se si considera il discorso netto/lordo!
Insomma, l’ennesimo scandalo tutto italiano. L’ennesimo pugno in faccia a quei precari, quei disoccupati, quegli operai che non arrivano a fine mese e che vorrebbero concreti segnali di sobrietà e cambiamento. L’ennesima presa per i fondelli. L’ennesimo gesto scellerato di una casta assetata di denaro che i media ufficiali (salvo Il Sole 24 Ore e qualche altro quotidiano) hanno volontariamente taciuto.
Siccome non bisogna fare qualunquismo, ma segnalare eventuali eccezioni, va chiarito che favorevoli al clamoroso aumento di stipendio (camuffato in rimborso) sono stati Pd, Pdl e Lega Nord, compattissimi, come sempre avviene quando si parla di denaro e privilegi.
L’unica forza contraria il Movimento 5 Stelle. Ma nemmeno di questo il mainstream vi ha detto e vi dirà nulla.

martedì 14 maggio 2013

Processo Ruby, la richiesta del Pm: "Condannate Berlusconi a 6 anni di carcere e l'interdizione perpetua"

Un momento dell'udienza presso il Tribunale di Milano (Ansa)


Il pm Ilda Boccassini ha chiesto 6 anni di reclusione e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per l'ex premier Silvio Berlusconi, imputato di concussione e prostituzione minorile nel processo sul caso Ruby. Ovvia conclusione dopo una lunga arringa tenuta dallo stesso magistrato che ha messo in luce che "non vi è dubbio che Karima El Marough aveva fatto sesso con Berlusconi e ne aveva ricevuto dei benefici". Così pure che Silvio Berlusconi "sapeva che la ragazza era minorenne" e che "non abbiamo dubbi che Ruby si prostituisse". Ruby Rubacuori, minorenne, faceva la prostituta ed era al libro paga di Silvio Berlusconi. E non c'è nessun dubbio che Silvio Berlusconi sapesse che la marocchina era minorenne (è questo il vulnus del reato principale). Secondo il magistrato, non c'è nessun dubbio che Emilio Fede lo avesse riferito al suo mentore. "Possiamo credere che una persona che ha dedicato la sua vita e il suo credo a Berlusconi come Emilio Fede, non gli abbia detto che Ruby era minorenne?", si è chiesta Bocassini in uno dei passaggi della requisitoria. 
4,5 milioni di euro a Ruby - A chiudere il cerchio è la questione dei soldi, 4,5 milioni di euro, versati dal Cavaliere nelle casse della giovane marocchina. Si tratterebbe di cifre molto elevate, come dimostrano le intercettazioni telefoniche, un biglietto sequestrato alla giovane e i prelievi fatti dall'ex premier su uno dei suoi conti. Il procuratore Boccassini, nel corso della sua requisitoria iniziata stamattina, ha sottolineato che da un conto del leader del Pdl, tra l'ottobre e il dicembre 2010, sarebbero state prelevate somme per oltre 4,5 mln che "coprono abbondantemente" la cifra di cui parla Ruby in un biglietto e in alcune telefonate. 
Il sogno negativo - Cosa c'era dietro la frequentazione da parte di tante ragazze della casa di Arcore e dei relativi presunti festini a luci rosse? La risposta del procuratore aggiunto è che Ruby e le altre andavano alla ricerca del "sogno negativo italiano" e la stessa marocchina "avvicinò Berlusconi per ottenere denaro facile e possibilità di lavoro nel mondo dello spettacolo, così come le altre giovani". Ad Arcore quindi, ha detto la Pm, c'era "un sistema prostitutivo". E la giovane marocchina Ruby "aveva da Berlusconi direttamente quello che le serviva per vivere in cambio delle serate ad Arcore". 
Minetti e il "doppio lavoro" - L'altra figura protagonista della vicenda è Nicole Minetti. La quale, ha detto il procuratore aggiunto di Milano, aveva "questo doppio lavoro", ossia "gestiva le case di via Olgettina dove vivevano le ragazze che si prostituivano" e "era un rappresentante delle istituzioni nel Consiglio regionale, pagata dai contribuenti". Descrivendo la figura dell'ex consigliere regionale, Bocassini ha detto che la donna distribuiva il suo tempo tra queste due 'occupazioni'. Anche Minetti, così come Emilio Fede e Lele Mora, secondo il pm, era consapevole che Ruby fosse minorenne quando frequentava Arcore. Così come lo sapevano, sempre secondo il pm, diverse persone che frequentavano la ragazza, come Caterina Pasquino e Michelle Conceicao, le quali inoltre erano a conoscenza "che Ruby si prostituiva". Ruby, sempre secondo la requisitoria, ha dormito diverse notti ad Arcore tra il febbraio e il marzo del 2010 ed era diventata "la preferita, la più gettonata delle ragazze" in quel contesto di "prostituzione ad Arcore" che, secondo l'accusa, "è stato dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio".
La "colossale balla" - Quando il capo di gabinetto della questura di Milano Pietro Ostuni chiamò il questore per avvertirlo della telefonata di Silvio Berlusconi sapeva "benissimo che la vicenda della nipote di Mubarak era una balla colossale e sapeva benissimo che la ragazza era minorenne, marocchina e scappata da una comunità e che interessava all' allora presidente del consiglio", ha detto ancora il pm. Bocassini, nella ricostruzione di quel che accadde nella notte tra il 27 e 28 maggio 2010, ha definito più volte la "storia" della nipote dell'ex rais "una bufala" e "una scusa grossolana" inventata dall'ex premier. "Ho potuto dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio - ha detto ancora il pm - che quella notte i vertici e funzionari della questura a seguito di una interferenza del presidente del Consiglio rilasciarono la minore e la affidarono a una prostituta, tramite la Minetti". 
Le leggi contro lo sfruttamento del minore - Il pm ha anche sottolineato un aspetto curioso della vicenda giudiziaria che vede protagonista l'ex premier: Silvio Berlusconi è finito imputato al processo Ruby anche per una legge introdotta dal suo governo. Nelle premesse della sua requisitoria il magistrato ha sostenuto che "prima di entrare nel merito delle imputazioni ascritte a Berlusconi", è da "ribadire l'importanza della tutela del minore al punto che sono intervenute due leggi importanti, una nel febbraio 2006, la numero 38, e l'altra nel marzo del 2008, volute dal governo Berlusconi", con lo scopo di combattere lo sfruttamento sessuale del minore.
Sentenza forse il 24 giugno - Intanto si è appreso che la difesa di Berlusconi parlerà il 3 giugno mentre un'altra udienza, probabilmente per eventuali repliche e sentenza, è stata fissata per il 24 giugno.
Presidio pro Bocassini davanti al Tribunale di Milano - Durante la requisitoria, davanti al palazzo di Giustizia di Milano, si è raccolto un piccolo presidio composto da cinque o sei persone a favore di Ilda Boccassini. Davanti all'ingresso di via Manara, una donna teneva in mano un cartello con su scritto "Boccassini avanti tutta, l'Italia onesta è con te", mentre un uomo reggeva un cartellone con su scritto "Berlusconi hai disonorato dignità e valori della nostra Italia, dimettiti!". Altre persone tenevano in mano la Costituzione e un'altra ancora aeva un cartello dove si leggeva "Berlusconi resti in politica per continuare a delinquere". Davanti al palazzo, inoltre, stazionava anche una prostituta che teneva un cartello con la scritta: "Sono una prostituta, voglio pagare le tasse e avere una pensione".

Fate schifo. - Marco Travaglio


Siccome non c’è limite alla vergogna, ieri il Coniglio Superiore della Magistratura, già organo di autogoverno della medesima e ora manganello politico per mettere in riga i “divisivi” che disturbano l’inciucio, ha condannato alla “censura” il pm minorile di Milano Anna Maria Fiorillo. Ha insabbiato un’indagine? È andata a cena con un inquisito? È stata beccata al telefono con un politico che le chiedeva un favore? No, altrimenti l’avrebbero promossa: ha raccontato la verità sulla notte del 27 maggio 2010 alla Questura di Milano, quando Karima el Marough in arte Ruby, minorenne marocchina senza documenti né fissa dimora fu fermata per furto e trattenuta per accertamenti.
Quella notte, per sua somma sfortuna, era di turno la Fiorillo che, per sua somma sfortuna, è un pm rigoroso che osserva la Costituzione, dunque non è malleabile né manovrabile. 
Al telefono con l’agente che ha fermato la ragazza, dice di identificarla e poi affidarla a una comunità di accoglienza, come prevede la legge. 
Mentre l’agente la identifica e cerca una comunità (ce n’erano parecchie con molti posti liberi), viene chiamato dal commissario capo Giorgia Iafrate, a sua volta chiamata dal capo di gabinetto Pietro Ostuni, a sua volta chiamato dal premier Berlusconi direttamente da Parigi. 
L’ordine è di “lasciar andare” subito la ragazza perché è “nipote di Mubarak” e si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto. Così la Questura informa la pm che Ruby è stata affidata a tale Nicole Minetti, “di professione Consigliere Ministeriale Regionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (supercazzola testuale). “Ciò – annoterà la Fiorillo nella sua relazione – suscitò in me notevoli perplessità che esternai con chiarezza, sottolineando in modo assertivo l’inopportunità di un affidamento a persona estranea alla famiglia senza l’intervento dei servizi sociali. 
Non ricordo di aver autorizzato l’affidamento della minore alla Minetti”. Cioè, spiegherà la pm, “ricordo di non averlo autorizzato”. 
Appena la cosa finisce sui giornali, il procuratore Bruti Liberati si precipita a difendere gli agenti con una nota molto curiale, anzi quirinalesca: “La fase conclusiva della procedura d’identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata correttamente”. 
Cioè anticipa l’esito di un’indagine in corso. Il Pdl esulta: visto? Il caso Ruby non esiste. Il ministro dell’Interno Maroni si presenta in Parlamento e mente spudoratamente: che Ruby fu affidata alla Minetti “sulla base delle indicazioni del magistrato”. 
La Fiorillo, sbugiardata dal bugiardo su tutti i giornali e tv senza che nessun superiore la intervenga, si difende da sola e dichiara: “Le parole del ministro che sembrano in accordo con quelle del procuratore non corrispondono alla mia diretta e personale conoscenza del caso. Non ho mai dato alcuna autorizzazione all’affido della minore“. Poi chiede al Csm di aprire una “pratica a tutela” non solo sua, ma della magistratura tutta, contro le menzogne del governo. 
Ma il Csm archivia la pratica in tutta fretta senza neppure ascoltarla: non sia mai che, con le sue verità “divisive”, turbi il clima di pacificazione nazionale. 
Al processo Ruby, forse per non smentire il procuratore, né l’accusa né la difesa chiedono di sentirla come teste. 
Provvede il Tribunale. 
Ma intanto il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, lo stesso che convocò il procuratore nazionale Grasso su richiesta di Napolitano e Mancino per far avocare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, avvia contro di lei l’azione disciplinare per aver “violato il dovere di riserbo”. Cioè per aver osato dire la verità. Ieri infatti il Pg Betta Cesqui che sosteneva l’accusa e ha chiesto la sua condanna non ha potuto esimersi dal dire che “la verità sulla condotta del magistrato è stata stabilita ed è stata data piena ragione alla sua ricostruzione dei fatti”. Dunque il plotone di esecuzione del Csm l’ha punita con la censura. 
Guai a chi dice la verità, in questo paese di merda.