mercoledì 4 settembre 2013

A la guerre a la guerre. C'è chi la fa e c'è chi, invece, non la vuole fare. - Sergio Di Cori, Modigliani


Che invidia!!

Ieri mi sono guardato per intero il dibattito politico che si è svolto nell’aula del parlamento britannico. L’ordine del giorno non riguardava il fatto se il principe ereditario Charles deve o non deve andare in carcere essendo stato giudicato un delinquente; non riguardava neppure il fatto se un certo Lord, figlio di famiglia aristocratica, sia coinvolto nei traffici con la mafia irlandese.  Si doveva discutere di una questione davvero seria. 
Tema del giorno era “Dobbiamo approvare la delibera per entrare in guerra ufficialmente contro la Syria oppure no?”. Non solo. Nel caso il Parlamento avesse votato a favore, immediatamente dopo il Gran Cancelliere avrebbe comunicato un conseguente dibattito: “Come e dove troviamo i necessari miliardi di sterline per le spese militari?”.
L’aula era stracolma.
Il premier Cameron era seduto insieme ai suoi e ha letto un  foglio, spiegando il quesito. Si è alzato un laburista e ha detto il suo punto di vista (tre minuti). Poi si è seduto. Si è alzato Cameron e  gli ha risposto. Poi si è alzato un conservatore (due minuti) e Cameron gli ha risposto. E poi un liberale democratico e così via dicendo. Le opinioni erano diverse e molto argomentate. E il premier rispondeva subito a ciascuno di loro. Dopo un’ora e mezza si è votato, quando l’aula ha preteso, quasi all’unanimità ( 72%), che il premier garantisse “sulla parola” che nessuna decisione venisse presa dal Ministero della Difesa senza previa autorizzazione del Parlamento. Cameron lo ha garantito. Hanno discusso, anche con toni forti. Hanno dibattuto sul loro futuro. Hanno votato. Trentadue conservatori moderati hanno formalmente dichiarato che ritenevano più saggio e aderente alle autentiche esigenze della collettività e dell’integrità sociale del popolo britannico astenersi dal ripetere errori del passato e investire la stessa cifra per affrontare il problema della disoccupazione giovanile. Alla fine Cameron ha preso atto della decisione del Parlamento: ha incassato la sua sconfitta, se ne è ritornato nel suo ufficio, ha telefonato a Obama e ha comunicato la scelta. E’ probabile che gli abbia detto qualcosa del tipo “Really sorry Barack! I cant’afford it right now” (mi dispiace, non me lo posso permettere in questo momento)-
Questo avviene in un paese europeo nel quale esiste una destra “normale” e una sinistra “normale”.
Questo accade in un paese dove i moderati moderano il dibattito, i conservatori vogliono salvaguardare e conservare le tradizioni del paese e i progressisti lottano per far progredire le classi più disagiate.
Quasi banale. Ma almeno ha un Senso.
Il dibattito è pubblico e chi sceglie si assume la responsabilità della propria scelta.
Dove esiste una destra, esiste una sinistra, esiste un centro e quando parlano, discutono di affari che riguardano tutti.
Beati loro!
Da noi, non è venuta in mente neanche nell’ anticamera del cervello di nessuno dei nostri governanti, concludere in anticipo le vacanze, riaprire il Parlamento e –data la grave situazione- affrontare in aula un identico dibattito, con lo stesso argomento, identico tema del giorno. Regalando così, all’intera cittadinanza, lo spettacolo di un esecutivo e di deputati  che spiegano al popolo che cosa sta accadendo, quanto costa, quali saranno le conseguenze e poi ciascuno voti come vuole.
Nessuno ci dirà mai nulla.
Che invidia!!

Lavoro, il dramma dei disoccupati. I nostri lettori raccontano la crisi.- Stefano Feltri e Francesco Ridolfi

Lavoro, il dramma dei disoccupati. I nostri lettori raccontano la crisi


C'è chi sogna l'estero, chi torna a casa dei genitori, chi cade in depressione, chi chiede aiuto alle associazioni caritatevoli. Alla continua ricerca di un impiego, giovani e meno giovani devono rinunciare all'idea di costruire una famiglia. Le storie raccolte dal fattoquotidiano.it.

Lontano dalla politica, dai ribaltoni, dalle polemiche sulla decadenza di Silvio Berlusconi, c’è ancora la crisi. Dei giovani, ma non solo. Ormai l’insistenza sul dato sulla disoccupazione giovanile, che a luglio è arrivata al 39,5 per cento, suscita una specie di fastidio. Soprattutto perché è noto che quel dato, rilevato dall’Istat, riguarda i ragazzi tra i 15 e i 24 anni anni. “Ma perché continuate a parlare di loro? Il vero disagio comincia dopo, quando ti cresce l’angoscia perché vedi i 30 anni che arrivano o li hai già superati”, scrivono i lettori rispondendo alla richiesta del fattoquotidiano.it di raccontare le storie che si nascondono dietro le statistiche sul lavoro.
Colloqui inutili. Per esempio Giuseppe racconta: “28 anni di Taranto, non trovavo nulla oltre al call center outbound da 450 euro al mese, l’Ilva non assume più. Mi sono trasferito in Emilia Romagna da due mesi, ho fatto dieci colloqui in svariati settori (supermercati, vigilanza, assistenza clienti, Caf, negozi di abbigliamento). Per ogni colloquio si son presentate almeno 20 persone a posto. Sono ancora disoccupato”. Gli risponde subito Jonico: “Anch’io sono tarantino e anch’io vivo in Emilia da quattro anni. Ci sono arrivato con una laurea in giurisprudenza e qualche anno di lavoro negli studi legali come praticante. Ho lasciato perché non ce la facevo più ad essere sfruttato per quattro soldi e perché confrontandomi con colleghi anche abilitati la solfa è sempre quella tranne qualche felice eccezione. Ormai anche chi è abilitato viene pagato una miseria, sempre se lo pagano. L’Emilia Romagna da qualche anno sente la crisi maledettamente e ogni giorno è sempre peggio. Ho fatto un corso professionale sperando di essere assunto da qualche parte. Nulla. Io sto considerando l’estero”.
La depressione. Parte un dibattito, tra Giuseppe e Jonico, su quale sia il Paese migliore per un tarantino che vuole emigrare all’estero. Jonico non ce la fa più: “Sono afflitto da continue emicranie muscolo-tensive. Assumo costantemente antidolorifici, quindi ho le transaminasi alte, nonché, la pressione minima alta. Alterno stati d’ansia, a stati di nervosismo, a stati di depressione. Ci sono delle volte che fatico a respirare”. Perché le sue giornate funzionano così: “Le passo tra leggere un libro, guardare un film, navigare per blog d’informazione, tenere in ordine la casa, cucinare, il tutto condito da un sottofondo di notevole depressione. Non ho alcun rapporto con i miei coetanei che lavorano. Mi sento un difetto sociale”.
Quelli che restano. Chi può cerca la via della fuga all’estero. Poi ci sono quelli che restano, come Valerio Principe: “Ho 30 anni a settembre, vivo da solo, in un appartamento a Roma lasciatomi dalla mia bisnonna e pagato (luce, gas, acqua) da una mamma insegnante elementare. Tutte le nuove generazioni della mia famiglia stanno vivendo sulle spalle delle ricchezze, o per meglio dire degli investimenti immobiliare, che i nostri nonni hanno fatto negli anni del Dopoguerra con tanta fatica, dedizione e sacrificio. Noi siamo tutti laureati, molto più colti, al contrario dei nonni, ma tutti senza un posto in questa società. Siamo diventati parassiti della famiglia”.
Stessa storia per Lallo Lilli: “Ho 28 anni, una laurea in Giurisprudenza e un dottorato di ricerca. Risultato? Mio padre, sant’uomo, continua a passarmi i soldi per mettere la benzina nella mia scassatissima Fiat Punto”. Un lettore milanese che si firma Shadowrunners ha 30 anni e si sfoga così: “Inoccupato. Artista, regista, documentarista. Fare cultura in Italia è impossibile. Non ci sono sostegni, non c’è meritocrazia. Non parlo per me. Magari non sono così bravo, parlo per tanti ragazzi di cui vedo lavori che vengono ignorati. Non parlo perché il nostro primo lungometraggio ha avuto successo in una dozzina di festival internazionali vincendo premi trasversali e nessun riscontro in patria. Fare cultura in Italia è impossibile se non si hanno i 300 euro dei genitori pensionati e un tetto sotto cui stare, è impossibile pensare di creare una famiglia. É un disastro parlare coi coetanei che lavorano in settori diversi, che non capiscono il perché dell’attaccamento a un mondo così. Noi combattiamo coi nostri lavori. Siamo giovani, ci proviamo. Se riusciremo a cambiare qualcosa ben venga. Se non verremo ascoltati ci chiederemo se sia colpa nostra o di un popolo codardo”.
Ritorno dai genitori. Luigi Turbazzi confessa, con nome e cognome, una di quelle storie che di solito restano nell’anonimato. “Classe 1970 quindi non più giovane: in cerca di occupazione da più di un anno con bambina e moglie a carico. Si va avanti con l’aiuto delle associazioni religiose: pasta scatole di fagioli ecc. ecc. Ogni tanto mi pagano le bollette e via con la speranza nel cuore che le cose possano migliorare un giorno”. Anche quella di Stefano Marzeddu, 47 anni, è una storia difficile da raccontare: “Classe 1966, laureato, disoccupato dal 2009, quando la mia azienda è stata venduta e siamo stati tutti licenziati. Avevo un contratto a tempo indeterminato. Anche se il lavoro non mi piaceva e l’azienda era penosa, me lo tenevo stretto. Poi tre anni di mobilità, nei quali ho cercato di investire i soldi per migliorare le mie competenze e andare all’estero. Perché ogni volta che superi le frontiere, ti accorgi che quella è l’Europa vera. Quando torni in Italia sembra di tornare indietro nel tempo. Vivo sulle spalle dei miei genitori, faccio piccoli lavoretti per computer, e se va bene, guadagno 250 euro al mese. In pratica, a 47 anni, vivo con i miei genitori, niente vacanze, niente divertimenti, niente più sogni nel cassetto, niente ambizioni, si vive alla giornata in un paese morto e sepolto, senza prospettive e incivile dalle fondamenta, nel quale servirebbe una rifondazione culturale. Per fortuna che i miei, che hanno vissuto tutta un’altra vita, sono pensionati che stanno bene. Ma io non mi sento più una persona, solo un’appendice dei miei genitori”.
In queste e in decine di altre storie raccolte in poche ore dal fattoquotidiano.it non c’è neppure più l’appello alla politica, l’attesa che qualcuno, da Roma, risolva i problemi. Con una magia berlusconiana o con qualche ammortizzatore sociale più caro alla sinistra. C’è soltanto il desiderio di condividere, di sapere che non si è soli ad affrontare un presente che ha tradito le promesse. Che non è il futuro promesso a chi è nato negli anni Settanta e Ottanta.

com'è di sinistra questo governo. - Alessandro Giglioli

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Subito dopo l’uscita di Franceschini sul governo che «sta facendo molte cose di sinistra», si è saputo dove prenderanno i soldi per coprire il mancato introito dell’Imu nel 2013.

Allora:

300 milioni saranno tagliati alla manutenzione delle ferrovie.
250 milioni saranno tagliati al fondo per l’occupazione, cioè ai disoccupati.
300 milioni saranno tagliati allo sviluppo delle energie rinnovabili.
55 milioni saranno tagliati alle assunzioni nelle Forze dell’ordine.

30 milioni saranno tagliati all’attività dell’Agenzia delle entrate e al controllo sul lavoro nero.

Ancora incerti invece i 600 milioni che dovrebbero arrivare dal condono per i boss dell’azzardo: i re delle slot non vogliono pagare nemmeno quelli.

Ecco, queste sarebbero le ‘cose di sinistra’: togliere un’imposta anche a chi possiede case di pregio per tagliare trasporto pubblico, occupazione, lotta all’evasione, energie rinnovabili.
Fate un po’ voi, com’è di sinistra questo governo.

Ps. Menzione speciale per Stefano Fassina, che già ai tempi di Fornero faceva la parte del ‘poliziotto buono’ contestando in tivù tutte le decisioni del governo sostenuto dal suo partito: adesso che è viceministro, fa le porcate direttamente dicendo però ai giornali che non si dovrebbero fare.

martedì 3 settembre 2013

SCANDALO MONTEPASCHI. L’INCHIESTA DI SIENA

Mps, pressioni politiche per la scalata Unipol. Il centrodestra e le nomine.



Fassino e la scalata di Unipol
È il 12 febbraio scorso. Davanti ai pubblici ministeri Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso arriva Marco Parlangeli, provveditore della Fondazione Mps dal 2003 al 2011. Parla di tutte le ipotesi di fusione bancaria esplorate in questo periodo. Sostiene che quando fu informato dell’acquisizione di Antonveneta «fui sorpreso dal prezzo che a me sembrava particolarmente elevato e lo segnalai a Mussari dopo l’acquisizione». Ricostruisce, sia pur tra mille incertezze, il ruolo avuto dalla Fondazione. Poi i magistrati affrontano il capitolo delle possibili ingerenze dei partiti e lui dichiara: «Non so di pressioni politiche per l’acquisizione di Antonveneta. Le uniche pressioni politiche di cui sono a conoscenza sono quelle esercitate da Piero Fassino sul presidente Giuseppe Mussari per supportare Unipol nella scalata della Bnl. A tale pressione mi sono opposto perché ritenevo che quell’operazione non era favorevole a Mps».

Parlangeli non è l’unico a rivelare il ruolo dei politici. Ulteriori circostanze vengono messe a verbale da Gabriello Mancini, presidente della Fondazione dal maggio 2006. Il 24 luglio 2012 viene convocato dai magistrati e dichiara: «La mia nomina, così come quella di Mussari, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della politica nazionale. Il mio principale sponsor era l’onorevole Alberto Monaci. Non partecipai alle riunioni sulla mia nomina e quella di Mussari però Monaci mi riferiva che era stato trovato un accordo con i Ds. Ci fu una riunione a Roma nell’attuale sede del Pd con l’onorevole Francesco Rutelli alla quale partecipai con Monaci, l’onorevole Antonello Giacomelli, segretario regionale della Margherita e Graziano Battisti, segretario provinciale del partito. A Rutelli venne prospettato l’accordo raggiunto e lui diede il suo assenso».
La trattativa di Letta
Mancini descrive agli inquirenti la «spartizione» del consiglio di amministrazione di Mps «composto da tre persone – Mussari, Graziano Costantini e Fabio Borghi, quest’ultimo espressione anche della Cgil – inquadrabili nell’area ex Ds, due persone – Ernesto Rabizzi e Monaci – inquadrabili nell’area ex Margherita, una persona – Andrea Pisaneschi – espressione del Pdl». Poi entra nei dettagli e aggiunge: «Devo dire che Pisaneschi era già componente del Cda ed era persona vicina all’onorevole Gianni Letta, come mi rappresentò in più occasioni lo stesso Pisaneschi. Ricordo che per il rinnovo del Cda telefonai a Letta e chiesi appuntamento a Palazzo Chigi poiché a livello locale e regionale vi erano fibrillazioni. Durante l’incontro Letta mi disse che andava certamente bene la conferma di Pisaneschi ma che avrebbe dovuto parlarne con il presidente Berlusconi per la definitiva conferma. Letta mi prospettò anche la conferma del dottor Querci quale espressione dei soci privati della banca e anche su questo mi disse che avrebbe dovuto parlarne con il presidente. Dopo alcuni giorni Letta mi telefonò, mi disse che aveva parlato con Berlusconi che aveva dato l’assenso alle due nomine».
In questa fase entrano dunque in gioco altri fattori. È sempre Mancini a rivelarlo. «Dissi che per Pisaneschi mi sarei impegnato in prima persona e per Querci avrei parlato con l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone che raccoglieva il consenso dei privati. Discussi con Caltagirone la nomina di Querci rappresentandogli che la proposta veniva da Letta con il consenso di Berlusconi. Dopo alcuni giorni mi confermò l’indicazione. Relativamente alle fibrillazioni all’interno del Pdl, ebbi un incontro con Claudio Marignani segretario provinciale del partito e vicino all’onorevole Verdini che mi disse delle valutazioni in corso per il nome da indicare per il Cda».
Società controllate e finanziamenti
Nel successivo interrogatorio del 31 gennaio 2013 Mancini parla di «forti ingerenze dei partiti per le nomine nelle società controllate da Mps e poi svela il sistema utilizzato». Un meccanismo che evidentemente ancora funziona viste le polemiche di questi giorni sulla nomina in Fondazione di Alessandra Navarri, fino a poco tempo fa assistente parlamentare dell’onorevole Anna Serafini, moglie di Fassino. Rivela il presidente della Fondazione: «Era Mussari che decideva le nomine e mi informava. Il suo riferimento era Franco Ceccuzzi, di area dalemiana. Posso dire che aveva un cordiale rapporto anche con Veltroni quando divenne segretario del Pd. Il punto di riferimento nel Pdl era l’onorevole Verdini. Altra persona con cui aveva rapporti era Gianni Letta. Ricordo che Letta affermava che Mussari era il suo riferimento in banca, mentre io ero il suo riferimento in Fondazione».
Poi si parla di soldi e Mancini afferma: «Quanto ai finanziamenti dei progetti da parte della Fondazione arrivavano continuamente sollecitazioni politiche in ordine alla concessione».
http://bastacasta.altervista.org/p3492/

Dna, più antico quello delle donne. Viviano Domenici

Ricercatori Usa: il codice genetico «completato» 84 mila anni prima di quello maschile

Le diverse caratteristiche messe a punto in epoche differenti. 
Ma la data di «nascita» resta comune. Dna, più antico quello delle donne. Ricercatori Usa: il codice genetico «completato» 84 mila anni prima di quello maschile.
MILANO - Il codice genetico delle donne ha trovato il suo assetto attuale circa 143 mila anni fa, quello dell' uomo solo 59 mila anni fa. Come dire che, dal punto di vista evolutivo, l' uomo ha adottato l' «ultimo modello» 84 mila anni dopo le femmine. Il tutto avvenne quando i due «prototipi» della moderna umanità vivevano ancora in Africa. 
Queste - semplificando molto - sono le conclusioni di uno studio internazionale coordinato dall' università di Stanford (Usa) e diretto da Peter Underhill, pubblicato sul numero di novembre di «Nature Genetics». I ricercatori hanno preso in esame la discendenza per via paterna di 1000 individui di 22 diverse aree geografiche e hanno appuntato la loro attenzione sul cromosoma sessuale Y (presente solo nei maschi) e sul Dna mitocondriale (che si eredita solo per via materna), per ripercorrere a ritroso la strada che ci ha permesso di arrivare fino ad oggi. Risultato di questa escursione nel passato è stato appunto la scoperta che il Dna mitocondriale trovò il suo assetto attuale circa 143 mila anni fa mentre il cromosoma sessuale maschile Y (che determina il sesso maschile) trovò le sue catteristiche moderne 59 mila anni fa. Questo non vuol dire, ovviamente, che prima di quelle date non vi fossero maschi o femmine con un patrimonio genetico adeguato ai loro ruoli, ma piuttosto che le diverse caratteristiche del patrimonio genetico dell' umanità attuale sono state messe a punto in momenti diversi. 
Evidentemente, prima delle date suddette vi erano in Africa diverse popolazioni umane con differenti sequenze di Dna mitocondriale, ma una in particolare (quella presente nell' umanità attuale) si rivelò vantaggiosa a livello evolutivo e finì per affermarsi a scapito delle altre. Questo avvenne 143 mila anni fa. Stesso meccanismo selettivo intervenne sulle differenti varianti di cromosoma maschile Y e dalla «competizione» emerse la versione arrivata fino a oggi, mentre i portatori degli altri «modelli» non ebbero discendenza. La scoperta non significa neppure - come qualcuno ha scritto - che Adamo è 84 mila anni più giovane di Eva. 
Maschi e femmine hanno evidentemente la stessa età e la loro origine va ricercata attorno ai 2 milioni e mezzo di anni fa, quando in Africa comparve la specie Homo abilis e lentamente cominciarono ad estinguersi gli Australopitechi. 
Lo studio coordinato dalla Stanford University non ha preso in esame il cromosoma sessuale femminile X, la cui forma attuale sembra essersi originata in epoca ancora più antica. Secondo i ricercatori, i risultati di questa ricerca potrebbero aiutarci a capire le alterazioni responsabili dell' aumento dell' infertilità maschile. 
Dal punto di vista dell' evoluzione umana è interessante notare come le date indicate dallo studio americano coincidano in maniera quasi perfetta con due momenti significativi della nostra storia evolutiva. Studi di genetica realizzati qualche anno fa indicarono una data compresa tra i 200 e i 100 mila anni fa come quella della comparsa, in Africa, della donna anatomicamente moderna (la famosa «Eva africana»); una data attorno ai 60 mila anni è invece indicata dagli antropologi come quella dell' espansione della nostra specie in Asia, Oceania e Europa. Sarebbe certamente azzardato vedere nelle variazioni cromosomiche ora individuate la causa del salto evolutivo e culturale del Sapiens sapiens e la sua affermazione nel pianeta, ma è anche indiscutibile che gli uomini e le donne che realizzarono l' impresa erano già identici a noi in tutto e per tutto. 

Game of drones...



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Ilva - Quasi 9000 malati di cancro a Taranto?


Taranto - Sono 8.916, secondo fonte Asl, le persone che hanno l'esenzione dal ticket per malattie tumorali (contraddistinta dal 'codice 048') nella città di Taranto. 
Lo rende noto Peacelink, sottolineando che nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all'Ilva (Tamburi, Paolo VI, Citta' vecchia e parte del Borgo), c'e' un malato di cancro ogni 18 abitanti. 
''Per la precisione - spiega in una nota il presidente dell'associazione ambientalista, Alessandro Marescotti - sono 4.328 malati su 78mila abitanti. 
Questo significa che se venti persone si riuniscono in una stanza nel quartiere Tamburi almeno una ha un tumore''. Nei restanti quartieri, quelli più lontani dalle industrie, c'e' ''un malato di cancro ogni 26. 
Infatti nel distretto sanitario 4 che comprende il resto della citta' - aggiunge Marescotti - vi sono 4.588 malati di tumore su 120mila abitanti. Questa e' la situazione attuale''. Peraltro, questi dati ''non possono calcolare tutti coloro che potrebbero avere un tumore latente o non diagnosticato. Il sindaco di Taranto, che e' un medico - attacca l'esponente ambientalista - avrebbe potuto compiere questa ricerca. Perche' non lo ha fatto?''.
 Peacelink rivolge un appello all'Ordine dei medici ''perche' venga compiuto un opportuno approfondimento su questi dati in modo da individuare le categorie di persone più esposte. E' venuto il momento - conclude Marescotti - di avere dati istantanei su tutte le malattie gravi, le diagnosi e i ricoveri. Disporre di un dato istantaneo e conoscerne la sua evoluzione temporale e' un primo passo per compiere ulteriori indagini più affinate da un punto di vista epidemiologico''.