venerdì 22 novembre 2013

Allerta pesce velenoso nei mari italiani: non va assolutamente mangiato. - Giusy Ocello



In questi giorni, il Ministero della Salute ha reso noto un comunicato, diffuso dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che allerta sulla presenza nelle acque siciliane di un particolare pesce, di nome Lagocephalus sceleratus, particolarmente velenoso anche dopo la cottura.
Il comunicato diffuso dall’Ispra è datato 7 novembre ed è stato diramato in tutti i servizi veterinari delle Regioni e delle ASL per gli interventi di competenza.
Il pesce in questione, originario del Mar Rosso, appartiene alla famiglia dei Tetraodontidae, i più conosciuti pesci palla, e sembra stia compiendo da tempo una migrazione che, attraverso il Canale di Suez, lo ha portato prima in Turchia, poi in Israele, per arrivare a Rodi e infine nella zona di Lampedusa, dove sembra sia stato pescato un esemplare.
Noto più comunemente con il nome di Pesce palla maculato, stando a quanto segnalato dal Ministero della Salute, sembra che la sua presenza nei mari italiani sia stata segnalata da diversi anni.
La pericolosità dei tetraodontidi è conosciuta da tempo ed è dovuta al fatto che i pesci che fanno parte di questa famiglia possono accumulare la tetrodotossina (TTX), una tra le più potenti tossine conosciute ad azione paralizzante sulla muscolatura. L’effetto di questa tossina, permane anche dopo la cottura dell’alimento e un avvelenamento da tetrodossina è altamente rischioso: può comportare conseguenze particolarmente gravi per la salute, fino alla morte, che può avvenire dopo poche ore dall’ingestione.
Per questa ragione, nel 1992, con il Regolamento (CE) 854/2004, recante “norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano”, è stata vietata la commercializzazione dell’intera famiglia. Un divieto che è stato diffuso anche a livello europeo.
Secondo quanto stabilito dal regolamento, si legge sul sito del Ministero, “gli operatori del settore alimentare hanno l’obbligo di garantire il rispetto dei requisiti di sicurezza per i prodotti della pesca immessi in commercio e di non immettere sul mercato specie ittiche appartenenti alle famiglie dei Tetraodontidae, Molidae, Diodontidae e Canthigasteridae in quanto contenenti tossine nocive per la salute umana”.

Fermo restando che, a tutela della salute umana, il Ministero della salute e l’Ispra hanno prontamente provveduto a diramare le informazioni riguardanti questo pesce, allertando i servizi veterinari delle Regioni e delle Asl e affiggendo avvisi nei porti siciliani, è sempre bene dare risalto a questa notizia, per evitare che cittadini e pescatori non professionisti, ignari del pericolo, ne consumino le carni. Anche se è impossibile che venga trovato nei mercati ittici, visto che per legge ne è assolutamente vietata la vendita.

giovedì 21 novembre 2013

L'ALLUVIONE SARDA E I FANTOCCI IMPICCATI. - Pino Cabras




Gli hanno dato molti nomi: ciclone, Cleopatra, uragano, bomba d'acqua. La mia terra gli ha dato un tributo di vite umane. Il presidente della regione Ugo Cappellacci, pronto ad aggiornare l'elenco di piaghe descritte nel Libro dell'Esodo, gli ha dato la definizione di "piena millenaria". La tempesta che ha rovesciato sui suoli sardi sei mesi d'acqua in appena mezza giornata ha saputo guadagnarsi così il primo posto nella borsa mediatica delle catastrofi, in Italia e nel mondo, prima di essere inevitabilmente sostituita da altre notizie. 

I lutti e i danni, tuttavia, non sono tutti dovuti al meteo cinico e baro. Questa devastazione deriva da un equivoco di fondo che la Sardegna di oggi e l'Italia sin dai tempi del Vajont si portano dietro: avere un suolo prevalentemente montagnoso e collinare, ma percepirsi come un paese di pianura, dove la pianura ha dimenticato per sempre tutta quella inutile materia fangosa e "prevalente" che sta a monte. 

È uno spazio addomesticato, quella pianura ideale, segnato da linee d'asfalto, case, scantinati, capannoni, e mille altri segni di "sviluppo" che la separano dal passato rurale e la proiettano in un mondo magico e progressivo che fa a meno della geologia.

Olbia alla fine della seconda guerra mondiale era un borgo di diecimila abitanti, oggi ne ha sei volte di più. E dove ha fatto il nido tutta questa gente nuova? Lo ha fatto là dove volevano gli speculatori e dove la portava la corrente dell'abusivismo: dove un tempo c'erano stagni e dove scorrevano magri torrenti.


Le "piene millenarie", proprio perché hanno memorie lunghissime, ricordano ogni tanto che dove il fiume è già passato tanti anni fa, prima o poi ci ripassa ancora. In autunno in Sardegna e in altre regioni non sono infrequenti i flash flood. Non possono essere considerati eventi sorprendenti.
Solo che un tempo il torrente gonfiato dalle tempeste autunnali aveva modo di diluirsi in un suolo intatto, o di sfogarsi in canali costruiti a regola d'arte, senza alvei intombinati che lo accelerassero, né ponti che diventassero dighe prima di cedergli il passo.

Olbia è cresciuta in fretta, è un piccolo emblema dell'ideologia della crescita libera che ripudia qualsiasi pianificazione. Il PIL veniva prima di tutto, e perciò si doveva dimenticare che una vera città, prima di tante altre cose, è un sistema idraulico artificiale che si sovrappone a un sistema idraulico naturale. Olbia però andava oltre. Non si sovrapponeva alla natura, la sostituiva senza criterio. L'onda del PIL era un flutto di cemento che impermealizzava ettari ed ettari, al galoppo. Poi, ieri, fine corsa. All'acqua della città, incanalata senza regola e non più assorbita, si è aggiunta l'acqua della montagna, e tutto è stato devastato.


Ora la cronaca ha il suo momento di frastuono, di pianti, di governanti che snocciolano compunti i milioni stanziati per l'emergenza: Enrico Letta 20 milioni, Ugo Cappellacci 5 milioni. Dev'essere lo stesso Cappellacci che ha guidato un'amministrazione che ha revocato 1,5 milioni di euro destinati alla difesa del suolo e contro il dissesto idrogeologico. Certo, quei milioni non sarebbero bastati, nemmeno a Olbia, interessata negli ultimi decenni anni da 17 (diciassette) "piani di risanamento". Cioè: prima si lasciava fare, senza permessi, poi si condonava, si "risanava", senza nemmeno completare fogne, argini. Niente di niente. Erano bolli e timbri aggiunti ai fatti compiuti: fatti irrimediabili, ferite non sanabili se non abbattendo tutto. Ma come fai ad abbattere interi quartieri? Risanare, ma per davvero, costa molte volte di più del gesto iniziale, mai fermato, che cambiava natura a quel pezzo di territorio.


Facile strapparsi i capelli adesso. I nomi dei quartieri olbiesi sommersi di oggi c'erano già tutti in un articolo del 2010. Era un trafiletto di cronaca locale sul "rischio alluvione". La prevenzione non fa notizia, non porta voti, non mobilita risorse, non diventa la pagina d'apertura di Repubblica. È solo un misero fondino di un giornale locale che non rompe il silenzio. La gente non sa, e crede perciò di stare nel suo Belpaese di pianura, senza pericoli, senza colline, e senza verità sul clima.

Negli anni in cui la Regione Sardegna fu guidata da Soru (2004-2009) venne approvato un piano paesaggistico fra i più avanzati al mondo, molto chiaro nel considerare il paesaggio un bene pubblico non negoziabile. Dopo, a livello nazionale e regionale, vi è stata una pressione costante per una nuova liberalizzazione edilizia e per abrogare le regole restrittive, in nome dello sviluppo e della crescita, e al diavolo i geologi.
Proprio un geologo, Fausto Pani, sardiniapost.it, in veste di autore del PAI (Piano stralcio per l'assetto idrogeologico) e del Piano delle fasce fluviali, si toglie oggi qualche detrito dalla scarpa: «solo pochi giorni fa i sindaci interpellati dicevano che nei loro paesi non pioveva così tanto, che il Piano stralcio delle fasce fluviali era tutto sbagliato e bloccava lo sviluppo dei Comuni. Oggi chiederei a quegli stessi amministratori locali se la pensano ancora allo stesso modo».


Infatti il problema non è solo Olbia. Uno dei comuni più colpiti dall'alluvione è Terralba, nell'oristanese.

Ho visto in TV il sindaco di centrosinistra Pietro Paolo Piras con la faccia tesa del tipico sindaco in lotta sincera con il disastro, circondato da uomini della protezione civile. Poche settimane fa proprio Piras partecipava a una manifestazione a Cagliari contro il Piano per le fasce fluviali. Lo considerava troppo rigido. Persino le norme di una giunta post-Soru, teoricamente più morbida con chi vuole sviluppo edilizio, non andavano bene a una parte della gente di Terralba. Lo scorso 15 giugno un comitato locale aveva impiccato decine di fantocci per opporsi «con fermezza al piano delle fasce fluviali previsto dalla Regione e ai vincoli idrogeologici che limitano lo sviluppo del territorio.»

Uno dei promotori spiegava: «Devono fare una scelta politica, con questi vincoli ci stanno condannando a morte. Tutte le attività rischiano di scomparire e non ci sarà uno sviluppo futuro per il nostro paese». Alle magnifiche sorti e progressive di Terralba ha però bussato il Rio Mogoro, un torrentello spesso asciutto che per un giorno è diventato l'Orinoco.
Gli impiccatori di fantocci hanno maneggiato in modo molto imprudente i simboli. Parafrasando una vecchia storia, l'ultimo sviluppista è disposto a vendere la corda con la quale verrà impiccato.

Adesso la ricostruzione, nel far girare denaro, farà bene al PIL. È forse cinico dirlo, ma dopo le catastrofi naturali, questo succede in molti casi. E, nel crescere, il PIL dimostrerà ancora una volta di non essere la misura corretta del vero benessere.

Quel pezzo di società civile che rimuove in modo dissennato e cocciuto la vera natura del nostro suolo, quelle classi dirigenti la cui mentalità è intimamente modellata dalla stessa concezione del territorio, si trovano davanti a una scelta. La scelta non è "costruire oppure no": è semmai cosa costruire senza consumare ancora di più il suolo, cosa costruire per salvaguardarlo nella sua integrità, fare manutenzione costante e piccoli interventi sulle infrastrutture che già ci sono, e finirla con le grandi opere e le eterne emergenze. Finirla con il fantoccio della crescita infinita. Magari così ci sarà più lavoro, e meno senno del poi.

mercoledì 20 novembre 2013

Brindisi, il sindaco Cosimo Consales indagato per riciclaggio e ricettazione.

Brindisi, il sindaco Cosimo Consales indagato per riciclaggio e ricettazione


Contestato anche il reato di abuso d'ufficio. Al centro dell'inchiesta, un debito da 300mila euro maturato con Equitalia, che il primo cittadino avrebbe rateizzato sfruttando il suo ruolo e violando le norme antiriciclaggio. Insieme a lui, raggiunte da avviso di garanzia altre tre persone, tra cui un dirigente della società di riscossione.

Riciclaggioricettazioneabuso d’ufficio. Sono queste le ipotesi di reato contenute nell’avviso di garanzia notificato a Cosimo Consales, sindaco di Brindisi in quota Pd. Insieme a lui, sono indagati il dirigente del suo staff, Cosimo Saracino, un commercialista di Lecce, Massimo Vergari, e l’ex direttore di Equitalia della città Giuseppe Puzzovio, accusato anche di concussione. Gli agenti della Digos si sono presentati con un decreto di perquisizione e sequestro negli uffici comunali di Brindisi, dove hanno prelevato pc, tablet, e documenti. Altre perquisizioni sono state eseguite anche a Lecce e Bari in relazione alle attività degli altri indagati.
Sotto la lente degli investigatori e dei pm Giuseppe De Nozza e Savina Toscani, che coordinano l’inchiesta, c’è un debito da 300mila euro che Consales avrebbe maturato con Equitalia prima di diventare sindaco operando con una società di cui era rappresentante legale. Dopo l’elezione, secondo l’accusa, Consales ha concordato una rateizzazione del debito, ma approfittando del suo ruolo istituzionale. Di qui, la contestazione dell’abuso di ufficio. La quota pagata sinora sarebbe di 20mila euro divisa in rate mensili e saldata in contanti violando le norme antiriciclaggio che impongono una completa tracciabilità del denaro. Sulla restante parte ancora non pagata si concentra ora l’attenzione degli investigatori.
Giuseppe Puzzovio, invece, ora in servizio a Bari, è accusato di avere sottoposto a pressioni suoi dipendenti in Equitalia per compiere delle irregolarità in vantaggio del primo cittadino. La società di riscossione dei tributi ha fatto sapere in serata che “sono state attivate le procedure per allontanare in via cautelativa” il dirigente dal servizio e “di avere dato mandato ai propri legali di costituirsi persona offesa nel procedimento penale”. 
L’approfondimento investigativo sull’importo dovuto a Equitalia è stato disposto nell’ambito di un’altra inchiesta sulla società di comunicazione News Sas, della quale il sindaco possedeva quote fino poco prima di entrare in politica. I pm stavano accertando eventuali irregolarità nell’affidamento dal parte del Consiglio del servizio di comunicazione istituzionale e di rassegna stampa proprio alla sua società. Accertamenti sono in corso anche sul cartellone degli eventi estivi e natalizi del 2012. Per queste inchieste Consales è già indagato per abuso d’ufficio.
“Ribadisco la mia piena fiducia nella magistratura e collaborazione rispetto all’inchiesta”, si è difeso Cosimo Consales. “Sono stati acquisiti ulteriori atti e documentazione, ma ciò accade spesso. Credo che l’inchiesta sia sempre la stessa, ma sentirò il mio avvocato per comprendere di che si tratta”. All’attacco, invece, l’opposizione. “Prendiamo atto delle condizioni gravi in cui si trova l’amministrazione comunale che, a mio giudizio, consiglierebbero di pensare allo scioglimento di questo Consiglio alla luce dei risultati della gestione operata in questo scorcio di consiliatura”, ha tuonato Mauro D’Attis (Pdl). “Si dimetta il sindaco o dimettiamoci tutti”.

Batteri sempre più resistenti agli antibiotici: fenomeno deve essere arginato. - Rino Perla

Batteri sempre più resistenti agli antibiotici: fenomeno deve essere arginato
I batteri sono sempre più forti e resistenti agli antibiotici. Qualche giorno fa, nel corso della Giornata degli Antibiotici, organizzata dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) di Stoccolma, gli esperti hanno manifestato la loro preoccupazione in merito al dilagare del fenomeno. In sostanza, i ricercatori sperano che venga arginato il fenomeno della resistenza perché, altrimenti, si corre il pericolo di tornare in una situazione analoga a quella preesistente all’invenzione degli antibiotici.
In Italia si consumano molti antibiotici, soprattutto al Centro e al Sud. Gli esperti ricordano che gli antibiotici vanno presi solo se strettamente necessario e dietro prescrizione del medico.

Rimborsopoli, parte il processo a 6 giorni dal voto. - Fabrizio Di Vito

Vi presento il neo governatore della basilicata Marcello Pittella:
POTENZA- La settimana che porta alle elezioni regionali inizia con l’udienza preliminare del processo sulla “Rimborsopoli” lucana, l’inchiesta che, di fatto, ha provocato in Basilicata un terremoto politico senza precedenti.
A sei giorni dalla tornata elettorale (un voto anticipato scaturito dalle dimissioni del governatore De Filippo proprio in seguito agli sviluppi dell’inchiesta), 34 tra attuali ed ex consiglieri regionali, questa mattina dovranno presentarsi davanti al gup Petrocelli. Su di loro (gli indagati in tutto sono 40) pende la richiesta di rinvio a giudizio avanzata nello scorso mese di luglio dai pubblici ministeri Francesco Basentini e Sergio Marotta. La maxi-inchiesta aveva portato, lo scorso 24 aprile, agli arresti domiciliari gli allora assessori Vincenzo Viti (Pd) e Rosa Mastrosimone (Idv) e il capogruppo del Pdl, Nicola Pagliuca. Gli accertamenti di carabinieri, guardia di finanza e polizia si erano concentrati sul biennio 2010-2011, a cavallo tra la scorsa e l’attuale legislatura. Gli indagati dovranno rispondere di peculato e false attestazioni perché accusati di aver indebitamente percepito rimborsi per migliaia di euro. Fra le persone per le quali il gup dovrà decidere ci sono anche i presidenti della giunta e del consiglio regionale, Vito De Filippo e Vincenzo Santochirico e il candidato governatore del centrosinistra, Marcello Pittella. Rispetto ad altre, la loro è una posizione abbastanza marginale che riguarda soprattutto l’acquisto di francobolli e giornali e alcune cene.
Nato e cresciuto in politica, figlio di un senatore, fratello del vicepresidente vicario del Parlamento Europeo, laureatosi in medicina a soli 26 anni, (e qui sorgono dubbi su come si sia laureato), a soli 5 anni dalla laurea diviene consigliere a Lauria. Praticamente, non ha mai svolto, fortunatamente, la sua professione di medico chirurgo. Naturalmente, essendo nato e cresciuto in politica, ha pensato che tutto gli fosse dovuto.

Vendola: accuse, risate e arrampicate sugli specchi. - Peter Gomez

Quando, sia pure con 24 ore di ritardo, aveva detto di vergognarsi per aver “riso di quel giornalista che faceva il suo mestiere” pensavamo che Nichi Vendola avesse abbandonato ogni goffa velleità da arrampicatore sugli specchi. Dopo il tempo delle querele e delle mancate dimissioni pareva finalmente arrivato quello delle scuse e delle spiegazioni. Purtroppo ci sbagliavamo.
Davanti al suo consiglio regionale il governatore pugliese ci ricasca. E, tra lo stridore delle unghie, ci accusa come un Berlusconi qualsiasi di aver truccato le carte. Afferma che l’ilare e ossequiosa chiacchierata col responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà, è stata montata dailfattoquotidiano.it “allungando” il tempo delle sue risate. Sostiene che c’è stato qualche “ritocco” perché nella telefonata c’era qualche “problema”. E dice di averlo scoperto “solo stanotte perché io e il mio avvocato non avevamo il file audio di quella intercettazione”.
Vale la pena di ricordare al leader di Sinistra ecologia e libertà che il sonoro della telefonata integrale è stata pubblicato contestualmente al servizio in cui venivano mostrate le immagini della “scena fantastica” che lo aveva fatto “ridere un quarto d’ora”: spezzoni del video in cui si vede Archinà strappare il microfono a un cronista locale colpevole solo di aver posto a Emilio Riva le domande sui morti per tumore. Il servizio, in cui sono stati rispettati i tempi delle risate e della pause, è statocorredato di cartelli esplicativi e montato per rendere agevole al lettore la comprensione dell’accaduto. E, esattamente come si fa in ogni pezzo di cronaca giudiziaria, nella stessa pagina e nello stesso momento, è stato pubblicata anche la documentazione processuale originale, in questo caso l’audio integrale.
Nichi Vendola, insomma, non dice il vero. E lo fa perché se lo può permettere.
In qualsiasi democrazia matura il primo e più importante potere di controllo è rappresentato non dalla stampa o dalla magistratura. Dove la democrazia funziona a controllare l’operato di chi governa sono le opposizioni. Ma in Puglia, come in gran parte d’Italia, le opposizioni latitano. Regolarmente. Anche perché qui il centrodestra ancor più della maggioranza di sinistra è abituato ad andare a braccetto con gli inquinatori dell’Ilva.
Così il governatore può presentarsi davanti ai consiglieri regionali e accusare ilfattoquotidiano.it senza che nessuno durante otto ore di dibattito lo contraddica o presenti una mozione di sfiducia. Il capogruppo del Pdl si limita a una generica richiesta di dimissioni. Quello di Sel, Michele Losappio, più volte intercettato con Archinà, ovviamente lo difende. Ma finisce per strafare e definisce il nostro scoop “una cosa organizzata da estremisti grillini”. Gli altri non parlano o parlano (quasi) d’altro. I consiglieri stanno ben attenti a non chiedere perché dagli atti depositati nell’inchiesta che vede Vendola indagato per concussione emergano molti particolari curiosi. Per esempio decine e decine di amichevoli telefonate del responsabile delle relazioni esterne Ilva a politici di ogni colore, ordine e grado, più un singolare sms inviato alla vigilia di Pasqua 2010 da Onofrio Introna, attuale presidente del consiglio regionale: “Ringrazio per il prezioso sostegno alla mia rielezione”.
Non sarà per particolari come questi che la politica in Italia demanda ormai regolarmente alla magistratura il compito di selezionare le proprie classi dirigenti? Il dubbio viene. A scioglierlo a questo punto può essere solo Nichi Vendola. In pubblico gli rinnoviamo l’invito che i nostri giornalisti gli hanno già fatto pervenire in privato: venga alla web tv del Fatto per discutere in diretta streaming di Ilva e di libertà cronaca, di comportamenti e non di reati. Non lo aggrediremo, ne può star certo. Il microfono non gli verrà strappato.  
Senza risate abbiamo solo qualche civile ed educata domanda da porgli.

Andrea Scanzi.



Non mi piacciono l'ipocrisia e "gli appelli pubblici". 
Se devo dire qualcosa sulla Sardegna, lo faccio in privato. 
Per esempio telefonando personalmente ai tanti amici che ho in quelle terre così meravigliose. 
Se vi aspettate cose tipo "Solidarietà alla Sardegna, oggi un minuto di silenzio e niente post su Facebook", avete sbagliato pagina. 
Sono finzioni e paraculate che non mi appartengono. 
Se un personaggio pubblico non dovesse parlare o esprimere gioia (privata, ad esempio per il proprio libro che riscuote un inatteso successo) per rispetto delle tragedie, non dovrebbe parlare mai. 
In Filippine sono morte migliaia di persone, eppure non mi pare che su Facebook o altrove si sia sospeso il diritto alla sporadica gioia quotidiana, e dunque il diritto alla vita. 
Non mi piace l'ipocrisia. 

E mi piace ancora meno questa gigantesca pippa autoassolutoria secondo cui "è solo una calamità, non si poteva fare nulla". Certo che è una calamità. Certo che la Natura ci domina. Certo che "in 24 ore è caduta la pioggia di sei mesi" (ma accadde anche in Ogliastra nel 2004 e non finì così, e soprattutto fu la stessa cosa che disse Gabrielli dopo l'alluvione a Genova e alle Cinque Terre). 
Andrebbe però aggiunto che, per decenni, destra e sinistra hanno ammazzato (anche) la Sardegna con decine di milioni di metri cubi di cemento, reiterando una spaventosa propensione alla incuria e alla rapina del territorio. 
Andrebbe detto che l'Italia è un paese fatto di persone meravigliose (sì, spesso meravigliose) che volontariamente aiutano e si prodigano per ricostruire, ma anche di governanti che da decenni non fanno un benemerito cazzo per prevenire e costringono questo paese a vivere in una situazione di perenne emergenza e provvisorietà.
In Italia ci sono state 3500 morti in 50 anni per alluvioni. 

La sola alluvione di Genova ha provocato oltre un miliardo di danni. 
Come ricorda anche Ferruccio Sansa stamani sul Fatto, mettere in sicurezza il territorio sarebbe costato un quinto. 
Ma non avrebbe garantito uno spot egualmente redditizio in termini elettorali. 
Meglio (per esempio) spendere 10 miliardi per la Mestre-Orte tanto cara (anche) a Napolitano.
Io abbraccio forte gli amici sardi e mi riprometto di tornarci al più presto, ma al tempo stesso mi indigno - e mi arrabbio, anzi mi incazzo - per una politica che ha completamente e colpevolmente abdicato al proprio ruolo. 

E oltre le oscene lacrime di coccodrillo non va. 
Mai.


https://www.facebook.com/pages/Andrea-Scanzi/226105204072482